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riconoscere e distinguere i differenti tipi di stati emotivi, impulsi e desideri;
tali caratteristiche possono essere attribuite all’esperienza infantile di genitori
costantemente superintrusivi, che non sono sintonizzati con le effettive
esperienze soggettive del loro bambino e che gli impongono le proprie
personali e arbitrarie interpretazioni dei suoi bisogni corporei.
Il rifiuto del cibo da parte della ragazza, diventa così una mossa nel gioco della
famiglia ad un certo stadio della sua evoluzione, rappresentando il sintomo di
un problema più profondo nell’espressione dell’affetto, nelle dinamiche e nello
stile relazionale; è solo attraverso il rifiuto del cibo che la ragazza si
riappropria della possibilità di decifrare i suoi stati interni a dispetto delle
ingerenze genitoriale, aprendosi la strada verso l’autonomia.
In questo lavoro è stata data una particolare importanza al ruolo assunto dal
cibo, inteso come veicolo dell’affettività, come motore potente per veicolare le
relazioni umane e quindi lo sviluppo psichico, mentre è stato solo sfiorato il
contributo sociale dato a questa patologia. Infatti da più parti arrivano
messaggi che evidenziano ed esaltano la figura perfetta di questi anni. La
cultura dell’immagine, catastrofica a volte nelle sue richieste, colpisce sì gli
adolescenti, perché vivono un momento evolutivo in cui sono più sensibili
all’approvazione, al riconoscimento da parte degli altri, ma penso che non
vada trascurato il fatto che esiste un impegno familiare, nella maggior parte
dei casi, non adeguato a sostenerli nell’evoluzione dell’identità, e prima
ancora, purtroppo, è venuta a mancare l’esperienza di un autentico sostegno
affettivo.
E’ proprio in questo ambito che si inserisce il presente lavoro, con particolare
attenzione alla figura del padre.
L’idea di approfondire tale aspetto è nata dal fatto che i padri continuano ad
essere per lo più ignorati nella maggior parte delle ricerche sullo sviluppo e il
mantenimento di un quadro psicopatologico infantile e adolescenziale.
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Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di testimoniare l’importanza del
padre nello sviluppo infantile ed individuare possibili responsabilità in grado
di contribuire all’insorgenza e al mantenimento del disturbo alimentare nella
figlia.
Il seguente elaborato è strutturato in tre capitoli.
Il primo ci introduce nel complesso universo del disturbo alimentare; viene
innanzitutto presentato il quadro sintomatologico della patologia, sia per
quanto riguarda i criteri diagnostici, sia per quanto riguarda la variegata serie
di sintomi, sia fisici che psicologici, che affiorano nei soggetti anoressici e
bulimici.
L’individuazione del quadro patologico è stato reso possibile grazie all’ausilio
di alcune fondamentali teorie, che si sono occupate del disturbo alimentare,
quali quella psicodinamica, quella familiare, la teoria cognitiva e infine la
teoria della psicologia del Sé, che comprende uno specifico richiamo alla
teoria dispercettiva di Hilde Bruch. Inoltre sempre in questo primo capitolo ho
fatto riferimento alla teoria che concettualizza i disturbi alimentari come
disturbi dell’autoregolazione, la cui caratteristica principale è una
menomazione della regolazione degli affetti.
Il secondo capitolo invece analizza come il ruolo del padre e la figura paterna
si sono notevolmente modificate nel corso degli anni, parallelamente alla
progressiva trasformazione della struttura familiare.
L’intento è quello di presentare le funzioni, che rendono il padre importante
per lo sviluppo dei figli e di individuare particolari caratteristiche che possono
essere considerate in qualche modo responsabili nell’insorgenza del disturbo
alimentare.
Nell’ultima parte, viene riportato lo studio effettuato su un campione di 12
famiglie: madre, padre e figlia con disturbo alimentare; alle quali sono stati
somministrati la Toronto Alexitimia Scale (TAS-20) per valutare la loro
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difficoltà nell’identificare e descrivere le proprie emozioni e i propri
sentimenti; il Questionario sugli Stili di Attaccamento (ASQ) per valutare i
loro stili di attaccamento ed il Family Attitudes Questionnaire (FAQ) per
valutare la qualità delle relazioni familiari. Specificamente è stato ipotizzato
uno stile di attaccamento insicuro e difficoltà ad esprimere e riconoscere
emozioni sia nel padre che nella figlia, inoltre, che il disagio relazionale nelle
figlie deve interessare prevalentemente l’area del rapporto con la figura
paterna.
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CAPITOLO 1
DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE: anoressia e bulimia
1.1 Inquadramento nosografico e storia dell’ anoressia mentale
Il termine anoressia (dal greco an-orexia che vuol dire mancanza del senso d'
appetito) si riferisce ad un disturbo del comportamento oro-alimentare ed è
caratterizzato dalla riduzione volontaria dell’assunzione di cibo che, nel 15-
20%dei casi, può portare ad un dimagrimento letale (Sarteschi e Maggini,
1992).
Attualmente c’è tra i diversi autori un’ampia concordanza circa la definizione
nosografica dell’anoressia mentale; la maggioranza di essi fanno, infatti,
riferimento al DSM IV. Questa relativa unanimità è stata finalmente raggiunta
solo in tempi recenti, mentre permangono notevoli discordanze circa i fattori
eziopatogenetici di questo processo morboso. Infatti, mentre alcuni autori
privilegiano i momenti biologici, altri sottolineano il ruolo di quelli
psicologici dando luogo a differenti ipotesi patogenetiche. E’ importante
rilevare che molti autori hanno adottato nel tempo punti di vista differenti. Per
esempio la Selvini Palazzoli, nei suoi primi lavori, inquadrava il processo
dell’anoressia mentale in termini psicodinamici mentre in seguito ha assunto
sempre di più un’ottica relazionale. Lo stesso discorso può essere fatto per la
Bruch che, dalle sponde della psicologia dinamica è approdata a teorie che
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valorizzano momenti e componenti percettologiche (dispercettive) e aspetti di
tipo relazionale.
La storia dell’anoressia è caratterizzata da controversie patogenetiche e
nosografiche; generalmente la maggior parte degli autori fa risalire la prima
approfondita descrizione di questa patologia al trattato Tisiologia: o Trattato
sulla consunzione pubblicata da un medico inglese R. Morton (1689). In
questo trattato è descritta una sindrome “da deperimento” di origine nervosa
che fu chiamata “consunzione nervosa”. I sintomi, quali l’inappetenza, il calo
ponderale, la stitichezza, l’iperattività e l’amenorrea (sintomi che si ritrovano
nell’anoressia mentale), non erano accompagnati da altri sintomi tipici della
consunzione quali febbre, dispnea e tosse ed erano quindi attribuiti a
“preoccupazioni ansiose o malinconiche”.
I casi presentati da Morton sono quelli di un ragazzo di sedici anni e di una
ragazza di diciotto, la quale, rifiutando ogni cura, morì tre mesi dopo in
seguito ad un attacco di sfinitezza.
Nel XIX sec. casi tipici d' anoressia furono riportati nell’ambito di trattati più
generali dell’isteria che esprimono, secondo Gordon (1991), a livello
sintomatico, le contraddizioni insite nelle società contemporanee circa
l’identità femminile, anche se le problematiche delle donne sono molto
cambiate dall’ottocento ad oggi.
L’isteria poteva rappresentare il modo con cui affrontare la dipendenza e la
passività che erano le caratteristiche fondamentali del ruolo sessuale
femminile nell’ottocento; in questo modo le donne potevano ribellarsi
estremizzando tale stereotipo, fuggendo dagli obblighi vissuti come un
enorme peso e riconquistando potere attraverso la tirannia passiva esercitata
sui familiari e sui medici curanti (Gordon, 1991). Nell’anoressia mentale,
però, non si simula, come nell’isteria, un disturbo fisico.
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Fu solo nella seconda metà del diciannovesimo secolo con Lasegue (1873) e
Gull (1874) che l’anoressia mentale divenne improvvisamente oggetto di
intensa attenzione medica e fu descritta e definita come entità clinica di
origine psicologica.
William Gull a Londra e il neurologo Charles Lasegue a Parigi, pubblicarono
contemporaneamente alcuni lavori su dei casi di digiuno volontario oggi
chiaramente riconoscibili come anoressia.
Gull (1968) descrisse una strana malattia che colpiva le giovani donne che
rifiutavano il cibo nonostante l’emaciazione. Egli definì questo quadro
clinico, inizialmente, apepsia isterica e nel 1874 anorexia nervosa. Gull
ritenne che la mancanza d' appetito, non essendo dovuto ad alcun disturbo
gastrico, avesse un’origine centrale e non periferica e che la causa della
patologia sarebbe da ricercarsi in “un’anomalia dell’io”. Il termine “anoressia
nervosaӏ ancora oggi usato in Germania, Russia e nei paesi di lingua inglese.
Lasegue, inquadrò invece il disturbo tra le varianti dell’isteria chiamandola
“anorexia histerique” e descrisse il caso di una paziente estremamente magra
e denutrita che però non desiderava la guarigione poiché la sua condizione la
poneva al centro dell’attenzione di tutti i familiari ed amici. Lasegue trattò in
tutto otto casi di pazienti con questo tipo di patologia che attribuì ad un
“trauma emotivo inconfessato”.
Questi primi autori notarono ciò che più tardi divenne la caratteristica
distintiva dell’anoressia: Gull ad esempio, restò stupito dell’iperattività e della
straordinaria energia delle sue pazienti a dispetto della loro condizione
d'inedia, mentre Lasegue osservò il tipico atteggiamento di rifiuto
dell’anoressica, il suo peculiare comportamento nei confronti del cibo, e le
relazioni patologiche con la famiglia.
Negli anni che seguirono i lavori pionieristici di Gull e Lasegue si è scritto
estesamente sull’anoressia ma di essa si è capito poco.
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Nei primi decenni del Novecento venne erroneamente considerata un disturbo
endocrino (morbo di Simmond) e attorno agli anni Venti, le pazienti
anoressiche vennero trattate con estratti tiroidei. Quando nel corso degli anni
Trenta divenne chiaro che l’anoressia e il morbo di Simmond erano entità
cliniche diverse, incominciarono le prime spiegazioni psicologiche,
soprattutto nella forma di interpretazioni psicoanalitiche che indicavano la
sessualità quale origine del disturbo.
L’anoressia venne considerata una difesa da fantasie di fecondazione orale o
di impulsi perversi. Benché queste teorie oggi abbiano scarso credito, i loro
contributi liberarono la comprensione dell’anoressia dai tristi e poco
illuminanti tentativi di un’interpretazione medica esclusivamente somatica. I
principi psicoanalitici tradizionali esercitarono una forte influenza sulla
comprensione del disturbo solo per due o tre decenni, e in seguito persero la
loro influenza. L’attenzione posta esclusivamente sui fattori sessuali e
l’approccio psicoterapeutico interpretativo e relativamente passivo, si
dimostrarono di scarsa utilità per questo genere di pazienti. Era necessario un
quadro più completo che tenesse conto dei bisogni particolari e delle
caratteristiche proprie dello sviluppo delle pazienti anoressiche.
Decisiva è stata la comparsa del lavoro di Hilde Bruch che ha coinciso con
una forte crescita dei disturbi dell’alimentazione.
In Eating Disorders vengono prese in considerazione tanto l’anoressia che la
bulimia. L’autrice sostiene che entrambi i disturbi ruotano intorno a problemi
legati all’immagine di sé oltre che su certi problemi caratteristici dello
sviluppo psichico. Ella propone due tipi di anoressia: una forma primaria e
una secondaria.
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Nel tipo primario sono sempre presenti tre caratteristiche distintive e centrali:
1. un’immagine distorta del corpo, la percezione errata di esso come
grasso;
2. un’incapacità di identificare sentimenti interiori e condizioni di
bisogno, in particolare la fame, ma più in generale l’intero spettro
delle emozioni;
3. un senso pervasivo di “ineffettualità”, la percezione cioè che le proprie
azioni, pensieri e sentimenti non originino attivamente dentro di sé ma
riflettano passivamente aspettative e richieste esterne.
Quest’ultima caratteristica rispecchia la sensazione di essere un “nulla”, di
non avere il controllo del proprio destino. Questo sentimento, che la Bruch
ipotizzava basato su esperienze infantili, fa capire perché l’anoressia si
sviluppi tanto spesso nell’adolescenza, periodo in cui lo sviluppo di un senso
di autonomia e padronanza di sé è importante per il raggiungimento della
maturità e indipendenza dai propri genitori.
La forma secondaria di anoressia era considerata dalla Bruch come una
condizione molto più eterogenea. La sua caratteristica principale era una
notevole perdita di peso legata a fattori psicogeni, ma il raggiungimento della
magrezza e la mancanza patologica di autonomia non costituivano elementi
primari. Questa forma, implicava la presenza di conflitti psicologici centrati
sulla funzione nutritiva (interpretazioni simboliche distorte della funzione
alimentare). La distinzione proposta dalla Bruch tra anoressia primaria e
anoressia atipica non è stata pienamente accettata fra i criteri diagnostici
contemporanei, ma ha una sufficiente evidenza dal punto di vista della pratica
clinica e considerevole importanza per il trattamento.
Attualmente i criteri diagnostici più accettati sono quelli proposti dal
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV), il
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documento ufficiale dell’Associazione Psichiatrica Americana e
dall’International Classificational of Diseas (ICD-10) dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità. In entrambi si sottolinea la presenza nella patologia
anoressica di una grave distorsione dell’immagine corporea che si manifesta
nel terrore di diventare obesi; ma l’ICD-10 presenta delle differenze: la
perdita ponderale autoindotta con l’esclusione dei cibi ingrassanti, la perdita
nei maschi dell’interesse sessuale, simile all’amenorrea femminile e infine
l’esclusione, rispetto al DSM-IV di qualsiasi comportamento binge.
Pertanto i criteri dell’ICD-10 utilizzati nella diagnosi dell’anoressia mentale
sono i seguenti:
1. un peso corporeo che è almeno il 15% al di sotto di quello atteso (perso
o mai raggiunto), o un indice di massa corporea di Quetelet di 17,5 o
meno. I pazienti in età pre-puberale possono non subire il previsto
incremento ponderale durante il periodo dell’accrescimento;
2. la perdita di peso è autoindotta mediante l’evitamento dei cibi che
fanno ingrassare, e uno o più dei seguenti: vomito autoindotto, purghe,
esercizio eccessivo, uso di farmaci anoressizzanti e/o diuretici;
3. è presente una distorsione dell’immagine corporea, sotto forma di una
specifica psicopatologia perciò il terrore di diventare grassi persiste
come un’idea prevalente intrusiva e il paziente si impone un limite di
peso basso;
4. è presente una disfunzione endocrina diffusa riguardante l’asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi, che si manifesta nelle donne come amenorrea
e nei maschi come perdita dell’interesse sessuale e della potenza. Vi
possono anche essere elevati livelli di cortisolo, modificazioni nel
metabolismo periferico dell’ormone tiroideo e anormalità della
secrezione insulinica;
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5. se l’esordio è pre-puberale, la sequenza degli eventi puberali è
rimandata, o persino arrestata (l’accrescimento cessa, nelle ragazze il
seno non si sviluppa e c’è un’amenorrea primaria; nei ragazzi i genitali
rimangono infantili). Con la guarigione la pubertà è spesso portata a
completamento in maniera normale, ma il menarca si verifica più tardi.
(Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992).
L’ICD-10 include anche un’altra categoria di disturbi del comportamento
alimentare, l’anoressia nervosa atipica. Questa deve essere considerata per
quei soggetti in cui sono assenti uno o più aspetti caratteristici dell’anoressia
mentale, come l’amenorrea o una significativa perdita di peso, ma che,
presentano un quadro clinico abbastanza tipico.
Invece i criteri riportati dal DSM-IV per l’anoressia mentale sono:
1. rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo
normale per l’età e la statura (per esempio perdita di peso che porta a
mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto
previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il
periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane
al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto);
2. intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è
sottopeso;
3. alterazione del modo con cui il soggetto vive il peso o la forma del
corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli
di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di
sottopeso;
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4. nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3
cicli mestruali consecutivi. (Una donna è considerata amenorroica se i
suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni,
per esempio estrogeni).
Vengono inoltre distinti due sottotipi:
ξ con restrizioni: nell’episodio attuale di anoressia mentale il soggetto
non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione,
come vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o
enteroclismi;
ξ con abbuffate/condotte di eliminazione: nell’episodio attuale di
anoressia mentale il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o
condotte di eliminazione, come vomito autoindotto, uso inappropriato
di lassativi, diuretici o enteroclismi. (Associazione Psichiatrica
Americana, DSM-IV, pp. 591-597).
I soggetti che controllano il proprio peso mediante una rigida aderenza alla
dieta o all’esercizio fisico (il tipo con restrizioni) tendono ad avere personalità
compulsive caratterizzate da inflessibilità, rigida aderenza alle regole, e
scrupolosità morale.
Coloro che abbuffano o controllano il proprio peso con condotte di
eliminazione (il tipo con abbuffate/condotte di eliminazione) hanno con
maggiore probabilità un temperamento di base compulsivo-impulsivo e più di
frequente fanno uso di droghe.
La grande maggioranza dei soggetti anoressici sono donne; il disturbo si
presenta anche nei maschi, ma in una percentuale minore. L’anoressia è
soprattutto una malattia dell’adolescenza che compare preferibilmente tra i 14
e i 18 anni.(Halmi, K.A., Camper, R.C., Echert, E.D., et al., 1979).
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Ciononostante vi sono alcuni casi in cui il disturbo è comparso ad un’età più
avanzata, nel terzo e addirittura nel quarto decennio di vita.
Al di là delle dispute comunque, la maggioranza degli osservatori
contemporanei concorda sulla necessità di interpretare l’anoressia innanzi
tutto come un disordine dello sviluppo adolescenziale, risultante dalla
capacità di far fronte alle richieste evolutive di questa fase del ciclo vitale.
Infatti, tale età evolutiva ruota attorno a un continuo processo di
destrutturazione e ristrutturazione dell’identità personale accompagnata dal
lutto per l’immagine di se stessi che si lascia alle spalle e quello che ogni
nuova definizione e scelta comporta.
Si tratta di ricomporre i fondamenti del Sé presenti sin dall’infanzia, in
relazione alle nuove esigenze e alle sfide proposte dalle caratteristiche
personali e sociali di questa fase dell’esistenza. Secondo Erickson, l’identità
che rimanda all’esperienza soggettiva di coesione interna, senso di continuità
e persistenza di sé nel tempo, dipende in modo particolare dalla capacità di
sintetizzare gli aspetti divergenti e conflittuali della propria esperienza,
influenzata da diversi fattori, quali le condizioni storiche e sociali,
l’esperienza familiare, le predisposizioni biologiche e i fattori incidentali nello
sviluppo. (E.H. Erickson, Infanzia e società, Roma, Armando, 1968).
I soggetti anoressici sono cresciuti spesso in famiglie con forte tendenza alla
ricerca del successo e grande cura delle apparenze esterne. Dietro un
atteggiamento generalmente positivo, questi soggetti provano di solito
sentimenti di debolezza e indegnità e si sentono obbligati a corrispondere a
quanto percepiscono come una richiesta incessante di perfezione. Il periodo in
cui più tipicamente emerge l’anoressia è dopo la pubertà, quando le esigenze
dell’adolescenza mettono l’individuo di fronte alla necessità di maggiore
indipendenza, alla sfida delle relazioni sessuali e al bisogno di perseguire
obiettivi e attività autonome.