“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra filosofia”.
Amleto, William Shakespeare
La Teoria della Relatività (TR) Speciale e Generale (indicata rispettivamente con
TRS e TRG) ha creato, sin dalla nascita, avvenuta quasi un secolo fa, un dibattito
senza precedenti. Per molti studiosi, essa costituisce il punto di arrivo di una grande
esigenza di unificazione presente nella fisica, nata con i lavori riguardanti
l’elettromagnetismo compiuti, tra gli altri, da Faraday e Maxwell; e con la scoperta
sperimentale da parte di Hertz delle onde elettromagnetiche. Ciò ha creato,
nell’Ottocento, una contraddizione con la meccanica newtoniana, che ha diviso il
mondo scientifico portando infine alla soluzione di Einstein. Per oltre sessant’anni vi
è stato, con la definizione della TR e della Meccanica Quantistica, un fermento
paragonabile ai periodi fecondi di Copernico, Galileo e Newton, e che ha presentato
conseguenze altrettanto epocali. Ogni scienziato, insieme a filosofi e letterati, ha
spiegato e accettato la teoria alla luce delle proprie posizioni, cercando spesso, come
fa ben notare Ugo Giacomini [1], di incanalarla dentro i propri schemi filosofici e
scientifici. Questo avviene anche per l’influenza imprescindibile dell’ambiente e del
contesto storico in cui ognuno di noi opera, che non può essere ritenuto estraneo
neanche all’azione dello scienziato, ma che non deve certo portare a blocchi
monolitici di pensiero, che farebbero perdere il contatto con la realtà.
Invece, è andato sempre più affermandosi un pensiero unico che nel corso degli anni
ha finito col distorcere l’interpretazione dei comportamenti della natura, portando,
secondo noi, a una serie di paradossi.
Consideriamo la figura di Albert Einstein. Egli è stato unanimemente riconosciuto
essere l’unico artefice della teoria della relatività, inscindibile da essa; tanto da fare
affermare a molti, con una certa enfasi, essere egli stesso la teoria, accettata a sua
volta come verità assoluta ed eterna.
A questo proposito si legge, per esempio in George Gamow, che:
7
Albert Einstein divenne il dominatore della fisica moderna tagliando il nodo dell’etere con l’acuta
precisione della sua logica, e gettando i frammenti contorti del mondo legato all’etere al di fuori della
finestra del tempio della fisica. ([2], pag. 159)
O in Carl Lanczos:
Non si vogliono sminuire i meriti di altri grandi scienziati, ma c’è qualcosa nella formazione mentale
di Einstein che lo distingue come una personalità senza pari. Egli ha scritto con inchiostro indelebile
il suo nome negli annali della scienza ed esso non svanirà finché gli uomini vivranno sulla Terra. C’è
uno stato [di certezza definitiva] nelle sue scoperte che non potrà essere indebolito. Le teorie vanno e
vengono, ma Einstein ha fatto molto più che formulare teorie. Ha ascoltato con devozione suprema le
voci silenziose dell’universo e ha registrato i loro messaggi con certezza infallibile.
…non si è mai fatto ingannare dalle apparenze e le sue scoperte vanno riconosciute come irrefutabili.
([3], pag. 16)
E ancora, considerando le parole di Nigel Calder:
Le teorie di Einstein sono il fondamento…Questo è l’universo di Einstein. ([4], pag. 3)
di James Gleick:
Non ci sarà mai un altro Einstein…il suo genio sembra quasi divino nel suo potere creativo: ha
immaginato un certo universo e questo universo è nato. ([5], pag.43)
o di Clifford Will:
La relatività speciale è una parte così importante non solo della fisica ma della vita di ogni giorno, che
non è più appropriato vederla come “teoria” speciale della relatività. Essa è un fatto… [6]
In realtà si deve far notare anzitutto l’indubbia l’influenza del positivismo di Ernst
Mach nel giovane Einstein, che ha introdotto i due postulati costituenti la teoria
guidato da questo approccio, dominante per tutto il Novecento, e in seguito
sconfessato dallo stesso scienziato tedesco.
Mach pensava che i principi fisici fossero dati da una conoscenza sperimentale
riguardante le posizioni dei corpi e i loro movimenti, e che non si potessero
estrapolare i principi al di là dei confini dell’esperienza. Come afferma Selleri:
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La realtà di Mach viene ridotta ai risultati degli atti di misura. Così il tempo e lo spazio assoluti
newtoniani, trascendenti le definizioni operative, sono da lui considerati pure parti di immaginazione.
[7]
Mach definisce metafisica qualunque affermazione che non abbia immediate
relazioni con l’evidenza empirica.
Il forte ruolo inibitorio del positivismo si può ben ritrovare nelle due seguenti
dichiarazioni del famoso filosofo Karl Popper:
Secondo il positivismo, “il nostro mondo è solo superficie, non ha profondità”. Esso non consiste,
infatti, di nient’altro che delle nostre percezioni e delle loro riflessioni nella nostra memoria. È un
mondo nel quale non c’è nulla da trovare, visto che nulla è nascosto. È un mondo nel quale non c’è
nulla da scoprire, nulla da imparare. È un mondo senza enigmi. ([8], pag. 127)
Nella loro ansia di annichilire la metafisica i positivisti distruggono assieme ad essa le scienze della
natura. ([9], pag. 36)
Mach, come detto, ebbe una forte influenza nel primo periodo della vita scientifica di
Einstein.
Questi infatti afferma, come si legge in Gerald Holton:
Fu il mio amico Besso quand’era studente a richiamare la mia attenzione su “La meccanica nel suo
sviluppo” di Ernst Mach (doveva essere l’anno 1897). Con la sua impostazione critica verso i concetti
e le leggi fondamentali questo libro ha esercitato su di me una impressione profonda e duratura. ([10],
pag. 208. Citato in [7], pag. 2)
Successivamente entra in gioco anche l’empirismo logico o neopositivismo, nato con
il circolo di Vienna nel 1925, che lancia l’allarme contro la metafisica e i suoi esempi
nella scienza (la meccanica classica di Galileo e Newton, tra l’altro). Esso detta delle
regole per distinguere ciò che è scientifico da ciò che è metafisico. La conoscenza è
ridotta solo a ciò che può essere misurato e che discende dall’esperienza, elevato a
realtà e verità. Questo movimento ha indubbiamente contribuito a sovrastimare
l’apporto di Einstein, “dimenticando” l’enorme lavoro fatto da altri grandi scienziati
che prima di Einstein hanno costruito l’impianto della teoria, da Larmor, a Lorentz, a
Poincaré.
Max Born ci dice che:
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Il criterio di realtà corrisponde pienamente con il modo in cui la parola “realtà” è usata in fisica…
Ogni concetto che non lo soddisfa è stato gradualmente eliminato dalla struttura della fisica…Se non
possiamo rivelarlo direttamente, esso non è reale. ([11], pagg. 69-70)
La postulata equivalenza tra la presente impossibilità di rivelare il moto del sistema
di riferimento privilegiato o assoluto e la negazione della sua esistenza, così come
anche l’analisi dei concetti di spazio e tempo assoluti, eliminati in conseguenza della
convenzionale relatività della simultaneità, ha portato a fondamenti della teoria sui
quali si è preferito non indagare più e ad una chiusura contro qualsiasi pensiero
diverso, che ha glorificato la teoria della relatività a verità infallibile e perfetta.
Paul Davies & John Gribbin, per esempio, dicono che:
Tutte le implicazioni della relatività speciale… sono state confermate da esperimenti diretti. Ci sono
ancora persone che credono che essa sia “solo una teoria”…ma essi sbagliano. [12]
E, con un crescendo irrispettoso, John Gribbin, parlando dei concetti di Einstein,
afferma che sono:
…pienamente accettati da tutti eccetto una piccola minoranza simile a coloro che ancora non credono
che la Terra sia rotonda ma piatta. ([13], pag. 69)
E ancora, Isaac Asimov:
Nessun fisico che sia almeno marginalmente sano dubita della validità della relatività speciale. ([14],
pag. 186)
Purtroppo, come si può vedere da questa situazione, i tanti seguaci che ciecamente
hanno imposto la visione di Einstein, sono risultati molto più fondamentalisti dello
stesso scienziato tedesco. Egli, per citare un altro esempio, nel corso della sua vita ha
infatti riconsiderato la possibilità della presenza di un etere, del resto molto simile
alla nozione di campo che tutti hanno accettato con entusiasmo. Secondo il lavoro di
Kostro [15], l’etere viene reintrodotto come spazio-tempo fisico il cui stato locale è
descritto dalle componenti g
µν
del tensore metrico g della TRG.
10
Molti scienziati usano il risultato dell’esperimento di Michelson-Morley del 1887,
come conferma della visione esatta di Einstein e della conseguente esclusione
dell’etere. Il risultato dell’esperimento si presta invece ad altre interpretazioni.
Il noto fisico americano Herbert E. Ives spiega infatti:
La frequente affermazione che l’esperimento di Michelson-Morley abolì l’etere è un esempio di logica
errata. Quando Maxwell predisse un risultato positivo dell’esperimento, lo fece sulla base di due
assunzioni: che le onde luminose fossero trasmesse attraverso un mezzo; e che gli strumenti di misura
non fossero influenzati dal moto, cosa questa che non fu compresa finché non fu messa in evidenza da
Fitzgerald. Il risultato nullo dell’esperimento prova che una delle assunzioni fatte nel predire un
risultato positivo è sbagliata. La dimostrazione sperimentale della variazione degli strumenti di misura
con il moto, che avviene esattamente in modo da produrre un risultato nullo, mostra che è solo la
seconda assunzione ad essere sbagliata, lasciando quindi l’evidenza di un mezzo trasmittente forte
come prima, se non rafforzandola ancor più, come si rivela dai fenomeni rotazionali e di aberrazione.
[16]
Molti hanno anche affermato che lo scienziato tedesco conoscesse l’esperimento e lo
avesse preso come prova evidente per la sua teoria, mentre in realtà Einstein presenta
un comportamento complesso sull’argomento, come si vedrà soprattutto nell’opera di
Abraham Pais. Comunque, Einstein lo ha in seguito rivalutato in direzione di una
teoria dell’etere, sia pure diversa da quello ottocentesca.
Egli infatti afferma, negli anni ‘50:
Riguardo l’esperimento di Michelson-Morley, H. A. Lorentz ha mostrato che il risultato per lo meno
non contraddice la teoria di un etere a riposo. [17]
Tra l’altro, Einstein mostra un incomparabile senso autocritico, e ci indirizza verso il
vero significato della ricerca: il puro desiderio di spingersi verso la conoscenza,
tralasciando qualunque deviazione umana che blocchi il progresso e la condivisione
delle scoperte. La comprensione della realtà, senza preconcetti o ciechi dogma,
dovrebbe essere la sola priorità che guida ogni scienziato.
Egli, rispondendo agli auguri di Solvine per il suo settantesimo compleanno,
confessa che:
11
Tu immagini che io guardi indietro al lavoro della mia vita con serena soddisfazione. Ma da vicino la
cosa appare ben diversa. Non c’è un singolo concetto che penso resterà fermamente valido. ([18], pag.
257)
Gli atteggiamenti dei diversi scienziati sopra citati hanno invece contribuito alla
comparsa di un relativismo molto pericoloso che ha invaso tutti i campi del sapere e
della vita quotidiana, portando, per esempio [19], all’assurdo della totale
determinazione del futuro di ogni osservatore già all’istante presente. Ma tutto viene
giustificato e accettato pur di salvare la TR nella forma originale. Anche rinunciare
alla conoscenza, comportamento in voga nei primi anni del Novecento in tutta la
fisica e non solo, estremizzando così la già limitata capacità umana fino alla paralisi.
Per esempio, secondo Niels Bohr:
Si deve rinunciare alla vecchia idea che lo scopo della fisica sia di scoprire l’essenza reale dei
fenomeni, ma solo ricostruire, nella misura del possibile, delle relazioni fra i diversi fenomeni
osservati negli esperimenti [7].
Lo scienziato danese fu influenzato dalla filosofia esistenzialistica di Kierkegaard e
Høffding, che affermava l’impossibilità di superare le rigide contraddizioni della vita
e della natura. Ciò ha reso inammissibile l’unione dei concetti di tesi e antitesi di
fronte al problema del dualismo della luce e ha di fatto influito sulla rinuncia dello
scienziato e della sua scuola di Copenaghen a cercare una spiegazione dei fenomeni.
Si può continuare, in questa propensione alla limitatezza, con Richard Feynman, per
il quale:
Più ti rendi conto di quanto la Natura si comporti stranamente, e più è difficile creare un modello che
spieghi anche il più semplice dei fenomeni. Così i fisici teorici vi hanno rinunciato. ([20], pag. 82)
con Leon Lederman:
Tutto ciò che possiamo dire di una teoria è che predica i risultati di eventi che possono essere misurati.
([21], pag. 175)
o Stephen Hawking:
12
Accetto il punto di vista secondo cui una teoria fisica è solo un modello matematico e che è senza
significato domandarsi se corrisponde alla realtà. Tutto ciò che uno può dire è che le sue predizioni
dovrebbero essere in accordo con le osservazioni. [22]
Kip Thorne, parlando della TRS e della TRG, dice che:
…Entrambi i punti di vista (spazio-tempo realmente piatto o curvo) danno precisamente le stesse
predizioni… sono in disaccordo solo sul fatto se la distanza misurata è la “vera” distanza, ma tale
disaccordo interessa i filosofi, non i fisici…Quale punto di vista dica la “reale verità” è irrilevante.
([23], pag. 400)
Lo stesso Albert Einstein dichiara:
È spesso, forse anche sempre, possibile sostenere un fondamento teorico generale, assicurando
l’adattamento della teoria ai fatti mediante assunzioni addizionali artificiose. ([24], pag. 585)
E, nuovamente Paul Davies e John Gribbin, affermano che:
La realtà svelata dalla fisica moderna è fondamentalmente aliena alla mente umana, e rifiuta tutto il
potere della visualizzazione diretta. [12]
D. H. Lawrence confessa che:
Mi piace la relatività e le teorie quantistiche perché non le capisco e mi fanno sentire come se lo
spazio si sposti continuamente, come un cigno che non può posarsi, rifiutando di sedersi ed essere
bloccato; o come se l’atomo fosse una cosa impulsiva che cambia sempre il suo proposito.[25]
E, concludendo ancora con Stephen Hawking:
Vi è una sottospecie chiamata filosofi della scienza che dovrebbe essere meglio dotata. Ma molti di
loro sono fisici falliti che hanno trovato troppo difficile inventare nuove teorie e allora hanno preso a
scrivere di filosofia invece che di fisica. Stanno ancora discutendo sulle teorie scientifiche dei primi
anni del Novecento, come la relatività e la meccanica quantistica. Non hanno nulla a che fare con le
frontiere attuali della fisica. ([26], pag. 41)
E si potrebbe andare avanti ancora per molto, ma riteniamo che un quadro della
situazione presente sia già definito.
Invece deve risultare indispensabile il legame tra la fisica e la filosofia e la storia
della fisica, per un’analisi completa di ogni evento nella vita dell’uomo, così come i
13
tanti altri strumenti che possediamo. È assurdo avere un approccio parziale, che
purtroppo oggi è presente in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, dalla politica
alla società. Inoltre non si deve sottovalutare l’andamento storico in cui si sono
generati i percorsi relativi alle scoperte.
Il presente lavoro vuole analizzare il postulato che è alla base della TR, il principio di
relatività (di seguito indicato spesso come PR), venendo incontro ad una crescente
necessità di chiarezza nei fondamenti della teoria (peraltro molto potente in un gran
numero di situazioni), che vuole restituire logica e realtà fisica ai fenomeni,
rendendoli più armoniosi con il comportamento della Natura. Si parte con un
excursus storico che tiene conto dell’opera di tutti gli scienziati e delle civiltà che
hanno effettivamente partecipato alla nascita successiva del PR, partendo da
Aristotele e le scienze greche e arabe, passando poi per Giordano Bruno, Galileo,
Newton, Maxwell, Faraday, Larmor, Lorentz, Poincaré, Einstein e tanti altri. Viene
visto l’effettivo sviluppo del principio con gli interventi caratteristici degli scienziati
che l’hanno introdotto. Il nostro specifico contributo risiede in un’analisi dei ruoli
importanti avuti da Galileo, Newton, Lorentz e Poincaré nella nascita del PR. Si
analizza il ruolo di Einstein in particolare su alcuni aspetti poco dibattuti della sua
grande opera, cercando di fare chiarezza sui rapporti con l’esperimento di
Michelson-Morley e sulla sua rivalutazione dell’etere. Si introducono certi punti
legati all’introduzione del PR nella TRG. Si considerano in Appendice gli
esperimenti legati ai fondamenti della TR, e in specifico quelli riconducibili a
esperimenti del tipo di Michelson-Morley, da parte di Miller e di Kennedy e
Thorndike; e quelli relativi al fenomeno dell’aberrazione, scoperto da Bradley nel
1727.
Come punto di partenza della situazione relativa al PR, legato, come la TR, a visioni
di certezza assoluta, possiamo citare Rindler, per cui:
Il principio di relatività è un principio generale che "spiega" il fallimento di tutti gli esperimenti del
trasporto d'etere allo stesso modo in cui il principio di conservazione dell'energia "spiega" il
fallimento di tutti i tentativi di costruire una macchina del moto perpetuo. ([27], pagg. 9-10).
14
CAPITOLO 1
LE ORIGINI
15
In questo capitolo si vuole delineare il percorso storico dei concetti che hanno
preceduto la definizione del PR.. In quasi tutte le analisi a contenuto storico si parte
dalla scienza greca, civiltà grandissima che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo
di innumerevoli campi di ricerca, e che ha veramente dato impulso ad un’infinità di
discipline. Limitandosi poi a ricordare le influenze dell’astronomia mesopotamica ed
egizia sul pensiero greco, si passa subito ad epoche future, ignorando di fatto i grandi
successi incontrati in seguito dalla scienza araba, che ci riguarda direttamente per
l’influenza che essa ha avuto in Europa. I contributi enormi nel campo dell’ottica,
con Alhazen, e dell’astronomia passano troppo spesso sotto silenzio. Vogliamo
dedicare più avanti una piccola finestra, certo incompleta, a questa parte importante
dello sviluppo scientifico dell’uomo, non volendo certo ambire ad una visione
esaustiva, ma cercando di integrare le conoscenze attuali.
16
1.1 LA SCIENZA GRECA
La scienza greca è caratterizzata dalla presenza di un processo ipotetico-deduttivo di
conoscenza, che stabilisce il risultato cercato con una dimostrazione. I Greci sono i
primi a sviluppare un’attività teorica su enti e strumenti. Distinguono tra assiomi
(verità primarie), postulati (richieste), definizioni, teoremi e problemi. Delineano le
tappe per stabilire un teorema: un enunciato generale, basato su un esempio; una
dimostrazione e una conclusione con il riporto del risultato. Ma la scienza greca è
stata in realtà a carattere empirico e priva di leggi fondamentali. I Greci hanno intuito
molte proprietà della natura (si pensi all’atomismo o alla statica di Archimede) e con
continue osservazioni hanno scoperto molti fatti rilevanti sui fenomeni naturali. Non
sono però riusciti ad incanalarli in principi generali che permettessero delle
predizioni future, né a correlare fenomeni in apparenza indipendenti dell’universo.
Come si legge in Rañada, fisico teorico spagnolo:
I Greci fecero una grande scoperta: l’astrazione…[che spinge ad] allontanarsi dalla cosa che si vuole
studiare per ottenerne una migliore approssimazione.
…[Allora] il pensiero greco…si dedicò alla [sua] pratica esclusiva…concentrandosi sulle idee e sulle
teorie a scapito dei fatti e delle cose. Ciò non significa che…[i Greci] non osservassero o facessero
misure, ma giunsero a credere che il metodo migliore per capire il mondo fosse partire da postulati
metafisici precedenti…([1], pagg. 61-62)
Tale indirizzo è dovuto soprattutto all’influenza di Platone. Come si legge ancora in
Rañada, il pensatore greco spiega in una sua opera, il Fedone, il suo metodo di
lavoro: “In primo luogo accettavo il principio che consideravo più sicuro e poi
prendevo come certo tutto ciò che concordava con esso, mentre ciò che non era in
accordo lo consideravo falso”. ([1], pag. 62)
In Grecia era inoltre presente il concetto di autorità. Una persona autorevole dava,
ipse dixit, con il suo solo pronunciarsi, oggettività alle proprie interpretazioni dei
fenomeni. Di altri pensatori, che pure potevano essere nel giusto, ci sono arrivati così
solo pochi cenni delle loro opere ormai perse. Come Eraclide, per esempio, che già
nel V secolo a. C. scopre il moto rotatorio della Terra attorno al proprio asse e quello
di Venere attorno al Sole. Oppure come la prima ipotesi eliocentrica, quella di
Aristarco di Samo, proposta intorno al 260 a.C.
17
Fino a Bacone, per cui “un vero studioso dovrebbe conoscere la scienza naturale
attraverso l’esperimento” e rifiutare le opinioni non verificate fatte da autorità
fallibili ([2], pag. 31); e Galileo, questo modo arbitrario e per nulla scientifico di
procedere fu prevalente, e in quest’ottica si comprende come le idee di Aristotele,
personaggio dominante dell’antichità e la cui vasta autorità fu enormemente ampli-
ficata dai suoi adepti, finirono col regnare incontrastate per quasi duemila anni,
nonostante l’opera di tanti altri scienziati. La sua personalità e il suo grande interesse
per svariati campi del sapere fecero sì che, ad esempio, la sua visione geocentrica
dell’universo prevalesse su quella eliocentrica di Aristarco.
Per Aristotele, l’osservazione era essenziale e ciò lo portò a predisporre un
programma di ricerca che pose le basi per lo studio della scienza greca. Il suo metodo
di classificazione naturale, per esempio, rimase attuale fino al Seicento. Egli riteneva
la matematica la chiave che offre un modello per organizzare la scienza. Come si può
leggere in Motz e Weaver, Aristotele concepiva la struttura della scienza come:
Un sistema assiomatico in cui i teoremi sono derivati correttamente a partire da principi fondamentali,
in parte propri della scienza (‘ipotesi e ‘definizioni‘), in parte applicabili anche in ambiti diversi
(‘assiomi’…). ([2], pag. 20)
I suoi contributi alla fisica furono però mediocri.
La sua opera, Fisica, si può considerare “un impasto metafisico avente la pretesa di
affrontare i cosiddetti ‘argomenti fondamentali’, che vanno dall’infinito e dal tempo
fino al moto e allo spazio” ([2], pag. 20). Essa costituì indubbiamente un resoconto
storico di notevole valore, facendoci giungere i punti di vista dei primi filosofi
presocratici. Lo scopo dell’autore era però rifiutare e screditare le loro opinioni, e
non certo richiamare l’attenzione sui loro contributi.
Per gli elementi comuni che incontreremo nel percorso di avvicinamento al PR e alla
TR, si può citare qui il fatto che Aristotele rifiutava esplicitamente la convinzione
pitagorica secondo cui il Sole è al centro dell’universo, negava la rotazione diurna
della Terra e l’esistenza del vuoto. Tentò inoltre di sviluppare una teoria del moto per
poter spiegare il comportamento cinematico di tutti gli oggetti osservabili,
subordinando tutti i moti ad un sistema di riferimento assoluto. Egli distin i moti
"naturali" da quelli "violenti". I primi avvengono quando i corpi si muovono verso il
basso o verso l'alto, a seconda del loro luogo naturale; i secondi, quando un oggetto
subisce uno spostamento dalla posizione naturale. Perché abbiano luogo questi ultimi
18
è necessario applicare una forza esterna; se la forza è costante il moto è costante, se è
variabile il moto è accelerato. Infine, se la forza cessa, il corpo a cui essa è applicata
rallenta il suo moto fino a fermarsi. In realtà, per Aristotele non vi può essere moto
violento senza una causa, ed egli ha l’erronea convinzione che un corpo possa essere
mantenuto in movimento solamente se si trova in contatto diretto con un “motore
operante in continuazione”, una causa legata al moto. Se il motore non mantiene il
contatto con il corpo, quest’ultimo smette immediatamente di muoversi. La
cessazione della causa fa immediatamente cessare il moto violento. Il corpo allora si
fermerà o si muoverà di moto naturale. Aristotele non aveva la nozione del concetto
d’inerzia e non scoprì le leggi del moto. Secondo Ruth Glasner [4], Aristotele non
distingue tra matematico e fisico, e vuole generalizzare la continuità matematizzando
il mondo fisico, per basare le scienze naturali sulla geometria. Non considera più solo
le grandezze spaziali come continue, ma anche il tempo e il moto. Inizialmente, per
la sua concezione anti-atomista non vede la differenza tra corpi fisici e matematici.
Abbiamo introdotto la figura e l’apporto scientifico di Aristotele per mostrare quella
che era la situazione dominante al tempo di Galileo.
Riprenderemo le idee fisiche di Aristotele nello studio dello scienziato pisano, per
mostrare meglio le loro differenze di metodo, e come, dalla critica delle posizioni
dello scienziato di Stagira, Galileo arrivi, tra le altre cose, alla legge d’inerzia e al
PR.
In sostanza la fisica greca fa vedere “come possa essere priva di frutti una scienza
apparentemente esatta, ma priva di un solido fondamento teorico sostenuto da un
potente apparato matematico” ([2], pag. 21), nonostante l’opera degli altri scienziati
posteriori ad Aristotele, che pure hanno prodotto delle conoscenze innumerevoli,
riprese poi da tutte le civiltà.
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