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il sapere accademico ha lasciato il posto a forme più leggere e attraenti
per il pubblico. Tutto si è trasformato in intrattenimento, e si è iniziato a
parlare di edutainment, cioè di un nuovo modo di divulgare la cultura
che puntava proprio sull’intrattenimento del pubblico. Le trasmissioni
hanno perduto, così, il tono tipico delle lezioni scolastiche, hanno
iniziato a parlare d’arte non solo in senso divulgativo, ma fornendo
anche indicazioni di servizio per il pubblico a casa, che poteva prendere
spunto per i suoi viaggi. E’ questo il periodo in cui fioriscono le rubriche
dei telegiornali e quelle d’attualità e tempo libero, alcune tuttora
esistenti, come Sereno Variabile e Bellitalia.
La concorrenza con le tv private, che ha favorito la nascita della
programmazione a flusso anche alla Rai, ha introdotto cambiamenti
importanti nella costruzione del palinsesto. Prima di tutto, la
programmazione a striscia, uguale ogni giorno della settimana, ha preso
il posto della programmazione settimanale. In secondo luogo, è
aumentata l’importanza degli acquirenti degli spazi pubblicitari. I
programmi con l’audience più alta erano quelli più ambiti dai clienti, per
questo si è deciso di costruire il palinsesto tenendo conto soprattutto
degli ascolti: i generi preferiti dagli spettatori sono diventati i generi più
richiesti dagli inserzionisti pubblicitari. Di conseguenza, si cercava di
programmarli negli orari di punta. Le logiche di mercato sembravano il
principale criterio di costruzione del palinsesto, che, negli anni ottanta,
offriva poche trasmissioni interamente dedicate all’arte, molte rubriche e
rotocalchi poco approfonditi per il pubblico di nicchia.
Negli anni novanta, dopo essersi già adattata a svariati generi
televisivi, l’arte ha provato a conquistare anche le formule neotelevisive.
Contenitori e talk show sono diventati il luogo deputato alla
divulgazione artistica in televisione, ma con scarso successo. Piuttosto,
l’arte si è adattata ai nuovi tempi televisivi inserendosi all’interno delle
trasmissioni. Non è raro, infatti, trovare piccole rubriche dedicate all’arte
nei rotocalchi, nei talk show o nei contenitori, sia al mattino che nel
pomeriggio. Anche i registi delle fiction hanno iniziato a sfruttare le
bellezze architettoniche come scenario dei loro lavori. Le poche
trasmissioni di nicchia andavano in onda soprattutto in seconda serata,
5
mentre il prime time lasciava spazio all’arte solo in rari casi, con speciali
o documentari pensati per un pubblico di massa.
L’offerta attuale di trasmissioni dedicate all’arte è molto scarsa,
sia per quanto riguarda la televisione pubblica che quella privata. Nella
televisione pubblica italiana, esistono tuttora rubriche specifiche o
d’attualità di buon livello, ma le trasmissioni per gli appassionati sono
poche. L’offerta è generalmente pensata per conquistare un pubblico
numeroso ed eterogeneo. Di conseguenza si punta molto sulla
spettacolarizzazione e sul ruolo di televisione di servizio per gli
spettatori. Il livello dei programmi è spesso superficiale, gli argomenti
sono poco approfonditi e trattati con un linguaggio chiaro, ma a volte fin
troppo semplificato e colloquiale, che rischia di sminuire l’importanza
dell’arte agli occhi del pubblico. La televisione generalista, più che
soddisfare le richieste di tutte le diverse tipologie di spettatori, sembra
accontentare solamente il pubblico medio, quello che non richiede
contenuti approfonditi ma apprezza soprattutto l’intrattenimento
culturale. Per quanto riguarda, invece, il pubblico di nicchia, sembra che
la televisione satellitare, con i suoi numerosi canali, possa offrire lo
spazio per affrontare in modo adeguato tutti gli argomenti esclusi dalla
tv via etere. Attualmente, però, nonostante la Rai abbia provato tutte le
nuove risorse, le offerte migliori hanno avuto vita breve, come ad
esempio RaiSat Art. C’è chi ritiene che non ci siano state sufficienti
sperimentazioni, che la televisione non abbia saputo trovare nuove
formule, nuovi linguaggi per diffondere l’arte. Allo stesso tempo,
nemmeno l’arte ha compiuto grossi sforzi per adattarsi al nuovo modello
televisivo, che ha perso totalmente i connotati pedagogico-educativi.
L’unica eccezione è Rai Educational, che propone tuttora trasmissioni
culturali educative pensate per un pubblico giovane.
Questo lavoro si propone di analizzare l’offerta della Rai, dai
tempi del monopolio di Stato fino ai giorni nostri, quando, di fianco ai
tradizionali canali via etere, sono giunti quelli satellitari e la tv on-
demand. Tenendo conto del contesto storico e culturale, è possibile
analizzare i vari generi e la loro evoluzione. Come si vedrà, in ogni
epoca si è parlato d’arte ricorrendo a molti generi televisivi, che un
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tempo erano ben distinti tra loro, mentre oggi hanno perso i loro
connotati salienti. E’possibile rintracciare i generi di maggior successo
in ogni periodo, tenendo conto anche del ruolo sociale e istituzionale
delle televisione, sino a giungere al flusso neotelevisivo, dove i confini
non sono più netti e definiti, e anche i generi tendono a contaminarsi l’un
l’altro. In quest’ultimo periodo, l’arte si è adattata alla nuova
programmazione generalista, scomponendosi in piccoli discorsi per un
pubblico misto, mentre l’offerta via satellite ha proposto alcuni canali
tematici interamente dedicati all’arte. Vogliamo vedere, quindi, qual è
stata la risposta dell’arte al cambiamento televisivo, e il modo in cui ha
saputo sfruttare l’opportunità delle reti tematiche via satellite, che
sembrano essere il futuro delle trasmissioni di nicchia.
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1. Il progetto culturale della Rai.
La televisione di Stato è nata, in Italia, il 3 gennaio 1954, sotto
forma di monopolio. Fin dal primo giorno l’arte, il teatro, la letteratura
e la musica sono diventati parte essenziale del palinsesto televisivo.
La programmazione della Rai si basava su un progetto pedagogico,
mirato a favorire l’unificazione culturale italiana. Il nuovo mezzo di
comunicazione, infatti, ha trovato spazio all’interno della difficile
situazione economica, politica e sociale del dopoguerra italiano
presentandosi come un “oggetto pedagogico”, divulgatore di
conoscenze attraverso tutti i programmi.
Durante gli anni cinquanta e sessanta, il palinsesto è formato
da programmi di medio livello culturale, adatti ad un pubblico vasto e
poco acculturato. Soprattutto nei primi tempi, infatti, la televisione si è
mostrata fedele alla dottrina accademica, e la maggior parte delle
trasmissioni, non solo quelle culturali, aveva radici ben salde nel
sapere umanistico. A metà anni sessanta si avvertono i primi
cambiamenti: il sapere viene proposto con tono e linguaggi più
semplici, ed entrano nel palinsesto nuovi generi televisivi, come le
rubriche. Verso la fine degli anni settanta, dopo la riforma del 1975, la
Rai si avvicina al modello statunitense del flusso televisivo, anche per
tener testa alla concorrenza delle televisioni locali private. A questo
punto, la televisione pubblica inizia a staccarsi definitivamente dal
progetto didattico educativo dei primi anni, a favore di un palinsesto
costruito in base alle logiche di mercato. Tra gli anni ottanta e gli anni
novanta, i programmi culturali mutano di nuovo il loro aspetto: la
cultura diventa intrattenimento e l’edutainment entra a pieno diritto
nei palinsesti. L’intento educativo è soppiantato da trasmissioni di
servizio, che forniscono indicazioni utili ai telespettatori. Anche l’arte
diventa un argomento alla portata di tutti, se ne parla all’interno di
programmi contenitore e talk show. La sfida della televisione pubblica
è ora quella di mantenere un’offerta con buon livello qualitativo,
dedicata sia ad un pubblico generalista, sia ad un pubblico di nicchia.
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Non si deve dimenticare che l’offerta televisiva deve
soddisfare le richieste degli abbonati. Per questo motivo la Rai, come
altre televisioni pubbliche europee, ha dovuto compiere una
mediazione tra la perdita di una parte di pubblico e l’allineamento alle
televisioni commerciali.
Questo lavoro si propone di analizzare l’evoluzione dei
programmi televisivi dedicati all’arte. Per questo, si analizzeranno i
vari generi televisivi che, nel corso degli anni, sono stati utilizzati per
parlare d’arte. Sembra che ogni genere televisivo abbia caratterizzato
un’epoca. I film e gli sceneggiati d’arte, ad esempio, erano una
presenza frequente nella programmazione degli anni sessanta e
settanta, ma ora sono un genere praticamente scomparso. I contenitori
e i talk show sono i programmi di punta della neotelevisione, e
ospitano frequentemente parti dedicate all’arte. Le rubriche paiono
essere il genere più longevo, che esisteva già nei primi anni di vita
della Rai e continua ad occupare un posto importante nel palinsesto.
Questo successo è dovuto, forse, alla struttura della trasmissione, che
si presta ad innovazioni e modifiche, adattandosi al gusto degli
spettatori.
Dopo aver analizzato brevemente la storia delle trasmissioni
sull’arte, ci si soffermerà sulla situazione attuale del palinsesto
televisivo. Il campo d’indagine è la programmazione della Rai, sia per
quanto riguarda i canali via etere, sia quelli via satellite e le nuove
pay-tv e tv on-demand. Nel corso del tempo, i programmi hanno perso
l’impronta didattico-educativa, a favore di un tono più leggero,
d’intrattenimento. Le trasmissioni colte, dedicate a nicchie di utenti,
hanno trovato spazio nelle collocazioni orarie marginali, al mattino o
in tarda serata. Negli ultimi anni, l’arte sembrava aver trovato posto
nella televisione digitale, ma nemmeno qui ha avuto una vita facile.
RaiSat Art, il canale dedicato interamente al mondo dell’arte, è vissuto
solamente dal 1999 al 2003. Gli altri canali satellitari e la tv-on-
demand propongono soprattutto repliche dei vecchi programmi,
interessanti solamente per un pubblico di appassionati ma poco
invitanti per i nuovi spettatori.
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La nuova sfida televisiva potrebbe essere, oggi, quella di
puntare sulla cultura televisiva quando la televisione è maggiormente
vista, senza subire il ricatto dell’audience
1
. Solo in questo modo si
riuscirebbe a comprendere le vere potenzialità dei programmi d’arte.
Per concludere, si parlerà delle nuove prospettive dell’arte, che
ha trovato nelle televisione un mezzo espressivo da sperimentare. La
Television art è una nuova disciplina che sfrutta le potenzialità del
mezzo per mostrare sui canali televisivi opere d’arte progettate per la
televisione.
1
Cfr. R. Minore Tra gabbiani e pavoni. In P. Dorfles, Atlante della radio e della
televisione 1993.
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1.1 Cosa si intende per arte in televisione.
L’arte è l’attività umana basata su abilità tecniche, studio ed
esperienza, da cui nascono i prodotti culturali. In senso molto
generico, l’arte è quell’insieme di capacità dell’uomo, innate o
acquisite, che permettono di modificare la realtà, di imitare la natura.
In realtà, l’etimologia della parola rimanda al latino ars, che indica
ogni attività implicante un’abilità non innata, senza tener conto delle
finalità estetiche che un lavoro può avere. Nel tardo Medioevo, infatti,
le “arti” indicavano ancora i mestieri di bottega: la distinzione tra
artisti e artigiani si è fatta strada solo nel XII° secolo. Pittori e scultori
iniziavano ad essere paragonati a medici e scienziati, in quanto
avevano comuni materie di studio, come l’anatomia, la statica, la
prospettiva. Da questo momento, le arti figurative hanno guadagnato
una posizione di rilievo all’interno della società, perché erano uno
strumento di conoscenza e indagine della realtà. Solo da metà
Cinquecento si parla d’arte per riferirsi a tutte le attività che hanno lo
scopo di produrre il bello. Tutte le arti avevano in comune, infatti,
alcuni dati fondamentali: l’ingegno, il gusto e la fantasia del creatore.
Nel corso degli ultimi secoli, il termine ha indicato l’attività estetica in
generale: non solo l’arte figurativa, quindi, ma anche la poesia, la
letteratura, la musica. Nel Novecento l’arte ha perso molti dei
significati che aveva accumulato nel corso del tempo, anche perché
sono entrate a far parte dell’arte anche nuove attività, come ad
esempio il design industriale, la fotografia, le nuove espressioni
tecnologiche. Nella più larga accezione, “arte” può indicare, oggi,
ogni comunicazione di contenuti creativi ed espressivi, a livello sia
individuale, sia collettivo. In particolar modo, l’arte oggi ha perso il
suo valore di fatto eccezionale, unico ed irripetibile. A questo
proposito, Benjamin parla dell’aura dell’opera, cioè della quintessenza
percepita solo nel luogo in cui si trova l’opera stessa
2
.
2
Vedi W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
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Modificare l’hic et nunc dell’opera d’arte significa privarla
della sua autenticità, della sua aura. Nell’epoca della riproducibilità
tecnica, quando è possibile moltiplicare la riproduzione dell’opera
d’arte attraverso l’uso di macchine tecnologiche, l’opera d’arte perde
definitivamente la sua unicità, percepibile solamente all’interno del
contesto tradizionale. Di conseguenza, cambia anche la percezione
dell’opera: trovarsi di fronte ad una riproduzione non provoca le stesse
sensazioni trasmesse dell’originale. D’altro lato, la riproduzione
permette alle masse di avvicinarsi ad opere che, altrimenti, non
avrebbero mai visto.
La televisione, anche se Benjamin non ne parla, può essere
considerata uno dei mezzi con cui è possibile riprodurre le opere
d’arte. A questo punto, i critici d’arte lamentano la perdita
d’importanza dell’arte, ridotta a mero argomento d’intrattenimento per
un pubblico di massa, poco colto. Sembra che l’arte, in televisione,
perda la sua intrinseca bellezza, contaminata dagli interessi “terreni”
degli spettatori. Al contrario, c’è chi ritiene che l’arte, divulgata
attraverso i mezzi di comunicazione di massa, possa raggiungere tutti,
senza distinzioni sociali. La divulgazione dell’arte troverebbe quindi
un alleato nella televisione, capace di diffondere la conoscenza delle
opere artistiche, apprezzate non solo da un pubblico d’elite. Walker,
ad esempio, ritiene che per le belle arti il fatto di diventare il
contenuto dei mass-media sia uno sviluppo positivo, in quanto la
conoscenza e la capacità di apprezzare l’arte vengono estese ad un
audience che non è mai stata così ampia
3
. Naturalmente, anche Walker
riconosce che l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa abbia
modificato in modo radicale ed irreversibile la natura stessa dell’arte e
la nostra percezione, ma ritiene comunque che questo problema abbia
un peso minimo, se confrontato ai vantaggi portati dai mass-media.
Un secondo problema, attinente alla relazione tra nuovi media
e arte, riguarda il modo in cui si rappresentano le belle arti. Si è già
detto che è impossibile riuscire a ricostruire e trasmettere al pubblico
3
Cfr. Walker, Arte nell’età dei mass-media.
12
il contesto originale in cui si trova l’opera d’arte, ma ciò non autorizza
a trattare l’arte in modo superficiale. Spesso il modo di rappresentare
l’arte, al cinema o in televisione, lascia molto a desiderare: il tempo
lasciato allo spettatore per osservare le opere è limitato, così come non
sono sufficienti le informazioni generali. Capita, infatti, di non sapere
se si sta osservando un dettaglio o l’intera opera, l’originale o una
riproduzione. A volte anche il contesto, i colori e le dimensioni
originali possono risultare distorti dalla riproduzione. Tutte queste
obiezioni provengono solitamente dalle fila degli esperti d’arte, che
lamentano un trattamento superficiale e poco curato dei capolavori
artistici. All’opposto, i tecnici televisivi si basano sulle esigenze
televisive. Non si soffermano a lungo su immagini fisse, per evitare
tempi morti, cercando di conferire alle riprese un taglio vivace e
movimentato, per affascinare il pubblico e non annoiarlo. Le
immagini, soprattutto nei film, sono subordinate alla narrazione,
fungono da commento e non da protagonista. Inoltre, i registi devono
seguire le indicazioni dei committenti dei programmi. In una
televisione basata sull’audience, anche le trasmissioni sull’arte si
costruiscono seguendo prima le logiche di mercato, poi quelle
qualitative. Una trasmissione deve seguire le indicazioni per quanto
riguarda lo stile, il tono in relazione al pubblico a cui è destinata. Ci
sono, infatti, produzioni di nicchia, che possono contare su una
maggiore cura stilistica per quanto riguarda i temi affrontati e i
linguaggi utilizzati (non solo il linguaggio verbale, quindi, ma anche
quello visivo e narrativo), e produzioni studiate per un pubblico di
massa, in cui i contenuti spettacolari e accattivanti hanno il
sopravvento sullo stile ricercato. Le esigenze dei registi sono spesso in
contrasto con quelle dei loro collaboratori esperti d’arte.
Per quanto riguarda la Rai, il fine ultimo delle trasmissioni
culturali in generale non era quello di riprodurre il bello, quanto di
portare avanti un progetto pedagogico-educativo. Ad ogni modo, il
problema di trovare quale fosse il modo migliore di trattare l’arte si è
13
presentato presto anche nel monopolio italiano
4
. Innanzi tutto, nel
momento di passaggio dalla fase di pura informazione a quella di
divulgazione più approfondita, è sorta l’esigenza di trovare un
linguaggio verbale adatto a soddisfare contemporaneamente le
esigenze del pubblico più o meno colto. Inizialmente si pensava che
fosse necessario affidare i programmi divulgativi ad un esperto
dell’argomento, che doveva però tradurre i suoi pensieri in un
linguaggio semplice. L’aspetto visivo ha posto forse un maggior
numero di problemi. Nel campo delle arti figurative sembrava che la
concretezza fisica delle opere da illustrare, quadri o sculture che
fossero, semplificasse il lavoro del presentatore-divulgatore. In realtà,
il bianco e nero delle immagini dei primi televisori tendeva ad
appiattire e a vanificare il discorso e la dialettica dei colori, che sono
invece fondamentali nella lettura delle opere d’arte. Nel primo
decennio, sono state realizzate soprattutto rubriche culturali che
associavano l’efficacia divulgativa ad un sufficiente rigore critico. In
seguito, alle monografie si sono affiancati programmi più articolati,
che presentavano una maggiore varietà di argomenti e contenuti
essenziali, in grado di fornire un’informazione sempre più ampia e
differenziata. Un nuovo filone proponeva, intanto, di portare in
televisione gli autori stessi delle opere, per farli parlare direttamente al
pubblico dal teleschermo. La forma colloquiale, nelle intenzioni degli
autori, avrebbe dovuto avvicinare gli spettatori agli artisti, che
fornivano una testimonianza diretta della loro esperienza. La
televisione diventava quasi un testimone del fatto culturale, una fonte
letteraria ed artistica in generale. Tuttavia, dopo un primo periodo in
cui le trasmissioni culturali aumentavano di anno in anno, il progetto
pedagogico-educativo ha lentamente lasciato il posto ad una
programmazione incentrata sull’intrattenimento. A partire dalla fine
degli anni settanta, infatti, i gusti del pubblico hanno iniziato a
rivolgersi verso una programmazione leggera, di svago. La
concorrenza con le reti private, poi, ha spinto sempre più verso la
4
Cfr. AA. VV. Dieci anni di televisione in Italia.