4
sociale la sua finalità di prevenzione generale e particolare, di retribuzione,
e di emenda riconosciutale dal legislatore. Da qui l’osservazione che,
soprattutto in relazione alla prevenzione speciale, l’effettività della pena
rimane tuttora una realtà indimostrata, e non può certo oggettivamente
affermarsi che l’attuale sistema penale migliori né la società tutta, né
l’individuo come tale.
Ciò premesso, la mia trattazione volgerà alla situazione italiana
protagonista della progressiva erosione al principio dell’inderogabilità del
giudicato, prendendo atto del fatto che la sanzione meritata per il fatto
commesso è sempre stata solo virtuale rispetto a quella effettivamente
eseguita. L’effettiva esecuzione della sanzione, in Italia, è sempre stata
«governata attraverso politiche di tipo indulgenziale.»
2
Storicamente, secondo la Codificazione Rocco, i regimi della
sospensione e della liberazione condizionale hanno avuto da subito la
finalità di consentire nel momento edittale e in quello commisurativo della
pena, il soddisfacimento delle esigenze general-preventive, senza dover
sopportare i costi che simili scelte determinano a livello esecutivo.
In seguito, la riforma penitenziaria del 1975 n. 354, introduce nel
nostro sistema la “pena flessibile” per sole ragioni special-preventive: la
scelta tecnica è stata quella della negoziazione in fase esecutiva; nasce
infatti, una nuova regolamentazione giurisdizionale dell’esecuzione penale,
ossia la possibilità di modificare il trattamento intramurario, di incidere in
maniera sostanziale sulla quantità e qualità della pena, facendo in modo che
essa acquistasse la virtù di essere più breve o più mite, quanto più lunga o
più severa fosse quella originariamente meritata.
2
M. Pavarini, La criminalità punita. Processi di carcerizzazione nell’Italia del XX secolo,
Einaudi
5
Il nuovo ordinamento penitenziario si pone, tuttavia, come momento
di riconoscimento costituzionale della finalità di emenda della pena e della
sua nuova funzione di prevenzione speciale, e di conseguente rottura con
un sistema punitivo precostituzionale ispirato al carattere essenzialmente
retributivo della pena e alla sua funzione general-preventiva.
Tale sistema si andò modificando ulteriormente con l’introduzione
della cosiddetta “legislazione premiale”, tesa a favorire la collaborazione
dei detenuti per sopperire alle inefficienze gestionali. Mi riferisco al
tentativo di rifunzionalizzare le misure alternative alla detenzione prima
con la l. 689/1981, con cui si introducono forme diverse di sanzioni penali
modellate sulle misure alternative, rispondendo a quel profondo mal celato
bisogno di creare alternative logistiche alla pena detentiva;
successivamente con la “legge Gozzini” (legge di riforma n. 663 del 1986)
la quale ha segnato un cambiamento radicale moltiplicando le possibilità di
espiazione esterna al carcere. Ma le molteplici modalità di esecuzione della
pena sembrano contenere il riconoscimento implicito del fallimento della
pena carceraria interpretata secondo finalità risocializzanti.
Vale ricordare, inoltre, l’impatto normativo dell’introduzione del
nuovo codice di procedura penale del 1988 che provoca l’ulteriore
alterazione del già flebile crinale dell’effettività della sanzione penale.
Tale quadro normativo si è aggravato ulteriormente negli anni
novanta, quando in controtendenza con le precedenti riforme, l’emergenza
criminalità dà origine a una serie di interventi legislativi restrittivi che
disciplinano la differenziazione trattamentale per ragioni di pericolosità:
così accanto alle limitazioni previste per i reati di associazione mafiosa ed
eversiva si pone l’esasperata premialità promessa in caso di collaborazione
ai pentiti.
6
«Il pendolo penitenziario oscilla perennemente tra gli eccessi di
garanzia e la tolleranza zero»
3
e la risposta del legislatore non si fa
attendere.
La legge 27 maggio 1998 n. 165, nota come legge Simeone –
Saraceni estende ulteriormente i termini della flessibilità, oltrepassando
quelli posti dalla negoziabilità ed interviene con intento “decarcerizzante”:
raggiunge il suo scopo nel momento in cui evita l’inizio dell’esecuzione
carceraria per migliaia di condannati, liberi in sospensione in attesa della
pronuncia dei Tribunali di Sorveglianza.
4
Pur apprezzabile nel suo intento di garantire l’eguaglianza dei
condannati in sede di esecuzione penale, si è trattato, in realtà, di
un’ennesima risposta parziale e inadeguata a problemi emergenziali di
gestione del carcere: «una sorta di “condono mascherato” che finisce
inevitabilmente con l’indebolire in misura ulteriore la già carente funzione
general-preventiva del nostro sistema penale».
5
L’irrompere della negozialità nella fase commisurativa ed esecutiva
dei castighi legali e, in conseguenza di ciò, la produzione di ampie zone di
ineffettività penale generano «un’involuzione verso un diritto penale
diseguale, frammentario e soprattutto incerto ed ineffettivo,
consequenzialmente emerge dai più una sorta di volontà restauratrice del
sistema penale»
6
.
Siamo entrati ora in un’epoca nuova in cui ci si è accorti che «a furia
di allontanarsi dal carcere si è finito per allontanarsi dalla sanzione, perciò
3
G.Fiandaca, E.Musco, Diritto penale, parte generale, IV ed., Zanichelli, Bologna 2001
4
Di Giovanni A., Effettività della sanzione penale, doc.internet:
www.giustizia.it/magistraturaind/contributi.htm
5
Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale,III ed. Zanichelli
6
G.Marinucci-E.Dolcini, Diritto penale in trasformazione,Milano Giuffrè,1985
7
si vuole tornare a punire di più ma con pene miti, certe ed effettive»
7
.
Le soluzioni che emergono in questa direzione sono quelle dei
progetti Pagliaro e Grosso che, mentre da un lato, propongono di introdurre
pene detentive più miti, da affiancare ad un ventaglio di sanzioni non
detentive, dall’altro «si muovono nell’ottica di una ridotta flessibilità della
fase esecutiva, perseguita tramite il ridimensionamento del raggio di azione
delle misure alternative».
8
Lo scopo è quello di creare un sistema penale caratterizzato dalla
cautela nel ricorso alla reclusione e da un elevato affidamento a pene
diverse; «un sistema più umano che, senza usare inutilmente il carcere può
esplicare una consistente efficacia preventiva mediante strumenti più
articolati e idonei allo scopo.
Fra questi strumenti va inserita la sospensione condizionale della
pena opportunamente rimodellata».
9
La critica al progetto di riforma fa leva soprattutto sull’ambizioso
obiettivo perseguito dalla Commissione Grosso di minare la centralità della
pena detentiva nel sistema penale; siffatta pena, infatti, rimane lo “sbocco
ineludibile”
10
di tutte le sanzioni alternative quando le stesse si dimostrano
inefficaci; conseguenza inevitabile almeno fino a quando non si troverà un
tipo di risposta sanzonatoria diversa in grado di assicurare lo stesso livello
di neutralizzazione assicurato dalla pena detentiva.
7
T.Padovani, in Sistema sanzonatorio: effettività e certezza della pena, Convegno Gallipoli
ottobre 2000
8
F.Della Casa, in Sistema sanzonatorio: effettività e certezza della pena, Convegno Gallipoli
ottobre 2000
9
C.F. Grosso, in Relazione Introduttiva: Presentazione del progetto preliminare di riforma del
codice pen.
10
F.Della Casa , op.cit.
8
In conclusione, ogni tentativo di rendere certo, coerente ed effettivo
il sistema delle pene porta inevitabilmente con sé l’esigenza di creare nuovi
istituti di detenzione all’interno dei quali è, comunque, doveroso cercare di
ridurre al minimo le sofferenze della popolazione carceraria.
9
I CAPITOLO
Riflessioni sulle teorie relative della pena
1.1 La teoria della prevenzione generale e l’avvento dell’utilitarismo
Il tema dell’effettività della risposta sanzonatoria dell’ordinamento
giuridico ad una condotta illecita costituisce punto cruciale di ogni teoria
generale del diritto; l’effettività è infatti il nucleo essenziale della sanzione
vista nella sua funzione di natura preventiva, generale e speciale,
retributiva e risocializzante.
Il principio di effettività ha costituito vexata quaestio per una
pluralità di maestri del diritto come Hans Kelsen che ha voluto vedere
nell’effettività la condizione stessa di esistenza della norma giuridica, che
esiste in quanto valida ed è valida in quanto efficace; “nessun ordinamento
sociale è considerato valido se non è in una certa misura effettivo , cioè se
il comportamento umano regolato da quell’ordinamento non vi si
conforma”.
11
Tale adeguamento alla norma può svilupparsi come
obbedienza spontanea ovvero come effettiva applicazione della sanzione in
caso di violazione.
L’effettività della sanzione penale concettualmente integra quella
rispondenza alle ideali garanzie di certezza, eguaglianza ed effettività della
pena, tramandate dalle nostre tradizioni umanistiche; come sosteneva
Cesare Beccaria, il più illustre esponente dell’illuminismo giuridico
italiano, la pena come strumento di prevenzione generale deve essere
11
M.A. Cattaneo, Pena diritto e dignità umana, Saggio sulla Filosofia del diritto penale, Torino
Giappichelli
10
corredata da tre requisiti essenziali, la certezza della pena nel senso che alla
commissione di un reato deve sempre seguire la sanzione prevista dalla
norma, la prontezza della pena nel senso che non deve intercorrere spazio
temporale tra la pena comminata e la sua applicazione, e l’effettività della
pena nel senso che la pena deve seguire immancabilmente la commissione
del reato.
L’autore, attraverso la sua opera “Dei delitti e delle pene”, denunciò i
difetti della giustizia criminale e propose il proprio progetto di riforma
delle norme penali: introdusse i concetti di legalità, certezza del diritto,
opposizione all’interpretazione del giudice, realizzazione della
codificazione. Beccaria propose una classificazione generale
dell’infrazione il cui criterio si ispirava all’interesse leso, distinguendo i
crimini che distruggevano la società o chi la rappresentava da quelli
offensivi della sicurezza privata di un cittadino nella vita, nei beni o
nell’onore. Le pene dovevano essere commisurate al danno commesso e
non all’intenzione di chi lo commette.
Analizzando, pertanto, in grandi linee la riforma auspicata dal
Beccaria possiamo affermare che:
1. in base al principio di legalità dei delitti e delle pene è diritto di tutti i
cittadini conoscere in precedenza ciò che è vietato e ciò che è
consentito dalla legge penale;
2. ci deve essere proporzione tra entità della pena e gravità del danno
sociale cagionato: la pena deve essere essenzialmente retributiva nel
senso che deve colpire il delinquente in misura proporzionata al male
commesso, per questo sono privilegiate quelle pene, come la
detenzione, divisibili per unità di misura e per grado di trattamento;
11
3. la pena è strettamente necessaria, nel senso che essa è vista come
una “disutilità efficace” poiché percepita dagli uomini come motivo
prevalente negativo, la sua finalità è solo preventiva;
4. il diritto penale viene concepito utilitaristicamente: il diritto penale
svolge una funzione di difesa sociale, deve intervenire per prevenire
aggressioni alla sovranità e alla società.
12
Notiamo come la pena moderna si sia sempre giustificata per
perseguire finalità di prevenzione e le teorie che si sono sviluppate in
seguito alle idee del Beccaria sono state chiamate teorie relative,
contrapponendole alle teorie assolute-retributive abbattute nell’età
moderna.
Secondo i sostenitori dell’utilitarismo penale, due possono essere le
versioni della prevenzione generale: la prima che «commisura lo scopo alla
massima utilità possibile da assicurare alla maggioranza formata dai non
devianti», la seconda che «commisura lo scopo alla minima sofferenza
necessaria da infliggere alla minoranza dei devianti».
13
Di queste due versioni la prima riferisce lo scopo (soltanto) agli
interessi di sicurezza sociale, diversi da quelli dei soggetti cui è inflitta la
pena, e rende dunque impossibile la commisurazione tra costi e benefici; la
seconda riferisce invece lo scopo (anche) agli interessi degli stessi
destinatari della pena, che in mancanza di questa potrebbero subire mali
extra-penali maggiori.
Alla base della fiducia nelle capacità dissuasive della pena deterrente
riscontriamo una lettura economicista dell’agire umano,una concezione
dell’individuo come attento calcolatore dei vantaggi e svantaggi del
proprio agire. Ergo l’esecuzione della pena nei confronti del colpevole
12
AA.VV., Introduzione al sistema penale, Giappichelli-Torino, Vol. I, 1997
13
L.Feraioli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza Roma-Bari, 2000
12
serve, attraverso l’impressione del timore che essa suscita, a distogliere gli
altri membri della società dalla commissione di delitti.
Cerchiamo di approfondire i concetti sopraesposti: la prima teoria fa
capo alla prevenzione generale la quale confida nelle capacità dissuasive
dei castighi legali per ragioni di deterrenza: essa può definirsi, dunque, di
«prevenzione generale negativa»
14
mediante “minaccia legale”o per mezzo
dell’intimidazione provocata dall’ “esempio” offerto dall’inflizione della
condanna.
È stato Feuerbach, il primo giurista a porre le basi della tesi della
“minaccia legale”; egli distingue due momenti essenziali dell’iter punitivo:
il momento della previa minaccia della pena formulata nella legge, e il
momento della inflizione o esecuzione della stessa nel caso concreto. Come
è stato osservato,
15
la presenza di questi due momenti distinti nel sistema
penale non è un fatto nuovo, ed è collegato con le funzioni della
legislazione e della giurisdizione, ma il contributo di Feuerbach riguarda
proprio il rapporto tra questa distinzione e il problema dello scopo della
pena. Secondo l’autore, infatti la rappresentazione del male penale
minacciato dalla legge provoca nell’animo dei consociati una “coazione
psicologica”, la quale li distoglie dal commettere il delitto che a quel male
è connesso; la funzione di prevenzione opera quindi prima dell’eventuale
commissione di un delitto, ed è dunque un mezzo efficace per la difesa e la
conservazione dei diritti. Coerentemente a questa generale impostazione,
Feuerbach rifiuta di attribuire una funzione di prevenzione generale
all’inflizione concreta della pena, lo scopo dell’esecuzione deve essere
semplicemente quello di rendere seria ed efficace la minaccia contenuta
14
AA.VV., Introduzione al sistema penale, Giappichelli- Torino 1997
15
Cattaneo M.A., Pena, diritto e dignità umana, Saggio sulla filosofia del diritto penale, Torino
Giappichelli
13
nella legge penale; minacciare una pena senza intenzione di eseguirla nel
caso di commissione di un delitto significherebbe contraddirsi.
Tuttavia, la teoria della prevenzione generale mediante la minaccia
legale della pena non si accontenta di questo livello generale, arrogandosi
di essere considerata l’unica giustificazione della funzione della pena. I
sostenitori della teoria vedono la legittimità della pena fondarsi unicamente
sull’effettiva operazione psicologica che la minaccia legislativa compie
sull’animo dei cittadini.
Non sono, ovviamente, mancati i dubbi e le perplessità.
Hegel ribatte al Feuerbach che tale idea sulla fondazione della pena
«è paragonabile all’alzare il bastone nei confronti di un cane; l’uomo non è
trattato come un essere libero, ma come un cane, e la giustizia è messa da
parte»
16
.
Una critica mossa alla dottrina della minaccia legale consiste nel
negarne la reale efficacia preventiva; si osserva che il fatto stesso che
vengano commessi delitti dimostra, che nei confronti dei delinquenti
effettivi la legge non opera con efficacia preventiva. Insomma tale teoria,
che vuole trattenere i potenziali violatori della legge dal delinquere per
timore della sanzione, esprimerebbe null’altro che una «intenzione, un
dover essere», poiché la verifica sociologica di quali siano gli effetti della
pena è nel senso che la realizzazione della funzione dissuasiva è in alcune
ipotesi indimostrabile in altre difficilmente dimostrabile.
Un altra dottrina che rientra nella trattazione della «prevenzione
generale negativa», è la “teoria dell’esecuzione penale”, secondo cui
l’esecuzione della pena nei confronti del colpevole serve, attraverso
l’impressione di timore suscitato, a distogliere gli altri membri della società
16
Cattaneo M.A., Una recente interpretazione dell’ultimo Feuerbach, in “Quaderni Fiorentini
per la storia del pensiero giuridico moderno”, 1979
14
dalla commissione dei delitti: dunque la pena inflitta al delinquente serve di
esempio per i consociati
Tale tesi, però, presenta il grave inconveniente di concepire e
trattare il colpevole come un mezzo per un fine che è a lui estraneo —
l’esempio dato agli altri, l’intimidazione a scopo di difesa sociale e di lotta
alla criminalità— ed è proprio della società intesa come ente collettivo.
Secondo M.A. Cattaneo il pericolo della «pena esemplare» sta nella
sicura sproporzione tra la severità della pena e la gravità del delitto, causata
dalla tendenza a modellare la pena in base a meri criteri di prevenzione
generale, indipendenti dalla misura della colpevolezza del reo e dall’entità
del reato.
17
Esemplificando: il ladro di cavalli condannato a morte, che
protesta per la sproporzione tra pena e delitto, si vede ribattere che “ egli è
condannato a morte non perché abbia rubato i cavalli, ma affinché non
vengano più rubati cavalli”. L’altro pericolo, forse ancor più grave, insito
in questa concezione riguarda l’innocente, che potrebbe, in determinate
occasioni, essere trattato come un capro espiatorio. Si osserva infatti che
«la logica interna dell’estremo utilitarismo penale , e della prevenzione
generale fine a se stessa, potrebbe, al limite, legittimare “la punizione
dell’innocente” , se questa fosse “utile” alla società in termini di lotta alla
criminalità, se la sofferenza causata al singolo innocente condannato fosse
“inferiore” al bene sociale, al vantaggio così procurato all’intera società».
18
Oltre al concetto di prevenzione generale negativa è stata elaborata
anche una teoria della «prevenzione generale positiva». Tale forma di
prevenzione utilizza per la giustificazione della pena legale la concezione
del diritto come strumento di stabilizzazione del sistema sociale e di
orientamento dell’azione umana. Tale teoria, detta anche “teoria
17
Cattaneo M.A., La filosofia della pena nei sec.XVII e XVIII , Ferrara
18
Cattaneo M.A., op.citata
15
dell’integrazione”, pone l’attenzione sul concetto di fiducia istituzionale, da
intendere come forma di integrazione sociale che si sostituisce alle forme
spontanee di affidamento reciproco degli individui tipiche delle comunità
elementari.
19
Si assiste ad un rovesciamento della soggettività del sistema sociale:
dall’individuo al sistema stesso; la conseguenza è che la violazione della
norma è socialmente disfunzionale non perché vengano lesi determinati
interessi da essa protetti, ma perché viene messa in discussione la norma
stessa e di conseguenza è minacciata la fiducia dei consociati. Quindi si
punisce perché attraverso la pena si esercita la funzione primaria che è di
produrre il riconoscimento delle norme e la fedeltà nei confronti del diritto
da parte della maggioranza dei consociati.
Come si è osservato
20
, lo scopo della pena non va considerato ex
parte principis, come quello «della massima utilità possibile da assicurare
alla maggioranza dei non devianti», ma, ex parte populi, come «quello
commisurato alla minima sofferenza necessaria da infliggere alla
minoranza formata dai devianti». In tale prospettiva la sanzione penale
svolge un ruolo di rassicurazione dei sentimenti collettivi e di riconferma
dei principi di solidarietà sociale che fondano l’ordinamento delle leggi
penali.
19
Pavarini M., Studi di teoria della pena e del controllo sociale, Ed. G. Saccardin- A. Martina,
1990
20
Ferrajoli L., Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Napoli 1989
16
1.2 Segue: la teoria della prevenzione speciale.
Quando la finalità del castigo legale è di contrastare la recidività e
pertanto il destinatario è il delinquente, si parla di «prevenzione speciale».
21
Questa teoria attribuisce all’inflizione o esecuzione della pena uno
scopo di intimidazione nei confronti del singolo reo e quindi una funzione
di prevenzione dei futuri delitti che potrebbero essere eventualmente
commessi dallo stesso colpevole attualmente punito.
Tale funzione è tra tutte la più pregna di significati e possibilità;
rientrano sotto tale concetto non solo le stesse funzioni pedagogiche,
istruttive, ammonitrici, intimidatrici proprie della prevenzione generale, ma
vi rientrano, a maggior ragione, tutti quegli orientamenti secondo cui «nella
previsione, nell’applicazione, e nell’esecuzione della pena si deve tener
conto della necessità di cercare di impedire ad ogni singolo delinquente il
ripetersi dei suoi atti delittuosi , di metterlo anche materialmente in
condizione di non nuocere, di cancellare dal suo animo le tracce del reato e
le spinte verso nuovi reati, di educarlo o rieducarlo a una diversa visione
dei suoi rapporti con la società e di riadattarlo alla vita nella comunità»
22
.
Tale forma di prevenzione tende ad attuare la cosiddetta
individualizzazione della pena, che consiste nel modellare la pena nel modo
più adatto al comportamento e alla personalità del colpevole; rientra in
questo quadro ogni forma di lotta contro la pericolosità del reo, dalla più
dura alla più dolce, dall’eliminazione o segregazione del reo dalla comunità
civile, alla rieducazione e all’emenda.
Storicamente, tra i sostenitori più autorevoli della teoria della
prevenzione speciale, ritroviamo Karl Grolman.
21
AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I, G. Giappichelli Torino, 1997
22
Vassalli, Funzioni ed insufficienze della pena, in “Riv. It. di Dir. Pen. e Proc. Pen.”. 1961,
vol.I