V
che tuttavia mi si andava sfaldando ogni giorno di più. Con accanimento
dimostravo e ridimostravo ai miei compagni di prigionia e a me stesso che la
dottrina comunista andava riveduta e aggiornata, ma che restava valida, anche se
se ne abbandonava il fondamento filosofico materialista, anche se non si accettava
più l’ineluttabilità del passaggio del capitalismo al socialismo, anche se la teoria
del plusvalore era falsa, anche se l’interpretazione leninista dell’imperialismo era
inconsistente, anche se fascismo e nazismo non potevano essere considerati
espressioni della dittatura della borghesia (...). Non cercavo la confutazione del
comunismo, ma la sua verità (...) ”
2
.
Queste riflessioni spinsero Spinelli a lasciare il partito, nel 1937 : “ (...) Sono
passato nel campo di coloro che non sempre riuscivano, ma almeno si
proponevano, di limitare il potere, necessario ma demoniaco, dei governanti, di
metterlo al servizio della comunità, di garantire la libertà dei cittadini (...) ”
3
.
Spinelli era in carcere, si allontanava dal partito comunista, meditava sulla società e
la seconda guerra mondiale infiammava l’Europa. La Società delle Nazioni si era
dimostrata del tutto incapace di equilibrare la situazione di allentare la tensione tra
gli stati. La guerra era scoppiata e si faceva spazio, nella riflessione di Spinelli,
l’idea che la Società fosse un’istituzione totalmente vacua. I responsabili della
situazione in cui versava l’Europa sembravano essere, secondo Spinelli, proprio gli
stati nazionali, le volontà nazionali, le pretese nazionali, il nazionalismo dilagante e
2
Ibidem p. 11
3
Ibidem p.13
VI
distruttivo, la “fortissima tradizione storica” che attribuiva allo stato nazionale
sovrano una specie di “mistico valore assoluto”
4
.
Il federalismo fu, in questa prospettiva, il naturale approdo delle sue riflessioni :
“La federazione europea non mi si presentava come un’ideologia, non si proponeva
di colorare in questo o in quel modo un potere esistente. Era la sobria proposta di
creare un potere democratico europeo. (...) Era la negazione del nazionalismo che
tornava a imperversare in Europa (...) ”
5
.
Secondo Sergio Pistone, in uno scritto intitolato “ Altiero Spinelli and the strategy
for the United States of Europe”
6
, gli stati nazionali apparivano, agli occhi di
Spinelli, come le basi e, allo stesso tempo, gli ostacoli per l’unificazione europea.
Le basi in quanto l’unificazione europea poteva essere raggiunta solo tramite la
libera scelta dei governi democratici, gli ostacoli perché erano poco disposti a
cedere anche piccole fette della propria autorità nazionale. Gli esecutori e i
difensori naturali delle tradizioni nazionali erano, sempre secondo l’analisi di
Pistone, i diplomatici : i “ permanent agents of executive power”.
Insieme con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, Spinelli redasse, nel 1941, Il
Manifesto di Ventotene, una vera e propria esposizione programmatica dell’idea
federalista, in contrapposizione ai mali di cui soffriva la società e alle politiche
incapaci e distruttive degli stati nazionali.
4
“Il Manifesto di Ventotene” 1991, Il Mulino p.56
5
“L’Europa non cade dal cielo”, Altiero Spinelli, 1960, Il Mulino p. 15
6
Il saggio di Pistone è inserito nel volume “The European Union - Readings on the theory
and practice of european integration”, 1994, Lyenne Rienner Publishers, p. 70-75
VII
Il nucleo centrale della riflessione contenuta nel Manifesto consiste nella creazione
di un organismo federale sovranazionale al quale vengano demandati tutti i
principali poteri in mano agli stati nazionali : “ (...) Il diritto di reclutare e
impiegare le forze armate ; di condurre la politica estera ; di determinare i limiti
amministrativi dei vari stati associati ; di provvedere alla totale abolizione delle
barriere protezionistiche ed impedire che si ricostituiscano ; di emettere una
moneta federale ; di assicurare la piena libertà di movimento di tutti i cittadini
entro i confini della federazione(...)”
7
.
Una federazione, dunque, dotata anche d’istituzioni proprie, tramite le quali gestire
le politiche tradizionalmente affidate agli stati nazionali : “ (...) la federazione deve
disporre di una magistratura federale, di un apparato amministrativo indipendente
da quello dei singoli stati, del diritto di riscuotere direttamente dai cittadini le
imposte necessarie per il suo funzionamento, di organi di legislazione e di controllo
fondati sulla partecipazione diretta dei cittadini e non su rappresentanze degli stati
federati”
8
.
Il passo successivo di Spinelli e dei suoi compagni fu la fondazione di un
Movimento Federalista Europeo in Italia : “Il 27 agosto 1943, appena nove
giorni dopo esser stato liberato, partecipavo con una quindicina di reduci dalle
carceri, dall’esilio e dalla cospirazione antifascista, alla fondazione, ancora
clandestina , del Movimento Federalista europeo in Italia e alla decisione di
7
“Il Manifesto di Ventotene 1991, Il Mulino, p. 79
8
Ibidem p. 79
VIII
metterci senza indugi alla ricerca dei federalisti d’oltre alpe. Per sviluppare la
nostra azione dovevamo trovare in Europa, fra le macerie e le fiamme della guerra,
anche solo un manipolo di uomini decisi a mettere da parte le vecchie divisioni
nazionali e ideologiche, ed a fare della lotta per la federazione europea il compito
centrale della loro azione politica. Non li conoscevamo ancora, ma dovevano ben
esistere da qualche parte, poiché il destino e i problemi dei nostri paesi erano
diventati ovunque identici. Ed eravamo convinti che li avremmo incontrati ”
9
.
Sergio Pistone ha scritto che, nell’ottica spinelliana, il movimento doveva essere
un’organizzazione al di sopra dei partiti politici e sovranazionale, che avesse anche
un rapporto diretto con l’opinione pubblica. E doveva lavorare per favorire la
creazione di un’Assemblea costituente europea, nella quale si riunissero le diverse
rappresentanze dell’opinione pubblica.
Agli inizi degli anni Sessanta, si svolse un’aspra polemica tra i federalisti del
movimento e Spinelli, polemica tanto dura che portò Spinelli a staccarsi dal
Movimento. La questione verteva soprattutto sulla convinzione di Spinelli che
ormai la Comunità europea, con i trattati di Roma, era già una cosa esistente e che,
dunque, si sarebbe dovuto lavorare dall’interno delle sue stesse istituzioni per
poterle modificare. Per la maggioranza dei federalisti del Movimento, al contrario,
bisognava premere sull’opinione pubblica fuori delle istituzioni, in quanto esse
rappresentavano la vittoria dell’orientamento funzionalista che il MFE non
9
“Il lungo monologo”, Altiero Spinelli, L’Ateneo, Roma, 1968, p. 139
IX
approvava in alcun modo. Spinelli, dunque, si allontanò dall’organizzazione, le cui
redini vennero prese da Mario Albertini, che la guidò per svariati anni.
Ancora oggi il Movimento Federalista Europeo lavora nell’ottica delle prospettive
iniziali di Spinelli. Sul sito Internet del MFE si legge che l’obiettivo principale
dell’organizzazione è la “Federazione europea, che non solo garantirà agli
Europei il controllo democratico sulle decisioni che li riguardano, ma costituirà la
prova più evidente che è possibile superare la divisione dell’umanità in Stati
sovrani”
10
.
Norberto Bobbio, in un commento all’edizione del 1991 del Manifesto di
Ventotene, ha rilevato come l’idea di una Federazione europea non fosse nuova né
originale all’indomani della seconda guerra mondiale (basti pensare a Saint-Simon,
a Thierry, a Kant, a Kalergi), il fattore innovativo del pensiero federalista di
Spinelli, contenuto nel Manifesto, consiste soprattutto nella creazione di un vero e
proprio movimento politico europeo : “Il Manifesto di Ventotene segna in questo
senso una svolta, giacché esso intende essere non soltanto una dichiarazione di
principio ma un programma d’azione”
11
.
Questo vero e proprio programma d’azione Spinelli lo espresse in varie fasi e in
diverse occasioni. Attraverso le pagine di autorevoli riviste, come “Il Mondo”
fondato nel 1949 da Mario Pannunzio
12
, e durante convegni e conferenze cominciò,
10
cfr. sito “ Spinelli.html sul liber.cibo.unibo.it”
11
“Il Manifesto di Ventotene” Il Mulino ed.1991, prefazione di Norberto Bobbio p. 9
12
cfr. “Tempi di ferro - ‘Il mondo’ e l’Italia del dopoguerra”, Antonio Cardini, Il Mulino,
1992, limitatamente alle pagine 90-91 ; 356-357
X
sin dall’immediato dopoguerra, a diffondere, insieme con Ernesto Rossi, l’idea
europea federalista.
Spinelli fu membro della Commissione europea dal 1970 al 1976, come
indipendente del partito comunista fu nominato deputato al Parlamento europeo dal
1976, fu presidente del gruppo della sinistra indipendente alla Camera e gli venne
riconfermato il mandato al Parlamento europeo, eletto per la prima volta a suffragio
universale, nel 1979.
Spinelli fece del federalismo la ragione della propria vita politica, fu la causa
federalista europea che egli abbracciò come un prete, vivendola come una vera e
propria missione, combattendo fino alla sua morte, avvenuta nel 1986, una continua
battaglia all’interno delle stesse istituzioni comunitarie.
1
PRIMA PARTE
“ L’Europa non sarà unificata dai governi nazionali, sarà unificata
da una forza democratica europea (...).
Quello che gli Europei non capiscono è che quest’Europa,
desiderabile e in un certo qual modo quotidianamente presente, non può
essere l’oggetto delle operazioni diplomatiche dei governi nazionali; che
essa non è altra cosa che loro stessi: gli Europei.
Non comprendono che l’Europa non è ancora una realtà politica
operante, perché essi, gli Europei, hanno, sì, affari comuni,
responsabilità comuni, ma non posseggono né diritti, né doveri , né leggi,
né istituzioni europee.
Dovrebbero costituire un popolo – il popolo europeo - ma non lo
sono. Tutti i loro doveri e i loro diritti sono nazionali ”
Altiero Spinelli, 1960
2
Il Parlamento europeo
3
ξ Il Parlamento : dalla sua creazione all’aumento dei suoi poteri
Se la rappresentanza politica e il rapporto stretto tra rappresentante - eletto e
rappresentato - elettore sono il fondamento essenziale per l’effettivo funzionamento
dell’istituzione parlamentare e addirittura per la sua stessa esistenza, allora il
Parlamento europeo non poteva, fino al giugno del 1979, essere ascritto tra le
assemblee realmente significative e, meno che mai, poteva essere considerato
un’istituzione democratica ; i membri dell’Assemblea non erano, infatti, eletti dai
popoli degli stati membri, con una procedura a suffragio universale, ma designati
dagli stessi Parlamenti nazionali. Questo atteggiamento era la diretta conseguenza
della vittoria dell’orientamento funzionalista
1
; fu, infatti, su iniziativa di Monnet e
Schumann, all’epoca ministro degli Esteri francese, che nacque, nel 1951, il
primordiale nucleo dell’attuale Unione Europea, la CECA, alla quale vennero
conferiti tutti i poteri in materia di carbone e acciaio, sottratti quindi alle sovranità
nazionali dei sei stati firmatari.
1
Tre erano, all’indomani della grande guerra, i filoni del pensiero europeista:
confederalisti, auspicavano una cooperazione tra gli stati abbastanza estesa, ma che
lasciasse intatti i meccanismi statuali della sovranità. Non escludevano la creazione di
organi internazionali, ma questi dovevano restare sottomessi alle volontà dei membri, da
qui la paralizzante regola del voto all’unanimità ( tra gli altri De Gaulle e Churchill ),
federalisti, il loro pensiero partiva dalla distruzione degli stati nazionali che avevano
portato alla guerra e arrivava alla federazione europea per una nuova convivenza sociale,
quindi la federazione era la nuova sovranità sostitutiva degli stati nazionali ( tra gli altri
Altiero Spinelli, Henri Brugmas, Adriano Olivetti ), funzionalisti, per i quali l’Unione
Europea poteva essere realizzata solo attraverso dei passaggi graduali, quindi con graduali cessioni
della sovranità a istituzioni indipendenti ( tra gli altri Jean Monnet e Robert Schumann ).
4
I tempi non erano maturi (e non lo furono per molte decine di anni ancora) perché
l’idea federalista potesse trovare terreno fertile e non esisteva affatto la volontà di
creare una federazione di stati europei, cui venissero demandati tutti i poteri,
sottraendoli alle politiche degli stati nazionali. La vicenda della CED (Comunità
Europea di Difesa) dimostra molto bene questa situazione. Nel 1950 il Primo
Ministro francese René Pleven propose la creazione di un esercito europeo, quindi
di forze armate comuni, con un ministro europeo della difesa responsabile di fronte
ad un’assemblea europea. Questo fu il primo e unico tentativo di creare un potere
politico europeo unificato. La disillusione di Spinelli a tal proposito è ben evidente
dalle parole con le quali commenta quella che definisce la “farsa della difesa
europea” : “ (...) L’esercito europeo può esistere solo sulla carta e non nella realtà
finché non esiste uno stato europeo (...) L’esercito europeo, conditio sine qua non
della difesa europea, per essere realizzato presuppone che i soldati obbediscano
tutti a un solo potere, prestino tutti giuramento ad una sola bandiera. Questo
potere dovrebbe essere capace di decidere indipendentemente dalla variabile
buona volontà di questo o quello stato ; deve disporre di sue autonome risorse
finanziarie con le quali alimentare l’esercito ; deve condurre una politica estera
unitaria a nome di tutti gli stati che lo compongono ; deve controllare gli istituti
fondamentali della vita economica perché l’economia è in un certo senso la
principale di tutte le armi”
2
. Fu per iniziativa degli italiani, e in particolare proprio
di Altiero Spinelli, che venne inserito, nel progetto di trattato che avrebbe dovuto
2
“L’Europa non cade dal cielo”, Altiero Spinelli, Il Mulino, 1960 p.93-94
5
istituire la CED, il discusso art.38, che prevedeva la creazione di un’assemblea ad
hoc che elaborasse un progetto a struttura federale. Questo tentativo di forzare i
tempi fece cadere il progetto di trattato della CED proprio di fronte all’Assemblea
Nazionale francese nel 1954 e dimostrò che la crisi degli Stati nazionali non era poi
così profonda come si credeva. Sulla Francia e sul suo atteggiamento restio nei
confronti di un reale proseguimento di una politica federale, Spinelli scrive: “C’è
anzitutto il fatto che la Francia è il più antico stato nazionale (...) Il Francese ha
fortissimo il senso politico, culturale ed economico della continuità plurisecolare di
una vita nazionale vigorosa e gloriosa, imperniata intorno ad uno stato unitario e
sovrano. Staccarsi da questa tradizione è per lui assai più difficile che per altri.
(...) Per comprendere certi spaventati salti indietro dei francesi nella politica
europea occorre sempre tener presente che il pensiero federalista è antitetico a
tutta la loro cultura giuridica e politica (...) ”
3
Non stupisce affatto, dunque, che la creazione di un’Assemblea parlamentare
europea (la definizione di Parlamento europeo venne utilizzata dopo) si ebbe solo
nel 1957, in occasione della firma dei Trattati di Roma, che istituivano la CEE
(Comunità economica europea) e l’EURATOM (Comunità europea dell’energia
atomica) : un grande passo nell’orizzonte funzionalista.
3
Ibidem p. 167