6
internazionale che si è occupato della problematica in maniera specifica. Tale
Organizzazione, come vedremo, ha affrontato la questione predisponendo dei trattati
speciali, separati da quelli di pace. Questi Trattati furono stipulati dalle potenze
alleate vincitrici, dopo la prima guerra mondiale, con ognuno dei nuovi Stati nati
dalla disgregazione degli Imperi (Ottomano e Austro-ungarico).
Con tali trattati lo Stato in questione si impegnava a riconoscere alle
minoranze una complessa serie di diritti. La Società delle Nazioni, onde dare
maggior voce alle minoranze nazionali e rendere il sistema di protezione più
efficiente, istituì la procedura di Petizione: si trattava di un meccanismo che, tramite
la collaborazione della Corte Permanente di Giustizia Internazionale, di un Comitato
ad hoc, e del Consiglio della Società, riceveva petizioni dalle minoranze che
ritenevano di essere vittime di violazioni da parte dello Stato. Se il Comitato
appurava l’esistenza della violazione in corso, il Consiglio interveniva con
raccomandazioni allo Stato in questione. Il Sistema di petizione era, nelle intenzioni,
un rilevante risultato del diritto internazionale, anche se, negli effetti concreti non fu
molto efficiente, in quanto caratterizzato dalle medesime carenze della Società delle
Nazioni nel suo complesso.
L’analisi, dalla Società delle Nazioni, passa alle Nazioni Unite. A seguito del
mutato approccio giuridico alla questione, le Nazioni Unite si sono occupate del
problema in maniera assai diversa da come se ne occupò la S.d.N. Quest’ultima
affrontò il problema secondo un approccio giuridico teso a difendere la collettività ed
il gruppo minoritario; le N.U. invece trattarono la questione in conformità ad un
approccio giuridico individualista, ossia tutelando l’individuo più che il gruppo. Di
questa nuova concezione giuridica del problema, si fa portatore l’Articolo 27 del
Patto intrenazionale sui diritti civili e politici del 1966, ma anche la Sub-
Commissione sulla prevenzione della discriminazione e sulle minoranze nazionali.
Tuttavia la Risoluzione del 1992 sulla protezione delle minoranze, risentendo dei
mutamenti geoopolitici dei primi anni novanta, si allontana dall’approccio giuridico
tradizionale. In tale documento la tutela delle minoranze nazionali è concepita in
maniera più complessa, articolata; si afferma la necessità di proteggere le minoranze
non solo concependole un insieme di singoli, ma anche come collettività accomunate
da una medesima identità etnica, culturale, religiosa e linguistica.
7
Con il secondo capitolo l’analisi si incentra sull’Europa, precisamente sul
Consiglio d’Europa. In tale sede è stato analizzato, sia nel contenuto, che nella
giurisprudenza derivata dalla Corte europea sui diritti umani, l’articolo 14 della
Convenzione europea sui diritti umani, unica disposizione della CEDU che
garantisce, secondo una concezione giuridica individualista affine a quella delle
N.U., i diritti delle minoranze nazionali. Segue quindi un excursus delle varie
risoluzioni proposte dall’Assemblea per istituire una Convenzione od un Protocollo
aggiuntivo sulle minoranze nazionali; passando quindi all’analisi del più importante
documento europeo giuridicamente vincolante, relativo alle minoranze nazionali,
adottato dal Consiglio dei Ministri del C.d.E. ed entrato in vigore il 1/2/1998: la
Convenzione Quadro sulle Minoranze Nazionali. La Convenzione Quadro è un
documento, in struttura e contenuto, assai complesso, giacché garantisce alle
minoranze nazionali una serie completa di diritti nell’abito sociale, economico,
giuridico, politico, precisando però che la tutela delle minoranze nazionali non
giustifica affatto la loro secessione dallo Stato. La Convenzione, inoltre, prevede un
sistema di supervisione, allo scopo di assicurare che gli Stati membri che la hanno
firmata e ratificata si attengano alle disposizioni ivi contenute.
Dalla Convenzione Quadro, il capitolo si sposta all’analisi di un altro
documento giuridico vincolante, ossia la Carta delle lingue minoritarie e regionali, in
vigore dal 1/3/1998. Questo è un documento di rilievo per quanto riguarda la
garanzia per le minoranze dei diritti culturali e linguistici. Il Capitolo si conclude con
un excursus giuridico degli atti di soft law (Risoluzioni, Dichiarazioni, Opinioni)
emessi negli ultimi anni dalle istituzioni del C.d.E relativamente alla tutela delle
minoranze nazionali.
Nel terzo capitolo, l’indagine si concentra sull’operato dell’OSCE. Si tratta di
un’Organizzazione Internazionale che si pone quale primo obiettivo la sicurezza del
continente europeo: tale scopo è imprescindibile dalla tutela delle minoranze
nazionali. L’OSCE ha contribuito molto alla causa, sia da un punto di vista giuridico-
politico, che istituzionale. Dal punto di vista giuridico-politico, vi sono disposizioni o
sezioni dedicate alla questione nel Documento Finale di Helsinki (1975), di Madrid
(1983) e di Vienna (1989).
8
Maggiore attenzione alla questione è stata dedicata dal 1990, vale a dire da
quando la problematica delle minoranze europee ha sostituito le tensioni derivanti
dalla guerra fredda. Il Documento Finale di Copenhagen (1990), infatti, nella
Sezione IV, predispose una serie di articoli e principi di grande rilevanza, tanto che
molti di questi sono stati riadattati, nella forma e nel contenuto, nella Convenzione
Quadro. La Carta di Parigi (1991), sulla linea del Documento di Copenhagen, garantì
la predisposizione di una complessa e completa relazione sulla tutela delle minoranze
nazionali: la Relazione di Ginevra. Il Documento Finale di Copenhagen e la
Relazione di Ginevra detengono un grande rilievo per il loro contenuto, nonostante si
tratti, come tutti i documenti giuridici dell’OSCE, di atti di soft law.
Il risultato più rilevante, relativamente alla tutela delle minoranze, è la
concezione dell’Alto Commissariato sulle Minoranze Nazionali. Si tratta di
un’istituzione tesa ad individuare le tensioni etniche nei paesi membri. Qualora
queste raggiungano un livello rischioso per la pace, l’Alto Commissario assurge il
ruolo di mediatore tra la minoranza e lo Stato, innescando un processo di diplomazia
preventiva tesa a deviare la tensione etnica da un possibile conflitto. L’Alto
Commissario ha effettuato, dal 1993 ad oggi, moltissime missioni in tutta Europa, e
nell’ex URSS, raggiungendo buoni risultati.
L’ultimo Capitolo è infine rivolto a come l’Unione Europea ha affrontato la
questione. L’analisi inizia con un excursus storico circa la tutela dei diritti umani
nell’Unione Europea, analizzando in particolare: la giurisprudenza della Corte,
alcune disposizioni dei Trattati istitutivi, e quindi la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea o Carta di Nizza. Dopo di ché l’indagine tratta le esigue
disposizioni, relative la tutela delle minoranze nazionali, presenti nei suddetti Trattati
e nella Carta di Nizza. Come vedremo l’Unione Europea, nei Trattati, ha dedicato
alla questione un’attenzione decisamente marginale. Se i Trattati mancano di
disposizioni dedicate alle minoranze nazionali, una maggiore attenzione al problema
è stata dedicata dal Parlamento Europeo. Tale istituzione ha predipsosto tre
Risoluzioni, Arfè (1981), Kuijpers (1987) e Killilea (1994), dedicate al rispetto dei
diritti delle minoranze. Si tratta di Risoluzioni solamente a carattere dichiarativo, e
quindi non giuridicamente vincolanti. Per quanto riguarda il loro contenuto,
specialmente le ultime due garantiscono i diritti culturali e linguistici, più quelli
9
politici od economici. Dopo aver trattato la questione in termini generali, il Capitolo
si concentra su di un’analisi speciale: il caso baltico. E’ analizzata la situazione della
minoranza russa nei tre paesi baltici: questa minoranza, soprattutto in Estonia e
Lettonia, è stata soggetta, e lo è ancora oggi, a violazioni dei diritti umani. Gli Stati
Estone e Lettone hanno predisposto delle leggi che escludono la minoranza russa
dalla comunità civile, rendendone la maggioranza degli appartenenti apolide, ossia si
tratta di non cittadini, che non godono di molti dei diritti civili e politici assicurati ai
cittadini. Dopo aver illustrato le leggi di tali paesi, l’analisi si concentra su come
l’Alto Commissario sulle minoranze nazionali e l’Unione Europea, tramite i Rapporti
della Commissione, hanno cercato di attenuare la tensione etnica e di modificare le
disposizioni vessatorie di tali leggi. L’operato dell’Unione Europea è stato pressante
ed attivo ed ha raggiunto alcuni risultati: possiamo notare come l’interesse dell’UE
verso la questione delle minoranze nazionali sia accresciuto, una volta che i paesi
baltici sono stati inseriti nella lista dei prossimi membri della Comunità.
Infine, in Appendice ho riportato un’intervista, dal titolo Lituania, Estonia,
Lettonia: la minoranza russa, una questione da risolvere, personalmente inoltrata a
Dmitrijev Sergej, leader del partito “Sojuz Russkich Litvy”(Unione dei Russi di
Lituania) e al suo Consigliere Viktor Balakin,. Si tratta di un approfondimento sulla
situazione della minoranza russa nelle tre repubbliche baltiche, con particolare
attenzione alla Lituania, Stato alla quale appartengono i rappresentanti della
minoranza russa che ho intervistato. Da questa intervista, avremo modo di trarre
informazioni non presenti nei documenti ufficiali della Commissione e quindi avere
una prospettiva giuridica e politica di questi futuri membri dell’UE più chiara e
aggiornata.
La Convenzione Quadro, l’Alto Commissario sulle Minoranze Nazionali e
infine i Rapporti e i controlli dell’Unione Europea, sono gli strumenti internazionali
tramite i quali le tensioni etniche ancora presenti nel continente europeo saranno
sostituite da società ove l’eterogeneità etnica sarà considerata una ricchezza, più che
un pericolo.
10
CAPITOLO I: LA TUTELA DELLE MINORANZE NAZIONALI
DALLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI ALLE NAZIONI UNITE
1. Cosa si intende per “minoranza nazionale”?
In questo capitolo affronterò la questione delle minoranze nazionali
nell’ambito del diritto internazionale universale. Dopo aver spiegato ed approfondito
il concetto di minoranza nazionale, passerò ad analizzare come la Società delle
Nazioni ha affrontato la questione, essendo stata la prima organizzazione
internazionale che ha trattato in maniera complessa la problematica delle minoranze,
istituendo la procedura di Petizione. Successivamente analizzerò in quale modo le
Nazioni Unite, tramite la Dichiarazione Universale, l’art. 27 dei Patto dei Diritti
Civili e Politici del 1966, la Sub-Commissione e infine la Risoluzione del 1992,
hanno tutelato i diritti delle minoranze nazionali.
La questione delle minoranze, linguistiche, religiose, etniche e quindi
nazionali, è una problematica che affonda le sue radici nella storia europea e
mondiale
1
, ma è anche una vicenda intessuta di discriminazioni, repressioni e
violenze e questo è stato ormai appurato, quanto è noto che tale questione non sia
stata risolta. Le minoranze hanno da sempre messo in crisi gli Stati autoritari quanto
quelli democratici e, a causa di questa loro posizione politicamente scomoda, il
diritto internazionale ha avuto molte difficoltà nel predisporre trattati o convenzioni
volti a tutelarle, potendosi tuttavia identificare due distinti orientamenti. Il primo,
adottato dalla Società delle Nazioni, considerava i diritti delle minoranze come
collettivi, cioè associati ai gruppi minoritari di per sè, e quindi tutelabili tramite
trattati e convenzioni appositamente predisposte a tale scopo. L’altro orientamento,
assunto inizialmente dalle Nazioni Unite, presumibilmente in seguito alla pressione
degli Stati nazionali, considerava i diritti delle minoranze uti singuli, ossia diritti
individuali, personali, inseribili nel più ampio contesto dei diritti umani, tanto che
nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo non fu approvato nessun
articolo che tutelasse le minoranze. Tuttavia da un disinteresse internazionale verso
la problematica, dimostrato nei primi anni del secondo dopoguerra, durante l’ultimo
1
Finzi R., Lotti S., Dove va l’Europa? Problemi e prospettive del vecchio continente nel mondo
attuale, Milano, 1989, p 114.
11
decennio la questione ha acquisito maggiore rilievo in seguito alla caduta dell’impero
sovietico e delle repubbliche socialiste del centro-est Europa. Il drastico mutamento
geo -politico ha lasciato un vuoto riempito immediatamente da conflitti più o meno
visibili basati sull’ odio etnico, tanto che, dopo il 1992 , sulla base di tali eventi si è
assistito ad un nuovo interesse della Comunità Internazionale, che ha portato
all’approvazione di dichiarazioni e Convenzioni totalmente dedicate alle minoranze.
La tutela delle minoranze ha avuto una evoluzione contrastata anche per il
fatto che è stato difficile adottare una definizione comune di “minoranza nazionale”,
2
considerando che gli Stati nazionali sono stati sempre restii ad identificare una
definizione comune.
La prima definizione del concetto di minoranza nazionale fu quella
predisposta dalla Corte Permanente di Giustizia nel 1930, in una sua advisory
opinion, la quale afferma
3
: “A group of persons living in a given country or locality
having a race, religion, language and tradition in a sentiment of solidarity, with a
view to preserving their traditions, maintaining their form of worship, ensuring the
instruction upbringing of their children in accordance with the spirit and traditions
of their race and mutually assisting one other”. Tuttavia la definizione proposta da
Capotorti nell’ambito dei suoi studi quale Special Rapporteur per la Sub-
Commissione, è stata ritenuta la più attendibile
4
. Secondo tale autore una minoranza
nazionale è “un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello
Stato, in posizione non dominante, i cui membri, essendo di nazionalità dello Stato,
possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle
del resto della popolazione, e mostrano, anche solo implicitamente, un senso di
solidarietà, diretta a preservare la loro cultura, tradizioni, religione o lingua”.
2
H. Hannum, The Rights of persons belonging to minorities, in J. Symonides (ed).. Human Rights:
Concept and Standards, UNESCO, 2000, p.277 ss; P.Thornberry, International Law and the Rights of
Minorities, New York, 1991, pp.87 ss.; J. Packer, K. Mynnti, The Protection of Ethnic and Linguistic
Minorities in Europe, Abo , 1993, pp.34 ss.; W. Kymlica, The Rights of Minority Cultures, Oxford,
1995, pp.102 ss.;.A. S. Akermark, Justifications of Minority Protection in International Law,
Gothemburg, 1997,pp. 54 ss.; Ortino, La Tutela delle minoranze nel diritto internazionale: evoluzione
o mutamento di prospettiva? In Ortino S. (a cura di) Studi in onore di Leopoldo Elia, pp.1113 ss;
Cordell K., Ethnicity and Democratisation in the New Europe, New York, 1999, pp.56 ss.
3
PCIJ, Interpretation of the Convention between Greece and Bulgaria respecting reciprocal
emigration. Adviory Opinion of 31/7/1930, Series B, No. 17, p.33.
4
Capotorti, come vedremo nel par. 3.3, nel 1979, fu nominato dalle Nazioni Unite Special Rapporteur
di uno study sule minoranze nazionali.
12
Nel 1984, la Commissione per i diritti Umani investì la Sub-Commissione del
compito di definire di nuovo il concetto di minoranza e dopo vari interventi fu
adottata la definizione proposta dal membro Jules Deschenes, i cui contenuti
differivano lievemente dalla precedente di Capotorti, poiché identifica quale una
minoranza nazionale: “Un gruppo di cittadini di uno Stato, numericamente
costituenti minoranza e in posizione non dominante in questo Stato, dotati di
caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che sono diverse da quelle della
maggioranza della popolazione, che hanno un senso di solidarietà reciproca,
spronati, sebbene solo implicitamente, da una volontà collettiva di sopravvivenza, il
cui scopo è quello di raggiungere di fatto e di diritto l’eguaglianza colla
maggioranza”. Questa definizione, però, non fu approvata dalla Sub -Commissione,
ma rimase una proposta. Di queste due definizioni predisposte nell’ambito delle
Nazioni Unite, quella che ha avuto il più vasto consenso sia nella teoria che nella
pratica è quella di Capotorti, il quale, rispetto ai principi enunciati dall’art. 27 del
Patto internazionale sui diritti Civili e Politici del ’66, enfatizza l’aspetto
dell’inferiorità numerica, dello status politico più debole e del comune senso di
appartenenza, ove i primi due criteri sono associati a fattori oggettivi, mentre
l’ultimo criterio, invece, a fattori soggettivi (analizzeremo questi aspetti
successivamente). Le due definizioni sono accomunate dal fatto che tra le minoranze
non sono riconosciuti i non-cittadini
5
, mentre si differenziano nel fatto che
Deschenes, nell’ultima parte della definizione, aggiunge l’espressione “di fatto e di
diritto “: tale clausola fu criticata come una limitazione alla definizione, e per tale
motivo, è generalmente preferita quella di Capotorti
6
.
Un’altra definizione di rilievo è stata quella proposta dall’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa nella Risoluzione 1201 (1993)
7
, definizione che
racchiude in sé elementi già enunciati da Capotorti. Secondo tale definizione,
l’espressione “minoranza nazionale”si riferisce ad un gruppo di persone che:
a) risiedono nel territorio dello Stato e ne sono cittadini;
5
P.Thornberry, International Law and the Rights of Minorities, New York, 1991, p.7
6
J. Packer, K. Mynnti, The Protection of Ethnic and Linguistic Minorities in Europe, Abo, 1993, p.
55.
7
Vd nota 4, p.102.
13
b) mantengono legami stabili con quello Stato (quindi i Rom sono esclusi da tale
definizione);
c) dispongono di caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche ben
specifiche;
d) sono sufficientemente rappresentative anche se numericamente inferiori al resto
della popolazione dello Stato in questione;
e) sono unite da un comune senso di appartenenza e da una espressa volontà di
mantenere la loro identità etnica (tradizioni, lingua, ecc ecc.).
Da queste tre definizioni certo non è facile ricavarne una definizione generale, ma è
possibile estrapolare dei criteri che siano esaustivi per definire una minoranza,
dovendo essere in presenza di:
8
A (criteri di carattere oggettivo):
1) Gruppi distinti. E’ basilare che una minoranza per essere definita tale non deve
essere solo una minoranza numerica, ma anche un gruppo che si distingua dalla
maggioranza nella sua identità etnica. Questo criterio come abbiamo visto appare in
tutte le tre definizioni suddette;
2) Fattore numerico. E’un dato certamente importante, ma non è determinante dato
che in alcuni Stati come alcuni casi di paesi africani, possono esservi più minoranze e
nessuna maggioranza. Per Capotorti, in questa situazione, i diritti di tutela
andrebbero garantiti per tutti i gruppi;
3) Gruppo non dominante. Questo elemento è stato inserito per evitare situazioni
particolari come il Sud Africa, ove la minoranza bianca dominava e perseguitava la
maggioranza nera. In tal caso è evidente che la minoranza non ha alcun diritto di
essere tutelata;
4) Nazionalità della Stato in questione. E’ una caratteristica comunemente accettata
che il gruppo da tutelare deve essere cittadino dello Stato, questo per differenziare gli
stranieri dalle minoranze. Questo è un principio non molto esauriente, considerando
che vi sono casi di consistenti minoranze i cui membri non godono del diritto di
cittadinanza: l’esempio più eclatante di tale fattispecie si evince dall’attuale
situazione presente in Lettonia ed Estonia, casi che avrò modo di analizzare in
seguito.
8
P.Thornberry, International Law and the Rights of Minorities, New York, 1991, p.56.
14
B (criteri soggettivi)
1) Comune senso d’identità. E’ necessario che una minoranza, per essere definita
tale, abbia la volontà di mantenere tutte le tradizioni legate alla sua etnia e non
assimilarsi alla maggioranza;
2) The Goal. Principio che Deschenes esprime cosi: “gruppo motivato…..da una
volontà collettiva di sopravvivere”, concetto legato agli scopi di una minoranza, alle
volontà e ai traguardi che questa vuole raggiungere. Deschenes aggiunge, infatti, che
lo scopo della minoranza è quello di raggiungere gli stessi diritti della maggioranza.
Tuttavia a proposito di questa affermazione, occorre rilevare che vi sono state molte
critiche da parte di alcuni paesi europei che partecipavano al Working Group scelto
per la stesura della definizione e, pertanto, tale criterio non appare quale pacifico.
Dopo aver definito l’oggetto del nostro studio, passiamo ad analizzare quale è stata
l’evoluzione giuridica della tutela delle minoranze.
15
2. La Società delle Nazioni: un grande sforzo e un grande fallimento
2.1 I Trattati successivi alla prima guerra mondiale
Fu proprio dopo la prima guerra mondiale
9
che la questione delle minoranze
emerse come problema nel diritto internazionale: dopo i trattati di pace predisposti
dalle potenze vincitrici furono stipulati accordi separati che tutelavano le minoranze.
Essi avevano, tuttavia, una particolare caratteristica: solo gli Stati vinti si trovarono a
dover tutelare le minoranze, mentre per i vincitori questo dovere non era previsto.
I trattati in oggetto furono stipulati dal 28 Giugno al 10 agosto 1919
rispettivamente tra le Potenze Alleate -Associate e la Polonia, la Jugoslavia, la
Cecoslovacchia, la Romania e la Grecia; a questi vanno poi aggiunti trattati tra la
Lettonia e la Lituania, tra Jugoslavia e Italia, tra Grecia e Italia, tra Jugoslavia e
Romania, concernenti questioni speciali di tutela delle minoranze. In aggiunta ai
trattati furono predisposte delle dichiarazioni unilaterali
10
dei nuovi Stati di fronte al
Consiglio della Società delle Nazioni, in cui si ribadiva l’obbligo di tali Stati di voler
garantire una tutela per le minoranze. Inoltre, sempre nell’ambito delle vicende
connesse ai trattati di pace, furono riconosciute minoranze speciali come quelle
ebraiche in Polonia, in Grecia e Romania e musulmane nei nuovi Stati balcanici e,
per finire, alcune concentrazioni di minoranze si videro accordare una vera e propria
autonomia territoriale, come avvenne per le Isole Äland, Danzica, il territorio di
Memel, per i Sassoni e gli Tzelker in Romania.
Il Trattato con la Polonia fu il primo stipulato, e questo divenne il modello di
tutti gli altri. La forma di tali trattati era reciproca, ossia i diritti e doveri che
venivano sanciti valevano solo per le parti contraenti (le potenze Alleate e lo Stato
interessato).Se si analizza questo sistema di tutela delle minoranze, si nota che le
disposizioni ivi contenute non riconoscevano di regola alcun diritto immediatamente
applicabile agli individui, ma diventavano operanti solo a livello di obblighi dello
Stato.
9
A. Akermark, Minority Protection in the League of Nations, in A. Akermark, (ed.) Justifications of
Minority Protection in International Law, Gothemburg, 1997, pp.101 ss; U. Corsini, D. Zaffi, Le
minoranze tra le due guerre, Bologna, 1994; P.Thornberry, International Law and the Rights of
Minorities, New York, 1991; R. Veacht, Minorities and the League of Nations, in The League of
Nations in retrospect. Proceedings of the Symposium, Berlin-New York, 1980, p. 369 ss.; De
Atzkarate, The League of Nations and National Minorities, Parigi, 1970; De Varenne F., Language,
Minorities and Human Rights. International Studies in Human Rights, The Hague, 1996.
10
Dichiarazione di Albania, 2/10/1921; Lituania, 12/5/1922; Lettonia, 7/7/1923; Estonia, 17/9/1923.
16
Il contenuto di tali trattati era costituito da norme che tutelavano la
nazionalità di persone che si trovavano a vivere nei nuovi Stati. Il primo diritto loro
riconosciuto era quello di scegliere se avere o meno la cittadinanza del paese
“ospitante”in base a due criteri, potendola ottenere ove essi avessero in tale Stato la
loro residenza abituale oppure se all’epoca della nascita i genitori delle persone in
questione erano residenti in quel territorio. In mancanza di tali dati veniva applicato
il principio dello jus soli, cioè la persona “minoritaria”poteva ottenere la cittadinanza
del posto ove era nata. I diritti garantiti alle minoranze si eguagliavano in tutti i
trattatii: veniva loro assicurata la tutela della vita e della libertà, di opinione e di
religione (purché non violasse il principio dell’ordine pubblico), ma soprattutto era
garantita l’autonomia linguistica, permettendo l’uso della lingua materna anche in
ambienti pubblici, (per rafforzare tale principio lo Stato era obbligato a
sovvenzionare le scuole “minoritarie”, e permettere la formazione di istituzioni
economiche, sociali e religiose appartenenti alle minoranze nazionali). In aggiunta
alle libertà e ai diritti fondamentali, in ciascun trattato era stata predisposta una
clausola speciale, tesa a garantire il principio di non-discriminazione, impedendo
privilegi basati sull’appartenenza etnica, e riaffermando il principio di uguaglianza di
fronte ai diritti civili e politici per tutti i cittadini dello Stato in questione.
Per dare un’idea concreta della forma e del contenuto di tali trattati, possiamo
prendere in considerazione quello della Polonia
11
. Il Trattato distingueva le persone
da tutelare in tre gruppi: gli abitanti (les habitants), i cittadini (les ressortissants) ed i
membri delle minoranze etniche. L’articolo 8, a proposito delle minoranze,
assicurava che i diritti garantiti per tale gruppo valevano solo per i cittadini polacchi;
mentre coloro che disponevano di un’altra cittadinanza, ma erano residenti in
Polonia, avevano il diritto di scegliere se mantenere la cittadinanza straniera o
accettare quella polacca. Alle minoranze era garantito, all’art.7, l’uso della lingua
madre innanzi alle autorità giudiziali. Gli art.8-9 sancivano alcuni diritti specifici,
come la libertà di lingua e disciplinando il diritto all’istruzione primaria in lingua
madre nelle aree particolarmente popolate da tale minoranza e garantendo agli art.10
e 11, molti diritti alla minoranza ebraica. Possiamo vedere come i trattati sulle
minoranze, almeno dal punto di vista teorico, si impegnavano nel far rispettare i
11
A. Akermark, Minority Protection in the League of Nations, in A. Akermark ,Justifications of
Minority Protection in International Law, Gothemburg, 1997, p. 106.
17
diritti fondamentali agli Stati in questione, e quindi come, nonostante lo Stato fosse
riconosciuto quale unico soggetto di diritto internazionale, le minoranze fossero
tutelate come collettività e non solo come singoli individui. I trattati avevano piena
valenza interna: lo Stato in questione era obbligato a rispettare il trattato e ad
invalidare tutte le leggi, i regolamenti o gli atti giuridici riguardanti provvedimenti
verso le minoranze che fossero in conflitto con il trattato.
Oltre a tali obblighi, per la prima volta, il sistema tutelativo delle minoranze
era sottoposto ad una garanzia di diritto internazionale, tramite la tutela della
Comunità degli Stati: questo fu decisamente un passo in avanti per il diritto
internazionale e per la tutela delle minoranze. Tale sistema di garanzia permetteva
che le singole norme dei trattati sulle minoranze potessero venir modificate solo con
l’approvazione della maggioranza del Consiglio della Società delle Nazioni, mentre
ogni membro del Consiglio della Società si impegnava a riferire al Consiglio stesso
ogni violazione dei trattati che riguardavano la tutela delle minoranze. Inoltre, la
Corte Permanente di Giustizia Internazionale, secondo l’art.14 del Covenant (lo
Statuto della Società delle Nazioni), era designata come arbitro su questioni di
interpretazione dei trattati sulle minoranze esprimendosi in proposito tramite le
advisory opinions. In base alla formulazione e all’impostazione dei trattati,
solamente gli Stati avevano il diritto di rilevare le violazioni in materia. Tuttavia, ai
soggetti appartenenti alle minoranze fu attribuita, dal 1920, una facoltà che fino ad
allora nel diritto internazionale era stata evitata: il diritto di petizione.
Il diritto di petizione, come visto, non venne concesso immediatamente,
infatti né durante la preparazione dei trattati di pace né durante quella dei trattati per
le minoranze venne approvato questo diritto, perché un passo simile certamente
contrastava con la tradizionale concezione, al tempo ancor più accentuata, dello Stato
come unico soggetto di diritto internazionale. Ma se la questione non apparve
immediatamente nei trattati, essa sorse successivamente. L’inizio del Sistema di
petizione è da rinvenirsi nelle accuse mosse dalle comunità ebraiche polacche, le
quali riferirono innanzi al Consiglio della S.d.N. di pogrom e repressioni subite nello
Stato polacco. La causa fu immediatamente presa a cuore da Wilson e dalla Gran
Bretagna, che premevano per la creazione di una commissione ad hoc, composta da
un membro per ogni Stato, che si occupasse della tutela delle minoranze nei nuovi
18
Stati. Tuttavia, il diritto di petizione veniva visto dai nuovi Stati come una violazione
della loro appena acquisita sovranità, mentre, dalle potenze alleate, e soprattutto
dagli Usa, esso era considerato come un passo obbligatorio del diritto internazionale.
La situazione che si era venuta a creare si risolse tramite l’approvazione del
“rapporto Tittoni”, ossia della risoluzione del Consiglio che prevedeva l’istituzione
del diritto di petizione: dal 1920 al 1940 le minoranze poterono far valere questa
facoltà decisamente innovativa per il diritto internazionale.
A tal proposito Guterman
12
afferma che “senza la possibilità di inviare
petizioni alla S.d.N., non ci sarebbe stata alcuna efficace tutela delle minoranze”,
mentre secondo l’autore Schot
13
“la facoltà di petizione era un diretto accesso per le
minoranze alla scena internazionale”. Che il diritto di petizione fosse il perno del
sistema tutelativo era chiaro anche agli stessi contemporanei, lo stesso Chamberlain
afferma la sua importanza ed essenzialità nell’ essere l’ unico strumento
”difensivo”per le minoranze.
2.2 Il sistema di Petizione.
La petizione
14
, che poteva provenire da singoli individui, o dall’intero gruppo
minoritario, perveniva a Ginevra e, una volta che era stata inoltrata, il processo
rimaneva nella più totale segretezza, poiché da quel momento l’interessato e
l’opinione pubblica rimanevano all’oscuro dell’esito. Il Consiglio creava un comitato
ad hoc, il Comitato dei Tre, composto dallo stesso Presidente del Consiglio e da altri
due giuristi; tale istituzione aveva il compito di valutare se la petizione era ricevibile
o meno, cioè se aveva o meno un fondamento per non ingombrare di cause il
Consiglio.Il compito del Comitato andava ben oltre quello di essere un “filtro”alle
cause: senza dover informare il Consiglio, una volta che veniva appurata una
violazione da parte di uno Stato, poteva intervenire e fare pressioni su tale Stato
affinché rispettasse i trattati e intervenisse sui motivi della petizione. Se lo Stato in
questione non si impegnava o si opponeva alle richieste del Comitato, allora la
petizione giungeva innanzi al Consiglio. In tal caso il Consiglio rendeva pubblica la
12
C.Guterman, Das Minderheitenschulzverfahren des Volkerbundes, Berlino 1979 p.270.
13
B.Shot, Nation oder Staat? Deutchland und der Minderheitenshutz, Maburgo,1988 p.8.
14
A. Akermark, Minority Protection in the League of Nations, in A. Akermark, Justifications of
Minority Protection in International Law, Gothemburg, 1997, po.101 ss; U. Corsini, D. Zaffi, Le
minoranze tra le due guerre, Bologna, 1994.
19
questione ed interveniva direttamente sul Governo in questione, raccomandandogli di
rispettare i trattati e i diritti previsti per le minoranze. Tuttavia, il Sistema di
petizione aveva la stesso difetto di tutta la S.d.N, ossia la debolezza dell’elemento
coercitivo, necessario per imporre al Governo accusato la raccomandazione: restava
all’intera volontà dello Stato in questione modificare la situazione ritenuta dal
Consiglio vessatoria e discriminatoria verso la minoranza interessata. Per quanto
riguarda la Corte Permanente, a questa non era attribuito alcun ruolo decisivo, né le
minoranze potevano accedervi direttamente, piuttosto tale organo poteva esprimersi
sulle interpretazioni dei trattati. Per avere un’idea di quanto fosse stato gravoso il
lavoro e di quanto effettivamente la questione delle minoranze era problematica
durante quel periodo, va tenuto presente che su circa 900 petizioni pervenute innanzi
al Comitato, 500 furono ritenuto ricevibili e 16 passarono all’esame del Consiglio
15
.
I contenuti di queste petizioni erano assai vari: spesso erano singoli individui che
avevano subito discriminazioni nell’ambiente di lavoro, oppure discriminazioni
religiose o anche economiche, quali la mancata assegnazione di un sussidio dovuto a
riforme agrarie a svantaggio di proprietari appartenenti ad una certa etnia
16
.
La S.d.N. , in questi casi, fu assai attiva, infatti quasi tutti i ricorsi individuali
furono risolti e le violazioni represse, come avvenne per un precedente caso famoso
nella giurisprudenza del tempo, il c.d. caso “Minority Schools in Albania”
17
, ove la
Corte Permanente di Giustizia concluse che lo Stato suddetto si doveva impegnare a
riaprire le scuole gestite dalla minoranza greca, precedentemente chiuse da un
provvedimento statale, offrendo la necessità di garantire il principio di eguaglianza di
fatto e di diritto: “equality in law precludes descrimination of any kind, whereas
equality in fact may involve the necessity of different treatment…”. La Corte
intervenne con altri advisory opinions
18
, come nel caso degli scambi di popolazioni
tra Grecia e Turchia,ove nella fattispecie
19
cercò di impedire tale fenomeno facendo
15
Sono stime compiute dal Segretario della S.d.N tra il 1920 e 1940.
16
De Azcarate, The League of Nations and National Minorities, Parigi, 1970, pp. 66 ss..
17
Minority Schools in Albania, 1935, PCIJ Ser.A/B, NO.64,17.
18
Esempi: PCIJ, Series B, No.6, 1923, Settlers of German origin in Poland; Series B, No.17, 1930,
The interpretation of the Convention between Greece and Bulgaria respecting reciprocal emigration.
19
PCIJ, Series B, No. 19, 1925, The Exchange of Greek and Turkish Populations.