5
A norma dell’art. 87, 11 co., Cost., il Presidente
della Repubblica, infatti, può concedere la grazia e
commutare le pene, esercitando un’attribuzione che
incide nella fase dell’esecuzione della pena, con
effetti eliminativi o riduttivi della sanzione
irrogata in casi singoli e individuali
2
.
L’evoluzione del sistema penale verso forme di
esecuzione alternative alla detenzione in carcere
sempre più sottoposte a un controllo giurisdizionale,
ha portato a dubitare della perdurante funzione
dell’istituto della grazia per temperare il rigore
della sanzione penale, specie se restrittiva della
libertà personale. A tali dubbi si aggiunge la
diffidenza manifestata verso l’esercizio di questo
potere ritenuto dotato di una troppo ampia
2
Cfr. Reali R., voce “Grazia (diritto penale)”, in
Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XV, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1989, p. 3 ss.
6
discrezionalità, potendo essere diretto solo in favore
di pochi privilegiati
3
.
Nella sua forma moderna, l’istituto della grazia si
delinea all’epoca delle monarchie assolute dell’età
moderna: essa figurava tra le prerogative regie di
intervento con atti generali e particolari
nell’esercizio di tutte le funzioni pubbliche dello
Stato, ivi compresa la facoltà di correggere e
rivedere le sentenze dei giudici
4
. L’avvento dei regimi
costituzionali segnò alcuni significativi cambiamenti;
in Italia essi vennero recepiti nello Statuto
albertino
5
, dove all’art. 8 si affermava che “Il Re può
far grazia e commutare le pene”. L’articolo in esame
3
Sul punto si veda Guiglia G., “Spunti e interrogativi
sull’esercizio del potere di grazia”, in Quaderni
costituzionali, 1985, pp. 575-576.
4
Cfr. Zagrebelsky G., voce “Grazia (dir. cost.)”, in
Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, Giuffré, 1970,
p. 757 ss.
5
Promulgato il 4 marzo 1848 dal Re di Sardegna, Carlo
Alberto, destinato poi a diventare lo Statuto del Regno
d’Italia.
7
non menzionava in alcun modo i correlativi poteri di
indulto e di amnistia, né di essi vi era traccia negli
altri articoli dello Statuto, anche se comunemente si
riteneva che fossero ricompresi nella prerogativa
regia di usare clemenza in conformità alle
consuetudini vigenti in materia presso le altre
nazioni europee a governo costituzionale
6
.
Tutta la materia degli atti di clemenza ha subito
sostanziali trasformazioni con l’entrata in vigore
della nuova Costituzione repubblicana il 1° gennaio
1948. Una prima significativa modifica ha riguardato
l’esplicita affermazione della natura di atto politico
dei provvedimenti di amnistia e di indulto (art. 79
Cost.); la competenza in materia conserva così in capo
al Presidente della Repubblica una delle più antiche e
6
Soltanto nel 1865, con l’emanazione del nuovo codice
di procedura penale approvato con R. D. 26 novembre 1865,
la materia fu regolata sotto il profilo procedurale,
stabilendo all’art. 830 che “L’amnistia si concede per
decreto reale sopra proposta del Ministro di Grazia e
Giustizia udito il Consiglio dei Ministri”.
8
originarie attribuzioni della sovranità e si collega,
nella previsione del testo originario dell’art. 79
Cost., al conferimento al Capo dello Stato anche della
competenza a concedere i provvedimenti collettivi di
clemenza, l’amnistia e l’indulto, ma solo su legge di
delegazione delle Camere.
Un potere così configurato costituisce una forma di
partecipazione diretta del Capo dello Stato
nell’amministrazione della giustizia lato sensu,
soprattutto in considerazione del fatto che la lettera
dell’articolo in questione è rimasta pressoché
identica a quella del vecchio Statuto albertino,
nonostante le differenze formali e sostanziali tra la
figura del Capo dello Stato quale appare dalla nuova
Costituzione e quella del monarca che riassumeva in sé
i tre poteri dello Stato
7
.
7
Cfr. Falzone V., Palermo F., Cosentino F. (a cura di),
La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i
lavori preparatori, Milano, Mondadori, 1976, p. 265.
9
La recente modifica costituzionale dell’art. 79,
avvenuta con legge costituzionale n. 1 del 1992, ha
infine concentrato la competenza per l’amnistia e
l’indulto esclusivamente nelle mani del Parlamento,
escludendo ogni forma di intervento presidenziale.
Si vengono così a distinguere nettamente i
provvedimenti collettivi di clemenza, che costitui-
scono determinazioni di indirizzo politico in materia
penale, dal provvedimento individuale di grazia, la
cui logica e la cui ratio vanno invece ricondotte alla
tutela dell’equità, alla realizzazione della
cosiddetta giustizia del caso singolo
8
, e che
consentono l’apprezzamento di quelle circostanze
individuali che sfuggono o persino contraddicono
l’applicazione della norma generale o astratta
9
.
8
Cfr. Quintavalle R., “Il potere di grazia secondo
prassi e consuetudini costituzionali. La sua attualità nel
vigente sistema penale”, in Cass. penale, 2001, p. 3241 ss.
9
Cfr. Selvaggi E., voce “Grazia (diritto
costituzionale)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol.
10
Per la sua funzione intrinseca, l’atto di grazia
conserva l’impronta originaria del potere di
prerogativa spettante al Presidente della Repubblica,
potere inteso non come indipendente dal suo
riconoscimento in Costituzione, ma come
un’attribuzione insuscettibile di limiti giuridici
sostanziali nell’esercizio e di cui non è possibile né
una disciplina legislativa delle modalità di
esercizio, né un controllo giurisdizionale se non
relativamente ai requisiti formali
10
.
Tale osservazione sembra, però, contraddetta dal
disposto dell’art. 89 Cost., il quale stabilisce che
“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido
se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne
XV, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani,
1989, p. 1 ss.
10
Cfr. Quintavalle R., “Il potere di grazia secondo
prassi e consuetudini costituzionali. La sua attualità nel
vigente sistema penale”, in op. cit, p. 3243.
11
assumono la responsabilità”
11
. Tuttavia, l’opinione che
per ogni atto del Presidente della Repubblica sia
necessaria una proposta ministeriale deriva da una
interpretazione restrittiva dell’art. 89, peraltro
ampiamente smentita dalla prassi che si è venuta
formando a riguardo.
È stato, infatti, osservato che esistono degli atti
del Presidente della Repubblica per i quali è
inconcepibile la possibilità di una proposta
ministeriale, come per esempio i messaggi alle Camere,
il loro scioglimento, le dimissioni del Presidente,
atti tutti compiuti senza nessun riferimento a una
proposta ministeriale.
11
Non è mancato chi ha osservato che la dizione
dell’art. 89 Cost. “ministri proponenti” sia l’effetto di
una svista della Commissione che aveva elaborato
l’articolo, volendo, al contrario, riferirsi ai “ministri
competenti”, svista, poi, confluita nel testo definitivo
approvato dall’Assemblea Costituente.
12
L’articolo in questione andrebbe, quindi, letto nel
senso che gli atti del Presidente della Repubblica
vanno controfirmati dal ministro proponente laddove
una proposta vi sia stata, e dal ministro competente
in tutti gli altri casi
12
.
12
Cfr. Camerini G., La grazia, la liberazione
condizionale e la revoca anticipata delle misure di
sicurezza, Padova, Cedam, 1967, p. 15.
13
I.2. Fondamento e finalità della grazia
Da un’analisi storica degli istituti attraverso i
quali si è espressa la potestà di clemenza, quali
amnistia, indulto e grazia, è possibile rilevare sin
da subito la sua polivalenza, cioè la sua
utilizzazione per i fini più diversi: quale strumento
di politica per ricostruire le basi di un nuovo tipo
di convivenza dopo un periodo di lacerazioni del
tessuto sociale
13
, quale strumento di giustizia
astratta
14
o di personalizzazione della pena, quando
l’espiazione della pena appare inidonea a perseguire
il suo fine o, addirittura, rispetto a esso
controproducente
15
.
13
Come i decreti di amnistia del 22 dicembre 1922 e del
17 novembre 1945.
14
Riguarda i casi di clemenza usata verso coloro il cui
sentimento di giustizia non tollererebbe la punizione in
sede penale, come l’amnistia studentesca e sindacale del 22
maggio 1970.
15
Cfr. Selvaggi E., “Una storia infinita: la grazia a
Curcio”, in op. cit., p. 786.
14
L’esercizio del potere di clemenza può non essere
dettato da un giudizio di inopportunità politica circa
l’applicazione in concreto della legge, ma implicare
invece o un giudizio di ingiustizia o inopportunità su
una condanna, o un giudizio circa l’avvenuta
realizzazione del fine della pena, o, ancora, un
giudizio di inopportunità circa l’esecuzione di una
pena in concreto.
In tutte queste ipotesi il potere di clemenza si
esprime nelle forme della clemenza speciale, cioè
della grazia. È, tuttavia, evidente che un uso
ripetuto e costante di questo potere con riferimento a
casi omogenei, può costituire sintomo della necessità
od opportunità di operare un adeguamento della
legislazione vigente
16
.
16
Cfr. Gianturco V., “Forma e contenuto della potestà
di clemenza: la grazia quale supplementum iustitiae”, in
Rivista di polizia, 1973, p. 37.
15
Nella sua evoluzione storica l’istituto è stato al
centro di un complesso dibattito circa la sua
opportunità giuridica: c’è stato, da un lato, chi ha
ritenuto che, in una legislazione equa e perfetta, il
potere di concedere grazie rappresenti una tacita
disapprovazione della legge, il cui esercizio si
svolge su un piano di discrezionalità andando così a
scuotere la certezza della legge e la fiducia nella
sua imparzialità; d’altro lato, non è mancato chi ha
considerato con favore l’istituto come uno strumento
di volta in volta utilizzato per correggere le pene
eccessive o errate, per rivalutare i meriti del
delinquente o per mitigare i rigori ingiusti della
legge sul presupposto che nella prassi legislativa non
è possibile contemplare un trattamento assolutamente
individualizzato.
La grazia si configura, quindi, come un intervento
eccezionale, che introduce una deroga ai principi
costituzionali in materia penale di legalità, di
16
certezza del diritto, di proporzionalità tra pena e
danno sociale, e della stessa qualificazione della
pena in funzione rieducativa
17
.
Sulla base dell’esperienza storica, può ormai
accettarsi come dato acquisito la tendenziale
polivalenza del potere di grazia e la concreta
pluridirezionalità del suo uso. Tuttavia, è possibile
approssimativamente indicare una duplice finalità
verso cui può essere orientato l’esercizio del potere
di grazia.
In primo luogo, il potere di grazia può
rappresentare un correttivo al rigore della legge
oppure una sua integrazione sul piano criminologico;
in questo caso la finalità dell’istituto è
predeterminata in via generale.
17
Cfr. Zagrebelsky G., Amnistia, indulto e grazia.
Profili costituzionali, Milano, Giuffrè, 1974, p. 5 ss.
17
Un esercizio del potere di grazia con questa
finalità comporta un inevitabile ancoraggio ai
principi di certezza del diritto e al principio di
uguaglianza, una progressiva tendenza alla
procedimentalizzazione dell’istituto, un puntuale
riferimento al reato commesso, alla personalità del
reo, al suo recupero
18
, all’esecuzione della pena e a
tutti gli elementi intrinseci al rapporto tra lo Stato
e chi è soggetto alla potestà punitiva
19
.
Da una diversa prospettiva, l’istituto della grazia
può presentarsi esclusivamente con finalità politiche;
in questo caso, il dato caratteristico è costituito
proprio dall’assenza di finalità determinabili in via
18
In conformità a quanto stabilito dall’art. 27, 3°
co., Cost., dove si afferma che le pene “devono tendere
alla rieducazione del condannato”, nel senso di una sua
tendenziale risocializzazione. Cfr. Guiglia G., “Spunti e
interrogativi sull’esercizio del potere di grazia”, in op.
cit., p. 576.
19
Cfr. Selvaggi E., “Una storia infinita: la grazia a
Curcio”, in op. cit., p. 785 ss.
18
preventiva e astratta
20
. Una simile concezione
dell’istituto ha trovato nella prassi numerosi
riscontri, ma è stata anche all’origine di vivaci
polemiche dottrinali.
20
Sul punto cfr. Quintavalle R., “Il potere di grazia
secondo prassi e consuetudini costituzionali. La sua
attualità nel vigente sistema penale”, in op. cit., p. 3241
ss.; Guiglia G., “Spunti e interrogativi sull’esercizio del
potere di grazia”, in op. cit., p. 579.