2
Introduzione
1. La riflessione grammaticale nell’antichità
La querelle analogia/anomalia nasce in un preciso momento della riflessione
grammaticale dell’antichità. Un breve riepilogo delle principali linee di
sviluppo può essere utile ai fini di una migliore contestualizzazione di tale
polemica nei suoi termini originali, e funzionale all’inquadramento del
contributo specifico di Marziano.
Si possono riportare gli inizi dell’indagine sulla lingua come “scienza dei
segni”
1
nella Grecia del IV-V secolo a.C.: non si tratta di uno studio
sistematico delle forme, ma di un fatto eminentemente retorico-stilistico,
affermatosi come discussione filosofica sull’origine della lingua. Uno dei
principali protagonisti fu il filosofo Protagora di Abdera, il quale ritiene la
lingua nata per convenzione umana, come frutto di una norma concordemente
riconosciuta e stabilita dalla comunità associata (θέσει). A questo
orientamento si contrappone l’indirizzo di pensiero che considera la lingua
come un prodotto spontaneo, liberamente originatosi nei rapporti del genere
umano e naturalmente regolato da leggi proprie (ϕύσει).
Dopo Protagora, apportò contributi fondamentali allo studio della disciplina
linguistica
2
Platone: nel Cratilo, la posizione dell’omonimo filosofo eracliteo
del V secolo, secondo il quale è impossibile pervenire all’essenza naturale
delle cose attraverso il linguaggio (in ragione della mancata corrispondenza
parola/cosa), è corretta da Platone, che invece ritiene il nome una fedele
riproduzione sonora dell’essenza delle cose (tesi che sarà poi sostenuta anche
dall’epicureo Lucrezio, V 1028-32).
Ma se per Platone si tratta ancora di una discussione condotta in termini non
strettamente linguistici, è con Aristotele che si passa dalla speculazione
teoretica, di matrice filosofica, alla considerazione dei fenomeni letterari e
linguistici in senso stretto: rovesciando la posizione platonica, Aristotele
1
Da τò γράµµα “segno”, la γραµµατικη τέχνη nasce come teoria dei suoni e delle forme, dedicata all’esegesi e alla critica
dei testi [cf. anche De nuptiis III 229-230].
2
Per una panoramica sulla prima produzione grammaticale in ambito greco e latino, si vedano Della Casa 1984, pp. 41-92 e
Pfeiffer 1973 (=1968), pp. 157-428.
3
sostiene che φύσει των ονοµάτων ουδέν εστιν
3
. La lingua, come espressione
del pensiero organizzato, è passibile di regole convenzionali di
normalizzazione dei fenomeni anomali e si presta allo studio sistematico dei
propri fenomeni.
Si pongono così le premesse per lo sviluppo della tendenza analogista e per
l’analisi delle parti del discorso, tradizionale dello studio grammaticale,
nonché delle regole che sovrintendono alla modifica delle parti variabili del
discorso.
¾ Analogia/anomalia – 1.
Due correnti di pensiero tra Alessandria e Pergamo.
Il III secolo a.C. è caratterizzato dall’attività filologica
4
facente capo a due
centri di conservazione e di recupero dei testi in area mediterranea:
Alessandria d’Egitto e Pergamo
5
.
Patrocinata dalla dinastia ellenistica dei Tolomei, la scuola alessandrina vide
in Apolllonio Rodio, Eratostene di Cirene, Aristofane di Bisanzio e Aristarco
di Samotracia gli esponenti maggiori dell’indirizzo analogista. Fra questi
διδάσκαλοι
6
, Eratostene si attribuì l’appellativo di φιλόλογος; Aristofane
divenne il γραµµατικός per antonomasia, laddove per γραµµατικη τέχνη si
intendeva la filologia pura, comprensiva dell’analisi dei testi e della lingua e
della critica letteraria.
Proprio Aristofane contribuì a evidenziare quel principio di regolarità nei
processi di formazione, flessione e derivazione della lingua che andò sotto il
nome di αναλογία, cui inizialmente non si oppose l’orientamento anomalista
della scuola di Pergamo, animata dalla figura del filosofo Crisippo di Soli,
seguace della dottrina stoica di Zenone secondo il magistero di Cleante, alla
cui morte succedette nella direzione della biblioteca del regno. L’ανωµαλία di
Crisippo, infatti, riguarda la mancanza di corrispondenza che la dottrina stoica
individuava nel rapporto tra parole e cose: i grammatici della scuola
pergamena si definivano, infatti, κριτικοί e, in tal senso, non erano in diretta
3
De interpretatione II 16 a, 27.
4
La produzione grammaticale di questo periodo si colloca all’interno di un’imponente mole di lavori di esegesi, di critica e
di tradizione dei testi fino allora pervenuti, nel segno della ricerca e del riordino del patrimonio letterario dell’antichità, che
contraddistingue l’età ellenistica.
5
Situata in Asia Minore, circa 100 km a nord di Smirne, tra il III e il II secolo a.C. fu la capitale del ricco regno ellenistico
della dinastia Attalide.
6
Maestri di scuola, di trasmissione piuttosto che di produzione di dottrine del sapere letterario e grammaticale.
4
opposizione agli alessandrini, γραµµατικοί in senso stretto, dal momento che
l’indirizzo anomalista era impegnato nel dibattito sull’origine della lingua,
piuttosto che nello studio delle categorie grammaticali propriamente dette.
Anche se ad Alessandria trionfava la concezione della lingua intesa come
istituto convenzionalmente fondato da una comunità di parlanti (θέσει/νόµω) e
diretto da schemi di regolarità costanti, mentre a Pergamo vigeva
l’orientamento opposto, favorevole alla naturalità dell’origine dell’attività
linguistica (φύσει), e al libero verificarsi di neoformazioni o irregolarità (in
nome del principio anomalistico), non sarebbero dovute nascere polemiche
dottrinarie. Le due scuole si ponevano, infatti, su due diversi piani di analisi:
quello filologico-grammaticale, da una parte, e quello critico-etimologico,
dall’altra.
¾ Analogia/anomalia – 2
Da Aristofane di Bisanzio ad Aristarco, da Crisippo a Cratete.
Fu solo con i successori dei primi maestri alessandrini e pergameni che le due
tendenze di riflessione sulla lingua assunsero connotati polemici.
Uno dei discepoli di Aristofane fu Aristarco di Samotracia, vissuto tra gli
ultimi del III e la prima metà del II secolo a.C. Questi, ereditando le dottrine
del maestro, operò una migliore sistemazione delle otto parti del discorso
7
e,
servendosi dell’αναλογία come principio organizzativo, portò l’esperienza
filologica alessandrina a diretto contatto con le dottrine di Pergamo: qui, sotto
il regno di Eumene II (197-158 a.C.), cominciò ad affermarsi la corrente
filosofica di indirizzo stoico che vide in Cratete di Mallo il proprio massimo
esponente. Ad opera di costui, la filologia stoico-pergamena abbandonò
l’ambito più propriamente filosofico da cui aveva avuto origine e si dedicò
quasi esclusivamente agli studi grammaticali, al punto da ottenere il
riconoscimento di supremazia in tale settore disciplinare da parte degli stessi
Alessandrini. Ad Aristarco va riconosciuto il merito della prima sistemazione
grammaticale cui sarà debitore il mondo occidentale, attraverso la figura
dell’allievo Dioniso il Trace, compilatore della Tέχνη γραµµατική in uso dal II
secolo a.C. fino al XIV secolo d.C. Ma fu proprio con Cratete che il nuovo
7
Tale sarà la sistemazione grammaticale che animerà la produzione di maestri successivi, fondamentali per il panorama
romano: fra essi, Dioniso il Trace, Tirannione di Amiso, Asclepiade di Mirlea e Didimo di Alessandria, Aristonico di
Alessandria.
5
concetto stoico di ανωµαλία viene applicato alla morfologia e si scontra
direttamente con il principio opposto dell’αναλογία: la mancata
corrispondenza parola/cosa rilevata dalla filosofia del linguaggio si trasforma
nell’individuazione di asimmetrie morfologiche interne agli stessi processi di
flessione e derivazione. Al principio di regolarità operante nel sistema della
lingua teorizzato dai compilatori di Alessandria, applicato come metodo
correttivo nell’ambito della raccolta e trasmissione del patrimonio letterario
dell’antichità, si viene ora a contrapporre polemicamente il principio
dell’irregolarità e dell’innovazione linguistica che, dal suo originale intento di
preservazione del testo tràdito, in tutti i suoi caratteri di tipicità – dialetti,
licenze poetiche, neologismi, etc.
8
– passa a vero e proprio criterio di analisi
della lingua, andando ad influenzare attivamente le morfologia delle principali
categorie grammaticali.
L’ανωµαλία non è più un puro principio di logica formale, operante come
fatto di osservazione relativo alla distonia tra realia e verba, tra σηµαινόµενον
e σηµα, ma viene applicato da Cratete alla κλίσις, identificata con entrambi i
processi di flessione e di derivazione. Quest’ultima, prima di esclusivo
dominio della grammatica alessandrina, si limitava invece all’analisi dei
processi flessivi. Se ανωµαλία evidenziava l’inconciliabilità tra parole e cose,
con Cratete e gli stoici la grammatica pergamena proclamava invece
l’inaequabilitas declinationum, mentre tale mancata corrispondenza era
limitata dagli analogisti al momento dell’impositio, e non della declinatio
9
.
Ecco allora che, nei casi di lezioni dubbie o corrotte o nelle compilazioni
grammaticali in cui figurassero exempla di autori antichi in disaccordo con le
forme tradizionalmente previste dalle Τέχναι, la grammatica si divideva tra le
due opposte scuole di pensiero: quella alessandrina analogista, propensa alla
normalizzazione della lingua nel rispetto dei canoni e delle forme della
flessione regolare, e quella stoico-pergamena, anomalista, aperta
all’innovazione, in nome della libertà espressiva dell’autore e della costante
evoluzione del mezzo espressivo. Concepito come un essere vivente nel tempo
e nello spazio, il linguaggio è, secondo questa seconda corrente, variamente e
significativamente influenzato dall’usus, che non si presta ad essere fissato
entro i limiti della regola generale.
8
Cf. Collart 1954: Les cas de supplétisme(4), les formes defectives ou aberrantes… (p. 141).
9
Con impositio si intende il momento della formazione delle parole (= homo, come nome latino per l’elemento maschile
della specie umana), mentre con declinatio il successivo processo di trasformazione morfologica operante nelle lingue
flessive (= hominis, homini, hominem…) [cf. passi relativi segnalati da Varrone, qui alle pp. 8ss.].
6
2. Analogia e anomalia a Roma
Gli studi grammaticali furono introdotti a Roma in seguito all’ambasceria con
la quale vi giunse lo stesso Cratete di Mallo, per conto del regno di Pergamo
(169 a.C. ca). A quel periodo viene fatto risalire anche il primo incontro del
mondo latino con la cultura ellenistica in generale: a Roma giunge, dopo la
vittoria di Pidna, la monumentale biblioteca dei re di Macedonia
10
, portata
come bottino di guerra dal vincitore Emilio Paolo; lo stesso sorgere e fiorire
del dibattito filosofico letterario nel cenacolo del figlio Scipione Emiliano
contribuì al diffondersi del gusto e della tradizione del mondo ellenico, nonché
all’ingresso a Roma dei principali esponenti di tale cultura, fra cui, non ultimo,
il filosofo stoico Panezio di Rodi, allievo dello stesso Cratete. Grazie anche al
contributo dello stesso Panezio – che seppe conciliare abilmente lo stoicismo
zenoniano con l’attitudine pratico-politica del mos maiorum
11
– la filosofia
stoica condizionò ben presto il pensiero romano, tanto più dopo l’ambasceria
cui si è accennato sopra. In tale occasione, Cratete tenne alcune lezioni
pubbliche di argomento grammaticale, inaugurando l’ingresso della filologia
nella cultura latina. Conseguentemente all’influenza stoico-pergamena,
pertanto, la stessa disciplina grammaticale si presentò originariamente come
sussidiaria agli interessi della filosofia e alla critica letteraria, e lo stesso
dibattito tra le due opposte scuole di pensiero degli analogisti e degli
anomalisti ne fu condizionato.
In ambito stoico la dialettica, come espressione della realtà che indaga, faceva
in modo che la disciplina grammaticale stessa non venisse adottata come
finalità ultima, ma come uno dei possibili metodi di perfezionamento della
logica
12
. Diversa era invece la finalità della grammatica di tipo alessandrino,
che esaminava tale disciplina nella sua forma assoluta e autonoma. L’originale
intento di Crisippo, pertanto, non contrastava immediatamente e
necessariamente con l’αναλογία di Aristofane, estranea a questioni
etimologiche e limitata all’indagine relativa ai problemi della declinazione
(κλίσις). Ora, la polemica analogia/anomalia si sviluppò nel momento in cui
ανωµαλία passò – proprio a seguito del contributo di Cratete – da paradigma
10
Sulla ricchezza di autori e di opere raccolti nel patrimonio di questa secolare biblioteca, si veda lo studio di Della Corte
1971, pp. 173-183.
11
Della Corte, ib., p.182
12
Dahlmann 1997
2
[=1964], pp. 58-59.
7
d’esegesi letteraria, forma d’originale affermazione nella filologia pergamena,
a vero proprio principio guida per la redazione di Τέχναι normative,
concorrenti alle contemporanee produzioni alessandrine.
¾ La scuola di Accio e di Elio Stilone.
La problematica linguistica e filologica era stata introdotta a Roma
contestualmente alle prime prove letterarie, per le quali il mondo latino era
debitore ad autori di formazione greca: Livio Andronico era stato
grammaticus
13
per tutta la vita; Lucio Accio dette vita a imponenti studi per la
riforma ortografica dell’alfabeto latino
14
, e contribuì a indirizzare gli studi
grammaticali verso gli interessi etimologici. A questi stessi interessi si orienta
anche il magistero di Lucio Elio Stilone Preconino
15
, che segnò con le sue
opere l’ingresso degli studi filologici propriamente detti a Roma, e influenzò
la produzione successiva del maggiore dei suoi allievi, il quale darà un
contributo fondamentale al dibattito analogia/anomalia nel panorama
grammaticale dei secoli a venire: Marco Terenzio Varrone.
¾ ‘… arbitror utrumque sit nobis sequendum’ [Varrone, ling. VIII 23].
Principale grammatico del mondo latino, Varrone iniziò gli studi filologici
sotto il magistero “spirituale” di Accio
16
, e, successivamente, fu influenzato
dagli interessi etimologici del magister Elio Stilone. Ma l’iniziale formazione
stoico-pergamena venne temperata in Varrone dall’incontro con la corrente
alessandrina, favorito anche dalle opere di Tirannione di Amiso, discepolo di
Dioniso il Trace
17
. La produzione grammaticale di Varrone si distingue per
l’orientamento eclettico dell’autore: è egli stesso ad affermare di condurre i
propri studi non solum ad Aristophanis lucernam, sed etiam ad Cleanthis
[ling. V 9]
18
, e lo stesso può dirsi per gli indirizzi filosofici cui è riconducibile
13
Qui il termine è inteso, al tempo stesso, con l’accezione di insegnante delle nozioni elementari di lettura e scrittura
(litterator) e di grammaticus in senso lato, competente dal punto di vista della lettura e dell’esegesi testuale (litteratus),
secondo quella che sarà la tradizionale definizione di grammatica trasmessaci da Quintiliano: recte loquendi scientiam et
poetarum enarrationem [inst. I 4.2]. Sul significato e la sfera di competenza dei due termini litterator e litteratus, si
vedano: Bovey 2003, pp.100-101;118ss. con la bibliografia ivi citata; Bower 1961, pp. 462-477.
14
Della Corte 1970
2
, pp. 28ss..
15
Collart 1954, pp. 267-8.
16
Della Corte, 1970
2
, pp. 28-31.
17
GRF, pp. 301-5.
18
Per le citazioni di passi da quest’opera, si fa riferimento all’edizione Goetz -Schoell 1964 [=1910].
8
il suo pensiero, che si ispira ad Aristotele [ling. VII 70; VIII 11] e a Pitagora
[ling. V 11; VII 17].
L’opera più importante di Varrone relativamente agli studi sulla lingua fu il
trattato De lingua Latina, parzialmente pervenutoci: sei libri dei venticinque
originari sono organizzati secondo una struttura che rivela essa stessa la
formazione “bifronte” dell’autore, proprio in relazione alla polemica filologica
analogia/anomalia. Un primo gruppo (libri II-VII) esponeva la dottrina
linguistica dell’etimologia, mentre un secondo gruppo (libri VIII-X,
pervenutici quasi integralmente, e XI-XIII) affrontava per la prima volta in
modo sistematico le due diverse scuole di pensiero, lasciando ad un terzo
gruppo (libri XIV-XXV) la trattazione dell’apparato sintattico
19
.
Ed è proprio alla triade del secondo gruppo (libri VIII-X)
20
che appartengono
la maggior parte delle notizie relative alla disputa tra analogisti e anomalisti
secondo quella che era, se si presta fede al resoconto varroniano, la realtà
storica della questione, alle soglie del I secolo a.C. Il De lingua Latina voleva
essere un’opera in cui la lingua latina potesse trovare non solo un’adeguata
sistemazione teorica, ma potesse ricevere anche il riconoscimento di
un’identità autonoma e autorevole. Se la sezione etimologica si prestava a
ricostruire i momenti principali di tale identità, recuperandone le origini da un
passato mitico
21
, la sezione morfologica era vòlta a segnare l’ingresso di Roma
nel dibattito scaturito tra Alessandria e Pergamo. Condotta nella forma di
dibattito retorico – e, pertanto, tipicamente romano – la sezione si articola tra
tesi (libro VIII, attacco anomalistico contro analogia), antitesi (libro IX, difesa
di analogia) e sintesi (libro X, ricerca della composizione del contrasto), anche
se tanto la forma del dibattito quanto la relativa conclusione porterebbero a
scorgere nella posizione del giudice-Varrone i segni di una maggiore
propensione verso l’indirizzo analogista.
Il dibattito analogia/anomalia acquista realtà storica proprio grazie alla
testimonianza di Varrone: sua è una prima registrazione del dibattito tra le
scuole di Cratete e di Aristarco [ling. IX 1] di cui riproduce, nei capitoli
considerati, quello che doveva essere lo scenario contemporaneo. Sua è anche
la generale connotazione di aggressività polemica con la quale ci viene
trasmesso il contributo stoico-anomalistico, che contrappone la verve del libro
VIII, condotto come un attacco spietato alla ratio e al principio di proportio
19
Collart, 1954, pp. 34ss.
20
Si veda Dahlmann 1997
2
[=1964], al capitolo I libri VIII-X del ‘De lingua Latina’, pp. 57-85, sul rapporto dei due
indirizzi in Varrone.
21
Della Corte 1970
2
, pp. 193ss.
9
degli analogisti, alle pacate argomentazioni difensive del libro successivo. In
realtà, qualche riflessione linguistica relativa alla questione si può già avere
dai libri precedenti, laddove l’autore concorda con la tesi stoico-pergamena sui
verba imposita rerum [ling. V 1-3], cui sarebbe deputata la voluntas
impositorum [ling. VII 2, ma ricordata anche da Cicerone, de orat. III 154],
mentre con il sopraggiungere della sezione dedicata alla morfologia, la
posizione di Varrone viene specificandosi. Senza nulla togliere all’arbitrarietà
con la quale si origina il rapporto parola/cosa, il sistema della lingua viene qui
analizzato nella specificità di due momenti distinti [ling. VIII 5; IX 51; X
11;15;61]: impositio, momento creativo dei primigenia verba, che risente
dell’operato di tale voluntas, e declinatio, fase direttamente successiva
all’impositio, ma secondo l’opera combinata di regula e usus. Da quest’ultima
fase dipenderebbe la morfologia flessiva a carattere distintivo delle
declinationes che sovrintendono all’insieme dei verba derivata. Se la dottrina
anomalista trova in Varrone un grammatico favorevole, la sua influenza sul
sistema della lingua viene, comunque, ridimensionata: secondo quelle che ne
sono state le correnti di pensiero originarie, il ruolo di ανωµαλία ritorna a
coinvolgere esclusivamente i problemi della nascita del linguaggio, mentre le
forme da essa originate si comportano secondo le direttive di regula –
afferente alla sfera di analogia, ratio e natura – e usus – in relazione con
anomalia e consuetudo – attraverso una declinatio alternativamente naturalis
e voluntaria [ling. VIII 21; IX 35;63]. Anche nell’ambito della morfologia
flessiva vige una contemporaneità di principi, la cui moderata composizione
non dà luogo a tesi inconciliabili:[…] cum utrumque nonnumquam accidat, et
ut in voluntaria declinatione animadvertatur natura et in naturali voluntas,
quae, cuiusmodi sint, aperiuntur infra; quod utraque declinatione, alia fiunt
similia, alia dissimilia, de eo Graeci Latinique libros fecerunt multos, partim
cum alii putarent in loquendo ea verba sequi oportere, quae a similibus
similiter essent declinata, quas appellarunt αναλογίας, alii cum id
neglegendum putarent ac potius sequendam <dis>similitudinem, quae in
consuetudine est, quam vocarunt α<ν>ωµαλίαν, cum, ut ego arbitror,
utrumque sit nobis sequendum [ling. VIII 23].
Questo paragrafo è uno dei più significativi e sintetici del contributo
varroniano allo status quaestionis: in esso sono riunite non solo le tesi
generalmente dibattute, ma anche numerosi elementi strettamente correlati alle
10
argomentazioni dei due opposti schieramenti
22
. Anzitutto si rivela l’intenzione
di Varrone, tesa a far interagire in maniera complementare natura e voluntas
nei rispettivi ambiti di competenza, all’interno della declinatio. Tale
conciliazione continua, poi, nel riconoscere, all’interno del sistema della
lingua, la compresenza di similia e dissimilia (scil. verba), e,
conseguentemente, nel rivelare la complementarietà di analogia e anomalia. I
limiti d’applicazione dei due principia, ricondotti entro l’ambito della
morfologia piuttosto che all’etimologia, sono da lui ribaditi anche in ling. X 6,
dove riconosce ut potius de vocabulo quam de re controversia esse videatur.
L’interrelazione di ratio e consuetudo, regula e usus nel sistema della
declinatio è nuovamente sottolineata in ling. IX 2-3: consuetudo et analogia
coniunctiores sunt inter se quam ii credunt, quod est nata ex quadam
consuetudine analogia et ex hac consuetudine item anomalia; così anche in
ling. IX 1;113 e X 1;51.
Ma forse quest’ultima è la riflessione più significativa, in quanto sembra porre
fine all’opposizione secolare dei due diversi indirizzi linguistici: Latinitas est
incorrupte loquendi observatio secundum Romanam linguam. Constat autem,
ut adserit Varro, his quattuor, natura, analogia, consuetudine, auctoritate. Se,
da un lato, la tradizione indiretta di questa citazione [Varrone fr. 115 Goetz-
Schoell = fr. 268 GRF, in Diomede I 439.15-17.] non viene confermata da
alcun passo delle opere grammaticali di Varrone pervenuteci
23
, non risulta
difficile, alla luce di quanto esaminato finora, riconoscerne una sintesi chiara
ed essenziale della conciliazione operata da Varrone in seno al dibattito sulla
lingua. Sono riconosciute l’irrazionalità della fase creativa del linguaggio e il
dominio di anomalia e usus relativamente alla concreta realizzazione lessicale
del rapporto parola/cosa. Ciò non toglie che, una volta adottato un patrimonio
linguistico così originato, la morfologia flessiva che risponde alle diverse
esigenze del parlare sia un fenomeno regolato da principi razionali, naturali e,
per così dire, meccanici, convenzionalmente adottati da una comunità
linguistica che si inserisce in un contesto storico-geografico con caratteri
propri e definiti
24
.
22
Sulle accezioni dei termini principalmente discussi nell’ambito del contrasto analogia/anomalia all’interno del De lingua
Latina – e, successivamente, dell’intera tradizione grammaticale romana – indispensabile è lo studio di Dam 1930.
23
Insieme al De lingua Latina, la produzione grammaticale di questo autore comprendeva anche, secondo l’inventario
fornitone da s. Gerolamo, i cinque libri del De sermone Latino ad Marcellum, i tre libri del De origine linguae Latinae e
del De similitudine verborum, i nove libri dell’Epitome de lingua Latina, cui andrebbe aggiunto il libro I dei Disciplinarum
libri, tradizionalmente dedicato alla Grammatica (cf. Collart 1978, p. 6). Per i riferimenti nel De lingua Latina che possano
suggerire riflessioni simili a quest’ultima, si vedano, inoltre i passi di ling. VIII 3.10.
24
Ritorna la terminologia originaria degli studi sulla lingua, citata per il contrasto φύσις/θέσις (cf. pp. 1-2).
11
A questo punto, però, risalta immediatamente come, dalla controversia
analogia/anomalia, Varrone abbia indirizzato gli sforzi della ricerca
grammaticale a un diverso obbiettivo, specificato dal focus preferenziale
racchiuso nella formula secundum Romanam linguam: la Latinitas.
¾ Dalla soluzione dei contrasti alla ‘Latinitas’.
Quella di incorrupte loquendi non fu una ricerca originale di Varrone. In
realtà, già con il progressivo formarsi di una grammatica sistematica nel corso
del III e del II secolo a.C. si cominciò a diffondere la necessità di determinare
i principi della lingua corretta (‘Ελληνισµός). Ma tale ricerca muoveva dallo
scontro tra le opposte correnti atticista e antiatticista, che, in ragione della
frammentarietà che caratterizzava la realtà linguistica del mondo ellenistico, si
proponevano rispettivamente di forgiare un modello di lingua ideale da
contrapporre allo spontaneo affermarsi della κοινη διάλεκτος. A fianco della
querelle analogia/anomalia, allora, va collocata la parallela opposizione tra
queste due correnti di riflessione sulla lingua, che non si limitavano
all’indagine in ambito morfologico – come fu, da un certo punto in avanti per
la disputa qui esaminata – ma si spingevano a considerare l’intero apparato
lessicale e le conseguenze relative in fatto di stile.
Ora, la realtà socio-linguistica del mondo latino non era paragonabile con
quella della grecità classica, da cui erano partiti gli studi sulla lingua: per la
lingua dei Romani non esisteva la problematica della frammentarietà di cui si
faceva carico la lingua greca, in ragione della rivendicazione d’identità
autonoma che ogni dialetto ellenico avanzava nei suoi confronti. Se la
conseguente rivalità tra Atticismo e Antiatticismo poteva trovare un giusto
terreno nel parallelo contrasto tra il rigore dottrinale degli analogisti e la
libertà creativa degli anomalisti, si spiega facilmente il perché del progressivo
attenuarsi dell’inconciliabilità delle due avverse posizioni, al loro ingresso nel
mondo latino. Il compromesso adottato di Varrone tra i due principia dibattuti
tra Alessandria e Pergamo, si chiarisce una volta di più, anche alla luce della
traduzione latina di ‘Ελληνισµός con Latinitas. Si intende, quindi,
quell’incorrupte loquendi observatio secundum Romanam linguam che
converte gli studi linguistici al criterio dell’utilitas [ling. VIII 26-27]
25
e che
25
Riferimenti analoghi per tale criterio si rintracciano anche in Cicerone, de inv. 16.23, e in Sesto Empirico, adv. Mathem.
I 184.
12
rielabora persino la terminologia stessa dell’antica polemica. Sfumando le
dicotomie tra analogia e anomalia, Varrone distingue diversi utilizzi per
consuetudo [bona/mala in ling. IX 6; recta/depravata in ling. IX 18] e assegna
alla stessa analogia valore di principio metodologico, con un’area
d’applicazione limitata [ling. IX 30ss.; X 74]
26
. E le parole di Baier 2001, pp.
17-19, riassumono così i termini della sintesi romana: la lingua parlata, di tutti,
diventa col tempo sempre più regolare, quindi, nel senso degli analogisti, sempre migliore, e il
singolo si orienta secondo questa consuetudo che si evolve in analogia. Così uso linguistico e
regolarità talvolta vengono a coincidere. Nel campo linguistico regna una sorta di concordia
ordinum
27
.
Secondo Hendrickson 1906, p. 101, n. 2, tutta la grammatica ha così come
scopo primario il raggiungimento del sermo purus, che si converte,
dall’ellenistico ‘Ελληνισµός alla romana Latinitas sotto l’influenza dei dettami
della corrente atticista: tale ideale retorico, indirizzato al recupero del più
antico ellenismo, si afferma a Roma, particolarmente tra le correnti della
letteratura del I secolo a.C. Ma se il dibattito analogia/anomalia si risolve in
una sorta di conciliazione, è del resto innegabile, com’è stato ricordato più
volte
28
, quanto l’indirizzo stoico avesse condizionato l’ingresso stesso della
disputa in ambito romano. Ed è ancora questa influenza stoica a favorire
l’affermazione dello stesso atticismo, come sforzo stilistico teso a conferire
alla lingua il postulato fondamentale della logica di questo indirizzo filosofico:
l’equivalenza naturale (φύσει) tra pensiero e parola, presupposto fondamentale
per la comunicazione verbale
29
.
Numerosi sono i contributi alla Latinitas che provengono dalla tradizione
letteraria di questo periodo: se, d’accordo con Hendrickson 1906, p.101, all
grammar, whether guided by the principle of analogy or depending upon observation of early
usage (anomaly), was Atticistic, looking to the determination of a pure and pristine Hellenism,
si può individuare nello stesso trattato perduto De analogia di Cesare un
contributo essenziale a tale ricerca linguistica. Sue sarebbero le precise
definizioni di analogia o proportio [in GRF, p.150, fr.11]; sue sono pure le
sapienti raffinatezze stilistiche che portano ad affiancare all’ideale di purezza
idiomatica del Latine loqui quello dell’urbanitas, riassumendo in un’unica
formula efficacia espressiva ed eleganza sintattica, comuni anche, sul versante
poetico, alla cerchia neoterica di Catullo
30
. Con Cicerone la Latinitas è
26
Ma si veda anche, per l’interpretazione di analogia come principio metodologico: Quintiliano, inst. I 6.4ss.
27
Cf. anche Cicerone orat. 155ss.; brut. 211 e 258.
28
Si veda quanto osservato a proposito nei paragrafi della sezione Analogia e anomalia a Roma, pp. 5ss.
29
Hendrickson 1906, p. 99.
30
Hendrickson 1906, p.103.
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percepita come possesso caratteristico del buon cittadino, non più, quindi,
come successo d’apprendimento di un’arte particolare, e si afferma proprio per
il suo carattere di naturalezza, venendosi spesso a costituire come termine di
paragone con quanto sostenuto da Cesare
31
(specialmente in merito dei due
principia di analogia e anomalia). Anche l’autore della Rhetorica ad
Herennium rientra nel novero delle fonti per questo tipo di riflessioni
[Latinitas est, quae sermonem purum conservat, ab omni vitio remotum, in IV
12.17], mentre vale ricordare la concezione epicurea del linguaggio che si
afferma nel De rerum natura di Lucrezio: at varios linguae sonitus natura
subegit/ mittere, et utilitas expressit nomina rerum [V 1028-1029]
32
. L’origine
naturale della lingua è comunque presente anche a Varrone, che la pone alla
base della stessa attendibilità di analogia [IX 62-63], affiancandovi come
ugualmente necessario e inseparabile l’usus [IX 70]. In questo senso, allora, la
stessa natura si fa termine di collegamento e di conciliazione nel dibattito
analogia/anomalia: come quotidiano campo di ricerca della Latinitas, si pone
come fondamento della concreta verifica tanto della regolarità del linguaggio
quanto della libera creatività di cui quest’ultimo verrebbe a subire talvolta
l’influenza, in ragione della specificità del contesto socio-linguistico di
riferimento.
Da quanto è stato possibile considerare per l’evoluzione della querelle qui
considerata relativamente al ruolo cardine svoltovi da Varrone, e di quella che
ne sarà la successiva tradizione nel mondo latino, risulta, in sintesi, che le
anomalie linguistiche delle quali si valevano le tesi di Pergamo per osteggiare
qualsiasi sistemazione della lingua in strutture morfologiche regolari e costanti
(ratio, regula) non provano più, da Varrone in avanti, la necessaria assenza
d’applicazione dell’analogia (proportio) di tipo alessandrino. Tali
incongruenze, piuttosto, vanno ritenute come direttamente dovute alla natura
stessa della parola o dal suo utilizzo pratico nel tempo (usus, consuetudo). La
contemporanea ricerca di un livello linguistico ideale, connotato dai caratteri
distintivi di un’identità specifica (Latinitas), si orienta sempre più nel senso di
un processo di normalizzazione, funzionale alle esigenze comunicative
(utilitas), con un successo decretato dell’analogia (intesa più come criterio
metodologico, di verifica delle forme dubbie, che come rigoroso limite alla
creazione linguistica. Al tempo stesso, alla corretta ortografia e morfologia
31
Tutto l’articolo di Hendrickson procede istituendo parallelismi, dei quali i più rilevanti sono: tusc., III 37ss.; brut. 261.;
de orat. III 150ss.
32
La teoria di Epicuro sulla lingua viene ripresa più ampiamente in V 1028-1090. Sulla posizione di Lucrezio relativamente
alla riflessione sulla lingua, cf. Collart 1954, p.268.
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(declinatio, declinatio voluntaria = flessione) – sulla quale si esercita il
principio di regolarità – si affiancano anche gli studi etimologici, per i quali
hanno campo libero i contributi stoici (relativamente alla fase dell’impositio,
declinatio naturalis = creazione). Tutto ciò si verifica parallelamente a un
graduale allontanamento dalle posizioni inconciliabili sostenute dagli originari
principi filosofici di tale polemica. Si passa dallo studio del linguaggio,
fortemente astratto, a quello della lingua, secondo la grammatica universale:
con tale espressione viene intesa, allora, la disciplina che indaga i principi di
rinnovamento lessicale, in merito alla loro produzione e alla loro forma
corretta, all’interno di un sistema codificato di strutture (κλίσις = declinatio).