2
L’analisi della Sala Borsa come esempio di politica culturale
non può prescindere, pertanto, dallo studio dei luoghi che influenzano
o determinano questa politica: l’edificio prima di tutto, la piazza come
centro del potere, e il tessuto urbano di cui Piazza Maggiore è il cuore.
Gli strumenti utilizzati in questa ricerca saranno quelli
dell’urbanistica, intesa come storia urbana dei luoghi interessati;
dell’architettura, intesa come strumento fondamentale nelle strategie
degli interventi urbanistici; della biblioteconomia, nel momento in cui
i principi da essa dettati per una efficace politica per le biblioteche
pubbliche influenza la progettazione architettonica degli edifici
bibliotecari e il loro ruolo urbano. Sono strumenti intimamente legati,
ognuno dei quali gioca una posizione più o meno importante a
seconda del momento storico della loro interazione e dell’attenzione
che si dà al ruolo del servizio fornito dalla biblioteca pubblica nella
città in cui questa è localizzata.
Il lavoro qui svolto si divide in quattro parti. Il primo capitolo
ripercorre la storia urbana di Bologna, dalla sua fondazione in età
etrusca ai giorni nostri: un’attenzione particolare è dedicata alla piazza
centrale della città, di cui vengono ripercorsi i processi politici,
economici e sociali che l’hanno costituita e plasmata nel corso dei
secoli, attraverso gli interventi di carattere architettonico ed
urbanistico che ne hanno modificato la forma e la valenza. Piazza
Maggiore come centro di quartieri, strade, luogo del potere per
eccellenza, spazio urbano centrale in molteplici declinazioni,
politiche, ma anche commerciali e finanziarie. Come sfondo, la storia
della città e del territorio di Bologna, e di molti altri luoghi, vie, strade
che hanno determinato la forma e la sostanza di questa complessa
città.
Il secondo capitolo è dedicato alla biblioteca pubblica, di cui
viene proposta una traccia storica che trova una trattazione più
particolareggiata nel momento storico in cui si afferma il modello
della public library anglosassone, e la sua diffusione in Europa ma
soprattutto in Italia, anche attraverso i mutamenti nel quadro
legislativo che intercorrono dalla Costituzione del 1948 al
3
trasferimento delle competenze in materia alle Regioni. Viene poi
fornito, sempre in questa sezione, un quadro generale dei principi e
delle linee guida che animano e guidano la biblioteca pubblica e la
mediateca, promulgate dalle principali associazioni nazionali e
internazionali di bibliotecari, che influenzano con forza il momento
della progettazione architettonica e urbanistica degli edifici in cui le
biblioteche pubbliche sono collocate. Questa sezione si conclude con
la descrizione di alcuni tra i più significativi esempi di come un
efficace rapporto tra politica bibliotecaria e pianificazione urbanistica
abbia prodotto risultati e casi significativi.
La terza parte riguarda le biblioteche di Bologna, con
un’attenzione maggiore alle biblioteche pubbliche, senza però
trascurare il quadro generale della situazione bibliotecaria della città:
la storia di queste istituzioni, che fin dal Medioevo hanno dimostrato
la loro centralità nel tessuto urbano, include la storia dei principali
promotori e delle diverse sedi delle più importanti biblioteche della
città, fino ad arrivare all’attuale quadro legislativo, regionale ma
anche comunale, riferendoci quindi alle linee di indirizzo promulgate
dalla Giunta di Guazzaloca e di come queste si inseriscono nella più
generale politica bibliotecaria dell’Emilia-Romagna. Si propone,
infine, una panoramica della situazione attuale.
L’ultima parte è dedicata interamente alla Sala Borsa: viene
ripercorsa la storia dell’edificio che la ospita, dalla creazione del
Viridario al suo utilizzo come locali per la Borsa di Commercio, fino
al progetto di installazione della grande mediateca; quest’ultimo viene
rapportato al più generale progetto che riguarda l’intera piazza,
denominato “Parco Urbano di Piazza Maggiore”: si propone quindi la
ricostruzione sia del progetto originario (come la biblioteca doveva
essere) che delle modifiche intercorse fino a far diventare la Sala
Borsa così come si propone oggi, con gli esercizi commerciali. Non
manca il racconto delle polemiche che hanno accompagnato la
realizzazione del nuovo progetto per la Sala Borsa, per descrivere,
infine, come essa è strutturata attualmente e cosa è cambiato nei
luoghi che la biblioteca e gli esercizi condividono.
4
I. La storia urbana di Bologna
1
Ogni città produce spazi che vengono articolati e sfruttati
diversamente: l’aspetto fisico della città e del territorio adiacente può
essere considerato come il riflesso dei rapporti sociali in essi vigenti e,
vicendevolmente, come il loro modificarsi in base al modificarsi di
quei rapporti
2
.
1
Per molta parte della ricostruzione della storia urbana di Bologna mi baserò sul
lavoro di Giovanni Ricci, Bologna, Bari, Laterza, 1985, fondato sulla rilettura
sistematica della cartografia antica. Sarà qui escluso, dovunque non sia possibile il
contrario, qualsiasi riferimento alle carte geografiche, fonti, invece, dell'originale
lavoro di Ricci, lasciandone intatte le deduzioni e le ricostruzioni storiche che
saranno pienamente utilizzate ai fini del presente lavoro. Non è, infatti, funzionale al
lavoro che intendo presentare la comparazione tra le molteplici carte geografiche
operata dallo stesso Ricci che, se pur di indubbio interesse e rilevanza storica,
rappresenta una metodologia di lavoro che scavalca le mie competenze e i miei
interessi. L'autore ci ricorda (p 12, cit.) che “ripercorrere la storia urbana attraverso
questo tipo di fonti figurative significa valutare continuamente lo scarto fra realtà e
coscienza, fra storia e senso della storia”: se da una parte, generalizzando
un'affermazione di Ricci (p 12, cit.), tutti i diversi momenti della storia devono
essere considerati “in base al rilievo che la variabile coscienza del passato ha di
volta in volta attribuito loro”, dall'altra prendere in considerazione questa coscienza,
momento fondamentale in qualsiasi ricostruzione che si pretenda essere obiettiva, è
lavoro egregiamente già svolto da Ricci e dagli altri autori ai quali farò riferimento.
Per questo limitarsi alle conclusioni che hanno tratto gli autori in questione, Ricci in
prima fila, senza indagare troppo a fondo il metodo da questi usato, a cui, se
necessario, si farà riferimento di volta in volta, è un'operazione legittima nel limitato
contesto del lavoro che qui si svolge. Per maggiori approfondimenti, oltre che per la
visione delle carte a cui Ricci fa riferimento, si rimanda al volume curato dallo
stesso Ricci.
Una ulteriore precisazione va fatta sulla selezione qui operata dei momenti, degli
spazi e dei tempi che caratterizzano la storia urbana di Bologna, alcuni dei quali
sono stati trattati più approfonditamente in relazione all’oggetto principale di questo
lavoro, ossia la Sala Borsa e la piazza che la ospita: naturalmente, data la
complessità del processo urbanistico, una selezione di questo genere non implica il
silenzio sui processi politici, economici, sociali che non menzionino direttamente
Piazza Maggiore, proprio perché, seppur da lontano, o in modo tacito, il cuore della
città entra in relazione col costituirsi di Bologna in molteplici e svariati modi. Alcuni
momenti saranno pertanto trattati in modo molto generico: si è scelto poi di non
approfondire nel dettaglio la storia di Bologna, che tanto ha segnato la sua storia
urbana, ma di demandare eventuali approfondimenti relativi a determinati periodi
nella bibliografia che verrà man mano citata.
Per ulteriori approfondimenti, si può consultare la ricca bibliografia fornita da G.
Ricci in Bologna cit.
2
Per una concezione della storia urbana di questo tipo, ci si rifà a modelli concreti
di ricerca come i lavori di M. Berengo sulla città di antico regime (cfr. M. Berengo,
La città di antico regime, in Dalla città preindustriale alla città del capitalismo
(vol.misc. contenente saggi già apparsi su «Quaderni storici» del 1974), Bologna,
1975, pp 25-54) o di D.Herlihy sulla città medievale toscana (cfr. D. Herlihy,
Società e spazio nella città italiana del Medioevo, in La storiografia urbanistica
(Atti del congresso), Lucca 1976, pp. 174-90). A questo riguardo vedi le note 12 e
13 dell’introduzione al volume di G. Ricci, Bologna cit., p. 3.
5
Nella sua globalità, la storia urbana di Bologna presenta dei
caratteri originali che ne segneranno lo sviluppo dall’origine sino ai
giorni nostri: l’incertezza del rango della città, l’estrema lunghezza
della storia urbanistica di Bologna, la funzione di nodo di
comunicazione fin dal periodo villanoviano, l’incancellabile disegno
della regione e della città tracciato dalla colonizzazione romana,
l’organicità con cui nel periodo della colonizzazione romana furono
legate le pianificazioni urbana e territoriale e il periodo di grandissima
rilevanza italiana ed europea di Bologna coincidente col Duecento
3
.
3
Cfr. G. Ricci, Bologna cit., pp. 1-6.
6
I.1 Le origini: il territorio e la colonizzazione
romana
La Bologna attuale sorge nell’alta pianura allo sbocco di due
valli appeniniche nell'area della pianura padana dove da sempre
l'occupazione umana è stata più intensa rispetto alle altre due fasce
della bassa pianura e della montagna, che insieme costituiscono il
triangolo meridionale della valle del Po. Questa triplice articolazione
del territorio costituisce il quadro di riferimento
4
della storia urbana di
Bologna, di cui uno dei pochi elementi di continuità consiste
nell’assetto viario, che comincia a delinearsi fin dall’epoca preromana.
Strade e città possono essere viste come elementi coagenti di una
stessa realtà, che è quella dell’organizzazione dello spazio:
5
se da una
parte le città nascono al crocevia di strade di diverso genere di
traffico, dall’altra le strade sono i canali che fortificano le relazioni tra
città diverse, alimentandone i flussi di scambio di persone, merci,
forza-lavoro.
Quando parliamo di vie di comunicazione che distolgono le
città dal loro isolamento mettendole in relazione l’una all’altra,
dobbiamo ovviamente tentare di ripercorrere, prima di tutto, la storia
della formazione di queste vie, cercando di capire perché hanno
seguito quel determinato percorso, in quale intreccio tra vie di
comunicazione naturali, ossia preesistenti all’intervento dell’uomo, e
pianificazione territoriale nel corso del tempo.
Nella pianura padana, tra gli itinerari più frequentati e remoti,
troviamo quelli per via d’acqua, nei secoli dell’antichità preromana. I
corsi d’acqua presenti in questa zona, provenienti dai monti alpini e
peninsulari, formavano uno spazio cinque o sei volte maggiore di
4
Per il quadro storico e geografico che segue si farà riferimento a G.A.Mansuelli,
Profilo geografico e culturale dell'Emilia preromana; V. Fumagalli, L'agricoltura
durante il Medioevo. La conquista del suolo, entrambi in Storia dell'Emilia-
Romagna, I, a cura di A. Berselli, Bologna, University Press, 1975, rispettivamente
alle pp 15-16 e 461-463.
5
Da Lucio Gambi, Strade e città nell’aera padana, in La salvaguardia delle città
storiche in Europa e nell’area mediterranea, Atti del Convegno internazionale di
studi, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-
Romagna, Bologna, 1983, pp. 129-137.
7
quello di oggi, almeno fino alla conquista romana. Corsi d’acqua
come il Po a valle di Piacenza, l’Adda a valle di Rivolta, il Reno a
valle di Bologna, formati da un intreccio di alvei, servivano quindi,
nel primo millennio a.C. come corsi di navigazione per le piccole
imbarcazioni allora in uso. Nei luoghi che erano fortemente connessi a
questa navigazione nascono i primi insediamenti umani, tra cui
l’abitato etrusco di Bologna, Felsina, nel luogo che coincide con gli
inizi della navigazione del Reno.
Nel periodo etrusco, si valorizzano nel sistema di
comunicazione bolognese due assi, quello proveniente dallo scalo di
Spina e quello pedemontano occidentale, di penetrazione verso la
pianura padana interna e i passi alpini centrali, per cui è evidente per
Felsina il ruolo di caposaldo nelle relazioni commerciali fra
l’Adriatico e l’Oltralpe
6
.
Dall'inizio del II secolo a.C. la Cispadana fu colonizzata e
organizzata dai romani, in un modo coerente che si può ravvisare
ancora oggi: si previde la deduzione di colonie a distanza regolare,
l'apertura di un asse regionale di comunicazione quale la via Emilia, e
la bonifica e centuriazione
7
delle campagne, per lo più imperniata su
quell'asse
8
. I romani tentarono, e riuscirono, in quella che era uno dei
primi esempi di progettazione organica di un'intera regione, fornendo
le fondamenta a quella che oggi è la struttura urbana dell'Emilia.
La colonizzazione romana sommerse gran parte degli
insediamenti risalenti al periodo villanoviano ed etrusco, di cui le
conoscenze relative si addensano in corrispondenza degli sventramenti
6
Cfr. G. A. Mansuelli, Antefatti e sviluppo urbanistico preromano, in Bologna-
centro-storico, Catalogo per la mostra Bologna-Centro storico, Bologna, Alfa, 1970,
pp. 21-25.
7
Nell'antica Roma, per centuriazione si intende la suddivisione del territorio in
centurie, particelle limitate dal reticolato dei decumani e dei cardi. Ogni centuria era
un quadrato di lato lungo 2400 piedi, in base al quale veniva appunto effettuata la
centuriazione. La centuriazione poteva essere estesa a un'intera provincia, ed era la
base per l'assegnazione delle terre, specie nelle deduzioni delle colonie: ogni
centuria veniva suddivisa in 100 lotti da due iugeri (circa 2520 metri quadri) l'uno,
che venivano assegnati ad altrettante famiglie.
8
Sulla storia dell'insediamento romano e dell’organizzazione del territorio che ne
conseguì la bibliografia è vastissima. Tra i molti titoli ricordiamo D. Corlaita
Scagliarini, Il territorio e il suburbio di Bononia, nel catalogo della mostra Bologna-
Centro Storico, cit., pp. 30-33; G.Susini, La Cispadana romana, in Storia
dell'Emilia-Romagna cit., pp. 103-108.
8
delle nuove arterie ottocentesche. Una dei pochi elementi
dell'urbanistica etrusca che si è perpetuato è un percorso stradale
9
, che
dalla valle del Savena si avvicina alla città con quelle che oggi sono
via Toscana e Murri, prosegue per i viali Gozzadini, Panzacchi e
Aldini e se ne allontana con via Saragozza in direzione del Reno:
questo probabilmente era l'asse centrale di Felsina, che conserverà poi
il ruolo di arteria principale per lo sviluppo della città
10
.
La scelta topografica all’origine della colonia latina di
Bononia, dedotta nel 189 a.C., fu ispirata da opportunità strategiche di
tipo militare
11
: lo dimostrano i luoghi scelti dai romani come basi
militari, come lo fu Ariminum, l’odierna Rimini, fondata nel 268 alla
foce portuaria del fiume Marecchia, che attesta l’azione polarizzante
dei fiumi come via di traffico o di conquista
12
. La conquista del
territorio avviene istituendo un reticolo di vie terrestri, di assi viabili
da cui nasceranno le città: lo spazio viene ordinato in una rete che non
corrisponde più alla rete fluviale, e da questa rete sorgeranno i punti
connettivi rappresentati dalle città.
Al di là delle esigenze di conquista, l’organizzazione della città
rivela una chiara visione del ruolo civile di Bononia nell’ambito
padano e, più ampiamente, nel collegamento tra l’Italia centrale e
l’area cisalpina. Ne è riprova l’ampia rete stradale convergente sulla
città, che, nelle sue linee fondamentali, risale a un programma unitario
con la fondazione di Bononia: nella pianura del Po il reticolo di vie
terrestri si costruisce nell’arco dei due secoli necessari alla conquista,
ed è impostato su due assi pedemontani e un asse litorale. Gli assi
pedemontani si dirigono da oriente ad occidente: uno lungo i margini
dei monti peninsulari da Rimini a Torino (nata dopo la metà del primo
secolo a.C.), e uno lungo i margini delle Alpi da Aquileja ad Ivrea;
9
È stata ormai superata l'ipotesi che Bononia abbia ricalcato un supposto tracciato
regolare di Felsina (cfr G. Ricci cit., p. 19 nota 23), ma è da sottolineare che, se di
elementi di continuità tra l'organizzazione spaziale preromana e romana si può
parlare, questi riguardano principalmente l'assetto viario che ha poi influenzato lo
sviluppo delle città e delle colonie che sono venute dopo. A questo proposito si può
rimandare a G.A.Mansuelli, Bologna etrusca, nel catalogo della Mostra dell'Etruria
padana e della città di Spina, I, Bologna, Alfa, 1961, p. 147.
10
Cfr G. Ricci, Bologna cit., pp. 17-19
11
Cfr D. Scagliarini, Il territorio e il suburbio di Bononia, in Bologna-centro
storico cit., pp. 30-33.
12
Cfr Lucio Gambi, Strade e città cit., pp. 131.
9
l'asse litorale va da Rimini ad Aquileja. I due assi pedemontani sono
poi congiunti fra loro da alcune trasversali diagonali che si innestano
ai centri mediani di Piacenza e Cremona. Si viene così a creare uno
schema triangolare, col lato minore sul mare Adriatico, che anche al
suo interno è articolato in triangoli e a cui si raccorda una maglia a fili
compatti e struttura ortogonale, ottenuti attraverso la centuriazione
coloniale. Lungo questi assi, e soprattutto in relazione alle zone
centuriate, vengono create le nuove città, che nascono quindi
conseguentemente alla nascita delle strade. Questa consequenzialità è
relativa a quel periodo: è evidente, all’interno del programma
espansionistico romano, come l’avanzata militare e l’insediamento
itinerario e urbano fossero coordinati sequenzialmente.
Dell'insediamento romano sono tuttora visibili tracce e
ravvisabili tendenze mai scomparse: innanzitutto, permane tuttora,
l'impianto viario ortogonale del centro
13
; nello sviluppo urbano
bolognese, poi, non è mai scomparsa la tendenza a una zonizzazione
residenziale, che consiste nell'addensarsi di residenze signorili nelle
aree subcollinari
14
. Il segno sicuramente più vistoso nel corpo della
città romana è il decumano massimo, che corrisponde oggi alle vie
Rizzoli e Ugo Bassi, lungo circa 700 mt, agli estremi dei quali due
carrobbi generano due ventagli stradali, che rendono possibile il
collegamento tra la viabilità urbana e quella regionale: a questo
proposito bisogna notare come il decumano e la via Emilia non siano
perfettamente coincidenti nel loro orientamento, questo perché il
13
È bene sottolineare un punto della discussione nel volume di G. Ricci che riguarda
la produzione cartografica relativa al lascito della fondazione romana, ma che in
generale riguarda il processo di ricostruzione di quel periodo al di là delle fonti
cartografiche: Ricci lamenta una limitatezza dell'effettivo “contenuto di memoria
storica” nella produzione citata, ma conviene che questa scarsa memoria “è tanto più
comprensibile nel caso di Bologna, dove non si sono avute cesure catastrofiche che
abbiano fissato il volto della città antica, e dove i romani, come nella maggior parte
delle città cispadane, non hanno lasciato emergenze monumentali, bensì soltanto
tracce e «sinopie», per quanto durevoli, vaste e capillari”. L'autore ci ricorda infatti
come i tessuti urbanistici dell'Emilia siano fra quelli conservati meglio, a differenza
delle condizioni degli edifici, che sono fra le peggiori. (cfr. G. Ricci, Bologna cit.,
nota 20 pag 17).
14
A parlarcene è D. Scagliarini, in L'insediamento residenziale e produttivo nel
suburbio di Bologna romana, in «Atti e Memorie della Deputazione di storia patria
per le province di Romagna.», n.s., XX 1970, pp.137-153. Scagliarini ci ricorda poi
che questa tendenza è accompagnata da un'altra, per cui gli impianti produttivi si
erano venuti installando nella pianura ad ovest, nord ed est della città.
10
decumano fu tracciato quando la colonia fu dedotta, ossia nel 189
a.C., mentre la via Emilia fu aperta a partire dal 187 a.C.. Il decumano
ovviamente venne tracciato in modo da ottenere un andamento senza
eccessivi dislivelli altimetrici
15
.
Il primo nucleo della città romana, impiantato nel 189 a.C., era
probabilmente murato: si trovava nella porzione occidentale di
Bononia, si caratterizzava per la presenza di quattro grandi insulae
regolari, uguali a due a due e per l'assoluta ortogonalità dei tracciati.
Un centro non si era ancora definitivamente stabilito, ma una serie di
edifici di grandi dimensioni- e quindi con molta probabilità destinati
ad uso pubblico- si trovavano nella fascia posta immediatamente a
ponente della direttrice via Indipendenza-Piazza Nettuno
16
.
Quello che conosciamo di questo primo nucleo è ben poco,
visto che fu proprio questo ad essere abbandonato nel corso dell'alto
Medioevo, e quindi semidistrutto ed ampiamente dislocato nel suo
impianto regolare
17
. In conclusione, le fasi dell’insediamento romano
nel territorio bononiese- impianto urbano, assegnazione dell’agro,
organizzazione della rete stradale-, organicamente collegate tra loro
anche se corrispondenti a tre distinte esperienze tecniche, hanno
attuato tempestivamente, e con larga previsionalità, da un lato la
convergenza radiale del sistema ortogonale del territorio verso il
centro amministrativo e commerciale di Bononia, e dall’altro, il suo
inserimento nei traffici della penisola. In questo senso, il caso di
Bononia può essere considerato esemplare della programmaticità con
cui procedeva l’occupazione territoriale romana. A questo rigore
programmatico si ascrive anche una concezione urbanistica iniziale
piuttosto statica, che, in progresso di tempo, si è potuta correggere
adeguando la regolarità dell’impianto stradale extraurbano alla
funzione di infrastruttura urbana
18
.
15
Per ricostruire la formazione delle strade, Ricci si è avvalso della consultazione di
numerosi testi, tra cui Bononia (189 a.C.-secolo V), in A. Benati, Storia di Bologna,
a cura di A.Ferri e G.Roversi, Bologna, Alfa, 1978, pp 45-89.
16
Cfr. F. Bergonzoni, La «città aperta» Bononia, in Bologna-centro storico cit., pp.
28-29.
17
Vedi F.Bergonzoni, La «città aperta», pp 28-29; G. Ricci, Bologna cit., pp. 18-19
18
Cfr. D. Scagliarini, Il territorio e il suburbio di Bononia, in Bologna-centro
storico cit., pp. 30-33.
11
I.2 Il Medioevo
Nell’alto Medioevo Bologna era ridotta, rispetto alla città
romana, ad una cerchia molto più ristretta, chiusa da una cerchia di
mura di selenite.
Dopo il Mille Federico Barbarossa ordinò la parziale
distruzione delle stesse mura, così chiamate perché costituite da grossi
blocchi di tale materiale sovrapposti a secco, che, secondo gli studi di
A.Finelli
19
, racchiudevano solo il settore sud-orientale della città
romana, che non coincideva con il nucleo primitivo del 189 a.C.(che si
trovava nel settore occidentale), ma si costituì in un secondo tempo.
La cerchia di selenite era interrotta da quattro porte: due all’estremità
del cardo, indicate nel secolo XI col nome di porta Cassiana (poi porta
Piera) a nord e porta Procola a Sud; vi era poi porta Ravegnana (da cui
si irradiavano quattro strade oltre la via Emilia) e porta Stiera
20
.
La datazione delle mura di selenite è parecchio incerta:
l'ipotesi più accreditata
21
è quella che vuole la loro costruzione fra gli
ultimi anni del V e i primi decenni del VI secolo, durante il periodo
del regno di Teodorico (493-526). Le mura erano lunghe circa 1850
metri e correvano all'incirca lungo le odierne vie de' Toschi, Farini,
Carbonesi, Valdaposa, dei Gessi, Manzoni, piazzetta S.Simone, via
S.Giobbe, porta Ravegnana, dando luogo a un quadrilatero allungato
in senso nord-sud: l'ambiente urbano che si trovava in questo settore,
protetto dalle mura, conobbe un maggiore e più coerente sviluppo
rispetto all'altro settore, quello nord-occidentale, che invece
progressivamente si decompose. Questo settore viene infatti detto
civitas antiqua destructa dopo il Mille, a seguito degli eventi bellici e
naturali che distrussero questa zona e la relegarono a paesaggio
19
A. Finelli, autodidatta, dedicò un intero volume alla riscoperta delle mura di
selenite, Bologna nel Mille: identificazione della cerchia che le appartenne a quel
tempo, Bologna, Stab. Poligr. Riuniti, 1927.
20
Cfr. G. Fasoli, Il Medioevo oltre la cerchia di selenite, in Bologna-centro storico
cit., pp. 34-36
21
Questa ipotesi è portata avanti in G. Fasoli, Momenti di storia urbanistica nell’alto
Medioevo, in Contributi alla storia urbanistica di Bologna dalla Preistoria al
Medioevo a cura di R. Scarani, Bologna, Deputazione di storia patria 1966, pp. 318-
329.
12
semirurale di vigne, orti e vegetazione spontanea
22
. I due settori della
città, abbiamo detto, conobbero destini diversi: da una parte il
fenomeno è spiegabile nelle diverse possibilità altimetriche offerte da
due contigui siti fisici, dall'altra nella presenza di infrastrutture più
antiquate e rudimentali in un settore e più moderne nell'altro
23
.
Nel 728-29 Bologna fu occupata dai Longobardi, che si
sistemarono fuori dalla città, a ridosso della cerchia di selenite dalla
parte orientale, con lo scopo evidente di controllare le vie che
portavano verso l’Esarcato, da cui poteva venire un contrattacco
bizantino: l’addizione longobarda si attestò presso il complesso di S.
Stefano, dove forse già esisteva un acquartieramento bizantino
24
.
Molto diverso fu nella parte occidentale lo sviluppo dei borghi
extramurali, formatisi lungo le linee radiali, evidentemente perché i
terreni immediatamente adiacenti alle mura erano già stati messi a
coltura ed in parte occupati da quelle fondazioni pie che sono
documentate dopo il Mille.
La fase longobarda durò meno di cinquant’anni (nel 774 Carlo
Magno si impossessava di Bologna), eppure lasciò segni visibili sul
corpo della città, soprattutto nell’accentuarsi della differenziazione tra
i due settori orientale e occidentale della città, ravvisabile anche a
livello linguistico: appartiene a questo periodo la ripartizione della
città in guaitae anziché in horae
25
.
Nel periodo altomedievale e nella prima età comunale esisteva,
infatti, un tipo di ripartizione basata su una divisione duodecimale in
settori corrispondenti alle dodici ore del giorno e della notte
26
: il
termine hora ha resistito a Bologna come sinonimo di porta.
22
Come ci ricorda anche M. Fanti, nel suo testo Le vie di Bologna. Saggio di
toponomastica storica e di storia della toponomastica urbana, Bologna, Istituto per
la storia di Bologna, 1974, le vie di questo settore riportano ancora il ricordo di quel
periodo: si pensi a via Cà Selvatica, via Frassinago.
23
G. Ricci, Bologna cit., pp 22-23
24
Per l’occupazione longobarda, si rimanda a A. Benati, Bologna dalla caduta
dell’Impero Romano d’Occidente alla lotta per le investiture (secoli V-XI), in Storia
di Bologna cit., pp. 103-106.
25
Si rimanda a A. I. Pini, Le ripartizioni territoriali urbane di Bologna medievale.
Quartiere, contrada, borgo, morello e quartirolo, in «Quaderni culturali
bolognesi»,a cura di G. Roversi, I, Bologna, Atesa 1977, pp. 15-16
26
Questo tipo di ripartizione era improntato sulla divisione che i cosmografi
dell’antichità utilizzavano per le loro proiezioni cartografiche.
13
Delle dodici horae che verosimilmente dividevano la città in
epoca altomedievale, conservarono questo termine solo le quattro
indicanti i quattro punti cardinali e corrispondenti alle quattro porte,
mentre in tutti gli altri casi il termine hora scomparve per lasciare il
posto al termine germanico guaita. Waita o guayta indicava
all’origine il servizio di guardia sulle mura ma il termine si estese poi
ad indicare il settore urbano facente capo ad un certo tratto di mura,
settore nel quale abitavano coloro che da queste mura erano protetti e
che avevano pertanto l’obbligo di difenderla e di fare la wayta
27
. Il
prevalere del termine hora su guaita o viceversa, secondo
un’osservazione del Serra
28
, “segna nella storia delle varie città il
prevalere del carattere militare oppure civile”.
Dopo il Mille vi sono numerosi segni di vitalità: oltre al
ripopolamento della civitas destructa
29
, si comincia a individuare,
verso la fine dell’XI secolo, lo Studio
30
. Nel 1115 il palatium venne
assaltato e diroccato alla morte della rappresentante imperiale Matilde
di Canossa; l’anno dopo Enrico V concesse al popolo bolognese, in
quello che viene considerato l’atto di nascita del Comune, numerosi
“privilegi” nella città e nel territorio, tra cui i diritti di libera
navigazione sul Reno e sul Po
31
. Sin dai primi anni di esistenza del
Comune cambia nuovamente la ripartizione della città: da guaite (in
cui era implicito un concetto difensivo) in porte (in cui sembra
implicito un concetto espansivo)
32
, a cui fa da contraltare la
costruzione di una nuova cerchia di mura più ampia di quella
precedente.
27
Cfr A. I. Pini, Le ripartizioni territoriali cit., p. 15.
28
G. Serra, Della ripartizione duodecimale urbana a base dell’ordinamento militare
per “bandi” o “numeri” e “guaite”, in Lineamenti di una storia linguistica
dell’Italia medievale, Vol. I, Napoli, Liguori, 1958, pp. 127-131.
29
Per il rinato valore economico di quella parte della città, cfr. A. Sorbelli, Storia di
Bologna. Dalle origini al cristianesimo, Bologna, s.n. 1938, pp. 431-432
30
Per le origini dello Studio e lo sviluppo della sua fisionomia, cfr. A. Sorbelli,
Storia della Università di Bologna, I, Il medioevo (secc. XI-XV), Bologna,
Zanichelli, 1987, pp. 11-30.
31
Per la nascita del Comune si rimanda a A. Hessel, La storia della città di Bologna
(1116-1280), trad.it. a cura di G. Fasoli, Bologna, Alfa 1975, pp. 29-35
32
È A. I. Pini, Le ripartizioni territoriali cit., p. 18 a fornirci questa
caratterizzazione delle guaite e delle porte.
14
Tra il 1055 e il 1070 vengono erette le mura dei torresotti,
anche se la costruzione effettiva delle opere in muratura ebbe luogo
solo dopo che Barbarossa fece atterrare la cinta di selenite nel 1163; i
lavori si conclusero poi verso il 1192
33
. Ad ovest e a nord le mura
inglobano le aree della civitas destructa, ad est l’addizione longobarda
e a sud i borghi sviluppatisi dopo il Mille.
Lo scopo della costruzione delle mura dei torresotti fu la
necessità di apprestamenti difensivi che l’adesione della città alla
Lega Lombarda nel 1167 rendeva urgente, e soprattutto quello di
proteggere la maggior parte dei borghi che si erano andati sviluppando
nell’alto Medioevo: a seguito dello sviluppo demografico ed
economico della città, infatti, fin dall’inizio dell’XI secolo, si assiste a
una formazione di borghi artigianali e commerciali al di fuori della
cinta di selenite, lungo l’addizione longobarda, a sud, nella zona
occidentale
34
. Le mura dei torresotti hanno lasciato segni visibili nei
percorsi stradali ad andamento circolare che, come ci suggerisce L.
Mumford
35
, testimoniano l’espansione e la crescita della città “come
gli anelli annuali degli alberi”.
All’interno delle mura dei torresotti, almeno fino alla prima
metà del Duecento, vi è un vero e proprio groviglio urbanistico, un
dedalo di case e vicoli determinato dalle casate magnatizie: le dimore
dei magnati erano edifici simili a castelli, ben adatti alla difesa e
dominati dalle superbe torri delle famiglie più potenti. Se un tempo se
ne contavano circa 180, oggi se ne conservano assai poche, tra cui le
due più famose degli Asinelli e della Garisenda, che Dante, per la sua
inclinazione, paragonò al gigante Anteo in atto di chinarsi
36
.
Le casate in questione avevano poca o nessuna considerazione
per le esigenze collettive
37
, contribuendo con la grandezza dei loro
33
Per la costruzione della cinta dei torresotti, cfr A. I. Pini, Le ripartizioni
territoriali cit., pp. 26-28.
34
Sulla formazione dei primi borghi oltre la cinta di selenite, si rimanda a A.I.Pini,
Le ripartizioni territoriali cit., pp. 25-26.
35
Cfr L. Mumford, La città nella storia, trad.it. Milano, Etas Kompass 1967, p. 394.
36
Inferno, canto XXXI, verso 136.
37
D. Herlihy, nel suo libro Società e spazio cit., alle pp.186-187, analizza le città
toscane in relazione al tipo di sfruttamento dello spazio urbano, giungendo
all’elaborazione di un modello che è quello della “città patrizia”: nonostante a
Bologna, a differenza delle città analizzate dallo studioso, non esistessero grandi
15
edifici all’esistenza di strade buie e strette, di portici stretti e bassi: le
fogne poi erano e cielo aperto
38
. L’unico elemento ordinatore è dato
da una spontanea zonizzazione professionale nella zona del
Quadrilatero, come vedremo quando arriveremo a trattare dei mercati
di Bologna.
Dal Medioevo comincia finalmente ad affermarsi una vera e
propria tecnica urbanistica, che coincide con una estetica generale: nel
corso di tutto il Duecento, infatti, vengono emanate una serie di
disposizioni e norme relative alla conservazione delle mura, alla
qualità dei materiali da costruzione, alle porzioni di suolo pubblico
illegalmente occupate che devono essere restituite, alla costruzione di
portici, la cui massiccia diffusione è uno dei tratti urbanistici più
evidente nella Bologna del Medioevo
39
.
famiglie feudali inurbate, si può tranquillamente applicare lo stesso modello al fine
di rilevare, nella struttura urbana di Bologna, l’esistenza di una simile struttura
sociale, che vede il predominio delle antiche case magnatizie con il loro disprezzo
per l’esterno e le altre casate. Non è un caso se fino all’inizio del Duecento
scarseggino luoghi e strutture pubbliche. A questo riguardo cfr. G. Ricci, Bologna,
Laterza, pp 43-46, e nota 46 a p. 46.
38
Per tentativi di ricostruzioni all’interno della città fra il XII e il XIV secolo, si
rimanda a: A. Hessel, Storia della città cit., p. 231; G. Zucchini, Edifici di Bologna,
I, Roma 1931; II, Roma 1954; III (aggiornamenti fino al 1976 curati da F.
Rodriguez), Bologna, Officina Grafica Bolognese 1977; cfr. inoltre C.Ricci,
G.Zucchini, Guida di Bologna, Bologna, Alfa 1968.
39
Cfr. G. Ricci, Bologna cit. p. 50.