5
E’ l’antipolitica, dilagante nell’ultimo decennio italiano, la nuova comparsa nel
“teatrino”, una formula intrisa di marketing e pubblicità, tv, sorrisi e canzoni,
eppure ricca di conseguenze politiche, sociali ed economiche con un grosso
impatto sulla pubblica opinione.
Che cosa può aver comportato una simile reazione da parte dei cittadini, nei
confronti della politica? Come mai proprio in Italia l’antipolitica ha trovato un
fertile terreno per svilupparsi e prosperare? E ancora, davvero tutto ciò può
mettere in pericolo la democrazia e soprattutto i suoi istituti di rappresentanza?
Quali armi per affrontare questa sfida? Quali prospettive? Quali paladini?
Partendo dall’osservazione dei primi sintomi del malessere sull’essenza della
democrazia, il percorso si sviluppa nella direzione delle origini e delle cause, più
o meno dirette, dell’antipolitica, scoprendone i precursori e definendone gli
esponenti più autorevoli, e infine, nella ricerca dell’antidoto fino a formulare delle
proposte, in vista di una eventuale (imminente?) debellatio del virus.
6
Capitolo 1
QUALCHE “ACCIACCO” PER LA DEMOCRAZIA
1.1 La sovranità popolare: essenza della Democrazia
Quanti discorsi sulla Democrazia… eppure è così semplice definirla: Demos +
kratos, il potere (kratos) del popolo (demos). Ci sono state varie e opposte
opinioni a proposito del fatto che la popolazione (nel senso etimologico “il
volgo”) potesse partecipare, essendone artefice, alla vita politica. E la storia, in un
arco di tempo che parte dall’antica polis greca e giunge fino ad oggi, dimostra
quanto la conquista della sovranità popolare sia stata sofferta e per nulla
immediata. Nella disputa filosofica riguardo alla migliore forma di governo
nell’antichità, la Democrazia si classificava sempre negli ultimi posti, e questo
perché, oltre all’idea classica che nascesse e si conservasse attraverso la violenza
1
,
essa presso gli antichi compariva sotto le sembianze di “Democrazia diretta”.
Perciò molti pensatori (e tra questi anche Platone e Aristotele) inveivano contro la
Democrazia, alludendo al fatto che comportasse la partecipazione alla vita politica
di uomini di tutte le classi sociali, e dunque anche dei poveri. Cosa inaccettabile,
pare. “I poveri son atti a servire”
2
.
Solo con lo sviluppo della dottrina dell’uguaglianza degli individui, che ha radici
nello stoicismo ma ancor più nel cristianesimo, la Democrazia inizierà ad
assumere e ad incrementare quella valenza positiva che oggi la caratterizza. Si
tratta di “disincanto”
3
del genere umano, di quel passaggio dall’età dell’ignoranza
a quella della conoscenza, è l’uscita dell’uomo dalla condizione cui era destinato
dentro la caverna del celebre mito di Platone
4
, è l’abbandono della doxa a favore
1
Cfr. N. Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, 1999 , p.327
2
Cfr.D. Giannotti, Della Repubblica Fiorentina ( a cura di G. Bisaccia), Olschki, 1978
3
Cfr., P. Fores d’Arcais, Il sovrano e il dissidente. La Democrazia presa sul serio, Garzanti, 2004, p.14
4
Cfr. Platone, Repubblica, Laterza, 1980 libro VII, p. 165-170
7
dell’aletheia. E’ la presa di coscienza da parte degli individui che sono essi stessi
artefici del loro destino.
Uno dei passaggi chiave nella storia della Democrazia è quello in cui avviene il
superamento della prospettiva organicistica della società, nella quale
l’individuo scompare e va a confluire in un tutto indistinto e omogeneo, che
ingerisce la libertà come la responsabilità individuale e che presuppone come
massima generale il criterio dell’obbedienza cieca ed assoluta al leader. Tale
visione, tipicamente adottata dalle dittature, viene soppiantata dalla prospettiva
individualistica, indispensabile base concettuale per la Democrazia, implica la
percezione che lo Stato è per l’individuo e non viceversa, lo Stato non è visto
nell’ottica del bene comune ma in quella dell’interesse dei singoli, il suo compito
è quello di salvaguardare gli interessi, la libertà, il benessere degli individui.
E’ quell’evoluzione culturale che nei libri di storia descrivono come
“antropocentrismo” in contrapposizione con la visione di sottomissione fideistica
all’autorità politica come a quella religiosa, quella consapevolezza che “la
Democrazia è il potere che non può essere limitato dall’esterno, che non riconosce
alcun cielo sopra di sé.”
5
Stiamo chiaramente navigando nelle acque dell’Età
Moderna, della Secolarizzazione, della Riforma, fino a giungere alle rive delle
teorie contrattualistiche sull’origine dello Stato e alla “rivoluzione copernicana” di
Kant. E l’uomo dunque si trova ad essere al centro del suo kosmos, in questa
condizione rinnovata ha pieno potere di partecipare alla vita politica, proprio
perché ogni individuo possiede la “scienza della politica”
6
, in quanto uomo, in
quanto individuo, in quanto popolo, detentore della sovranità. E questo è il punto
chiave: nella Democrazia la sovranità appartiene al popolo.
In un discorso del 1794 Robespierre
7
sostiene che “la Democrazia è uno stato in
cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se
5
Cfr. P. Flores d’Arcais, Il sovrano e il dissidente. La Democrazia presa sul serio, Garzanti, 2004, p. 17
6
una della prime difese della Democrazia diretta: l’apologo di Protagora, tramandatoci da Platone
(Platone, Protagora, Laterza, Roma – Bari, 1971), dimostra, ricorrendo al mito, che tutti gli uomini hanno
il dono della scienza della politica.
7
Cfr. M. Robespierre, La rivoluzione giacobina, Ed. Riuniti, Roma, 1984, p.160-167.
8
stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo di delegati tutto ciò che non può
fare da se stesso”.
8
Chi cercasse l’essenza della Democrazia può trovarla nella
sovranità popolare
9
, e di conseguenza nell’uguaglianza dei cittadini intesa come
uguale accesso alla vita politica, nell’abolizione dei privilegi di status, nella
conquista del diritto di voto a livello universale. Nonostante i numerosi limiti
10
,
che al di là dei concetti generali sono posti all’esercizio della sovranità popolare,
insisto nell’uso integrale del termine solo per evidenziare come dovrebbe
comportarsi il cosiddetto “popolo” nella realtà democratica: partecipare.
8
È questo anche un riferimento alla Democrazia rappresentativa, quella che conosciamo oggi noi.
Cfr. Costituzione Italiana, art.1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
9
A proposito N. Bobbio in Teoria generale della politica, Einaudi, 1999, p. 331, afferma che il concetto di
sovranità popolare ha origine dalla contrapposizione alla sovranità del principe e che “oggi che questa
contrapposizione non ha più ragion d’essere (…) anche il concetto della sovranità popolare potrebbe
essere tranquillamente abbandonato.”
10
Per “limiti” intendo quegli ovvi e necessari meccanismi di rappresentanza che rendono possibile la
gestione politica effettiva della sovranità popolare.
9
1.2 La partecipazione politica per esercitare la sovranità popolare
Quando si parla di “partecipazione” si rischia di ridurla essenzialmente
all’esercizio del diritto di voto, il che ne rappresenta un esempio, il più diffuso e il
più universale, ma in realtà non si tratta che di “una delle modalità di
partecipazione politica e forse neppure la più importante”
11
. In realtà partecipare
alla vita politica è un processo di coinvolgimento, implica lo spostamento di
grandi masse di individui che sono state a monte politicizzate, verso la vita
politica. Guardare esclusivamente all’affluenza alle urne può comportare
un’analisi parziale del fenomeno, che invece oggi si estende anche alla
mobilitazione delle piazze, agli scioperi, all’adesione ad un partito o ad una
associazione della società civile, etc. Eppure è tramite l’esercizio del diritto di
voto che funziona il meccanismo della rappresentanza, alla base di ogni
Democrazia rappresentativa; è questa la via privilegiata per raggiungere il potere
decisionale, è questa la via che, conquistata duramente, è stata istituzionalizzata
nei sistemi elettorali e via via perfezionata per cercare di garantire una maggiore
rappresentatività ai cittadini. Ma quale esercizio della sovranità popolare di fronte
al fenomeno dell’astensionismo? Se la percentuale di partecipazione elettorale
non è elevata, con quale legittimità governa la classe politica al potere? Con
quella di un’esigua minoranza? Il problema è complesso. Stiamo attraversando
una fase storica nella quale il fervore politico sembra assopito, la partecipazione
politica, pare registrare livelli molto bassi, soprattutto in confronto agli strumenti
a disposizione, ai livelli di istruzione e al benessere dei cittadini. Il contesto
sociale sembra avere un’influenza molto rilevante sul livello di partecipazione
politica della popolazione: troppa povertà e ignoranza oppure consumismo
esasperato sono condizioni che non favoriscono il coinvolgimento
all’amministrazione della res publica.
In medio stat virtus.
11
Cfr. G. Pasquino, Corso di Scienza Politica, Il Mulino, Bologna, 2000, p.48
10
1.3 Quando la partecipazione?
Il caso della Francia rivoluzionaria
12
Cosa può spingere grandi masse di persone ad adoperarsi per contribuire alla
politica, a mobilitarsi per far valere le proprie istanze, a impiegare per questo il
proprio tempo, le proprie risorse e anche il proprio denaro? Grandi ideali o
piuttosto grandi necessità? E’ in nome degli ideali di “libertè, ègalitè, fraternitè”,
per esempio, che la borghesia si riversava per le strade di Parigi, fino a rivendicare
che l’unico sovrano è il popolo. Ma si trattava realmente di un fervore intellettuale
e filosofico? Sicuramente, ma non solo, o comunque solo in parte.
L’eco del pensiero illuministico, delle prime teorie giusnaturalistiche, i
contrattualisti, Rousseau, hanno sicuramente influito sull’andamento della
Rivoluzione, ma la vera spinta insurrezionale, nel caso francese, è stata la lunga
crisi strisciante attraversata dal paese nel XVIII secolo. Una crisi politica, sociale,
finanziaria e soprattutto economica
13
che coinvolse maggiormente gli strati più
svantaggiati, costringendoli alla mobilitazione. Il ruolo decisivo della sollevazione
delle campagne aggregato alla partecipazione cittadina è ben conosciuto,
soprattutto per i risvolti più tragici e violenti che sono conseguiti alle prime
giornate rivoluzionarie. Da tempo le rivolte contadine si andavano diffondendo in
Europa e soprattutto nelle regioni più sfavorite ( come la penisola iberica e l’Italia
meridionale) come reazione alla miseria e alla povertà, attraverso forme di
protesta più o meno violente: dalla resistenza passiva alla rivolta, fino a
comprendere anche il brigantaggio. Le reazioni contadine, qualunque fosse il
pretesto concreto che le sollevasse, non si caratterizzavano per l’avere
un’ispirazione coerente, poiché, soprattutto a causa dell’analfabetismo e
dell’ignoranza, solo la borghesia, con la cultura che promuoveva, sapeva portare
12
Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di storia.2. L’età moderna, Laterza, Roma-Bari,
1992
13
Un’improvvisa impennata dei prezzi del frumento, con un rincaro medio annuo del 50% e con punte
mensili del 100%, rovesciò il quadro economico di fine ‘700. (Cfr. A. Giardina, G. Sabbatucci, V.
Vidotto., Manuale di storia.2. L’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1992, p.479)
11
delle critiche radicali all’ordinamento sociale esistente. La mobilitazione
contadina che ha soffiato sul fuoco della Rivoluzione francese, può essere
considerata, dunque, come un importante passo avanti nella direzione
dell’elaborazione del concetto di “sovranità popolare”, anche se ci vorrà ancora
tempo prima che i valori e i principi ispiratori della rivoluzione raggiungano una
concreta realizzazione. Occorrono delle condizioni sociali adeguate per permettere
a tutta la popolazione di partecipare alla vita politica, come esercizio della propria
sovranità: troppo intrinseco è il rapporto tra la partecipazione politica e la realtà
sociale di cui è imbevuta una popolazione.
12
1.4 Un nuovo ellenismo
Il contesto dentro cui la nostra società è immersa oggi è inevitabilmente quello
della globalizzazione, con tutti i suoi tentacoli che pervadono l’economia come la
cultura, la finanza come la politica. Tecnologia e informazione, capitali e imprese
liberi, accorciamento delle distanze ma anche crescita dell’abisso tra ricchi e
poveri
14
, e “perdita progressiva delle sovranità nazionali e delle sovranità
popolari”
15
: ad essere chiamato in causa è oggi lo Stato-Nazione con i suoi confini
e suoi valori, e soprattutto con la sua politica. Scrive Veneziani che “il
trasferimento di sovranità dalla politica alla tecnica e alla finanza appare evidente,
e questo provoca un disinteresse verso la politica, naturalmente rafforzato dalla
neutralizzazione dei contenuti politici(…).Se la politica decide sempre meno e
identifica sempre meno un idem sentire, se non suscita né appartenenze né
mutamenti, se non esprime né convinzioni né convenienze, allora si può
tranquillamente disertare dalle urne e da ogni altra opzione pubblica.”
16
.
Se a decidere i contenuti dell’agenda politica globale non sono più i governi, ma i
banchieri, i giuristi, gli uomini d’affari, gli attivisti per la difesa degli interessi
pubblici, e i criminali, come sostiene la Slaughter
17
, tanto meno avranno visibilità
gli interessi della popolazione che esercita la propria sovranità attraverso i
meccanismi di rappresentanza.
Così accadde dopo la crisi delle poleis greche, durante l’età ellenistica (323/30
a.C.)
18
. Abbandonata la dimensione ristretta e rassicurante della città-stato, si apre
dinanzi ai cittadini la dimensione universalistica del cosmopolitismo, il cui
baricentro non coincide più con il perimetro dell’agorà, comportando la
14
Cfr. il mito platonico della globalizzazione disegnato da Z. Bauman in G. Carnevali, Dell’amicizia
politica. Tra teoria e storia, Laterza, Roma-Bari, 2001
15
Cfr. M. Veneziani, La cultura della destra, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 69-70
16
Cfr. M. Veneziani, La cultura della destra, Laterza, Roma-Bari, 2004 , p. 70
17
cfr A.M. Slaughter , The Real New World Orde, in “ Foreign Affairs”, N.1, 1997, p. 183 ss
18
Cfr. G. Monaco, M. Casertano, G. Nuzzo, L’attività letteraria nell’antica Grecia. Storia della
letteratura greca, Palumbo, 1997, p. 497-506
13
proiezione dell’individuo in una realtà globalistica dinanzi alla quale egli prova un
misto di sgomento e di fascino. Da un canto non può non sentirsi cittadino del
mondo (kosmopolites), dall’altro tende, anche per le mutate condizioni sociali e
politiche, a chiudersi in se stesso e a cercare nella propria interiorità l’equilibrio
perduto, sostituendo agli antichi valori collettivi, tipici della polis, quelli più legati
alla sfera individuale.
Sarà questo mutamento politico, sociale a creare il substratum per lo sviluppo
delle dottrine filosofiche a sfondo prevalentemente etico, come l’epicureismo e lo
stoicismo: in un mondo dominato dall’incertezza e dalla crisi dei valori, l’uomo
non cerca tanto la risposta a grandi interrogativi metafisici, né ambisce a trovare
spiegazioni globali sull’origine dell’universo, ma è piuttosto rivolto alla ricerca di
un equilibrio interiore, una formula che gli garantisca serenità e felicità,
assicurandolo dalle tempeste che imperversano nel mondo.
E’ la condizione dell’uomo contemporaneo, nell’era globale. Ad essere in crisi,
questa volta, non è la polis, ma lo Stato-Nazione, con i suoi valori e i suoi istituti,
e il cittadino nazionale si trova proiettato in un universo cosmo-politico che crea il
caos-politico
19
.
Quale reazione da parte degli individui se non la chiusura nei propri interessi, nei
piccoli problemi di tutti i giorni, nella dimensione individualistica della vita? Più
il cittadino si rinchiude nella sfera privata, più si allontana da quella pubblica. E
meno partecipa come cittadino alla res publica sempre più rischierà di ritornare
alla condizione di suddito.
19
mi riferisco alla distinzione semantica tra Kosmos (ordine) e Kaos (disordine).