8
culturale così come economico, qualitativo e quantitativo. Il concetto chiave deve
essere il miglioramento della qualità della vita.”
Negli anni Settanta l’ONU dedicava lo 0,7% del PIL mondiale al sostentamento di
aiuti tecnici e infrastrutturali per la realizzazione di dighe e strade, per sostenere la
Rivoluzione Verde e i suoi semi ad alta produttività, paradigmi di un nuovo
sviluppo tecnologico per incentivare successivamente quello sociale.
Negli anni ’80 gli aiuti sono diventati economici e soprattutto finanziari ad opera di
grandi Donatori istituzionali internazionali, la Banca Mondiale e il Fondo
Monetario Internazionale che hanno, fra i loro obiettivi, la promozione dello
sviluppo di ogni singola Nazione. Questa trasformazione ha reso il debito estero da
voce di bilancio statale a grave piaga ancora oggi insanata della maggioranza dei
Paesi in via di sviluppo, in Asia, Africa e America Latina.
Questa filosofia di aiuto durò sino alla fine degli anni ’90, sino a quando si
comprese che i consigli di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che
vincolavano i loro prestiti economici alla rimozione di sostegni stabili all’economia
nazionale, con tagli alla spesa pubblica per salute ed istruzione, e alla conversione
dei prodotti, soprattutto agricoli, per il mercato dell’esportazione senza nessuna
barriera economica o commerciale, potevano avere effetti disastrosi proprio sulla
vita dei più poveri.
La stessa Banca Mondiale, in un suo recente documento, riconosce ed ammette che
“la gestione degli aiuti allo sviluppo degli ultimi trent’anni non ha ancora sconfitto
la povertà”.
Il Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano del 1990 auspicava di andare
oltre il reddito per cercare di stabilire il livello di benessere a lungo termine della
persona, cercando di svincolare il concetto di sviluppo a quello di crescita
economica, mentre 10 anni più tardi si legge che nel XX secolo le disuguaglianze
globali sono cresciute di ordini di grandezza in maniera non paragonabile a nulla
di cui abbiamo avuto esperienza sinora.
Analizzando studi sulle politiche di aiuto allo sviluppo si capì che esse avevano
fallito su vari fronti: il denaro prestato, spesso andava a sostenere un sistema
politico corrotto e scarsamente democratico mentre la tecnologia esportata ha
sempre tenuto conto di situazioni occidentali trasponendo il paradigma della
crescita economica, commerciale e finanziaria prima di qualsiasi analisi sui bisogni
reali della popolazione e sulle effettive potenzialità del territorio in cui gli aiuti
stavano andando a promuovere “sviluppo”.
Questi modelli di sviluppo stanno lentamente lasciando il campo a nuove teorie e
tecniche, dette decentrate o dal basso, che sono state applicate per sviluppare
questo lavoro, cercando di porre al centro del progetto le persone, il loro territorio
e le loro esigenze, le loro conoscenze e le loro potenzialità, per promuovere ed
articolare delle situazioni ove veramente la persona e il suo contesto possano
cominciare a muoversi, da una situazione di degrado ad una meno svantaggiata.
Concetti che Thomas Sankara, presidente burkinabè assassinato nel 1987, aveva
già evidenziato. Secondo lui sviluppo è “la ricerca del benessere per tutti con uno
sviluppo autonomo centrato sui bisogni di base, democrazia diretta, autosufficienza
alimentare ed economia popolare con risorse endogene. Benessere è prima di tutto
fornire cibo, acqua, salute ed istruzione per la popolazione, è mutamento dei
rapporti fra città e campagna, è liberazione delle donne dallo sfruttamento, è
9
indipendenza culturale, è contare sulle proprie forze, è ridistribuire la ricchezza,
anzi la povertà con la lotta ai privilegiati.”
L’esperienza di Thomas Sankara, che potrebbe apparire ingenua di fronte alla
complessità dei meccanismi dell’economia mondiale, ci richiama, invece, alla
necessità di effettuare, partendo dal patrimonio culturale africano (visione del
mondo, riferimenti valoriali, dinamiche antropologiche) e dalle risorse del
continente, una ri-fondazione dell’economia e del pensiero economico che quindi
dovrebbe essere:
¾ orientato verso i bisogni della popolazione, in grado cioè di rispondere ai
bisogni umani, materiali e non materiali, elaborati dalla popolazione stessa;
¾ endogeno, cioè sviluppato dall’interno della società che stabilisce i propri
valori e il tipo di futuro da costruire;
¾ autosufficiente, partendo dalla concreta realtà della popolazione, il suo livello
di vita e la sua condizione sociale, fondando i progetti di sviluppo sulle
proprie risorse, sulla potenzialità delle persone, su un ambiente naturale e
culturale spesso da recuperare;
¾ ecologicamente sostenibile, cioè fondato su un uso razionale delle risorse
nella consapevolezza dei loro limiti;
¾ autogestito, basato su trasformazioni strutturali per realizzare le condizioni
che porteranno all’autogestione e alla partecipazione di tutti al processo
decisionale.
Questi concetti si ritroveranno espressi più volte nel lavoro qui di seguito, basato
sullo sviluppo di una zona rurale partendo proprio dai bisogni della popolazione,
dalle caratteristiche del territorio in esame, con le sue potenzialità e i suoi limiti,
cercando di sviluppare, e quindi promuovere una miglioria all’ambiente
nell’accezione più ampia e complessa del termine.
Uno sviluppo primariamente economico, quindi, ma anche sociale ed ambientale
per coinvolgere non solo tutti gli strati della popolazione, ma tutte le sfere della vita
di un individuo.
Consapevoli delle parole dell’economista premio Nobel Samir Amin, che dice che
“il vero problema per il continente africano è rilanciare lo sviluppo, e tutto questo
può accadere non solo con l’aggiustamento delle esigenze del sud del mondo sulle
mire espansionistiche del nord, ma in maniera multilaterale, che permetta quindi
aggiustamenti da parte degli stili di vita del nord”, non possiamo certo garantire
uno sviluppo su tutti i fronti con un solo progetto di carattere rurale nel villaggio di
Tabagne, ma la tendenza a progettare e pensare con la popolazione come soggetto,
e non solo come oggetto del lavoro, può sicuramente aiutare a rendere l’allocazione
delle risorse, di tutte le risorse, più efficiente e meglio sfruttabili da tutti i soggetti
coinvolti.
Il cammino sarà lungo, ma almeno è cominciato.
11
I. INTRODUZIONE
La conoscenza è come un tronco di Baobab,
non si può da soli abbracciarla.
Detto africano
13
1.1 Dati statistici generali.
La Costa d’Avorio è uno stato dell’Africa occidentale sub sahariana, la sua superficie
è di 322.436 Km
2
, pari circa a quella italiana, con una popolazione nazionale di
16,4 milioni di abitanti ed un tasso di popolazione urbana pari a circa il 50%. La
capitale amministrativa è Yamoussoukro, centro fisico del Paese nonché villaggio
natale del primo presidente della Costa d’Avorio, Houphouët-Boigny, con 190.000
abitanti, mentre la capitale economica del Paese rimane Abidjan, città portuale con
2,5 milioni di abitanti. Altre città consistenti dal punto di vista della popolazione
sono Bouakè (460.000 abitati) sita nel centro del Paese, e Daloa (170.000 abitanti),
nella regione del Centr-Ovest. Le dimensioni delle città suggeriscono, quindi,
l’esistenza di un tessuto urbano frammentato, soprattutto lungo la costa e le
direttrici dei principali fiumi a carattere permanente (Figura 1.2), e non
tradizionalmente concentrato in una sola città, come invece avviene in molte altre
realtà africane. Questo sottolinea che i problemi dell’urbanizzazione, comunque
presenti anche se non esistono città sconfinate, non sono concentrati in pochi
contesti, ma in una miriade di situazioni, difficilmente schematizzabili e che
possiedono ognuna una propria particolare identità complessa da comprendere e
quindi anche da risolvere.
La lingua ufficiale è il francese anche se all’interno dello Stato si registrano ben 67
differenti gruppi etnici con altrettante lingue. La divisione religiosa vede invece il
38% di animisti, il 32% di cattolici e il 30% di musulmani con una prevalenza di
questi ultimi nel nord del Paese e dei cattolici al sud.
La Costa d’Avorio appare sull’atlante geografico come un quadrilatero regolare,
leggermente allungato, posta fra 4°30 e 10°30 latitudine Nord, che si affaccia a sud
al Golfo di Guinea per circa 550 Km di cui più di 300 di lagune che ne impediscono
il facile approdo alla costa. La Costa d’Avorio confina poi a nord con la Burkina Faso
e il Mali, a est con la Liberia e la Giunea e a ovest con il Ghana (Figura 1.1).
Figura 1.1: Bandiera ivoriana.
14
Figura 1.2: Mappa della Costa d'Avorio.
Le sue risorse sono: gas naturale, petrolio, diamanti, manganese, ferro, oro, cobalto,
bauxite, rame, con piccole percentuali sul totale delle estrazioni mondiali. Oltre alle
attività estrattive, non molto rilevanti in percentuale sia mondiale che nazionale,
la Costa d’Avorio può contare su elevate produzioni agricole, soprattutto caffè e
cacao, di cui rimane il primo produttore ed esportatore mondiale. L’uso del suolo
viene diviso fra terreno arabile (8%), colture permanenti (4%), pascoli permanenti
(41%), foresta tropicale e boschi (22%) con una superficie irrigua di soli 730 Km
2
.
Oltre a far parte delle principali agenzie internazionali riconosciute, la Costa
d’Avorio è membro anche della CEDEOA (Communité économique des Etats de
l’Afrique de L’Ouest) e della UMEOA (Union monetaire et économique de l’ouest-
africaine).
CEDEOA (anno di fondazione 1975) UMEOA (anno di fondazione 1994)
Benin; Burkina Faso; Capo Verde; Costa
d’Avorio; Gambia; Ghana; Guinea;
Guinea Bissau; Liberia; Mali; Niger;
Nigeria; Senegal; Sierra Leone; Togo.
Benin; Burkina Faso; Costa d’Avorio;
Guinea Bissau; Mali; Niger; Senegal;
Togo.
15
Tabella 1.1: Dati statistici generali dei Paesi UMEOA.
HDI
Pop.
Totale
Pop.
Urbana
Densità Sup. Pop. 2015
Benin
0.420 6.272 42 56 112.620 9.448
Burkina Faso
0.325 11.353 17 42 274.000 18.509
Costa d’Avorio
0.428 16.013 48 50 322.460 21.539
Guinea Bissau
0.349 1.199 32 33 36.125 1.727
Mali
0.386 11.351 30 9 1.240.190 17.657
Niger
0.277 10.832 21 9 1.267.000 18.482
Senegal
0.431 9.421 47 48 196.720 13.516
Togo
0.493 4.527 33 80 56.790 6.576
T. nat T. mor
T. mor.
Inf
Sp. vita Ab/medici H
2
O pot.
Benin
43 13 88 53 17.544 63
Burkina Faso
47 18 99 45 29.411 np
Costa d’Avorio
36 15 89 48 11.111 77
Guinea Bissau
45 20 131 44 6.024 49
Mali
50 18 130 51 21.276 65
Niger
55 21 136 44 28.571 59
Senegal
39 13 62 52 13.333 78
Togo
40 14 83 51 13.158 54
T.CR T.CR
PIL
tot
PIL p.c.
(70-90) (00 -15)
CO
2
ab POS
Benin
2.168 346 2,8 3 0,03 158
Burkina Faso
2.192 190 2,5 2,5 0,02 169
Costa d’Avorio
9.370 585 4,4 2,4 0,25 156
Guinea Bissau
215 180 2,6 2,4 0,05 167
Mail
2.298 202 2,6 2,6 0,01 164
Niger
1.826 169 3,2 3,5 0,03 172
Senegal
4.371 464 2,9 2,5 0,1 154
Togo
1.219 269 2,7 2,8 0,05 141
Fonte: UNCTAD – CNUCED; Manuale di statistica; New York, Ginevra, 2002.
16
Legenda: Tabella 1.1
Abbreviazione Spiegazione Unità di misura
HDI Indice di Sviluppo Umano (2000) 0 < HDI < 1
Pop totale Popolazione totale Migliaia di abitanti
Pop urbana Popolazione urbana Tasso % sulla pop. totale
Densità Abitanti per superficie unitaria Abitanti per Km
2
Sup. Superficie nazionale Km
2
Pop 2015 Proiezione popolazione 2015 (FAO) Migliaia di abitanti
T. nat Tasso di natalità % su 1000 abitanti
T. mort Tasso di mortalità % su 1000 abitanti
T. mort. inf Tasso di mortalità infantile % su 1000 nati vivi
Sp. vita Speranza di vita Anni
Ab/medici Abitanti per medici Numero
H
2
O pot Disponibilità di acqua potabile % sulla popolazione totale
PIL tot Prodotto interno Lordo (2000) Milioni $ USA
PIL p.c. Prodotto interno lordo pro capite (2000) $ USA
T cr (70 – 90) Tasso di crescita del PIL70 - 90 %
T cr (00 – 15) Tasso di crescita del PIL 00 - 15 %
CO
2
ab Emissioni di CO
2
per abitante Tonnellate / abitante
POS Posizione nella classifica HDI (2000) Su 173 Paesi ONU
La Costa d’Avorio deve le sue ricchezze economiche al passato periodo di fortissima
esportazione di prodotti agricoli di origine tropicale, soprattutto legno pregiato,
caffè e cacao, che hanno permesso alla Nazione di raggiungere elevati standard di
ricchezza se confrontati con la regione. Anche se con moltissime difficoltà dovute
alla situazione geopolitica nazionale attuale, con forte instabilità politica, sociale ed
economica, la Costa d’Avorio assicurava a più di 5 milioni di persone (1/3 della
popolazione nazionale) cittadinanza e lavoro in piantagioni di caffè o di cacao.
Questo spiega l’elevato valore di esportazioni e importazioni, in volume e in valore,
che la Costa d’Avorio riesce a sostenere rispetto agli altri partners dell’UMEOA.
17
Tabella 1.2: Alcuni indicatori di sviluppo dei Paesi UMEOA.
T. pri T. sec
T. sec
(%fem)
T. ter T. alf
T. alf
(%fem)
Benin 84 21 42 3 63 44
Burkina Faso 42 10 55 np 76 34
Costa d'Avorio 78 23 48 7 53 59
Guinea Bissau np np 44 np 62 33
Mali 53 14 50 2 59 25
Niger 31 7 56 np 84 33
Senegal 70 20 60 4 63 53
Togo 60 33 35 4 43 49
Tel.
Tel.
mob
Cmp. Int. TV
Inv.
Benin 0,9 19 2 4 43 85
Burkina Faso 0,5 6 1 2 12 45
Costa d'Avorio 1,8 45 6 4 55 296
Guinea Bissau 0,3 7 np 3 np np
Mali 0,4 4 1 3 14 56
Niger 0,2 0 1 1 37 np
Senegal 2,5 40 19 10 40 239
Togo 1 20 21 11 33 47
Fonte: UNCTAD – CNUCED; Manuale di statistica; New York, Ginevra, 2002.
Legenda, tabella: 1.2
Abbreviazione Spiegazione Unità di misura
T. pri Tasso di scolarizzazione primaria Numeri di iscrizioni
T. sec Tasso di scolarizzazione secondaria Numeri di iscrizioni
T. ter Tasso di scolarizzazione terziaria Numeri di iscrizioni
T. alf Tasso di alfabetizzazione % sul totale della pop.
Tel Linee telefoniche Numero su 1000 abitanti
Tel. mob. Telefoni mobile Numero su 1000 abitanti
Cmp. Computer Numero su 1000 abitanti
Int Connessioni internet Numero su 1000 abitanti
Inv. Investimenti nel settore comunicazioni Milioni di $ USA (97 - 00)
19
II. LA STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE
Ma perché, con tanti mondi più evoluti,
io sono dovuta nascere proprio in questo?
Quino, Mafalda
21
Per quanto riguarda la popolazione, africana in generale e ivoriana nello specifico,
il suo ritmo di crescita, estremamente lento fra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo, ha cominciato a registrare tassi medi dell’1% per poi aumentare al 2% a
partire dagli anni ’50 per incrementarsi ulteriormente con tassi del 3% e registrare
delle punte del 4% in alcuni Paesi, raddoppiando la popolazione solamente in un
ventennio. Nel corso del XX secolo il continente nero ha visto la sua popolazione
crescere di un fattore 6.5 mentre l’Asia, nello stresso periodo, è cresciuta
“solamente” di un fattore 4. Nemmeno le Americhe dello scorso secolo, che pure
hanno registrato fortissimi tassi di immigrazione da tutto il mondo, hanno mai
registrato tassi di crescita di questa portata. Anche se il dato riportato rappresenta
una media in una terra ricca di contrasti e di disomogeneità fra le diverse zone del
continente, rimane evidente il problema della scarsità delle risorse e di come la loro
gestione sia strategica qui più che altrove, vista la fortissima pressione demografica
unita ad un basso tenore di sviluppo e di benessere.
Il ruolo della politica economica e dell’economia politica, nonché di governi e
istituzioni nazionali e internazionali, sarà strategico nel breve periodo per
determinare la strada dello sviluppo africano.
2.1 Crescita demografica e modelli culturali.
Ma come mai nel continente si registrano tassi di crescita così elevati? Per spiegare
il fenomeno si è spesso ricorso al concetto di inferiorità della condizione della donna
africana a sud del Sahara; l’elevata fecondità (anche 7-8 figli per donna senza
nessun grado di istruzione; 5-6 figli per donna con istruzione superiore, comunque
una media elevata e poco condizionata dal grado di istruzione femminile come
avviene in occidente; la media della Costa d’Avorio è di 5.7 figli per donna)
potrebbe essere una reazione al pesante carico di lavoro previsto per le donne nelle
società, soprattutto rurali, dell’Africa sub sahariana visto che essi potrebbero
costituire giovane forza lavoro per sollevare la madre dai compiti più gravosi.
Questa motivazione, comune fra capi di stato e di governo africani, mi sembra
troppo debole, seppur verissima, per giustificare tassi di natalità così elevati,
soprattutto se si pensa al miglioramento, timido ma continuo, che il continente ha
registrato in campo medico, igienico e sanitario con una riduzione della mortalità
infantile ed un aumento della speranza di vita.
Coldwell, invece, individua uno spartiacque fra l’elevato regime di fecondità dei
Paesi in via di sviluppo e il modesto tasso di natalità delle Nazioni più ricche.
Secondo Coldwell la limitazione della fecondità trova la sua ragione nel non avere,
o avere, vantaggi economici. Nel primo caso, tipicamente africano, la società non
ha capitali da trasmettere da una generazione all’altra, mentre in società che hanno
capitali, la frammentazione di questi beni fra i figli rappresenterebbe, secondo
Coldwell un freno economico più di qualsiasi pianificazione statale delle nascite.
Al contrario, nel continente nero, soprattutto nelle realtà rurali ed agricole, non solo
non vi sono capitali economici da dividere, ma il flusso della ricchezza si muove in
senso contrario, dai giovani agli anziani, con i primi che sono gli unici, con il loro
lavoro, a mantenere i pochi vecchi saggi del villaggio. Aumentare la prole, conclude
Coldwell, significa, potenzialmente, avere garantita una vecchiaia dignitosa, almeno
per chi riesce a raggiungerla.
22
2.2 La distribuzione della popolazione e il sovraffollamento delle città.
A un secolo dalla generalizzata colonizzazione del continente, le differenze nella
distribuzione della popolazione sono ancora notevoli e non possono essere spiegate
se non ricorrendo al passato pre coloniale. La carta demografica dell’Africa si
trasforma continuamente: ovunque si registrano emigrazioni dalle zone rurali a
quelle urbane o dove si concentrano forti poli di sviluppo.
È il caso della bassa Costa d’Avorio dove dagli Stati vicini si sono spostati milioni di
persone sino a far diventare la Costa d’Avorio il primo Paese al mondo per
percentuale di immigrati sul totale della popolazione nazionale. Ma questi
cambiamenti non hanno mai cancellato le disuguaglianze interne al continente. La
popolazione non si è mai distribuita a macchia d’olio su tutto il continente ma
piuttosto a formicaio, o macchia di leopardo, in alcune zone favorevoli dal punto di
vista climatico e pedologico, o dove più facili sono le possibilità di comunicazione,
dove quindi la produzione agricola, la disponibilità di materie prime e il
conseguente sviluppo economico potevano dare più sicurezza e aspettative di vita
migliore.
Non possiamo esimerci dal domandarci se questa situazione di squilibrio, ora
presente in tutta la sua drammaticità anche all’interno della stessa nazione con la
forte migrazione interna verso i grandi poli urbani africani, potrà durare ancora a
lungo senza provocare forti tensioni nel continente.
In Costa d’Avorio, ad esempio, con lo scoppio degli scontri del 1999 e del 2002 la
popolazione locale ha cominciato a cacciare, con il pretesto dell’”ivoirté”
(l’ivorianità, cioè della popolazione ivoriana pura e senza intrecci con le
popolazioni vicine) i burkinabè, i senegalesi e i liberiani rendendo incandescente
una situazione già difficile e delicata. L’Africa è sempre stata attraversata da flussi
migratori interni; quasi ogni etnia conserva il ricordo del tempo in cui viveva
altrove. Né la colonizzazione né l’indipendenza hanno messo fine a questo
fenomeno. L’elemento nuovo è che le frontiere hanno introdotto una rigidità che un
tempo non esisteva facendo emergere molti nazionalismi spietati. Ogni giorno di
più, i nuovi Stati (quanto quelli della vecchia Europa) diventano degli spazi
economici che accettano gli emigranti nei periodi di prosperità, ma che tendono a
respingerli allorché sopravvengano momenti difficili. La crescita demografica
impone che si riscriva la carta demografica del continente. Le grandi città, che
prima del 1960 erano solo tre e contavano meno di 500mila abitanti l’una, ora
contengono il 38% della popolazione africana per rappresentare il 55% della
popolazione nelle proiezioni FAO del 2030.
La Costa d’Avorio si colloca ben al di sopra di questa media continentale con il 48%
della popolazione stanziata nelle città, principalmente la capitale economica del
Paese Abidjan dove il porto e le industrie richiamano, senza quasi mai assorbire in
modo definitivo, la forza lavoro da tutto il Paese.
Per capire questa elevatissima migrazione interna bisogna rendersi conto di quali
“attrattive” offra la città africana, o meglio la conurbazione urbana africana,
sull’abitante delle zone rurali. La città è il luogo della libertà, dove ci si può sottrarre
alle costrizioni che l’ambiente tradizionale con le sue regole impone agli abitanti. La
maggioranza delle società rurali africane erano e sono molto costrittive,
caratterizzate da un forte spirito comunitario che pone in secondo piano l’individuo
stesso. Nelle società rurali africane il bene della comunità e i suoi obiettivi vengono
prima dell’individuo che è soggetto a regole e rigide sanzioni se non vi si conforma.
L’anonimato della città garantisce la possibilità di godere di un certo numero di
piaceri, alcuni dei quali sono gratuiti, e offre la possibilità, se non di comportarsi a
23
proprio piacimento, almeno di avere un margine di libertà molto maggiore. La città
rappresenta inoltre agli occhi degli abitanti delle comunità rurali la possibilità di
usufruire di un certo numero di servizi, significa mandare i propri figli a scuola e
farli avanzare nella gerarchia sociale, ottenere cure mediche migliori di quelle che
si potrebbero avere nei villaggi.
Al tempo stesso, però, la città, di qualsiasi dimensione, la sua struttura e la sua
organizzazione impersonale rispetto alla realtà dei villaggi, assicura la certezza di
sopravvivere, non certo di vivere: questo forse è l’unico freno all’indebolimento
continuo della società tradizionale che vede nella città il suo principale nemico. La
città rappresenta la certezza di sopravvivere in caso di crisi alimentari: è nelle città,
infatti, che arrivano gli aiuti alimentari dai paesi ricchi, mentre nelle aree più
remote, che maggiormente necessiterebbero, l’arrivo è sempre più aleatorio. Anche
se i dirigenti africani cercano di frenare questo flusso continuo dalle campagne alle
città, cercando di gestire gli innumerevoli problemi che tale flusso comporta in
termini di sicurezza alimentare, sanitaria e di gestione dell’espansione urbana, la
popolazione continua a gonfiare i sobborghi di moltissime metropoli africane
attirata dalla speranza di trovare una fonte di reddito migliore. Ma alla periferia
delle immense città africane esiste e si moltiplica sempre più una popolazione “ai
margini”, che vive nella miseria, alloggiata in bidonvilles che non offrono nemmeno
le condizioni minime delle abitazioni rurali e non ha a disposizione il quantitativo
di calorie minimo sufficiente per poter lavorare. Tuttavia gli abitanti delle
bidonvilles non pensano di andare via dalle città e ritornare nelle campagne.
Sebbene la percentuale di poveri sia più alta nelle campagne che in città, in questo
periodo è proprio nelle grandi città del sud del mondo che si registrano le maggiori
crescite di povertà.
I consumatori urbani più poveri, scrive la FAO, spendono dal 60 all’80% del loro
reddito per il cibo, rendendosi quindi più vulnerabili all’aumento di prezzi dovuto
ai costi di trasporto o ai regimi di monopolio da parte delle potenti categorie di
commercianti, molto presenti in Africa. Inoltre, è importante sottolineare che la
popolazione urbana spende in media il 30% in più rispetto alle aree rurali per
procurarsi il cibo, si capisce quanto sia importante cercare di avere delle
pianificazioni nazionali che tentino di sviluppare l’agricoltura periurbana ed
urbana.
Ancora, i poveri sono l’ultimo anello di una catena alimentare umana che li vede
esposti a prodotti scadenti, essendo gli ultimi a poter scegliere gli alimenti da
consumare, non avendo a disposizione elevati redditi. Nelle città, una considerevole
quota di questi pasti, viene distribuita nelle strade a poco prezzo a parziale
vantaggio delle comunità più povere. Il cibo venduto nelle strade è utile soprattutto
ai più poveri, che non hanno il tempo e gli utensili per cucinare. Il cibo nelle strade,
poi, rappresenta un importante fonte di occupazione, specialmente per le donne;
talvolta è meno costoso di quello preparato a casa e può essere altamente nutritivo.
Per contro i venditori raramente dispongono di servizi igienici e di acqua potabile,
e questo mina una sicurezza alimentare già scadente in partenza. La sicurezza
alimentare nelle zone urbane, a causa dell’elevata concentrazione di individui, desta
grave preoccupazione dove trattamenti di refrigerazione insufficienti o inadeguati
possono portare sul mercato cibi adulterati o contaminati, soprattutto in climi
difficili come quelli della fascia tropicale africana.
Entro il 2005, avvisa la FAO, più della metà della popolazione mondiale vivrà in
zone urbane densamente popolate e il sistema di approvvigionamento alimentare
per garantire una distribuzione del cibo sicura, efficiente ed economica, arriverà ad
24
un punto di rottura, soprattutto nei Paesi africani. Le difficoltà di conciliare
domanda sempre crescente ed offerta calante, visto lo svuotamento delle campagne
e l’alto prezzo delle materie prime agricole, e i problemi legati al trasporto, alla
conservazione e ai mercati, provocano perdite umane e aumento dei prezzi. La
produzione di cibo nelle città migliorerebbe la situazione, ma i contadini non
hanno a disposizione terre, acqua, conoscenze tecniche e consulenze a sufficienza.
Nella maggior parte del continente la produzione di generi alimentari non cresce
quanto il numero della popolazione. L’Africa è costretta a importare quantità
sempre maggiori di generi alimentari, oppure, quando ne ha i mezzi, a fare ricorso
agli aiuti internazionali. Allorché le importazioni e gli aiuti alimentari vengono
meno, si produce un’acuta situazione di carestia ad aggravare il quadro già fosco
della zona.
Grafico 2.1: Disponibilità di suolo coltivabile per persona 1989 – 2015.
Fonte: FAO, 2001.
Ancora, nel continente il volume dei prodotti agricoli esportabili sta diminuendo,
dopo un periodo di forte espansione, e l’agricoltura produce sempre meno valuta
estera in economie che ne sono sempre in cerca. In aree sempre più estese del
continente la produzione agricola viene effettuata a spese di un ambiente naturale
che si depaupera ed impoverisce verso il fallimento ecologico dello sviluppo.
2
1
0,4
0,25
0,6
0,8
0,4
1,2
0,8
0,38
0,6
0,4
0,5
0,2
Oceania
CSI
Europa
Asia
Sud America
Nord e Centro America
Africa
S uperficie coltivata per persona (Ha)
2025
1989
25
Grafico 2.2: Uso del suolo agricolo, 86 – 94; Costa d'Avorio.
Fonte: Elaborazione dati FAO.
L’Africa sfrutta le sue terre agricole, i suoi pascoli e le sue foreste come se fossero
delle miniere, minando ancor di più il proprio futuro di Stati (per altro poco)
sovrani dal punto di vista alimentare. Il divario fra coloro che sono ben nutriti e
quelli che non lo sono, fra la condizione delle classi agiate e quelle degli abitanti
delle bidonvilles, tra la situazione di coloro che tradizionalmente detengono il primo
posto nella ripartizione di un nutrimento scarso, cioè gli uomini e i giovani di sesso
maschile, e quella di coloro che vengono al secondo posto, ovvero le donne e i
bambini, senza dubbio oggi è maggiore di quanto sia mai stato in passato. Nel 1960
la malnutrizione era già presente nel continente e la crescita demografica ne ha
accompagnato l’espansione sino ai giorni nostri.
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