VII
E’ però da segnalare che le interruzioni della fornitura di elettricità attuate in
Italia nell’estate 2003 hanno avuto, se non altro, un merito: accendere i riflettori
sulla questione energetica nazionale coinvolgendo, nel dibattito che ne è seguito,
un pubblico più vasto dei soli addetti ai lavori.
Da quel giorno tv e giornali ci hanno spiegato che, dopo la rinuncia al nucleare
del 1987, l’Italia produce energia per lo più attraverso la combustione di gas e
petrolio: l’80,6% dell’energia prodotta proviene infatti dalle centrali
termoelettriche; l’apporto delle centrali idroelettriche è invece del 17,2%. Sempre
in Italia, per quanto riguarda le nuove fonti rinnovabili, solo le centrali
geotermiche ed eoliche forniscono una produzione apprezzabile di energia
rispettivamente con l’1,6% e lo 0,5% del totale nazionale.
Valutando il tutto in termini di Gigawatt, possiamo notare come in Italia la
potenza teorica totale sia di oltre 76 Gigawatt (miliardi di chilowatt) forniti, nella
stragrande maggioranza, dalle duemila centrali termoelettriche (55,3 GW) e dalle
quasi mille centrali idroelettriche (20,5 GW). Tuttavia per problemi di
manutenzione, o per valutazioni economiche, la potenza realmente disponibile in
ogni momento è di circa 49 GW a cui si aggiungono 6,3 GW importabili
dall’estero. Nella realtà, quindi, la disponibilità massima è di circa 55 GW
(valore a cui la domanda, negli ultimi anni costantemente in aumento, si è più
volte avvicinata), ma quella effettiva in un dato momento può essere minore per
vari motivi, tra cui i problemi di trasmissione che hanno provocato il clamoroso
black-out del 28 Settembre.
Dai dati esposti emerge chiaramente il quadro, decisamente poco rassicurante,
del sistema energetico nazionale caratterizzato dallo sfruttamento di fonti non
rinnovabili (costose ed inquinanti) e dalla forte dipendenza dall’estero.
A fronte di tutto ciò e di quanto avvenne in quell’ormai “fatidica” estate del 2003
sento comunque da più parti affermare che la soluzione a tale situazione
energetica deficitaria risieda nella costruzione di nuove centrali elettriche
tradizionali.
Questa è sicuramente la soluzione più facile e veloce per risolvere il problema,
almeno nel breve periodo. Tuttavia ciò, anche tralasciando le ormai note
VIII
conseguenze ambientali di tali tipi di centrali, accentuerebbe la dipendenza
energetica dell’Italia dai paesi produttori di petrolio (è bene ricordare che la
maggior parte di tali paesi presenta una situazione politica altamente instabile
così come è doveroso sottolineare che, al momento in cui scrivo, il prezzo del
greggio ha superato la soglia psicologica dei 50 dollari al barile).
Un’altra strada percorribile potrebbe essere quella di una politica di forte
incentivazione allo sviluppo delle nuove fonti energetiche rinnovabili .
Questa possibile seconda soluzione deriva anche dal fatto che, mentre riguardo al
settore dei trasporti è ancora di difficile realizzazione lo scioglimento del legame
con il petrolio, in merito all’ energia utilizzata nelle nostre abitazioni si potrebbe
realmente percorrere la strada delle fonti rinnovabili tramite centrali di
generazione ecocompatibili (in luogo alle tradizionali), ma anche tramite una
massiccia diffusione, ad esempio, delle installazioni fotovoltaiche come
copertura dei tetti delle abitazioni.
E’ bene infatti ricordare che, per quanto riguarda i trasporti, nonostante da più
parti si guardi all’idrogeno come la soluzione di tutti i problemi, non è
convincente l’assunzione che l’utilizzo dell’idrogeno sia coerente con la
necessità di un sistema energetico sostenibile. Infatti, se ottenuto a partire da
fonti fossili, le credenziali dell’idrogeno come combustibile pulito appaiono
abbastanza compromesse. In altre parole, non è possibile affermare che
l’idrogeno migliora l’impatto ambientale complessivo: attualmente, ad esempio,
il 98% dell’idrogeno è ottenuto da combustibili fossili.
Scettiche sono anche le case automobilistiche che difatti stanno concentrando gli
sforzi soprattutto nello studio di auto ibride e nello sviluppo di motori diesel a
contenuto livello di emissioni.
Conseguentemente, al fine della riduzione delle emissioni in atmosfera appare
più logico sostituire la produzione di elettricità da fonti fossili con le rinnovabili.
Lo scopo dell’opera è proprio quello di fornire un quadro globale sulle fonti
energetiche rinnovabili:
IX
Nel primo capitolo sono analizzati i limiti delle fonti energetiche tradizionali ed i
problemi ambientali connessi al loro sfruttamento, nonché i vantaggi di tipo non
ambientale che deriverebbero da uno sviluppo delle fonti rinnovabili.
Nel secondo capitolo vengono analizzate le varie tipologie di fonti energetiche
rinnovabili così come, pur senza andare troppo nello specifico, le tecnologie che
è possibile adottare per il loro sfruttamento. È inoltre presente una trattazione
sull’idrogeno, argomento attualmente molto dibattuto.
Nel terzo capitolo è invece presente una serie di dati statistici riguardo ai livelli
raggiunti circa l’entità dello sfruttamento delle varie tipologie di fonti rinnovabili
in Italia, in Europa e nel Mondo.
Il quarto capitolo tratta l’aspetto economico dello sfruttamento delle fonti
rinnovabili: faremo qui un confronto tra le variabili economiche delle fonti
tradizionali ed alternative, ed analizzeremo i costi che è necessario sostenere per
lo sfruttamento delle rinnovabili sia in impianti centralizzati che nelle nostre
abitazioni.
Il quinto capitolo tratta le politiche nazionali ed internazionali legate alle fonti
rinnovabili, dal protocollo di Kyoto al Libro Bianco Italiano.
Nel sesto capitolo, a chiusura, vengono analizzati ostacoli e limiti che ancora si
frappongono ad una maggiore diffusione dello sfruttamento delle fonti
rinnovabili.
A chiusura di questa introduzione desidero ringraziare sentitamente la Rai, ed in
particolare la trasmissione televisiva Rai Explora, per il fondamentale aiuto che
mi hanno concesso permettendomi di visionare materiale video proveniente dai
loro archivi.
X
Un particolare ringraziamento va poi al Prof. Sergio Pinna per la sua disponibilità
e per il costante aiuto fornitomi durante tutto il periodo che è stato necessario per
la realizzazione del seguente lavoro.
1
CAPITOLO 1
L’IMPORTANZA DELLE FONTI DI ENERGIA
RINNOVABILE
La maggior parte dell’energia oggi utilizzata nel mondo deriva dai giacimenti di
combustibili fossili come carbone, petrolio, gas naturale o da giacimenti di uranio
(questo, naturalmente, per quanto riguarda l’energia nucleare). Tali giacimenti
sono disponibili in quantità limitate e rappresentano quindi una fonte energetica
esauribile, non rinnovabile.
1
Diversamente l’energia derivante dal vento, dall’acqua, dal sole, dalla biomassa,
dal calore geotermico e dalle maree è rinnovabile.
2
1.1 I LIMITI DEI COMBUSTIBILI FOSSILI
Mtep rappresenta una sigla che sta a significare “milioni di tonnellate equivalenti
di petrolio”. Sarà necessario familiarizzarvi dato che è opportuno osservare le
varie fonti di energia primaria (carbone, gas, petrolio, nucleare, rinnovabili) in
1
Le risorse non rinnovabili sono tutte quelle risorse il cui uso le sottrae definitivamente al patrimonio
naturale da cui sono ricavate (Santoprete, Tarabella, 1996).
2
Le risorse che la natura mette a disposizione dell’uomo senza interruzione sono dette rinnovabili.
Caratteristiche peculiari sono la loro disponibilità continua ed anche la loro relativa abbondanza
(Santoprete, Tarabella, 1996).
2
quantità equivalenti di petrolio, riducendo così alla stessa unità le varie fonti
energetiche e ciò al fine di rendere più facile il confronto dei dati.
3
Per citare un dato, nell’anno 2000 la domanda di energia a livello mondiale ha
raggiunto un valore prossimo a 9.200 Mtep. Riguardo l’entità di questa domanda
è da segnalare che essa viene soddisfatta per circa il 90% da combustibili fossili;
più specificatamente:
ξ 3.600 Mtep sono derivati dallo sfruttamento del petrolio;
ξ 2.350 Mtep dal carbone;
ξ 2.100 Mtep dal gas naturale.
Importante è inoltre il contributo offerto dall’energia nucleare che si aggira
attorno ai 1.000 Mtep.
Figura 1.1: consumo di energia primaria per regione e per fonte nell’anno 2000 (Mtep).
3
Un TEP corrisponde all’energia termica che si ottiene bruciando una tonnellata di petrolio. Per
definizione un tep equivale a 11.628 kWh.
3
Risorse, riserve, produzione. Sono queste tre variabili in base alle quali è
possibile effettuare una stima della disponibilità dei combustibili fossili.
Considerando il petrolio:
ξ le risorse sono rappresentate dal greggio già identificato anche tramite
attività di prospezione e quindi di ricerca nel sottosuolo. Per risorse si
intendono quindi le materie prime di cui l’umanità dispone, siano esse
economicamente o non economicamente utilizzabili;
ξ le riserve sono invece un sottoinsieme delle risorse caratterizzate da una
relativa certezza circa la loro individuazione e da una effettiva possibilità
di estrazione considerando i prezzi e la tecnologia disponibile al momento.
Quindi la parte di risorse che in un determinato momento, cioè ad un certo
stadio della tecnologia e a certe condizioni di mercato, risultano
economicamente utilizzabili, si dicono riserve (Santoprete, Tarabella,
1996).
Definite le riserve sarà necessario determinare la produzione e cioè quanta parte
di queste riserve viene ogni anno effettivamente estratta.
Da quanto esposto risulterà chiaro come risorse e riserve rappresentino dei
confini alla disponibilità esprimibili in termini di variabili stock (ad esempio
miliardi di barili) i cui livelli e le cui fluttuazioni influenzano le dinamiche di
mercato di lungo periodo. Le dinamiche di medio-breve periodo sono invece
condizionate dalla produzione possibile in un determinato momento e sono
esprimibili in termini di variabili flusso (ad esempio milioni di barili al giorno).
Detto questo, lo stock delle riserve di petrolio individuate ha raggiunto, nei primi
anni 90, l’ammontare di 1.000 miliardi di barili e da allora tale quantità è in
costante aumento, anche se lieve; ciò corrisponderebbe a circa 40 anni di
disponibilità al ritmo di consumo attuale. Si considera invece di 60 e 200 anni la
durata degli stock di riserve di gas naturale e carbone rispettivamente; se
consideriamo poi le riserve probabili questi valori devono essere largamente
incrementati (Lanza, 2002).
4
Riguardo al petrolio c’è da dire che il termine di 40 anni deriva da una media tra
due diversi stock di riserve:
ξ le riserve dei paesi Opec (Organization of petroleum exporting countries)
che rappresentano circa l’80% del totale;
ξ le riserve delle compagnie petrolifere che presentano invece una breve
durata a differenza di quelle dei paesi Opec.
Questi dati manifestano una forte dipendenza delle forniture energetiche
mondiali da una regione geografica ristretta e con numerosi elementi di
instabilità politica, come possiamo quotidianamente vedere, dato che alcuni dei
paesi Opec più importanti sono situati nell’area medio-orientale. Per citare alcune
importanti date: nel 1956 l’Egitto decise di nazionalizzare il canale di Suez
chiudendo il corridoio di collegamento tra paesi consumatori e produttori di
petrolio. Nel 1973 a causa della guerra del Kippur il greggio passò da 3,011$ al
barile a 11,651$ nell’arco di soli tre mesi producendo il cd. shock petrolifero.
Successivamente l’Iraq, approfittando della debolezza politica dell’Iran, scatenò
una sanguinosa guerra per la restituzione di alcune isole che comportò un
ulteriore aumento del prezzo del combustibile che, nel Gennaio 1980, raggiunse i
26$ al barile (Cameri, 1988). Arrivando a tempi più recenti emblematiche sono le
due Guerre del golfo.
Tale dipendenza può essere però attenuata considerando che i paesi consumatori
di prodotti petroliferi, grazie al progresso tecnologico, possono usufruire, se
necessario, di cospicue riserve inutilizzate allo stato attuale. La R&S (ricerca e
sviluppo) definisce, quindi, la linea di confine tra petrolio sfruttabile e non
sfruttabile e, grazie ad essa, le risorse sono sempre più accessibili dal punto di
vista economico.
Anzi, si può affermare che le riserve di combustibili fossili non rappresentano un
grosso problema per il futuro prossimo a patto che però sia incrementata l’attività
di R&S volta al miglioramento dei tassi di utilizzo ed a rendere possibile lo
5
sfruttamento delle riserve costituite dai giacimenti marini profondi e dal greggio
di qualità inferiore (cd. greggio pesante).
Di conseguenza possiamo dire che quantità e disponibilità non costituirebbero un
problema ma vi è, tuttavia, una preoccupazione molto forte esemplificata da un
unico dato decisamente poco rassicurante: l’attività dell’uomo sulla Terra legata
all’utilizzo dei combustibili fossili provoca l’immissione di 23 miliardi di
tonnellate di CO
2
all’anno. Al riguardo la maggior fonte di emissione per
l’anidride carbonica proviene dall’uso delle fonti di energia fossile (96%). All’
interno di questa categoria sono le industrie energetiche ad occupare la quota più
importante con una media complessiva del 30% che in alcuni paesi supera il
50%. Segue ad una certa distanza il settore dei trasporti (Lanza, 2000).
Che cosa può essere fatto per eliminare questa quantità di anidride carbonica
immessa nell’atmosfera in così grande quantità?
Le tecnologie odierne forniscono soluzioni al problema non del tutto convincenti.
Sarebbe possibile infatti catturare l’anidride carbonica generata da impianti che
utilizzano combustibili fossili per immagazzinarla in aree isolate ed
adeguatamente predisposte. Ciò però non rappresenta una soluzione definitiva al
problema in quanto si aprono qui tutta una serie di altre questioni logistiche,
economiche, geologiche ancora senza una chiara risposta. Va aggiunto poi che i
processi di cattura e immagazzinamento dell’anidride carbonica richiedono, essi
stessi, notevoli quantità di energia; inoltre la realizzazione delle infrastrutture
necessarie all’operazione rende il tutto estremamente costoso.
4
Ma soprattutto, al di la delle considerazioni economiche, non appare ancora
adeguatamente studiata la sicurezza globale di questa possibile soluzione al
problema della CO
2.
4
Ad esempio, si stima che i gasdotti per trasferire l’anidride carbonica nei siti appositamente predisposti
costino da uno a due milioni di euro al chilometro.
6
1.2 I LIMITI DELL’ENERGIA NUCLEARE
Le centrali nucleari a sicurezza passiva, cioè quelle di più moderna concezione,
promettono, rispetto alle attuali, decisi miglioramenti nel campo della sicurezza
di esercizio. Tuttavia la linea di pensiero che vede tutti gli sforzi per la sicurezza
concentrati nella prevenzione dell’incidente non è condivisa da tutti gli esperti
del settore. Alcuni infatti sostengono che nel caso in cui l’incidente avvenga
comunque, nonostante gli sforzi in termini di prevenzione, non saremmo
adeguatamente preparati per fronteggiarne le conseguenze.
Inoltre il costo di realizzazione di queste nuove centrali nucleari sarà, secondo
delle stime, almeno quattro volte quello delle centrali nucleari a ciclo combinato
gas-vapore.
E’ da aggiungere poi che per conseguire economie di scala le centrali devono
obbligatoriamente essere di grande potenza mentre la domanda di energia, in
particolare nei paesi a maggior livello di sviluppo, si sposta sempre di più verso
impianti piccoli e maggiormente flessibili che possono, quindi, entrare in
funzione in tempi notevolmente minori.
Nonostante questo c’è chi sostiene l’opportunità di riprendere gli investimenti nel
campo del nucleare convinto del suo limitato impatto sull’ambiente (ciò è
avvenuto anche in Italia a seguito dei black-out dell’estate 2003).
E’ infatti vero che le emissioni di CO
2
derivanti dalla produzione di energia
elettrica da impianti nucleari sono ridotte, tuttavia non si può non considerare il
pesante impatto sull’uomo e sull’ambiente collegato alla produzione di energia
elettrica dal nucleare: vengono innanzitutto in considerazione le radiazioni che
costituiscono una seria minaccia alla salute in tutti gli stadi del processo,
dall’estrazione dell’uranio, all’esercizio degli impianti, al trattamento delle scorie
radioattive.
E’ da segnalare infine il grande problema dei rifiuti nucleari che, nonostante una
lunga ricerca, è ancora pressoché irrisolto.
7
Basti considerare che nessun paese ha ancora costruito un sito permanente per lo
smaltimento delle scorie: per fare un esempio gli Stati Uniti hanno deciso,
solamente lo scorso anno e dopo lunghissimi studi, di creare un sito di stoccaggio
nel deserto del Nevada nel termine di dieci anni.
Se questa è la condizione in cui si trovano gli U.S.A., per quanto riguarda i paesi
europei, basta affermare che il loro ritardo, nei confronti degli Stati Uniti, è di
almeno un decennio.
Tuttavia, anche se i siti di stoccaggio fossero completati, questi non potrebbero
rappresentare la soluzione definitiva per il fatto che le scorie nucleari restano
attive, e quindi pericolose, per un lungo arco temporale (non milioni di anni
come alcuni sostengono ma comunque circa 100.000 anni).
E’ inoltre determinante considerare, cosa che raramente viene fatta, nei costi
relativi all’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari, gli ingenti
investimenti pubblici che sovvenzionano il comparto nucleare in tutti i paesi
avanzati, in particolare riguardo ai servizi per l’approvvigionamento del
combustibile nucleare, per la gestione dei rifiuti radioattivi, per lo
smantellamento della centrale nucleare e la messa fuori servizio della stessa in
condizioni di sicurezza al termine della vita utile dell’impianto.
Molto raramente tutte queste sovvenzioni, rese possibili dai prelievi tributari
presso i cittadini, vengono considerate in sede di determinazione del costo
dell’energia elettrica. Da tutto ciò deriva che i valori comunicati all’opinione
pubblica sono notevolmente inferiori rispetto a quelli reali dato che considerano
solamente i costi sopportati direttamente dall’impresa e non quelli di cui i
contribuenti si fanno carico, spesso a loro stessa insaputa.
L’ammontare delle spese di ricerca e sviluppo che un’industria come quella
nucleare, ormai matura, si fa finanziare dallo Stato sotto varie forme, è un
indicatore del ruolo particolare, rispetto ad altri comparti, che il nucleare ricopre.
8
Anche in Italia, dove da ormai molti anni nessun chilowattora di energia elettrica
è prodotto tramite l’ausilio del nucleare
5
sono necessarie risorse cospicue per la
gestione delle scorie e per il mantenimento in condizioni di massima sicurezza
degli impianti nucleari dismessi a seguito del referendum.
E’ di interesse sottolineare inoltre che negli U.S.A., in caso di incidente nucleare
(problema drammaticamente riemerso nell’estate 2004 a seguito del verificarsi di
ben tre incidenti nucleari nello stesso giorno, in Giappone, in altrettante centrali,
che hanno causato la morte di quattro operai ed il ferimento di altre sette persone.
E’ stato questo l’incidente più grave, in termini di vittime, dell’intera storia
dell’industria nucleare nipponica; anche se in termini radiologici l’incidente
all’impianto di riprocessamento di Tokai-mura del 1999 resta di gran lunga il più
serio con due morti e centinaia di persone contaminate dalla radioattività. Fonte:
La Nazione 10 Agosto 2004) la responsabilità finanziaria delle compagnie
elettriche è limitata ad un valore pari a solamente 10 miliardi di dollari (Price
Anderson Act), valore che, visto in termini assoluti, rappresenta una cifra
ingente, ma che rappresenta solo una piccola parte di quello che potrebbe costare
un incidente nucleare di rilevanti dimensioni.
La ragione avanzata dalle amministrazioni statunitensi al fine di rinnovare l’atto
è che, senza il Price Anderson Act, nessuno più effettuerebbe investimenti nel
campo nucleare; tutto ciò ci mostra quanto scarsa sia la competitività economica
della tecnologia nucleare.
5
In Italia il nucleare è stato soppresso tramite un referendum popolare l’8 novembre 1987 per mezzo del
quale circa l’80% degli italiani che si recarono al voto, probabilmente sull’onda emotiva di quanto
successo a Chernobyl, disse no al nucleare. Fonte: www.zonanucleare.atspace.com.
9
Nazione Reattori funzionanti Reattori in fase di
costruzione
Usa 104 0
Francia 59 0
Giappone 53 4
Regno Unito 35 0
Russia 29 3
Germania 19 0
Corea del sud 16 4
Canada 14 0
Ucraina 14 4
India 11 3
Svezia 11 0
Spagna 9 0
Tabella 1.1: reattori nucleari in funzione ed in costruzione nel mondo.
Come possiamo vedere dalla tabella 1.1 molte sono le centrali nucleari attive nel
mondo. Complessivamente queste centrali producono 352 gigawatt pari al 16%
della fornitura globale di energia. Un dato consistente ma ben lontano dai 1.000
gigawatt che negli anni 70 si stimava per i nostri anni (Fonte: Agenzia
internazionale per l’energia atomica www.iaea.org).
10
Ulteriori problemi determinati dallo sfruttamento energetico del nucleare
possono essere così esemplificati:
ξ la fissione atomica produce inevitabilmente rifiuti radioattivi che generano
calore nell’ambiente in cui vengono depositati. Ne consegue la necessità
di luoghi sicuri e una sorveglianza stretta per periodi che esulano dai
comuni tempi storici. Al plutonio, per esempio, occorrono 24.000 anni
affinché dimezzi la propria radioattività. Numerosi prodotti o scorie di
questa industria sono stati dispersi negli oceani o nell’atmosfera, ma
attraverso la catena alimentare possono riconcentrarsi. Il plancton, che
filtra l’acqua, serve da alimento a piccoli organismi che poi vengono
mangiati dai pesci che finiscono nelle nostre tavole.
ξ Gli effetti delle radiazioni si manifestano a più livelli: debilitazione
generale, malattie tra le quali cancri e leucemie e mutazioni genetiche che
si esprimono in aborti spontanei o malformazioni nei neonati.
ξ Numerosi incidenti sono avvenuti nonostante si dica da più parti che le
probabilità sono trascurabili.
ξ Il trattamento dei materiali radioattivi è condotto in maniera spesso
irresponsabile: alla Hague, in Svizzera, una enorme quantità di materiali,
ritrattati e no, è sepolta a poca profondità. Una parte finisce direttamente
nell’atmosfera o nel mare.
ξ Il trasporto di queste sostanze è rischioso e per semplificare le cose è
accaduto anche che spesso sia avvenuto per via aerea.
ξ I depositi geologici sicuri sono di difficile individuazione.
ξ L’estrazione, il trattamento del minerale, l’arricchimento dell’uranio
hanno bisogno di enormi installazioni. Inoltre, come anche accade nel
caso delle energie fossili, i costi esterni (esternalità) di tale comparto
energetico non ricadono sull’industria che li ha generati ma sulla
collettività.
ξ Questa industria, per natura centralizzata, implica condizioni politiche
stabili, sorveglianza continua ed un apparato repressivo per proteggere le
installazioni; e tutto ciò costa.