Introduzione
7
Se infatti per restauro si intende il ripristino della leggibilità e dell’unità formale dell’opera d’arte in uno
stadio il più vicino possibile a quello originale
4
, allora sarà chiaro che solo un adeguata ricerca
all’indietro nel tempo potrà determinare quale fosse effettivamente questa condizione iniziale, ovvero
l’aspetto che essa aveva all’atto della sua creazione
5
a cui si cerca il più possibile di riavvicinarsi. Ed è
proprio da questa ricerca che nascono la maggioranza dei contrasti: se da un lato il restauro troverebbe
la sua motivazione nel fatto che l’artista, ovviamente, non ha voluto né cercato tutti i degradi cui l’opera
è stata successivamente sottoposta dal tempo o dall’incuria (lacune, supporto a vista, perdita di unità
formale, sbiadimento dei colori, ecc…), dall’altro «la stessa natura del tempo, somma di più momenti di
un processo, rende impossibile il ritorno ad uno stadio originale, che razionalmente si deve considerare
inesistente. Solo un’astrazione può cogliere il tempo nella sua puntualità e il restauro può riferirvisi
(cioè allo stato originario) solo attraverso un procedimento di semplificazione di un processo in realtà
molto complesso. La fissazione di un momento iniziale nella storia di un’opera è arbitraria, perché
questa ha interagito col suo ambiente (forma, luce, volume) ancor prima di nascere»
6
.
La storia del restauro mostra molto chiaramente l’evoluzione del pensiero legato ai segni del tempo
sulle opere d’arte: la prima reazione verso la comparsa delle sue tracce è stata quella del loro completo e
totale annullamento, effettuato a volte dallo stesso autore del manufatto; solo col passare di decenni si è
cominciato a percepire il valore storico e non soltanto quello estetico delle opere (solo quelle
considerate dei grandi maestri) con la conseguente creazione attorno ad esse di un’aura di rispetto e con
la nascita, intorno alla metà del ‘700, della professione del “restauratore” vero e proprio, il cui compito
era quello di far sopravvivere le opere al loro naturale processo di degrado
7
. Per la definizione esatta di
un “istanza storica”
8
dell’opera d’arte bisogna però aspettare la teoria brandiana e il suo aggiornamento
da parte di Umberto Baldini, per il quale «nell’arco del suo tempo-vita l’opera d’arte può subire la sua
‘distruzione’ (thánatos) che può verificarsi per nostra inazione totale (incuria e abbandono al
deperimento) come per violento e traumatico accadimento esterno (terremoto, guerra, caduta, incendio,
etc.), il prolungamento della sua ‘vita’ (bíos) che si esempla nell’atto fisico della cura materica
dell’opera da malattia o perdita (manutenzione e conservazione), la ‘restituzione’ della sua realtà come
opera d’arte (éros) nell’ambito dell’esistente che si esempla nel finale atto di filologia critica (atto di
restauro). Parimenti in ogni opera d’arte si possono registrare almeno tre atti: il primo è quello della
sua realizzazione da parte dell’ ‘artista’; il secondo è quello dell’azione su di essa del ‘tempo’; il terzo
è quello dell’azione dell’ ‘uomo’»
9
. Infine, le teorie sul tempo vengono nuovamente messe in
discussione con l’avvento dell’arte contemporanea, in cui il restauro non solo in alcuni casi non è
richiesto dallo stesso artista, che mira al decadimento del manufatto, ma è spesso e volentieri anche di
impossibile realizzazione pratica, poiché l’opera d’arte è un concetto, un messaggio, un’idea, e non il
risultato di un processo di lavorazione artigianale o artistica.
Indipendentemente dal grado di rispetto che ognuno di questi comportamenti ha nei confronti delle
modificazioni subite dai manufatti, comunque, il restauro in sé per sé è un’attività che tenta di
“risolvere” il problema del trascorrere del tempo e dei segni del suo passaggio, e che quindi, di fatto, lo
rifiuta. In questo senso il restauro virtuale si pone né più né meno che come l’intervento fisico, in quanto
ricostruisce (forse ancor più liberamente dell’azione manuale) l’aspetto che l’opera aveva e ora non ha
più; ma nello stesso tempo, non interagendo realmente e fisicamente con l’oggetto, garantisce forse
anche quello che in alcuni casi è stato definito “restauro mentale”, ovvero «un’attività di ricostruzione
4
Si veda G.BASILE, “Che cos’è il restauro”, Editori Riuniti, Roma, 1989, pp. 34 e 76.
5
Si veda C.BRANDI, “Teoria del restauro”, Einaudi, Torino, 1999, pag. 8.
6
S.BOVA, “Il restauro tra storia e coscienza del tempo”, Trauben Edizioni, Torino, 2002, cit. pag. 48-49.
7
Si veda A.CONTI, “ Vicende e cultura del restauro ”, in AA.VV, “ Storia dell’arte italiana vol. 10 ”, Einaudi,
Torino, 1981, pp. 41-52.
8
Si veda C.BRANDI, “Teoria del restauro”, Einaudi, Torino, 1999, pag. 21-37.
9
U.BALDINI, “Teoria del restauro e unità di metodologia”, Nardini Editore, Firenze, 1997, cit. pag. 9.
Introduzione
8
del presunto stato originario coi soli strumenti critici e filologici, senza toccare l’opera, perché, in fin
dei conti, le perorazioni e le ipotesi storico-critico-estetiche meglio si prestano alla discussione e alle
ipotesi di lavoro scritte e disegnate piuttosto che a sperimentazioni sul ‘corpus’ delle opere»
10
.
10
S .BOVA, “ Il restauro tra storia e coscienza del tempo ”, Trauben Edizioni, Torino, 2002, cit. pag. 57. Per
ulteriori informazioni sul concetto di “restauro mentale” si veda C.CHIRICI, “Il restauro virtuale: più vero del
vero”, in AA.VV, “Parol on line. Quaderni d’arte e di epistemologia”, Maggio 1999,
www3.unibo.it/parol/articles/chirici.htm.
PARTE PRIMA:
IL RESTAURO VIRTUALE
«E’ necessario un grande sforzo collettivo – al di là
delle giuste distinzioni tra competenze, sfere d’azione,
valori scientifici e divulgazione – per accogliere
nell’indagine tutte le risorse che oggi sono a
disposizione, in modo da poter raggiungere risultati
insperati in quel “ridar vita” ai reperti del nostro
passato che, metaforicamente, è di essi il vero e
globale “restauro”.»
1
1
M.MARTINELLI, “Enti locali, media digitali e integrazione virtuale in archeologia ”, in AA.VV, “ Kermes – La
rivista del restauro n° 50”, Nardini Editore, Firenze, Aprile-Giugno 2003, cit. pag. 58.
Parte I – Il restauro virtuale
10
Premessa
Il restauro eseguito attraverso il computer è stato
da sempre variamente chiamato: il suo nome più
diffuso sembra essere restauro elettronico o
restauro virtuale, anche se forse, più
chiarificante, dovrebbe essere un termine che
indichi la metodologia di studio più che il mezzo
tecnico adoperato e, precisamente, ripristino
iconologico digitale
1
, inteso come studio, analisi
ed elaborazione di un’immagine. La scelta di un
termine ufficiale risale a «quando, nel 1994, si è
trattato di battezzare la proposta metodologica
appena nata: la scelta di abbinare i due termini
“restauro” e “virtuale”, è stata suggerita dal
Gian Franco Fiaccadori, docente di filologia,
quale sintesi di un concetto che univa tecnica e
finalità: intervenire sulle immagini di documenti
fisici particolarmente danneggiati in modo
virtuale, senza cioè procedere ad alcun tipo di
azione materiale. Sembrava un termine
efficace»
2
.
Se si richiama però il concetto di restauro così
come viene inteso da molti teorici del restauro o
della conservazione, il termine, o meglio,
l’accostamento dei due termini in questione
sembrerà «un ossimoro, come ha deciso di
doverlo definire Carlo Federici nel 1999, al
quale non sembra opportuno denominare
“restauro” seppur virtuale, una tecnica che,
operando sull’immagine del documento e non
sull’originale, non ha le caratteristiche né gli
scopi del restauro materiale»
3
. Se infatti «scopo
del restauro è fornire l’oggetto restaurato di
qualità, di funzionalità, di estetica e di tatto
quanto più è possibile vicine all’originale»
4
allora certo il restauro virtuale non potrà essere
considerato completamente valido, in quanto
l’oggetto non viene manipolato fisicamente ma
soltanto nella sua qualità di immagine, di forma
artistica riprodotta in fotografia. E’ pur vero che
nella maggioranza dei casi la funzione principale
dei manufatti artistici sta nella loro capacità di
raffigurare qualcosa, e quindi in questo senso
l’intervento virtuale sull’immagine sarebbe utile
a ristabilire il loro primitivo aspetto estetico
laddove un intervento fisico non potesse, per un
qualsiasi motivo sia pratico che etico, risolvere il
problema, ma d’altro canto non si può
dimenticare che anche nelle opere in cui è
predominante l’aspetto rappresentativo, è sempre
presente una anche minima parte d’intento
utilitaristico, sia sul piano funzionale che del
significato
5
, su cui il restauro virtuale non ha
alcun tipo di presa poiché non avviene
realmente.
Si potrebbe dunque parlare di “conservazione”
virtuale? Men che meno, poiché se per
conservazione s’intende «l’insieme degli atti di
prevenzione e salvaguardia rivolti ad assicurare
una durata tendenzialmente illimitata alla
configurazione materiale dell’oggetto»
6
(ossia
tutte le attività che rendono i materiali il più
possibile resistenti al deterioramento), a maggior
ragione che nel caso del restauro, apparirà chiaro
quanto i termini “conservazione” e “virtuale”
siano più che inconciliabili, sia dal punto di vista
linguistico che pratico, poiché non agendo
materialmente su niente che riguardi l’opera esso
non ne risolve nè previene in alcun modo il
degrado.
L’intervento virtuale costituisce quindi un ibrido,
in quanto permette di stravolgere le normali
concezioni che regolano le scelte inerenti al
restauro: se infatti nel caso di operazioni fisiche
condotte su un manufatto, può capitare che ci si
fermi alla sola azione conservativa, di solito
risulta controproducente limitarsi al solo restauro
di un’opera senza occuparsi anche della
conservazione dei materiali che la compongono.
Il restauro virtuale, per quanto utile quest’unione
possa essere, non la rende possibile. Si prenda
come esempio il pensiero di Giuseppe Basile, per
il quale «sono piuttosto rari i casi in cui si può
mettere in opera soltanto un intervento di
restauro o soltanto un intervento conservativo in
sé conclusi. La ragione è nel fatto che
l’immagine, cioè l’oggetto proprio del restauro,
consiste nei materiali di cui il manufatto è
costituito e pertanto ogni intervento su di essi, di
carattere dunque conservativo, si ripercuote
quasi sempre sull’immagine modificandola»
7
:il
restauro virtuale smentisce questa convinzione,
permettendo da un lato (quello fisico) di non
alterare in alcun modo i materiali dell’opera, e
dall’altro (quello virtuale) di ottenere visivamente
il risultato figurativo che ci si era proposti di
miglioramento della leggibilità dell’opera
(trattamento delle lacune e reintegrazione
pittorica) e, in alcuni casi, il ristabilimento della
sua unità formale (si pensi ad esempio, al
riassemblaggio di affreschi in frammenti).
Intervenire con un restauro virtuale su un’opera
significa infatti avvalersi di procedure e tecniche
Parte I – Il restauro virtuale
11
desunte dall’universo della moderna tecnologia
(ad esempio l’uso del computer), per
programmare e dirigere svariati interventi
“ipotetici” su produzioni artistiche e storiche che
vanno dall’architettura, all’archeologia, alla
pittura, ecc. L’aspetto più importante di tali
operazioni è il fatto di lavorare nella massima
libertà d’azione, poiché si opera su
un’informazione a carattere digitale che, in
quanto tale, può essere modificata, duplicata,
ripristinata o cancellata, senza conseguenze per il
manufatto originario.
Se quindi sia giusto o no chiamarlo “restauro”
non è ancora stato con chiarezza determinato, ma
certo non si può non notare che, al di là delle
grandi potenzialità documentative e di fruizione
delle informazioni tramite banche dati e reti
telematiche, lo scopo principale di questo tipo
d’intervento consiste nel riprodurre l’aspetto
visivo che l’opera verrebbe ad avere a restauro
fisico terminato, e la simulazione delle diverse
fasi di intervento, che possono fornire
all’operatore numerosi strumenti ai fini della
pianificazione e della stima del risultato finale
ottenibile. Le procedure di tipo virtuale possono
infatti finire per avere un ruolo anche
direttamente coinvolto negli interventi fisici sotto
forma di restauro guidato
8
, cioè fornendo
elementi conoscitivi utili prima che il restauratore
intervenga praticamente con pennello, colori e
solventi: un’adeguata programmazione al
computer di una pulitura su opere lapidee o di un
risarcimento pittorico delle lacune di un dipinto,
permette infatti di prefigurare, separatamente
dall’originale, il risultato di un’operazione da
attuarsi (o meno) sull’opera vera e propria,
consentendo in alcuni casi di evitare un errato o
mal calcolato intervento concreto.
Il restauro virtuale permette inoltre di ottimizzare
la leggibilità dell’opera senza ricorrere ad
interventi traumatici o non reversibili
sull’originale, e questo indipendentemente dalla
sua tecnica esecutiva, dal supporto su cui è stata
creata e dal suo stato di conservazione: lavorando
infatti su un immagine digitalizzata, tale
intervento non ha vincoli di sorta
(incompatibilità, effetti collaterali, irreversibilità,
ecc…) legati al particolare materiale di cui è
composta l’opera. Da questo punto di vista,
perciò, esso si pone come esperienza parallela
alle metodologie “fisiche”, consentendo di
realizzare tutte quelle operazioni che, per i più
vari motivi, si rivelano impraticabili
nell’intervento materiale vero e proprio (pulitura,
reintegrazione di lacune particolarmente
danneggiate, recupero di segni occultati o deboli,
lettura di informazioni non percepibili ad occhio
nudo, ecc…)
9
.
Per concludere quindi, nell'ambito della
salvaguardia e della conservazione dei beni
culturali, il computer si pone in un ruolo che non
deve essere di competizione rispetto al tecnico di
restauro, ma di studio e analisi progettuale, in
parallelo o meglio a supporto del restauratore
stesso, aiutandolo a condurre tutte quelle
operazioni che, «anche se non si configurano
come vero restauro possono costituire comunque
una integrazione conoscitiva di reperti mobili e
immobili di unità scientifica in qualche caso
insostituibile»
10
.
NOTE:
1
Per la definizione di “ripristino iconologico
digitale” si vedano D.BENNARDI,“L’informatica per i
beni culturali”, 1999, net.supereva.it/bennardi.freew
eb/idex.htm?p e E.FERRARINI, E.STALTARI,“Scrittura
ed immagini: un ipotesi di restauro virtuale”, in
AA.VV, “Le Médiéviste et l’Ordinateur n°41 –
L’apport cognitif”, inverno 2002,
lemo.irht.cnrs.fr/41/mo41_06.htm.
2
D.MOSCHINI,“Restauro virtuale. La tecnica per
il recupero digitale delle informazioni nascoste”, in
AA.VV, “Kermes – La rivista del restauro n° 41”,
Nardini editore, Firenze, Gennaio-Marzo 2001, cit.
pag. 46.
3
D.MOSCHINI,“Restauro virtuale. La tecnica per
il recupero digitale delle informazioni nascoste”, in
AA.VV, “Kermes – La rivista del restauro n° 41”,
Nardini editore, Firenze, Gennaio-Marzo 2001, cit.
pag. 46.
4
A.CONTI,“Vicende e cultura del restauro”, in
AA.VV, “Storia dell’arte italiana vol. 10”, Einaudi,
Torino, 1981, cit. pag. 39.
5
Si veda G.BASILE,“Che cos’è il restauro”,
Editori Riuniti, Roma, 1989, pp. 85 e 86.
6
AA.VV, “Carta 1987 della conservazione e del
restauro degli oggetti d’arte e di cultura”, in
G.PERUSINI,“Il restauro dei dipinti e delle sculture
lignee. Storia, teorie e tecniche”, Del Bianco Editore,
Udine, 1994, cit. pag. 51.
7
G.BASILE,“Che cos’è il restauro”, Editori
Riuniti, Roma, 1989, cit. pag. 76.
Parte I – Il restauro virtuale
12
8
Per la definizione di “restauro guidato” si vedano
D.GALIZZI,“Manoscritti miniati della Biblioteca
Comunale dell’Archiginnasio: restauro virtuale”,
2000-2001, web.tiscali.it/galliego/Restauro%20virtua
le/Rest.htm e www.scribanet.it/operatorebeni/informa
tica/lezioni/lezione36.htm.
9
Si vedano D.GALIZZI,“Manoscritti miniati della
Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio: restauro
virtuale”, 2000-2001, web.tiscali.it/galliego/Restauro
%20virtuale/Rest.htm e www.bncf.firenze.sbn.ut/pro
getti/Restauro_Virtuale/prehome.htm.
10
M.MARTINELLI,“Enti locali, media digitali e
integrazione virtuale in archeologia”, in AA.VV,
“Kermes – La rivista del restauro n° 50”, Nardini
Editore, Firenze, Aprile-Giugno 2003, cit. pag. 57.
Parte I – Il restauro virtuale
13
Cenni storici
Il momento dal quale si può cominciare a parlare
di era digitale nel campo del restauro può essere
considerato il 1963, con la pubblicazione di
“Teoria del restauro”, il notissimo e per molti
aspetti insuperato manuale di Cesare Brandi, vera
pietra miliare e riferimento teorico
imprescindibile della moderna metodologia per la
conservazione dei beni culturali: «E’ chiaro che,
seppure l’imperativo della conservazione si
rivolga genericamente all’opera d’arte nella sua
complessa struttura, specialmente riguarda la
consistenza materiale con cui si manifesta
l’immagine. Per questa consistenza materiale
dovranno farsi tutti gli sforzi e le ricerche perché
possa durare il più a lungo possibile. […] Donde
si chiarisce il primo assioma: si restaura solo la
materia dell’opera d’arte.»
1
. Da ciò si
comprende che se da un lato, in esso non v’è
spazio alcuno per il restauro virtuale, dall’altro è
il primo momento in cui viene sottolineata
l’importanza di fare tutti gli sforzi possibili, a
qualsiasi livello pratico e tecnologico, per
salvaguardare i beni culturali: è quindi questo il
motivo per cui si può dire che solo dal Brandi in
poi maturarono le prime esperienze di
applicazione nell’arte del “calcolatore” (come
allora veniva detto il computer, con una
traduzione dall’inglese ormai in disuso).
Vari Enti di ricerca, Istituti e Laboratori di
restauro s’impegnarono in questa nuova
prospettiva, peraltro abbastanza gravosa dal
punto di vista delle risorse finanziarie da
impiegare. Da queste prime indagini sperimentali
emerse innanzitutto l’entusiasmo nei confronti
dei processi d’automazione e delle capacità
versatili di catalogazione ed archiviazione delle
informazioni, nonché lo stupore per la possibilità
di richiamare, modificare, aggiornare e
trasformare i dati registrati su supporto
magnetico: «questo felice e promettente connubio
calcolatore-arte è peraltro un esempio
interessante di rottura della artificiale divisione
fra attività scientifico-tecniche da un lato e
artistiche dall’altro, attività entrambe
significative dell’uomo come essere intelligente e
creatore»
2
.
Il processo di catalogazione del patrimonio
artistico italiano ricevette un notevole impulso
nel 1969 con l'istituzione dell'Ufficio Centrale
per il Catalogo, trasformato poi in Istituto
Centrale per il Catalogo e la Documentazione
(ICCD) con la nascita del Ministero per i Beni
Culturali. L'istituto diede infatti una forte
impronta scientifica all'attività di catalogazione
elaborando metodologie rigorose di archiviazione
e un complesso sistema di schede per varie
tipologie di beni e di aree territoriali: venne
anche avviata l'informatizzazione dell’archivio,
sollecitata dall’offerta sempre più diversificata di
prodotti per la gestione computerizzata di
materiale testuale e visivo e dalla necessità
effettiva di controllare grandi masse di dati.
Per quanto invece riguarda il restauro vero e
proprio, gli studi di teorici di grande spessore,
quali Umberto Baldini (“Teoria del restauro e
unità di metodologia”, 1978) ed Ornella Casazza
(“Il restauro pittorico nell’unità di metodologia”,
1981), aumentarono l’interesse dei critici e
spostarono gradualmente l’attenzione dalle varie
tipologie d’intervento e di uso del computer
nell’ambito della conservazione, al fatto che
l’operazione stessa del restauro potesse essere
fatta a computer sull’immagine digitalizzata: «la
giustezza del metodo, che qui è descritto e
analizzato anche nella successione della sua
conduzione e in diversi interventi su realtà
cromatiche e materiche, può essere verificata
scientificamente attraverso l’uso di un
calcolatore elettronico. Mediante un sistema di
acquisizione e conversione in forma numerica di
immagini è possibile effettuare infatti una
valutazione quantitativa accurata...»
3
.
Nel 1985 infine, nel suo volume “Il restauro dei
dipinti e delle sculture lignee”, Giuseppina
Perusini, trattò l’argomento in un apposito
capitolo intitolato “L’impiego del calcolatore”,
nel quale richiamava l’attenzione sull’utilità del
computer «non solo per la catalogazione dei beni
culturali ma anche, per la determinazione dello
stato di conservazione delle opere d’arte e per
operazioni ritenute generalmente legate alla
sensibilità artistica del restauratore, quali la
reintegrazione pittorica»
4
.
Gli anni ’80 furono infatti una vera e propria
fucina di novità per quello che riguarda i possibili
utilizzi tecnologici: l’arrivo del personal
computer inaugurò una stagione di ininterrotti
progressi tecnici, con lo sviluppo dei dispositivi o
unità di output, come monitor e stampanti, e di
input, per la digitalizzazione dell’immagine
dell’opera d’arte ed il suo trasferimento su
supporto elettronico. Come fecero allora notare
Parte I – Il restauro virtuale
14
gli stessi esperti informatici, «l’arte prodotta con
calcolatore è nata più di 15 anni fa, componendo
forme, figure, immagini in bianco e nero e a
colori con opportuni programmi che attivano i
sistemi di elaborazioni di vario tipo. Le
applicazioni dei sistemi e delle tecnologie di
elaborazione delle immagini sulle opere d’arte
sono già più recenti e riguardano molteplici
aspetti relativi alla conoscenza più “oggettiva”
delle opere stesse, alla loro conservazione e al
loro restauro. […] E anzi, su questa seconda
linea si sono avuti recentemente sviluppi
estremamente importanti e promettenti, sia per
quanto riguarda una conoscenza più
approfondita delle opere d’arte, spingendosi – se
così si può dire – entro di esse per carpirne i
segreti e contenuti più intimi, sia per la messa a
punto di tecnologie atte a preservare le opere
stesse per tramandare in modo sicuro il valore,
patrimonio irripetibile dell’umanità intera»
5
.
Si arriva così agli anni ’90, nei quali si è vista
concludere «la nascita e l’evoluzione di un’idea,
mossa da una curiosità stravagante, nata per
caso da un’intuizione improvvisa e sviluppatasi
fino a divenire una realtà innovativa e
consolidata»
6
. Come si è già detto infatti, è nel
1994, nell’ambito delle nuove realtà in materia di
restauro del patrimonio librario e
documentaristico, che viene coniato ufficialmente
il termine “restauro virtuale”, subito contestato
nel 1995 al convegno “Verso il restauro
virtuale?” organizzato dalla Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze per presentarne le prime
sperimentazioni, e poi nuovamente nel 1999 in
occasione di un secondo convegno scientifico,
organizzato questa a volta a Roma con il titolo
“Oltre il visibile: restauro fisico per conservare e
restauro virtuale per valorizzare”
7
.
Ad oggi quindi, nonostante i notevoli passi avanti
nel campo tecnologico, non solo non esiste una
definizione univoca sullo statuto delle operazioni
legate al restauro virtuale (o più semplicemente
un vero e proprio “manuale” di restauro virtuale),
ma si è dato il via ad un acceso dibattito sulla sua
legittimità, condotto prevalentemente attraverso
articoli editi dalle maggiori riviste e
pubblicazioni di settore e, ovviamente, on line su
internet: da quando infatti «la parola “virtuale” è
uscita dai laboratori di fisica delle particelle,
dove è nata per specifici scopi teoretici, e
scorrazza indisturbata in tutti gli ambiti
culturali, c’è in giro una ricchezza di
“virtualità” non sempre facile da
comprendere»
8
.
NOTE:
1
C.BRANDI, “ Teoria del restauro ”, Einaudi,
Torino, 1999, cit. pag. 7.
2
G.BENELLI ,V.CAPPELLINI, E.DEL R E ,
C.LONESE,“Il calcolatore per le opere d’arte”, in
U.BALDINI,“Metodo e scienza. Operatività e ricerca
nel restauro”, Sansoni Editore, Firenze, 1982, cit. pag.
328.
3
O.CASAZZA,“Il restauro pittorico nell’unità di
metodologia”, Nardini Editore, Firenze, 1999, cit. pg
80.
4
G.PERUSINI,“Il restauro dei dipinti e delle
sculture lignee. Storia, teorie e tecniche”, Del Bianco
Editore, Udine, 1994, cit. pag. 151.
5
V.CAPPELLINI,“Elaborazione numerica delle
immagini”, Boringhieri, Torino, 1985, cit. pag. 323-
325.
6
D.MOSCHINI,“Restauro virtuale. La tecnica per
il recupero digitale delle informazioni nascoste”, in
AA.VV, “Kermes – La rivista del restauro n° 41”,
Nardini editore, Firenze, Gennaio-Marzo 2001, cit.
pag. 45.
7
Per ulteriori informazioni circa le critiche e di
dibattito sulla legittimità del restauro virtuale si
vedano il capitolo “Premessa”, pp. 10-12 e il capitolo
“Valutazioni critiche”, pp. 27-29 del presente volume.
8
M.CURUZ BERNARDELLI,“Caro restauratore, sei
apocalittico o integrato?”, in AA.VV, “STILEarte n°
53”, Comunicare S.r.l, Brescia, Novembre 2001, cit.
Parte I – Il restauro virtuale
15
Principi
Così come viene inteso nel «restauro cosiddetto
tradizionale»
1
, lo scopo di un intervento consiste
nel mantenimento del più alto livello di
informazioni storico-artistiche trasmesse da un
bene culturale, attraverso un’azione diretta (fisica
e/o chimica) sui materiali e sulle strutture
dell’oggetto, che ne rallenta o cura i processi di
degradazione possibilmente senza ostacolarne la
lettura o falsarne la storia. Apparentemente
quindi, le operazioni virtuali così come sono state
precedentemente descritte non potrebbero essere
definite “restauro” nel vero senso della parola in
quanto la loro prima e principale caratteristica è
proprio quella di non interagire con la materia
2
.
Ciò nonostante, bisogna considerare che il
restauro virtuale, nel senso di opportuna modifica
di una serie di numeri/punti nei quali è stata
trasformata (informatizzata) l’immagine
dell’opera, non ha nulla di meccanico e di
automatico, non potendo prescindere affatto dalle
capacità tecniche, dalle abilità operative e dalle
conoscenze intellettuali del restauratore:
« esistono oggi programmi elaborati
specificamente per le discipline umanistiche
talmente sofisticati e potenti da poter essere
utilizzati soltanto da ricercatori specializzati in
quella determinata disciplina. […] Di fronte a
tali programmi anche il miglior esperto di
informatica che non abbia una formazione o
un’esperienza specifica può trovarsi a mal
partito. Lo specialista di quella disciplina avrà
certo bisogno dell’informatico “neutro” per la
cosiddetta assistenza sistemistica; potrà
chiedergli di collaborare con lui allo scopo di
ovviare ai limiti o di introdurre miglioramenti nel
programma; ma soltanto lui sarà in condizione di
determinare gli usi più efficaci di quel
programma, di valutarne i risultati, di
progettarne sviluppi»
3
.
Il restauro virtuale non avviene infatti nella
massima libertà di azione e senza vincoli, sia per
caratteristiche proprie del computer stesso che
per volere dell’utente che lo comanda:
«l’ordinatore od elaboratore elettronico per la
sua natura e il suo procedimento fondamentale è
un macchina che non inventa e non può inventare
nulla, non può interferire con sue iniziative,
modificare o interpretare, può solo constatare e
restituire»
4
. Essendo quindi soltanto un mezzo
elettronico impiegato come potenziale
allargamento e accrescimento delle possibilità già
offerte dalle tecniche tradizionali (e più
affermate) di documentazione grafica e
fotografica, esso viene impostato di volta in volta
sulle necessità reali di cui l’intervento ha bisogno
o che si propone: «in questa chiave va inserito il
tentativo di elaborare un sistema efficace ma
duttile, aderente alla realtà del caso singolo, ma
che non sia limitato a questo, vale a dire che sia
adattabile alla soluzione di problemi simili che
possano sorgere su opere diverse. Infine, che
mantenga costante la possibilità del conservatore
e del restauratore di interagire direttamente con
il metodo, che indubbiamente necessita del loro
apporto per fornire migliori risultati, senza che
questo richieda eccessive specializzazioni
informatiche»
5
.
Infine, seppure con implicazioni diverse rispetto
a quelle dell’intervento fisico, restano validi
anche per le elaborazioni digitali i presupposti
teorici ed etici mutuati dalla teoria del restauro,
quali ad esempio la riconoscibilità, la reversibilità
e il minimo intervento
6
; anzi, non agendo
praticamente sull’opera d’arte si può in un certo
senso dire che questi vengono rispettati ancor più
che nell’intervento fisico, nel quale «la
conservazione dei materiali originali, la
reversibilità di tutti quelli che si usano nelle
operazioni di restauro, sono, in realtà, criteri di
orientamento; inevitabilmente sottoposti al
vaglio di un programma culturale: un buon
restauro dell’Ottocento si poneva scopi
certamente diversi da un buon restauro degli
anni cinquanta, e differenti sono gli arbitri a cui
si sentivano autorizzati rispetto alla semplice
conservazione di un dipinto»
7
.
La riconoscibilità
8
è il principio per il quale ogni
parte aggiunta nell’intervento di restauro deve
essere distinguibile da quella originale
dell’oggetto, per non consentire una lettura
falsata dell’opera attraverso l’assimilazione
indebita delle parti reintegrate a quelle originali
9
.
Il restauro virtuale non solo rispetta questo
principio, ma riesce anche ad ovviare al problema
opposto di non recare comunque un pregiudizio
alla lettura integrale dell’opera: bisogna infatti
rifiutare, tanto le integrazioni di fantasia, quanto
l’esasperazione troppo zelante di questo principio
che «ha trasformato spesso le opere d’arte in un
insieme di pezze e ritagli, in cui si è persa per
sempre la possibilità di una lettura unitaria e
godibile dal punto di vista estetico dell’opera
Parte I – Il restauro virtuale
16
stessa»
10
. Il restauro virtuale, che interviene
sull’immagine digitalizzata del manufatto, rende
in ogni momento riconoscibili gli interventi
eseguiti dall’operatore attraverso la cosiddetta
“memoria di percorso”
11
delle applicazioni
informatiche: lo stato attuale di conservazione
resta perfettamente inalterato nel bene originale,
mentre la storia del suo degrado e degli interventi
di restauro successivi è documentata in digitale
nel tempo.
È questa medesima “memoria di percorso” che,
rendendo le integrazioni riconoscibili, ne
stabilisce anche la reversibilità
12
: ogni intervento
di restauro deve, infatti, poter essere rimosso, sia
perché il materiale utilizzato potrebbe in seguito
alterarsi e danneggiare a sua volta l’originale, sia
perché potrebbero essere scoperti, nel tempo,
materiali e tecniche esecutive dalla resa migliore.
In ambiente virtuale queste motivazioni restano
valide solo nel secondo caso, cioè quello in cui
gli interventi fatti su un oggetto si rivelino
inaccettabili in seguito all’evoluzione delle
tecniche del restauro e della sensibilità critica e
che se ne renda quindi necessaria la rimozione,
poiché per quanto riguarda il primo nessuna
aggiunta o modifica virtuale potrebbe mai
danneggiare fisicamente i materiali dell’opera.
Tra l’altro, nonostante tutte le carte del restauro
connettano la correttezza di un intervento con la
sua completa reversibilità, i restauratori sono ben
consci del fatto che anche il migliore intervento
di restauro è, almeno in parte, irreversibile
13
:
«non esistono interventi di restauro reversibili
poiché qualsiasi operazione e qualsiasi sostanza
venga utilizzata può essere eliminata solo
parzialmente visto che una parte – piccola
quanto si vuole, ma sempre concreta – resterà
sull’oggetto restaurato e determinerà comunque
un’alterazione del contenuto di informazioni
originali di cui quel documento, prima del
restauro, era testimone e veicolo»
14
.
Quest’affermazione viene però smentita dal
restauro virtuale, andando a costituire uno dei
punti di maggior discussione tra i sostenitori delle
metodologie fisiche rispetto a quelle digitali:
« uno dei connotati del restauro è la sua
sostanziale irreversibilità. Di qui un ulteriore
parametro di complessità che si aggiunge a
quelli elencati sopra. […] Abbiamo visto che le
due caratteristiche fondamentali del restauro
tradizionale – ma è ormai opportuno definirlo
tout court – sono quella di agire sulla materia
dell’opera d’arte modificandola fisicamente e/o
chimicamente e quella di essere, almeno in parte,
irreversibile. Ma non sono proprio questi i
connotati di cui il cosiddetto restauro virtuale è
privo? Esso infatti non interagisce con la materia
dell’opera ed è perfettamente reversibile. Sicchè,
almeno dal punto di vista terminologico, questa
espressione potrebbe forse essere definita come
un ossimoro»
15
.
Un terzo principio, del minimo intervento
16
,
obbliga il restauratore a limitare il più possibile la
sua azione, sia perché essa costituisce uno stress
fisico per l’opera, sia per la già citata poca
compatibilità dei materiali di restauro con quelli
originali: da questo punto di vista pertanto, esso è
perfettamente rispettato dall’intervento virtuale
che non interagisce affatto con l’opera. Tale
principio comporta inoltre di evitare gli interventi
più pesanti e spesso fantasiosi e il rispetto per le
tracce visibili della storia del manufatto stesso:
questo, oltre che essere garantito dalla già citata
“memoria di percorso”, è di fatto inevitabile
poiché le operazioni digitali che vengono
compiute sulle diverse immagini delle opere, non
prevedono nessuna invenzione di sorta, ma al
contrario il recupero di informazioni precise dalle
zone non (o meno) degradate della fotografia
stessa.
Come quindi intendere questo principio?
L’orientamento odierno del restauro e le più
recenti sperimentazioni pratiche vorrebbero
rendere concreto e dimostrabile il giusto grado
d'intervento in un restauro attraverso la
valutazione degli elementi che risiedono in ogni
singolo manufatto artistico e che lo caratterizzano
in quanto tale. Il mondo contemporaneo espone
infatti sempre più l'oggetto artistico, a pressioni
che hanno dato luogo al concetto negativo di
“utilizzo garantito”
17
, ovvero ad un ripristino
forzato del primitivo splendore dell’opera in
nome della sua immagine pubblica: «la
concezione della storia, e del tempo, su cui si
fonda la teoria del restauro è d’altra parte quella
dei grandi avvenimenti, dei monumenti, dei fatti
importanti, per cui la teoria ha privilegiato le
opere notevoli. In parallelo alla concezione
sociale che è sottesa a questa teoria, legata ad un
ordinamento elitario, la sua estetica riguarda
opere eccellenti, irriproducibili ed uniche. Il
restauro diviene allora il “braccio secolare”
contro il tempo di una storia dell’arte attenta
solo ai grandi fatti […] l’opera originale cede il
posto ad un intervento forzato, una volta e per
sempre»
18
. Questo concetto ha avuto come
Parte I – Il restauro virtuale
17
conseguenza l’appannaggio nel mondo del
restauro di una metodologia operativa
standardizzata orientata verso un eccesso
d’intervento, al quale il principio del “minimo
intervento” dovrebbe invece opporsi facendo
emergere l'unicum dell'opera negli aspetti
peculiari di fragilità strutturale e di degrado
accumulato, che non sempre e non per forza
devono essere totalmente cancellati
19
.Se
nell’intervento fisico questo può concretarsi nel
rispetto per la patina anziché in un’azione di
spulitura, così come nell’utilizzo di nuovi metodi
di foderatura e risarcimento delle tele che non
costituiscono uno stress per le opere, nel restauro
virtuale questa stessa volontà può tradursi
altrettanto bene sia nell’uguale rispetto per la
patina nel caso dei dipinti, sia nell’evitare ogni
forma di forzatura ad uno stato che forse non è
mai nemmeno esistito.
Sparisce invece completamente, per ovvi motivi,
il principio di compatibilità che prevede l’uso di
sostanze che non rechino danno fisico (chimico-
fisico-meccanico) o estetico (alterazione
dell’aspetto) all’originale
20
.
NOTE:
1
C.FEDERICI, “ Qualche chiosa sul restauro
cosiddetto “virtuale”, in AA.VV, “Kermes – La
rivista del restauro n° 43”, Nardini Editore, Firenze,
Luglio-Settembre 2001, cit. pp. 9 e 10.
Per ulteriori informazioni sulla definizione di
“restauro tradizionale” si veda P.CANART,
C.FEDERICI,M.MANIACI,“Restauro tradizionale e
restauro virtuale come divergenze parallele”, in
AA.VV, “Gazette du livre médiéval n° 34”, Apices,
Parigi, primavera 1999, pp. 49 e 50.
2
Per una breve presentazione delle caratteristiche
principali del restauro virtuale si veda il capitolo
“Premessa”, pp. 10-12 del presente volume.
3
L.GALLINO,“L’informatica per/delle discipline
umanistiche: specificità e futuro”, in L.GALLINO (A
CURA DI), “Informatica e scienze umane: lo stato
dell’arte”, Franco Angeli, Milano, 1991, cit. pag. 8.
4
C.L.RAGGHIANTI,“Capire l’arte col computer”,
in AA.VV, “Critica d’arte anno XVIII nuova serie
fascicolo 160-162”, Vallecchi Editore, Firenze,
Luglio-Dicembre 1978, cit. pag. 10.
5
F.CIANI PASSERI,M.CIATTI,A.KELLER,
D.KUNZELMAN,“San Luca di Cosmè Tura: dal
restauro virtuale al restauro reale”, in AA.VV, “OPD
Restauro n° 14”; Centro Di, Firenze, 2001, cit. pag.
167.
6
Per ulteriori informazioni si veda G.PERUSINI,“Il
restauro dei dipinti e delle sculture lignee. Storia,
teorie e tecniche”, Del Bianco Editore, Udine, 1994,
pp. 81-83.
7
A.CONTI,“Vicende e cultura del restauro”, in
AA.VV, “Storia dell’arte italiana vol. 10”, Einaudi,
Torino, 1981, cit. pag. 39.
8
«Non si tratta di rinfrescare i colori né di
riportarli ad un ipotetico e indimostrabile stato
primitivo, ma di assicurare la trasmissione al futuro
della materia da cui risulta l’effettualità
dell’immagine. Non si tratta di rigenerarli, di
riprodurre il processo tecnico con cui le pitture
furono eseguite. […] Né un affresco si restaura ad
affresco né una tempera a tempera, né una pittura ad
olio con ridipinture ad olio. Quando questo vien fatto,
si compie un errore grossolano. […] Si attua, se del
caso, il restauro senza integrazioni, e dovunque le
integrazioni dovranno essere riconoscibili ad occhio
nudo». Da C.BRANDI,“Teoria del restauro”,
Einaudi, Torino, 1999, cit. pp. 84 e 87.
9
Si veda G.PERUSINI,“Il restauro dei dipinti e
delle sculture lignee. Storia, teorie e tecniche”, Del
Bianco Editore, Udine, 1994, pag. 81.
10
E.FERRARINI, E.STALTARI,“Scrittura ed
immagini: un ipotesi di restauro virtuale”, in AA.VV,
“Le Médiéviste et l’Ordinateur n°41 – L’apport
cognitif”, inverno 2002,
lemo.irht.cnrs.fr/41/mo41_06.htm, cit.
11
Per “memoria di percorso” s’intende una serie di
funzioni che i programmi di fotoritocco mettono a
disposizione per la ricerca e la conservazione rapida di
tutte le informazioni e i passaggi effettuati.
Nell’Adobe Photoshop CS una di queste è, ad
esempio, la palette Storia che, elencando
separatamente ogni azione (nome dello strumento e
comando usato) compiuta sull’immagine, consente di
tornare a qualsiasi stato dell' immagine creato recente
mente durante la
sessione di lavoro
corrente: ogni volta
che si apporta una
modifica
all'immagine, infatti,
in fondo alla palette
viene aggiunto un
nuovo stato che,
opportunamente
deselezionato, fa
tornare l’immagine
nelle condizioni in
cui si trovava prima
della modifica.
Precisamente la palette Storia conserva gli ultimi 20
stati, poichè quelli più vecchi vengono
Parte I – Il restauro virtuale
18
automaticamente cancellati per fare spazio nella
memoria: per conservare un determinato stato durante
tutta la sessione di lavoro occorre eseguire
un'istantanea di quello stato. Questa è in realtà una
funzione temporanea, in quanto chiudendo e riaprendo
il documento dalla palette vengono cancellati tutti gli
stati e le istantanee dell’ultima sessione di lavoro: per
tenere traccia delle modifiche apportate a un file si
può usare il registro Storia modifiche, che contiene la
storia testuale delle operazioni eseguite su
un'immagine.
L’altro sistema usato è quello di lavorare su più livelli:
ogni livello può essere paragonato ad un lucido
sovrapposto (in un livello privo di immagini
traspaiono gli elementi del livello immediatamente
sottostante), che permette di lavorare su un solo
elemento senza alterare gli altri. La palette Livelli
elenca tutti i livelli, i set di livelli e gli effetti di livello
di un immagine: usando i comandi di questa palette è
possibile creare, nascondere, visualizzare, unificare,
copiare, eliminare e modificare l’ordine dei livelli. Se
si decide di salvare una versione del file finale con i
livelli non unificati, nessuna informazione temporale
viene compromessa.
Per ulteriori informazioni si veda la guida di Adobe
Photoshop CS.
12
«Bisogna infatti considerare che essenziale
scopo del restauro non è solo quello di assicurare la
sussistenza dell’opera nel presente, ma anche di
assicurare la trasmissione nel futuro: e poiché
nessuno può mai essere certo che l’opera non avrà
bisogno di altri interventi, anche semplicemente
conservativi, nel futuro, occorre facilitare e non
precludere gli eventuali interventi successivi». Da
C.BRANDI,“Teoria del restauro”, Einaudi, Torino,
1999, cit. pag. 85.
13
Si vedano S.BOVA,“Il restauro tra storia e
coscienza del tempo”, Trauben Edizioni, Torino, 2002,
pp. 28-29; P.CANART, C.FEDERICI,M.MANIACI,
“Restauro tradizionale e restauro virtuale come
divergenze parallele”, in AA.VV, “Gazette du livre
médiéval n° 34”, Apices, Parigi, primavera 1999, pp.
49 e 50; e C.FEDERICI,“Qualche chiosa sul restauro
cosiddetto “virtuale”, in AA.VV, “Kermes – La
rivista del restauro n° 43”, Nardini Editore, Firenze,
Luglio-Settembre 2001, pag.10.
14
C.FEDERICI,“Conservazione/archeologia del
libro. Contraddizione insanabile o falso dilemma?”, in
AA.VV, “Kermes – La rivista del restauro n° 44”,
Nardini Editore, Ottobre-Dicembre 2001, cit. pag. 45.
15
C.FEDERICI,“Qualche chiosa sul restauro
cosiddetto “virtuale”, in AA.VV, “Kermes – La
rivista del restauro n° 43”, Nardini Editore, Firenze,
Luglio-Settembre 2001, cit. pag. 10.
16
«Altra esigenza fondamentale della
salvaguardia dei beni culturali: un manufatto deve
essere manipolato il meno possibile. Non esiste,
infatti, intervento diretto sul manufatto, per quanto
minimo, che non comporti per esso uno stress, se non
un trauma». Da G.BASILE,“Che cos’è il restauro”,
Editori Riuniti, Roma, 1989, cit. pag. 33.
17
Si veda www.cesmar7.it/progetti.html.
18
S.BOVA,“Il restauro tra storia e coscienza del
tempo”, Trauben Edizioni, Torino, 2002, cit. pp. 38-
39.
19
Si veda www.cesmar7.it/progetti.html.
20
Si veda G.PERUSINI,“Il restauro dei dipinti e
delle sculture lignee. Storia, teorie e tecniche”, Del
Bianco Editore, Udine, 1994, pag. 83.