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Quindi analizzeremo le situazioni che inducono gli imprenditori ad
organizzarsi in associazioni di interessi collettivi, con quali gradi di
partecipazione e con quali possibilità di successo.
Nel primo capitolo analizzeremo anche le forme di pressione che gli
imprenditori cercano di attuare attraverso altri canali “collettivi” alternativi
alle forme strutturate delle tradizionali associazioni imprenditoriali, in
particolare attraverso le organizzazioni lobbystiche.
Chiude il primo capitolo un’analisi del sistema neocorporativista,
particolare forma di scambio di risorse politiche, economiche, di legittimità
che coinvolge lo Stato e le organizzazioni di intermediazione degli
interessi. Cercheremo di capire quali sono gli obiettivi che ciascuna parte si
propone di raggiungere attraverso questo sistema di relazioni e quali sono
le risorse che è disposto a scambiare, e a favore di chi. Valuteremo inoltre
quali sono le condizioni più favorevoli all’instaurarsi di un meccanismo di
questo tipo, quali sono gli aspetti nei quali si è trasformato maggiormente
nel corso del tempo, quali sono i suoi vantaggi e quali le sue
disfunzionalità.
Il secondo capitolo si propone di studiare più specificamente le
associazioni di rappresentanza degli interessi imprenditoriali in Italia, dal
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loro punto di vista strutturale, analizzando similitudini e differenze rispetto
alle altre forme di organizzazioni collettive e di interessi.
Si noterà come la scelta per l’una o l’altra forma strutturale non sia
“neutra” ma rivesta invece un’importanza fondamentale e sia un buon
riferimento nello studio per evidenziare le caratteristiche più profonde
degli orientamenti e delle necessità dei soggetti che ne fanno parte.
Inoltre ci si occuperà delle trasformazioni di cui le organizzazioni
sono state protagoniste dalla loro nascita, di come le funzioni da esse
svolte si siano ampliate e diversificate, anche in relazione alle nuove
necessità che nel tempo si proponevano come nuove sfide. Si cercherà di
valutare la capacità di risposta a tali sfide oltre al grado di efficacia di
azione e di partecipazione alla vita sociale e politica delle stesse
associazioni imprenditoriali.
Ancora, si cercherà di valutare quanto tali associazioni riescano ad
essere rappresentative, quale sia il loro grado di coerenza interna, quanto
gli imprenditori intendano trasferire a tali organizzazioni, in termini sia
quantitativo che qualitativi, della propria capacità di autodeterminazione
nelle scelte, quanto le stesse organizzazioni riescano a tutelare i propri
iscritti e a conservarne o accrescerne la fiducia nei propri confronti.
Inoltre si cercheranno di evidenziare le particolarità politico-sociali
che, almeno fino ad i primi anni novanta hanno contraddistinto la
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situazione italiana come specifica rispetto agli altri più importanti paesi ad
economia di mercato.
Il terzo capitolo confronta i sistemi di relazioni capitale industriale –
mondo politico, e le diverse associazioni imprenditoriali dei più importanti
paesi europei, proponendosi di evidenziare i legami esistenti tra le forme e
le strutture di queste e le situazioni socio – politiche specifiche.
Attenzione particolare sarà prestata al caso spagnolo in
considerazione del ruolo che il capitale industriale ha ricoperto nella
transizione alla democrazia in tale paese, e più tardi al processo di
integrazione europea.
Il quarto capitolo si occupa di problemi che riguardano l’approccio
degli imprenditori a due fenomeni particolari.
Nella prima parte, traendo spunto da alcune recenti pubblicazioni, si
analizzeranno gli aspetti della “transizione politica” in Italia, le sue
conseguenze e le caratteristiche generali del sistema di relazioni
imprenditoria – politica prima e dopo la transizione, con particolare
attenzione alle possibilità delle organizzazioni collettive di collocarsi in
nuovi spazi politici.
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La seconda parte, invece, analizza le preoccupazioni e le aspettative
degli imprenditori per il fenomeno della “globalizzazione” dei mercati, e si
conclude con un riferimento alla recente elezione del nuovo presidente
della Confindustria ed alle attese ad essa legate.
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CAPITOLO I
LE RELAZIONI CAPITALISMO
INDUSTRIALE – POLITICA
1.1 L’AZIONE INDIVIDUALE DEGLI IMPRENDITORI
Gli imprenditori rappresentano il soggetto principale da analizzare qualora
si vogliano studiare le relazioni tra industria ed altri ambiti.
Cominciamo, dunque, con il chiarire, con una definizione, cosa intendiamo
quando parliamo di imprenditori:
Si definiscono imprenditori gli attori sociali che
detengono il controllo dei fattori della produzione, svolgono
un ruolo di innovazione, si assumono il rischio di impresa e,
in generale, occupano una posizione dominante nella
divisione del lavoro e nella distribuzione della proprietà in
un’economia capitalista.
1
1
A. MARTINELLI, L’azione collettiva degli imprenditori italiani, Milano, Edizioni di
Comunità, 1994, pag. 3.
9
In questo paragrafo si intende così illustrare i mezzi e le opportunità
a disposizione degli imprenditori per agire, individualmente, per
promuovere i propri interessi e difenderli nelle arene opportune.
Oltre a questa tipo di azioni a disposizione degli imprenditori, che si
possono definire azioni politiche in quanto orientate verso organismi che
elaborano, promuovono o applicano politiche che ricadano negli ambiti di
interesse degli imprenditori, si deve considerare come gli imprenditori
siano per loro stessa definizione e posizione sociale, origine di “fatti
politici”.
Infatti qualunque decisione di un imprenditore, sia che riguardi la
destinazione di investimenti, sia che riguardi questioni occupazionali, o
finanziarie, o che incidano sui prezzi, è comunque una decisione di
immediato interesse politico. Data la rilevanza delle questioni economiche
nella società contemporanea, e la possibilità per i soggetti titolari della
proprietà del capitale di gestirlo autonomamente, le decisioni di un
soggetto, persona o impresa, o consorzio di imprese, acquistano per la
collettività, e quindi per le istanze delegate a governare la collettività, una
rilevanza che dipende da quella del soggetto decisore, dell’oggetto della
10
decisione, dell’importanza relativa del campo di riferimento, del momento
storico, così come di altre situazioni e contingenze.
Considerando ora solo il primo tipo di azione, che abbiamo definito
politica tout court, si ritiene, generalmente, che, per ragioni legate al ruolo
che ricoprono, gli imprenditori siano più naturalmente portati a muoversi
autonomamente, e che la possibilità di azione associata solo una second
best solution. Gli imprenditori si decidono per l’azione associata solo
quando tale opzione si dimostri necessaria o largamente preferibile rispetto
all’azione individuale. Naturalmente su questo tipo di considerazioni
influiscono molte altre variabili, che attengono sia all’oggetto delle
decisioni, che alle circostanze storiche, politiche, sociali, economiche del
momento ed a caratteristiche della stessa impresa: grande rilevanza ha, per
esempio, in questo tipo di considerazione, la dimensione dell’impresa. È
evidente che un’impresa riterrà di avere una capacità di movimento tanto
maggiore quanto più grandi siano le sue dimensioni.
Martinelli classifica le possibilità degli imprenditori di perseguire i
propri obiettivi ed esercitare il proprio potere e la propria influenza in
quattro modi diversi, due di tipo individuale e due di tipo collettivo, due
nel mercato e due nell’arena politica.
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Nel mercato gli imprenditori agisono attraverso decisioni autonome
di gestione economica e finanziaria e con accordi di “cartello” o altro tipo
di strategie di collaborazione tra più imprese.
Nell’arena politica invece, le azioni possono svilupparsi a livello
individuale mediante un’azione di lobbying e a livello collettivo mediante
le proprie associazioni di rappresentanza.
Da questa serie di considerazione l’autore trae due conclusioni: 1)
gli imprenditori preferiscono operare nel mercato 2) adottare strategie
individuali (Martinelli, 1994).
Ciò non avviene solo in riferimento a questioni che riguardino
transizioni di beni e servizi, ma anche in relazione alla gestione del fattore
lavoro o ad ambiti in cui è rilevante l’intervento statale.
Ciò rappresenta anche un fondamentale fattore di differenza tra
imprenditori e lavoratori. Infatti, se i primi possono, ed anzi, come
abbiamo visto, preferiscono, esercitare il proprio potere anche
individualmente, per la seconda categoria l’associazione collettiva
rappresenta una necessità irrinunciabile, e l’unica opportunità per far valere
le proprie azioni.
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1.2 L’AZIONE COLLETTIVA
1.2.1 Le ragioni dell’azione collettiva
Cosa significa azione collettiva? Definiamo l’azione collettiva come
una strategia attraverso la quale gli attori si coalizzano e, accettando di
sottostare ad un unico meccanismo di decisione collettivizzata, coordinano
e vincolano reciprocamente i loro comportamenti, per produrre
collettivamente delle risorse politiche al fine di difendere interessi che,
sulla base delle risorse che individualmente controllano, non sarebbero in
grado di perseguire attraverso l’azione individuale.
2
Si possono individuare, a seconda dei paradigmi interpretativi a cui
far riferimento, diverse ragioni che inducono gli imprenditori ad
organizzarsi collettivamente.
Secondo l’approccio pluralista, ad esempio essi si organizzano, così
come qualunque altro gruppo sociale, perché hanno degli interessi in
comune da difendere, e le associazioni operano semplicemente come canali
di comunicazione. Da notare che questo tipo di approccio considera
2
L. LANZALACO, Dall'impresa all'associazione. Le organizzazioni degli imprenditori: la
Confindustria in prospettiva comparata, Milano, Franco Angeli, 1990, pag. 27.
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scarsamente rilevante l’analisi organizzativa, considerando i meccanismi di
funzionamento questioni semplicemente tecniche.
L’approccio utilitarista invece considera necessaria alla formazione
di un’associazione la produzione di “incentivi selettivi” (Olson, 1971) da
offrire solo a coloro che sono disposti a partecipare alle attività
dell’organizzazione. Questa tesi considera infatti l’interesse collettivo, una
volta prodotto, come un bene pubblico, e dunque a disposizione di tutti,
indipendentemente dal fatto che ne abbiano contribuito alla realizzazione.
In sostanza, quindi, gli imprenditori non si associano per difendere un
interesse collettivo, ma per perseguire un interesse individuale.
Un terzo approccio è quello marxista (Offe – Wiesenthal, 1979), che
distingue la logica che porta ad associare gli imprenditori da quella che
induce i lavoratori ad organizzarsi. Date le caratteristiche del sistema
economico capitalista, che prevede la proprietà privata del capitale, esiste
uno squilibrio di fondo tra la posizione degli imprenditori e dei lavoratori.
Dunque gli imprenditori adottano una logica monologica, in quanto
ciascuno di loro ha ben presente quale sia il suo interesse: in quest’ottica
l’azione collettiva rappresenta semplicemente l’uso coordinato delle risorse
di cui dispongono singolarmente.
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Gli imprenditori si associano invece secondo una logica dialogica, in
quanto devono scoprire assieme quale è il loro interesse collettivo, che
spesso può essere in contrasto con l’interesse individuale, in ragione del
quale il singolo sarebbe portato ad accettare il dominio di chi ha potere.
Anche in questo approccio teorico scarsa rilevanza è attribuita alla
dimensione organizzativa: questo punto in comune ai tre approcci secondo
Lanzalaco dipende dal fatto che tutti e tre considerano gli interessi, sia
individuali che collettivi, come prodotti oggettivi della struttura sociale ed
economica. Come vedremo nei capitoli successivi, invece, la struttura di
un’organizzazione ha un ruolo fondamentale, anche nella determinazione
degli interessi rappresentati, soprattutto per il suo ruolo di filtro e di
promozione di alcuni interessi rispetto ad altri.
Proviamo ora ad analizzare in una prospettiva più attenta ai problemi
concreti che gli imprenditori affrontano, quali sono le ragioni che spingono
gli imprenditori ad associarsi. Possiamo ridurle essenzialmente a tre:
1. la necessità, in un sistema come quello capitalista che
ha come sua caratteristica fondamentale la contraddizione e la
contrapposizione tra le parti, di evitare una concorrenza sfrenata sui
prezzi e cercare di individuare obiettivi comuni.
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2. la sfida delle associazioni di rappresentanza, anche
politica dei lavoratori. Questa in particolare è spesso considerata la
causa fondamentale dell’associazionismo imprenditoriale, ma non è
certo l’unica, né, talvolta, la principale.
3. la terza causa origina dall’aumento dell’intervento dello
Stato nell’economia, che sottrae progressivamente importanza al
mercato come sistema di distribuzione delle risorse. Tale fenomeno
provoca negli imprenditori una reazione che si sviluppa lungo una
duplice direttrice: da un lato cercano di evitare che le limitazioni
alla propria libertà di investimento siano troppo stringenti, dall’altro
che le tendenze redistributive raggiungano livelli considerati
eccessivi.
Ancora dalla trattazione di Lanzalaco possiamo trarre un utile
schematizzazione per “quantificare” la propensione di un attore all’azione
collettiva. Essa sarà proporzionale al suo “fabbisogno” di azione collettiva,
che sarà tanto più elevato:
ξ quanto più egli non è in grado di adottare strategie
individuali per difendere i suoi interessi o tali strategie sono
eccessivamente onerose
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ξ quanto più gli interessi che debbono essere difesi
collettivamente sono di importanza capitale, cioè quanto più gli
eventi che vanno “tenuti sotto controllo” incidono in modo
determinante, sia positivamente che negativamente, sul benessere
dell’attore
ξ quanto più ampia è la gamma di interessi dell’attore
che debbono essere difesi collettivamente
ξ quanto più bassa è la probabilità che questi interessi
vengano tutelati automaticamente, grazie ad un sistema di diritti
garantiti o al meccanismo delle reazioni previste, senza un
intervento diretto dell’attore.
3
Ma di grande importanza è anche la possibilità per l’attore di avere
una effettiva capacità di controllo sugli obiettivi dell’azione collettiva.
Questa variabile viene quindi ad incidere sulle scelte degli imprenditori
insieme a quello che abbiamo chiamato fabbisogno di azione collettiva: è
evidente che quanto minore è quest’ultima, tanto maggiore deve essere, per
l’attore, la possibilità di controllare le mete collettive, per indurlo ad
apportare il suo contributo all’azione collettiva.
3
Ibidem.
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Esistono, comunque, almeno con riferimento al caso italiano, anche
ragioni storico – sociali, oltre che economiche, che hanno spinto gli
industriali ad associarsi. Alacevich ci ricorda, ad esempio, come dopo
l’abolizione del regime corporativo fascista, nel 1944, gli imprenditori
sono spinti a dare vita a tutta una serie di associazioni di rappresentanza
per difendere i propri interessi (Maraffi, 1994). Ma rilevanti, ai fini dello
sviluppo delle associazioni di rappresentanza, sono stati anche il tipo di
politiche pubbliche e la natura dei rapporti tra imprese e potere politico
(Alacevich, 1996).
Questa combinazione di fenomeni ha caratterizzato il panorama
delle associazioni imprenditoriali italiano con alcuni elementi peculiari. Si
evidenzia ad esempio, un forte pluralismo associativo, all’interno del
quale, peraltro, non è presente un significativo grado di concorrenza
interassociativa. A questo fenomeno fa però da contraltare un’elevata
competizione nell’arena politica per ottenere vantaggi nella distribuzione
delle risorse. Questo tipo di penetrazione politica nel sistema associativo
imprenditoriale è ancor più evidente nel caso di associazioni di
rappresentanza di imprese minori, più dipendenti dall’intervento pubblico.