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Ma in che cosa consiste la nuova minaccia? Quali sono le armi che saranno
adoperate per farvi fronte, e in quale misura i tradizionali strumenti potranno adattarsi
alle nuove insicurezze ed ai nuovi bisogni che queste comportano? Sono interrogativi
che da subito hanno affollato le pagine dei quotidiani e delle riviste specializzate; il
bisogno di rispondervi si è fatto pressante come non mai, in quella che Sergio Romano,
in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” all’indomani del gigantesco black-out
che ha colpito gli Stati Uniti il 14 Agosto 2003, ha denominato “L’età
dell’insicurezza”
iii
. Il presente lavoro non pretende di accodarsi alle mille risposte che da
molte parti sono state formulate, ma dopo aver sinteticamente descritto le modalità e i
protagonisti dei tragici attacchi dell’11 Settembre, tenterà di analizzare la risposta
ufficiale che è stata data a questa nuova minaccia da parte dell’amministrazione
americana, formalizzata nel documento del National Security Strategy, pubblicato il 20
Settembre del 2002. Una sintetica ma esemplificativa analisi comparativa sulla strategia
della pre-emption ci sarà utile infine per farci strada nella comprensione, per quanto
possibile, della sottile tensione che passa fra il bisogno immediato di sicurezza, che
caratterizza questo nuovo periodo storico, e la ricerca da parte dell’ unica iperpotenza
mondiale di una nuova Grand Strategy.
Lo sconvolgente attacco terroristico che ha colpito gli Stati Uniti ha suscitato nel
mondo intero preoccupanti interrogativi, inquietudini sconosciute e palpabili incertezze.
Esso ha aperto un nuovo capitolo delle relazioni internazionali e più in particolare della
sicurezza, nel quali gli stati non solo devono relazionarsi con altre entità statali (ed
eventualmente da loro difendersi), ma nel quale anche attori non statali entrano a far
parte delle possibili minacce al territorio nazionale, soprattutto perché tali gruppi hanno
dimostrato di poter utilizzare alcune delle principali caratteristiche delle società più
avanzate per aprirsi delle brecce attraverso le quali sferrare attacchi poderosi e
inaspettati. Come riconosce Richard Haass, direttore del United States State
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Department’s Policy Planning Staff : “Al Qaeda e le reti terroristiche ad essa collegate
hanno sfruttato i vantaggi e le possibilità del nostro sistema, sempre più aperto,
integrato e globalizzato, per realizzare il loro programma di distruzione”
iv
. L’esistenza di
tali gruppi, come vedremo più avanti, non era sconosciuta né ai servizi segreti, né
all’amministrazione nel suo insieme: diversi attacchi c’erano già stati, ma solo contro
interessi americani nel mondo. Non si sarebbe potuto immaginare che la minaccia
potesse essere portata fin dentro il cuore della maggiore potenza mondiale. Ma
cerchiamo di analizzare sinteticamente la natura di Al-Qaeda e degli attacchi dell’11
Settembre.
Al Qaeda: la minaccia degli attori non statali
“La Base” (la traduzione in italiano di Al-Qaeda) è un network che non fa
riferimento ad alcun paese in particolare: i suoi appartenenti sono, a quanto pare, tutti
musulmani ma di numerose differenti nazionalità, fino ad arrivare ad un numero di circa
sessanta. Osama Bin Laden, un ricco saudita che prese parte alla ribellione afgana contro
l’occupazione sovietica del 1979-89, sembra aver messo in piedi questa organizzazione.
Egli ispira, finanza, organizza e addestra molti dei suoi membri, pur non avendo alcuna
forma di controllo diretto o in qualche modo ufficializzato: Al-Qaeda infatti è una
organizzazione non gerarchica e dai poteri altamente diffusi, tenuta insieme da una
comune ideologia di interpretazione fondamentalista dell’Islam, la quale è stata
convertita in battaglia politica e lotta violenta.
Tali principi, bisogna tenerne conto, hanno una qualche forma di supporto nei
paesi musulmani, ma con varie e differenti interpretazioni, soprattutto per quanto
riguarda l’imputazione agli Stati Uniti della responsabilità per la povertà e le sofferenze
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che molti paesi musulmani del Medio ed Estremo Oriente si trovano a vivere, nonché
per la considerazione della cultura occidentale come immorale e della sua imposizione
da parte di alcuni paesi come offensiva per l’Islam tradizionale. Per questo i maggiori
nemici di Al-Qaeda sono non solo gli Stati Uniti ma anche, e secondo alcuni
principalmente, i regimi mediorientali che li appoggiano e che ne sostengono la politica
estera in quella regione
v
. Non meno importante come ragione di popolarità delle idee
anti-americane è il sostegno quasi incondizionato che gli Stati Uniti hanno in diverse
occasioni concesso all’occupazione israeliana delle aree palestinesi della Cisgiordania e
della Striscia di Gaza. Nell’accezione particolare professata da Bin Laden, tuttavia,
Israele è un elemento estraneo che dovrebbe essere distrutto in quanto tale, e non
semplicemente a causa della sua politica aggressiva ed espansionista
vi
. Inoltre la
presenza militare statunitense in Arabia Saudita viene vista come una dissacrazione dei
luoghi santi che deve finire a tutti i costi. Per questo l’obiettivo dichiarato di Al-Qaeda è
quello di favorire le condizioni per il rovesciamento dei regimi “moderati” in Medio
Oriente e di sostituirli con regimi fondamentalisti che non permettano la presenza
occidentale nei territori dell’Islam
vii
. Non possiamo evitare di ricordare che all’interno
del mondo arabo, e islamico in generale, sebbene la maggior parte della popolazione
rifiuti i metodi di Bin Laden e soci, una generale ostilità verso gli Stati Uniti è
abbastanza diffusa. Questo spiega anche il limitato appoggio di cui questi ultimi hanno
goduto durante la campagna in Afghanistan da parte di stati arabi tradizionalmente
amici: anche nei regimi autoritari infatti si teme la reazione popolare.
Ma Al-Qaeda non è solo ideologia. Le sue ambizioni, come si è visto, sono
supportate da un’organizzazione avanzata ed efficiente, che agisce nel più completo
silenzio e nei luoghi più disparati, imprevedibile perché usa armi estreme, che si erano
viste utilizzare solo dal Giappone nel più disperato tentativo di evitare la sconfitta
durante la Seconda Guerra Mondiale: i kamikaze, che per un obiettivo politico,
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ideologico o religioso arrivano a sacrificare la propria stessa vita. Qualunque tipo di
risposta a queste nuove minacce solleva problemi di grande portata, perché esse si
basano su reti piuttosto che su apparati di governo; su interessi e ideologie condivise,
piuttosto che su gerarchie organizzate ufficialmente. La capacità di combattere una
“guerra asimmetrica” contro una minaccia, appunto, asimmetrica, non è comune agli
stati contemporanei, abituati alle logiche dei rapporti inter-statali. E’ importante in ogni
caso ricordare che le nuove minacce comportano almeno un cambiamento, ma
fondamentale: la strategia infatti dovrà (e questo non è una novità) decidere sul come
rispondere ad un atto di aggressione, ma ancora di più dovrà individuare la minaccia e
scegliere contro chi rispondere.
L’11 Settembre: solo un inizio?
Per quanto riguarda l’attacco dell’ 11 Settembre diciannove uomini, supportati da
forse un’altra dozzina, per mesi o per anni hanno pianificato un’azione che almeno
alcuni di essi sapevano si sarebbe risolta nella loro morte. Probabilmente hanno avuto
numerose possibilità di defezionare, e non sembra realistico pensare, come alcuni pure
hanno fatto, che le modalità dell’azione sono state spiegate agli attentatori solamente
poche ore prima dell’attacco. Essi hanno attentamente studiato gli aeroporti e scelto
quelli che più erano vulnerabili. Sembra tra l’altro che i dirottatori siano stati addestrati a
volare in scuole private americane, scegliendo aerei molto simili a quelli poi utilizzati
per gli attacchi. Per le Torri Gemelle sono stati usate dei Boeing 767, che sono i più
grandi e con maggiori riserve di carburante, considerando anche la prossimità degli
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obiettivi agli aeroporti. Inoltre tutti e quattro gli aerei usati per l’attacco avevano
pochissimi passeggeri, relativamente alle loro dimensioni. Questo spiega in parte come
sia stato possibile usare niente altro che semplici taglierini da imballaggio per prendere il
controllo del volo
viii
.
Ora, avendo questo gruppo dimostrato la sua forte motivazione e una grande
abilità tecnica, il primo problema che si è subito posto davanti agli occhi dei responsabili
per la sicurezza nazionale, ancora increduli per ciò che era accaduto, è la possibilità che
simili attacchi siano ripetuti e su di una più vasta scala, considerando che in questo
periodo storico tutte le condizioni per ottenere armi di distruzione di massa sono,
relativamente a quello della guerra fredda, estremamente favorevoli.
Come si è già detto, gli Stati Uniti e i paesi più sviluppati sono particolarmente
vulnerabili a minacce del genere; inoltre l’abilità di fabbricare agenti chimici e veleni
biologici è più diffusa che mai, anche se si deve riconoscere che trasformare questi
ingredienti in armi ed eventualmente utilizzarli può riuscire molto difficile per un
piccolo gruppo che agisce in clandestinità. Per quanto riguarda le armi nucleari, esse
sono più difficili da ottenere, anche se molti temono che quelle costruite durante la
guerra fredda o quelle più recentemente sviluppate da diversi stati possano finire nelle
mani sbagliate. La possibilità che Al-Qaeda tenti di ottenere armi di distruzione di massa
non è assolutamente da scartare: molti gruppi terroristici esistenti hanno finalità molto
più limitate, di natura separatista o comunque circoscritta, mentre le ambizioni che il
network di Bin Laden sembra porsi vanno molto oltre, e molto probabilmente “non
desisterà dalle azioni violente fino ad aver raggiunto il suo scopo principale”
ix
.