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dove anche la musica è in grado di esprimere “altro da sé”. E non solo nel
cinema “astratto” o nel cinema di animazione, dove è più agevole rintracciare i
semi-simbolismi e le sinestesie implicati dal rapporto fra suono e immagine,
ma, in generale, in tutto il cinema sonoro. Tuttavia, proprio una delle cose più
ardue da realizzare in un approccio “sincretico” al testo filmico, è il riuscire ad
andare al di là di correlazioni che tendono a rimanere sulla superficie. Forse
questo è uno dei motivi che ha portato, per lungo tempo, a privilegiare l’analisi
isolata delle componenti visiva e sonora. Per esempio, per ciò che riguarda la
musica anche cinematografica, ci sono state e ci sono moltissime analisi
estremamente approfondite dal punto di vista tecnico-musicale, a cui facciamo
anche riferimento in questo lavoro, le quali, tuttavia, sono di poco aiuto nel
fornire dei criteri metodologici adatti ad effettuare un’analisi efficace della
musica in relazione all’immagine. Parallelamente, esistono anche diverse
analisi sul funzionamento semantico della musica considerata come linguaggio
autonomo, ma anch’esse, pur fornendo degli spunti interessanti, aiutano poco
ad individuare i criteri cui attenersi per fare un’ analisi non sterile del testo
sincretico.
Dunque, questo lavoro intende, innanzitutto, distaccarsi dalla visione
superficiale che privilegia l’immagine a scapito della colonna musicale / sonora,
immagine rispetto alla quale la musica tende, a volte, ad essere accostata
unicamente e riduttivamente sulla base della bipartizione musica diegetica /
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extradiegetica o, al limite, sulla base della tripartizione musica in, off e over. Si
vuole altrettanto distaccare dall’approccio “separatista”, per andare a
scandagliare quel fecondo spazio simbolico che scaturisce dal rapporto fra
musica e immagine.
Da un punto di vista non semiotico troviamo diversi approcci che
privilegiano questo tipo di analisi del testo filmico. Un contributo italiano
importante è quello del critico Sergio Miceli il quale - pur con la premessa che
un’analisi del testo cinematografico deve essere condotta nel rispetto delle
caratteristiche proprie delle diverse dimensioni - si mostra favorevole
all’approccio sincretico, sottolineando come i diversi linguaggi possano trovare
un fertile terreno d’interazione. Egli, inoltre, contrasta la tradizionale
bipartizione fra musica diegetica e musica extradiegetica, per arrivare ad un
modello tripartito in cui, accanto ad un livello interno (musica diegetica) e un
livello esterno (musica extradiegetica) troviamo un livello mediato, punto di
incontro e di scambio fra i livelli precedenti.
Fondamentale è, inoltre, il contributo del teorico francese Michel Chion.
Anche l’autore critica il fatto che venga data prevalenza all’immagine rispetto
al suono ed il fatto che le due dimensioni vengano spesso analizzate
separatamente, anche se comunque, nelle sue analisi, tende a rifarsi ancora
molto all’opposizione “musique d’écran” / “musique de fosse”.
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Lo stesso ambito semiotico, che ha iniziato ad interessarsi della musica in
tempi abbastanza recenti, è caratterizzato dalla presenza di una serie di
tendenze e sottotendenze le quali, peraltro, tendono a riflettere le divisioni
esistenti in semiotica generale. Ciò accade pure nella semiotica del cinema,
campo d’indagine dai recenti natali anch’essa, la quale non sembra riuscire a
pervenire ad un quadro teorico di riferimento omogeneo, sempre divisa fra chi
privilegia l’approccio sincretico e chi sceglie come oggetto di analisi le singole
componenti considerate nella loro autonomia.
La maggiore frammentazione, in semiotica musicale, appare soprattutto in
ambito semantico, dove emergono una serie di problemi relativi alla
determinazione dell’oggetto dell’analisi e che vedono, ad esempio, privilegiare
l’analisi relativa all’aspetto produttivo o, viceversa, all’aspetto ricettivo della
significazione musicale. Uno dei primi teorici che si occupa di questo problema
è il semiologo e musicologo canadese Jean-Jaques Nattiez, il quale affronta il
discorso sulla significazione musicale dal punto di vista delle tre dimensioni
del fenomeno simbolico: la dimensione poietica (significazione legata alla
produzione musicale); la dimensione estesica (significazione legata alla
ricezione); e il cosiddetto “livello neutro” (significazione legata all’oggetto-
opera nella sua realtà materiale). Ciò nella volontà di contrastare la tendenza
della semantica musicale di prendere in considerazione, alternativamente, l’una
o l’altra delle sopraccitate dimensioni. Comunque, per ciò che ci riguarda,
9
Nattiez fornisce un grosso contributo in relazione agli effetti di senso legati alla
sintassi tonale, cui facciamo frequente riferimento in questo lavoro, così come
all’analisi sul funzionamento semantico degli intervalli effettuata da altri
semiologi come, ad esempio, Gino Stefani. Al di là di quanto detto, tuttavia, il
problema fondamentale che emerge è relativo al continuo sforzo di analizzare
la musica nel suo rapporto con il linguaggio verbale, da cui deriva il fatto che
molte ricerche si sono concentrate estremamente sulle analogie e differenze fra
linguaggio verbale e musicale. Il limite è costituito dal fatto che la musica non
è qualcosa di “concettuale” e, quindi, può essere solo parzialmente ma non
completamente traducibile da parte del linguaggio verbale. Ciò ha portato
anche ad affermare che la musica è un linguaggio asemantico, dal momento
che non presenta il legame denotativo che esiste, invece, nel linguaggio verbale
fra la parola e l’oggetto che la parola designa. Ciò nonostante, il cambiamento
radicale che si è verificato in semiotica generale con l’introduzione della
semiotica generativa greimasiana, ha comportato una serie di effetti anche
nell’ambito della semiotica musicale. Sulla teoria semiotica di Greimas si basa
uno dei pochi contributi italiani all’analisi della musica cinematografica: quello
di Cristina Cano e Giorgio Cremonini. Gli autori prendono in considerazione la
musica sia dal punto di vista delle sue possibilità espressive intrinseche, sia
nella sua relazione con il visivo, elaborando una teoria del funzionamento
semantico ed una teoria del funzionamento pragmatico musicale. Partendo
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proprio dall’apparente limite che alla musica manca la funzione denotativa e
che essa raramente utilizza una modalità iconica di significazione, gli autori
affermano che la modalità principale di significazione della musica nel cinema
è quella simbolica e che ciò apre un vastissimo campo di analisi, per la
ricchezza dei semi-simbolismi implicati dal rapporto musica / immagine.
Questo lavoro si rifà sostanzialmente a tale apparato teorico di riferimento.
In linea con l’impostazione greimasiana, gli autori spostano il fuoco
dell’analisi dallo studio di unità segniche minime (come, ad esempio, la nota o
l’intervallo) a blocchi significanti del discorso musicale. Di conseguenza
l’analisi verterà, in genere, sui temi o i motivi incontrati, considerati nella loro
interezza o, comunque, su unità complesse, quale può essere, ad esempio,
un’analisi relativa allo sviluppo delle varie dimensioni musicali all’interno dei
film. Non verranno, però, tralasciate, quando ciò si rende necessario,
osservazioni relative anche alla significazione di unità minime, come si vedrà
nella particolare attenzione dedicata allo studio degli effetti di senso creati da
determinati intervalli armonici.
Non ci addentriamo, in questa parte, nel discorso sulle categorie chiamate in
causa dal rapporto musica / immagine, le quali verranno analizzate ampiamente
all’interno di questo lavoro e nelle Conclusioni finali.
Perché Hitchcock / Herrmann? Nel periodo in cui compone Herrmann, la
cosiddetta “Età d’oro di Hollywood” ed oltre, i musicisti, tranne rare eccezioni,
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iniziano ad introdurre uno stile compositivo che si cristallizzerà e si affermerà
per molto tempo come cliché. Si tratta di composizioni in cui la melodia è
molto semplice, orecchiabile, in modo da poter essere facilmente ricordata. Si
tratta, inoltre, di melodie generalmente tonali e prive di contrasti, per
accompagnare film anch’essi “privi di contrasti”. Dunque, era difficile in
quell’epoca trovare qualcosa di originale sul piano della scrittura musicale, ad
eccezione delle opere di alcuni compositori come Aaron Copland e Bernard
Herrmann.
Il Capitolo 1 vuole essere una panoramica doverosa sulle opere di Hitchcock.
e soprattutto sui lavori e lo stile compositivo di Herrmann, di cui si conosce
poco, sia per la scarsa attenzione dedicata dalla critica alla musica
cinematografica, sia per l’orientamento di molti critici non statunitensi, i quali
non lo ritengono degno di far parte del gotha dei grandi compositori di colonne
sonore. Dall’analisi delle composizioni di Herrmann si evince, invece, il fatto
che il compositore ha una visione della musica fortemente integrata con
l’immagine, visione che appartiene anche ad Hitchcock , annoverando questi
fra i registi che considerano la musica indispensabile al pari degli altri elementi
filmici.
Questa unità di visione e di intenti tra i due produce uno di quei sodalizi
particolarmente riusciti nella storia del cinema e crea quel “terreno fertile”,
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costituito da un rapporto fra musica e immagine in grado di fornire molti spunti
d’analisi.
Questo lavoro analizza la musica ed il rapporto fra musica / suono e
immagine in cinque capolavori hitchcockiani: L’uomo che sapeva troppo; La
donna che visse due volte; Psycho; Intrigo internazionale e Marnie.
L’estrema diversità delle musiche utilizzate all’interno di questi film ha
richiesto diversi approcci analitici.
Nel Capitolo 2, che ha come oggetto d’analisi L’uomo che sapeva troppo, le
musiche prese in considerazione non sono di Bernard Herrmann. Non si troverà,
quindi, un’analisi approfondita dal punto di vista musicale, ma piuttosto
diverse riflessioni sull’interessante uso che il compositore e il regista hanno
fatto di tale musica precostituita. Soprattutto si vedrà come quest’ ultima possa
diventare un operatore di trasformazione narrativa e svolgere particolari
funzioni pragmatiche. In relazione ad una sequenza, viene introdotta anche la
dimensione patemica correlata ad un determinato utilizzo di musica e
immagine, oltre ad un’analisi sul legame fra musica e spazio visivo.
Nel Capitolo 3, invece, in cui si analizza La donna che visse due volte, la
musica è di Bernard Herrmann e consiste in un tema e tre motivi ricorrenti.
Quindi, sia pure senza scadere nel tecnicismo, l’analisi musicale sarà più
approfondita e ricondotta a tali isotopie musicali che danno conto della
coerenza interna di significato.
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Viceversa, il Capitolo 4, incentrato su Psycho, ha richiesto un approccio
diverso, dal momento che la musica è molto frammentata e i diversi frammenti
ritornano e si ripetono moltissime volte nel corso del film. E’ stato, quindi, più
proficuo effettuare un’analisi scena per scena, in modo da vedere come diverse
scene o sequenze siano legate musicalmente in base agli effetti di senso
implicati dalla musica stessa.
Anche nella prima parte del Capitolo 5, che tratta di Intrigo internazionale, è
stato preferibile l’approccio a nuclei. I parametri su cui si basa l’analisi sono le
dimensioni musicali – ritmica, melodica, dinamica, timbrica e armonica – delle
quali si analizzerà sviluppo e differenziazioni all’ interno dei vari motivi
musicali, con le relative implicazioni semantiche e pragmatiche. Nella seconda
parte del capitolo, che verte su Marnie, ritorniamo, invece, all’approccio visto
in precedenza nel Capitolo 3, in cui l’analisi delle diverse scene viene
ricondotta ai due nuclei tematici musicali di base che ricorrono nella narrazione.
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CAPITOLO 1 – UNO SGUARDO SU HERRMANN ED
HITCHCOCK
1.1 Bernard Herrmann: cenni biografici
Bernard Herrmann nasce a New York City il 29 Giugno 1911 da una
famiglia di ebrei russi immigrati negli Stati Uniti. Fin dall’infanzia, il padre
Abraham, secondo un’usanza ebraica consolidata, lo incoraggia a coltivare le
arti ed in particolare la musica, portandolo all’opera ed avviandolo allo studio
del violino.
Da quel momento la passione di Bernard per la musica non fa che
accrescersi; all’età di tredici anni il giovane scopre il Trattato di
Orchestrazione di Hector Berlioz
1
, opera che, in seguito, ricorderà come
decisiva nell’indirizzare il corso di tutta la sua futura carriera e la sua
impostazione stilistica. Nello stesso anno realizza la sua prima, seppur modesta,
composizione.
Gli studi musicali formali iniziano nel 1927 presso la De Witt Clinton High
School, dove Herrmann acquisisce le basi della tecnica compositiva, sotto la
guida di Gustav Heine. Due anni dopo si iscrive alle lezioni di composizione e
1
Informazioni sul compositore francese Hector Berlioz (1803-1869) in Enciclopedia della Musica,
Milano, Garzanti, 1996.
15
direzione d’orchestra della New York University, spinto dal desiderio di
migliorare la propria educazione musicale e dalla volontà di approfondire la
conoscenza riguardo le opere dei maggiori compositori americani.
Fondamentale è l’incontro con il maestro Albert F. Stoessel, il quale lo
incoraggia a seguirlo per proseguire i suoi studi presso la prestigiosa Juilliard
School of Music.
Il periodo alla Juilliard risulta essere particolarmente intenso e fecondo per il
compositore, il quale affianca allo studio canonico diverse attività
extrascolastiche: partecipa al Gruppo dei Giovani Compositori capitanato da
Aaron Copland
2
e, nel 1931, organizza la New Chamber Orchestra, formazione
specializzata in un repertorio prevalentemente contemporaneo che, negli anni
successivi, si esibirà in diversi locali newyorkesi fungendo da strumento di
divulgazione, oltre che dei lavori dello stesso Herrmann, di opere di autori
allora semi-sconosciuti come Milhaud, Bennet e Ives.
3
Nel 1932 il compositore fa ritorno alla New York University dove frequenta
le lezioni di composizione e orchestrazione tenute dall’australiano Percy
Grainger.
4
L’impostazione del nuovo maestro contribuirà a dare una forte
2
Vedi Enciclopedia della Musica, Milano, Garzanti, 1996.
3
Ibidem
4
Ibidem
16
spinta propulsiva alla già affermata predisposizione di Herrmann nei confronti
dello studio e della valorizzazione di opere pressoché sconosciute.
Dal 1934 al 1940, Herrmann lavora presso le stazioni radiofoniche della
CBS come assistente alla direzione, occupandosi inizialmente della messa in
onda di programmi musicali, attraverso i quali ha un’ulteriore occasione per
portare avanti la sua opera di divulgazione di lavori poco conosciuti o
addirittura inediti.
Nel 1937 gli viene conferito l’incarico di comporre le musiche per la serie
radiofonica “Columbia Workshop” e nel ’38 segue la direzione musicale dei
programmi “The Campbell Playhouse” e “The Mercury Theater on the Air”.
E’ in quest’occasione che il compositore ha l’opportunità di conoscere il
giovane e già promettente regista Orson Welles, con il quale inizierà una
collaborazione di importanza fondamentale per la sua carriera. Con Welles,
Herrmann parteciperà alla realizzazione dello show “The War of the World”
(per “The Mercury Theater”), passato poi alla storia per l’inganno astutamente
architettato dal regista circa una presunta invasione dei marziani sulla terra.
Ma è nel 1941 che il musicista ha finalmente l’opportunità di realizzare la
sua prima colonna sonora. E lo fa con un film di eccellenza: si tratta di Citizen
Kane, film d’esordio di Welles.
Nel 1942 Herrmann musicherà anche il successivo film del regista, The
Magnificent Ambersons, subendo tuttavia la pesante ingerenza della casa di
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produzione, la R.K.O., che arriverà addirittura a sostituire alcuni brani con
musiche di altri compositori, costringendo Herrmann a ritirare il suo nome dai
titoli e a mettere fine alla sua collaborazione con Welles.
Tuttavia, questo episodio non rappresenta per lui una battuta d’arresto. Forte
dell’apprezzamento ormai diffuso di cui gode presso l’industria
cinematografica hollywoodiana e di un premio Oscar - l’unico della sua
carriera- per la colonna sonora di All That Money Can Buy (1941), Herrmann
accetta un contratto propostogli dalla 20th Century Fox. Qui collabora con
Alfred Newman,
5
direttore della sezione musicale e partecipa alla realizzazione
delle colonne sonore di diversi film fra cui Jane Eyre (1943), Hangover Square
(1945), Anna and the King of Siam (1946), The Ghost and Mrs. Muir (1947),
The Day the Earth Stood Still (1951), The Egyptian (1954).
Nel 1955, anno in cui la sua partecipazione alla 20th Century Fox inizia a
diventare più sporadica, Herrmann accetta la convocazione di Alfred Hitchcock
per la realizzazione della colonna sonora di The Trouble with Harry. Ad essa
seguiranno le collaborazioni per The Man Who Knew Too Much (1956), The
Wrong Man (1957), Vertigo (1958), North by Northwest (1959), Psycho (1960),
Marnie (1964). A ciò deve aggiungersi il contributo di Herrmann come
consulente per il suono in The Birds (1963). Il sodalizio con Hitchcock
5
Alfred Newman (1901-1970), compositore statunitense di moltissime colonne sonore (fra cui Luci
della ribalta, L’amore è una cosa meravigliosa) e otto volte premio Oscar.
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terminerà nel 1966 in maniera abbastanza ambigua, quando la musica già
composta e registrata da Herrmann per Torn Curtain verrà rifiutata da
Hitchcock in seguito a presunte pressioni subite dal regista da parte della
Universal.
Nonostante venisse ormai definito dalla critica “il compositore di
Hitchcock”, Herrmann in questo periodo collabora anche con altri cineasti,
realizzando le musiche per diversi lungometraggi fra cui: The Snows of
Kilimanjaro (1952), The Kentuckian (1955), The Man in the Gray Flannel Suit
(1956), The Seventh Voyage of Sinbad (1958), Journey to the Center of the
Earth (1959), The Three Worlds of Gulliver (1960), Tender is the Night (1962),
Jason and the Argonauts (1963).
Dopo quest’ultima collaborazione si chiude temporaneamente la parentesi
hollywoodiana ed il musicista si trasferisce a Londra, dove torna a dedicarsi
assiduamente alla composizione concertistica, peraltro mai abbandonata, ed
alla direzione d’orchestra, guidando formazioni come la New York
Philarmonic Orchestra, la Hallé Orchestra e la BBC Simphony.
Nonostante ciò, l’indubbio talento di Herrmann come compositore
cinematografico non passa certo inosservato fra i registi europei. Sono gli
anni ’60, anni di cambiamenti radicali nel cinema del vecchio continente.
Nasce la Nouvelle Vague e tutta una nuova generazione di cineasti inizia a
rivalutare le opere di Hitchcock e, di conseguenza, la musica di Herrmann. Il
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contributo del compositore verrà richiesto, fra gli altri, da François Truffaut per
il suo Farheneit 451 del 1966. D’altra parte, non è solo il cinema europeo, ma
anche quello americano a mostrarsi sensibile all’ormai affermato talento di
Herrmann, al cui operato iniziano ad interessarsi registi del calibro di Brian De
Palma, Larry Cohen e Martin Scorsese. Per il primo, Herrmann comporrà la
musica di Sisters (1972) e Obsession (1975), mentre per Cohen la musica di
It’s Alive (1974).
La sua ultima colonna sonora, sulla quale il compositore lavorerà fino agli
ultimi giorni della sua vita, è Taxi Driver di Scorsese del 1975.
Herrmann muore il 24 Dicembre 1975 a Los Angeles.
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Informazioni dettagliate sui film musicati, sulla produzione concertistica, operistica, da camera e
sulla produzione radio-televisiva si trovano in Appendice.