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Questo tipo di approccio, pur avendo incontrato un notevole successo, non è
certamente scevro da critiche, che però probabilmente esulano da quelle che sono le
nostre finalità. In questa sede basterà ricordare le posizioni della cosiddetta “Scuola
di Chicago” e quella della “Nuova Economia industriale”.
Secondo gli studiosi facenti capo alla Scuola di Chicago il paradigma Struttura -
Condotta - Performance non sarebbe idoneo ad interpretare la realtà odierna. E’ la
capacità di innovazione del management e la sua visione strategica a determinare
quella che è la performance di un’impresa, non già la struttura del settore. Le migliori
performances, a loro volta, determinando le posizioni di dominanza sul mercato,
influiranno su quella che è la struttura del settore.
L’approccio della Nuova Economia Industriale contesta invece l’univocità del
nesso causale tra struttura e comportamento. Secondo questi autori è molto più
realistico considerare una relazione bidirezionale in cui se è vero che le condizioni
strutturali di un settore influenzano il comportamento degli attori, è anche vero che
questi ultimi non la subiscono passivamente ma, adottando un “comportamento
strategico”, determinano essi stessi le condizioni strutturali più propizie.
Anche prendendo atto di tutte le posizioni critiche rispetto all approccio proprio
dell’economia industriale, è incontestabile l’importanza di una approfondita analisi
della struttura del settore nel creare un inquadramento logico atto ad isolare gli
elementi più importanti per un analisi strategica.
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1.I - IL CONCETTO DI SETTORE
A questo punto è opportuno tentare di individuare una definizione di quello che
è un settore. Si tratta di una definizione piuttosto problematica perché su questa
definizione si sono stratificati diversi contributi senza però che questi siano riusciti a
trarre una conclusione univoca.
La letteratura economica tradizionale definisce il settore come un insieme di
imprese che offrono prodotti e servizi i quali presentino una elevata elasticità
incrociata della domanda. E’ evidente che questa definizione non può condurci
all’identificazione di confini settoriali rigidi e precisi perché si basa, in ultima analisi,
sull’ottica del consumatore finale. In altre parole se due o più prodotti svolgono, agli
occhi del consumatore, la stessa funzione, essi appartengono ad uno stesso settore. O
meglio, le imprese che li producono si troveranno ad interagire in maniera diretta
sullo stesso spazio competitivo.
Si tratta del’ approccio cosiddetto “oggettivo” dell’Economia Industriale.
Questo tipo di approccio si rivela però molto spesso limitato e comunque troppo
rigido e questi limiti vengono evidenziati soprattutto quando si tratta di applicare
concretamente il criterio dell’elasticità incrociata alla realtà del mondo moderno.
Inoltre questo approccio porta con se il pericolo di una visione troppo miope della
competizione. Oggi, in molti casi, sia i fattori di omogeneità dell’offerta che quelli
della domanda sono soggetti a mutamenti molto rapidi e questo comporta un’estrema
rischiosità di un approccio che individui i concorrenti in maniera rigida e guardando
esclusivamente alla realtà attuale.
Questi limiti hanno spinto gli studiosi alla ricerca di criteri meno rigidi e più
efficaci. Il Volpato (
2
) ad esempio ha proposto il criterio dell’omogeneità, definendo
il settore come il luogo economico generato dall’intersezione di alcuni fattori
2
G. Volpato - Concorrenza, Impresa, Strategie; Bologna 1996 (cap. 2)
9
9
fondamentali di omogeneità. Questi fattori dovranno essere individuati volta per volta
considerando gli elementi più importanti dal punto di vista competitivo.
Un approccio di tipo diverso, che cerca di superare i limiti presentati
dall’approccio “oggettivo”, è rappresentato dall’approccio “strategico”. Secondo
questo tipo di approccio sono le stesse imprese, che non subiscono passivamente il
condizionamento della struttura settoriale, a definire il proprio ambito competitivo.
Il settore in questo caso non può essere considerato una realtà oggettiva, esterna
all’impresa, è piuttosto il risultato delle scelte strategiche realizzate di volta in volta
dalle imprese. Questo approccio comporta che non si può guardare al settore come a
qualcosa di dato ma piuttosto occorre considerarlo come qualcosa di soggettivo e di
variabile nel tempo.
1.II - LA STRUTTURA DI UN SETTORE
Assodato che lo studio e la comprensione della struttura del settore è il punto di
partenza per l’analisi strategica, vediamo ora quali sono le principali metodologie
sviluppate in letteratura a tal fine. La più importante di queste metodologie è
certamente quella elaborata da Michael Porter agli inizi degli anni ’80 e che è
mondialmente conosciuto come modello della “concorrenza allargata” o anche come
modello delle “5 forze”.
Il merito principale di questo modello è quello di fornire uno schema di
riferimento semplice e al tempo stesso efficace per la classificazione delle
informazioni più rilevanti riguardo ad una struttura settoriale, nel consentire la
previsione delle conseguenti implicazioni sul comportamento concorrenziale e
quindi, coerentemente con un approccio del tipo struttura-condotta-performance,
sulle prospettive reddituali del settore.
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2 - MODELLO DELLA CONCORRENZA
ALLARGATA
La concorrenza in un settore va oltre quello che è il confronto tra le imprese
esistenti e in competizione diretta tra loro. Per conoscere a fondo un settore occorre
tenere conto di clienti, fornitori, imprese che producono beni o servizi sostitutivi e
potenziali nuovi entranti. Tutti questi soggetti sono “concorrenti” per le imprese che
operano all’interno del settore: in questo senso si parla di concorrenza allargata.
Da questo punto di vista questo modello ha rappresentato un significativo passo
avanti nell’interpretazione del fenomeno competitivo, rispetto ai modelli di analisi
precedenti, ponendo in evidenza la necessità per l’impresa di considerare un territorio
competitivo più vasto e di prendere in considerazione tutti i soggetti che con la loro
azione hanno un impatto sulla performance reddituale dell’impresa.
Le cinque forze concorrenziali che il Porter ha individuato determinano,
congiuntamente, l’intensità della concorrenza e quindi il livello dei potenziali profitti
di un settore. E’ abbastanza evidente però sin d’ora che le singole forze possono
essere più o meno significative a seconda delle condizioni peculiari di ogni singolo
settore.
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Passiamo adesso a considerare, seguendo l’impostazione dello stesso Porter, le
singole forze che costituiscono la concorrenza allargata.
ENTRATE
POTENZIALI
PRODOTTI
SOSTITUTIVI
FORNITORI
ACQUIRENTI
CONCORRENTI
DIRETTI
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2.I - MINACCE DI ENTRATA
Perché un’analisi strategica non si riveli miope un momento molto importante è
rappresentato dall’analisi dei concorrenti potenziali. Si tratta di considerare la
possibilità che nuove imprese, o anche imprese già operanti su altri settori che
intendono diversificarsi, facciano il loro ingresso nel settore, riducendo i prezzi e di
conseguenza i margini di profitto.
Le minacce di entrata in un settore dipendono essenzialmente da 2 elementi: la
presenza di BARRIERE ALL’ENTRATA e le REAZONI che i nuovi entranti devono
attendersi da parte dei concorrenti preesistenti. Consideriamo ora separatamente
questi 2 elementi.
Le barriere all’entrata possono essere rappresentate da economie di scala, da
economie di scopo, dalla differenziazione del prodotto, dal fabbisogno di capitali, dai
costi di riconversione, dall’accesso ai canali di distribuzione, da particolari politiche
governative e da altri svantaggi di costo, per le imprese che intendono entrare nel
settore, che non dipendono dal volume di produzione.
Le economie di scala consistono in una riduzione dei costi unitari in
corrispondenza di un elevato volume produttivo, preso a riferimento un determinato
intervallo temporale. E’ evidente che le economie di scala sono potenzialmente la
fonte di una importante e solida barriera all’entrata, perché impongono alle imprese
che volessero entrare in un determinato settore un ingresso con volumi produttivi
elevati, se vogliono essere competitive. Un tipo particolare di economie, assimilabili
a quelle di scala, è rappresentato dalle economie di scopo. Queste economie possono
tipicamente essere realizzate da imprese differenziate che hanno funzioni o fasi di
produzione comuni a più aree d’affari, con conseguenze benefiche in termini di
riduzioni di costi unitari.
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Un altro tipo di barriera all’entrata è rappresentato dalla differenziazione del
prodotto, qualora questa abbia reso possibile alle imprese già operanti nel settore la
conquista di un’elevata fedeltà del consumatore. Se i nuovi entranti vogliono
anch’essi conquistare un certo livello di fedeltà del consumatore, dovranno sostenere
sforzi notevoli in termini di investimenti promozionali, investimenti che - tra l’altro -
sono particolarmente rischiosi, in quanto irrecuperabili laddove l’entrata non dovesse
avere successo.
Il fabbisogno di capitali è anch’esso una fonte potenziale di importanti barriere
all’ingresso. Molti settori sono infatti caratterizzati dall’esistenza di un enorme
fabbisogno di capitali, che di fatto limita il numero dei potenziali nuovi entranti.
Bisogna inoltre tenere conto del fatto che il fabbisogno di capitali non è legato solo
alle immobilizzazioni tecniche, ma anche alla possibilità di offrire credito alla
clientela, alla necessità di tenere scorte e ad investimenti, quali quelli in pubblicità e
in ricerca e sviluppo, che sono difficilmente recuperabili.
Per costi di riconversione si intendono quei costi che devono essere sostenuti
dagli acquirenti nel momento in cui decidono di rivolgersi a un nuovo fornitore di un
dato prodotto. Possono essere poco significativi ma anche molto ingenti e bisogna
pure considerare che, accanto ad una componente di costi per così dire tecnici, vi
sono quelli di natura psicologica, legati alla rescissione di rapporti consolidati da
tempo.
I costi di riconversione sono importanti perché rappresentano una sorta di forza
di inerzia, che determina una situazione di vantaggio - a parità di prezzo - per le
imprese già operanti nel settore, e i nuovi entranti dovranno certamente tenerne
conto.
In alcuni settori poi, come ad esempio quello alimentare - e quindi anche quello
che mi propongo di studiare nel seguito del lavoro - una barriera all’entrata decisiva è
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rappresentata dall’accesso ai canali distributivi. Se i canali di distribuzione utilizzabili
sono limitati e le imprese già operanti li hanno occupati, sarà difficile riuscire a
proporre sul mercato i propri prodotti. Bisognerà offrire dei vantaggi ai distributori in
termini di riduzione di prezzo, campagne pubblicitarie o altri strumenti che però
comunque si risolveranno in una riduzione dei margini di profitto.
Un ulteriore forma di barriera all’ingresso presente, in misura più o meno
significativa, in tutte le nazioni è rappresentata da un certo tipo di politica
governativa. Gli strumenti attraverso i quali gli organismi pubblici possono limitare
l’accesso (o anche precluderlo del tutto) a determinati settori sono numerosi e vanno
dal regime di autorizzazioni amministrative sino ad arrivare a leggi speciali emanate
per settori determinati.
L’ultima categoria di barriere all’entrata è rappresentata da tutta una serie di
potenziali svantaggi di costo, per i nuovi entranti, che sono indipendenti dal volume
produttivo. Si pensi, ad esempio, all’esistenza di tecnologie utilizzabili in maniera
esclusiva perché protette da brevetti, oppure a condizioni di accesso privilegiato, per
le imprese preesistenti, alle materie prime in conseguenza di contratti di esclusiva a
lungo termine. Un altro possibile vantaggio potrebbe essere legato alla
localizzazione, qualora le ubicazioni maggiormente favorevoli fossero già state
occupate dalle imprese preesistenti; oppure potrebbero esserci delle particolari
sovvenzioni pubbliche che vanno a beneficiare queste ultime e non le nuove entranti.
Occorre infine considerare l’impatto di un fattore quale quello delle curve di
esperienza. In molte attività al cumularsi di esperienza nei processi operativi
corrisponde una riduzione dei costi unitari che è evidentemente legata alla maggiore
efficienza dei lavoratori e all’affinamento delle tecniche e degli stessi processi. Nei
settori in cui i costi diminuiscono con l’esperienza - e quindi tipicamente (ma non
esclusivamente) nei settori ad alta intensità di lavoro piuttosto che di capitale - le
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nuove imprese partono svantaggiate. È però necessario osservare che le barriere
all’entrata che sono legate alle curve di esperienza sono in qualche modo più incerte
rispetto alle economie di scala, sebbene molto spesso procedano congiuntamente. La
sola esperienza difatti non costituisce una valida barriera all’entrata; perché lo diventi
è necessaria un’ulteriore condizione, cioè che non possa essere acquisita dai nuovi
entranti attraverso l’imitazione, lo storno di dipendenti o altri mezzi che rendano
possibile l’acquisizione dello know-how in questione. Occorre infine effettuare
un’altra considerazione, e cioè che solitamente le imprese che entrano
successivamente in un certo settore, maturano esperienza più velocemente rispetto a
quelle preesistenti.
Passiamo ora a considerare il secondo elemento, oltre alle barriere all’entrata, da
cui dipendono le minacce di entrata: le reazioni attese. Se è ragionevole attendersi
una reazione particolarmente energica da parte delle imprese operanti nel settore, le
imprese che intendono entrarvi ne potrebbero essere scoraggiate. Una serie di
elementi potrebbero essere la spia di una probabile reazione decisa. Ad esempio un
tasso di crescita limitato del settore evidentemente lascia meno spazio ai nuovi
entranti, ed è quindi presumibile che le imprese preesistenti si oppongano con
particolare vigore ad un invasione del loro mercato. Una reazione analoga è molto
probabile anche quando gli attuali concorrenti hanno effettuato pesanti investimenti
nel settore perché lo ritengono particolarmente strategico, o anche quando
dispongono di elevate risorse per contrastare i nuovi concorrenti.
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2.II - RIVALITÀ TRA CONCORRENTI
La seconda forza concorrenziale individuata da Porter con il suo modello è
quella che tipicamente si manifesta tra le imprese operanti nel settore e che si
confrontano in modo diretto al fine di conquistare, o difendere, una posizione di
mercato favorevole.
Nella grande maggioranza dei casi l’intensità della concorrenza tra le imprese
operanti nel settore è proprio il principale fra i fattori strutturali che influenzano la
redditività di lungo periodo e quindi l’attrattività di un determinato settore.
In linea di principio, quanto più elevato il grado di rivalità tra le imprese di un
settore, tanto minore è la redditività prospettica e quindi tanto minore sarà
l’attrattività di quel settore.
Porter procede quindi nell’analisi di quei fattori che, interagendo
reciprocamente, determinano l’intensità della concorrenza. Tra questi i principali
sono: il grado di concentrazione del settore e il suo tasso di crescita, la struttura di
costo delle imprese, il livello di differenziazione dell’offerta, la presenza di costi di
riconversione, le barriere all’uscita e le diversità tra i concorrenti.
Il primo fattore preso in considerazione è il grado di concentrazione del settore,
inteso come grado di sperequazione tra le imprese relativamente alle quote di
mercato. Il grado di concentrazione di un settore viene comunemente misurato dal
concentration ratio (CR
k
) (
3
), che è la somma cumulata delle quote di mercato delle
imprese che hanno il fatturato maggiore (normalmente le prime 4: CR
4
).
In linea di principio se il livello di concentrazione di un settore è elevato, cioè
quando il settore è dominato da una o poche imprese, la conflittualità tra le imprese si
mantiene a livelli piuttosto bassi, in quanto le imprese maggiori riescono a mantenere
un elevato potere di condizionamento sulle scelte dei concorrenti minori (
4
).
3
Dove k sta per il numero di imprese prese in considerazione
4
In questa situazione è probabile che la competizione si focalizzi su variabili diverse dal prezzo, ad
esempio sull’innovazione, sull’immagine di marca, sul valore generato per il cliente e così via.
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Viceversa, qualora vi sia un numero elevato di imprese, tutte di dimensioni
relativamente simili, è probabile che venga a determinarsi un’elevata conflittualità e
che le imprese sviluppino aggressive strategie competitive sui prezzi.
Il tasso di crescita del settore è il secondo importante fattore da prendere in
considerazione. Quando un settore è caratterizzato da un tasso di crescita ridotto (
5
), è
facilmente ipotizzabile un più elevato livello di conflittualità tra le imprese, rispetto al
caso in cui il settore è in rapida crescita e quindi c’è spazio per tutti.
Un altro elemento che occorre considerare è la struttura dei costi delle imprese
operanti nel settore e, in particolare, il rapporto tra i costi fissi e i costi variabili. Se i
costi sono perlopiù fissi le imprese cercheranno di espandere al massimo le proprie
vendite per poter superare i rispettivi break even points. È altamente probabile che
per conseguire questo obiettivo la concorrenza si sposterà sul prezzo piuttosto che su
altri fattori, con la conseguenza di una riduzione generalizzata della redditività.
Se, viceversa, i costi sono perlopiù variabili, le imprese saranno meno
preoccupate di espandere al massimo le proprie vendite e più attente all’ampliamento
dei margini di profitto, attraverso strategie di differenziazione dell’offerta.
Naturalmente la possibilità di differenziare l’offerta è strettamente legata alle
caratteristiche del prodotto o del servizio. Se un prodotto non ha ampi margini di
differenziazione la competizione si baserà necessariamente sui prezzi e la
competizione sarà presumibilmente molto forte (
6
). D’altra parte la differenziazione,
se riesce a generare un processo di fidelizzazione, consente di difendersi meglio dalle
iniziative dei concorrenti.
Le barriere all’uscita rappresentano sicuramente un aspetto cui bisogna prestare
particolare attenzione. Sono costituite da fattori economici, strategici, o anche
5
Tipicamente questo si verifica con l’ingresso del settore nella fase di maturità.
6
Hax e Majluf parlano a questo proposito di “sindrome da commodity”
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soltanto emotivi, che ostacolano la possibilità per le imprese di uscire dal settore in
cui operano.
Possono essere legate ad investimenti in impianti specializzati e che quindi
hanno bassi valori di liquidazione, oppure a particolari interdipendenze strategiche
che costringono un’impresa ad essere presente in un settore anche se ciò comporta
delle perdite. Potrebbero anche essere rappresentate da vincoli di tipo politico o
sociale.
Qualunque sia la loro origine, la conseguenza della presenza di elevate barriere
all’uscita è sempre quella di un’elevata conflittualità: le imprese che non possono
abbandonare il mercato faranno ricorso ad iniziative concorrenziali estreme pur di
ampliare le loro vendite, determinando un probabile abbassamento della redditività
per l’intero settore.
È interessante notare che spesso, pur essendo due aspetti concettualmente
diversi, barriere all’entrata e barriere all’uscita tendono a presentarsi congiuntamente,
il che fa ipotizzare un certo grado di correlazione. Basti pensare al caso di impianti
specializzati - e che quindi implicano barriere all’uscita - che comportano spesso forti
economie di scala.
Un ultimo importante, ma al tempo stesso controverso, fattore che è necessario
considerare è rappresentato dalle diversità fra i concorrenti. Vi è chi (
7
) sostiene che
7
Ad esempio Porter e Grant.
BARRIERE
ALL’USCITA
BARRIERE
ALL’ENTRATA
B
A
S
S
E
E
L
E
V
A
T
E
BASSE ELEVATE
REDDITIVITÀ
BASSA E
STABILE
REDDITIVITÀ
BASSA E
RISCHIOSA
REDDITIVITÀ
ALTA E
STABILE
REDDITITIVITÀ
ALTA E
RISCHIOSA
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la diversità, in termini di origini, obbiettivi, strategie o dimensioni, è fonte di
instabilità e di tensioni tra le imprese operanti nel settore perché le differenze
renderebbero impossibile giungere a concordare quella serie di accordi non scritti che
Porter chiama “le regole del gioco”.
Vi è anche però chi (
8
) sostiene la tesi contraria, cioè che la somiglianza tra le
imprese concorrenti comporta una maggiore rivalità, proprio perché verranno adottate
strategie competitive simili che alla fine conducono le imprese a scontrarsi sullo
stesso campo. La diversità fra i concorrenti invece determinerebbe una minore
rivalità e quindi una maggiore attrattività del business.
In definitiva, essendo questo punto particolarmente controverso, non pare
possibile trarre delle conclusioni valide in assoluto, tuttavia si tratta di un aspetto che
dovrà comunque essere tenuto in considerazione e approfondito caso per caso in
quanto il suo impatto, in un senso o in quello opposto, è fuori discussione.
8
Ad esempio il Sicca.