- 2 -
esperienziale, sia alle più moderne teorie di psicopedagogia, sia alle
riflessioni sociologiche e filosofiche sulla congiunzione di educazione
e divertimento.
L’intero lavoro sarà supportato dallo studio di un caso,
relativo ad un’azienda operante nel mondo dell’edutainment.
Anche relativamente al suo studio si adotterà un approccio teso ad
evidenziare il ruolo attivo del soggetto, tanto nel processo di
apprendimento, quanto nella fruizione di entertainment.
1. Cosa significa edutainment?
Il primo scoglio che si incontra nell’affrontare il tema
dell’edutainment è legato al significato letterale del termine.
A una prima analisi di carattere etimologico appare
immediatamente chiaro che il vocabolo edutainment è un
neologismo inglese, coniato a partire dall’unione della parola
“education” e della parola “entertainment”.
Education ha il suo corrispettivo italiano in “educazione”. E’
un termine utilizzato quotidianamente per definire “l’atto, l’opera o
l’effetto dell’educare”, o ancora “l'insieme degli insegnamenti, delle
norme che si impartiscono per formare il carattere, per sviluppare
o affinare le attitudini o le capacità di qualcuno, per insegnare la
pratica di un'attività, oppure per far contrarre un'abitudine o una
regola di comportamento”
1
.
A discapito di questo significato che pare enfatizzare l’aspetto
normativo ed etero-diretto dell’educazione, l’etimologia del termine
pare evocare un contenuto semantico più profondo.
La parola latina “educatio”, cui l’italiano educazione e l’inglese
education si rifanno direttamente, è anch’essa frutto dell’unione di
1
Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, di Nicola Zingarelli, 1987
- 3 -
due componenti: la radice “-duc-” si riferisce al campo semantico
del verbo “ducere”, in prima istanza traducibile con “condurre”; il
prefisso “e-” è invece riferibile alla preposizione “ex” il cui
significato è “da”, “a partire da”, “fuori da”. Dunque educatio
significherebbe letteralmente “l’atto di condurre da”, “condurre a
partire da”, “condurre fuori da”.
È ben ravvisabile in questa parola una forma di tensione
inarrestabile. Siamo infatti di fronte a un vocabolo che, nella sua
stessa radice, comunica un’idea di dinamicità, di continua
evoluzione, di passaggio dal noto verso l’ignoto.
2
E’ particolarmente affascinante riflettere su un dettaglio
etimologico del termine educazione, e cioè il fatto che all’interno di
questo lemma sia tracciato un “limite”. Questo “limite” non è –
come spesso intuitivamente si pensa – un limite di arrivo. Nella
parola educazione non è infatti insita immediatamente l’idea di un
“traguardo”. Il limite evocato è solo quello di partenza (la particella
è “e-”, non “in-”): giacché si potrà essere facilmente “in-dottrinati”
o “in-struiti”, ma mai “in-ducati”. Questo “limite di partenza” è
interpretabile almeno in due modi diversi: da un lato può essere
visto come “l’insieme delle conoscenze e abilità già acquisite da un
soggetto”, un limite dal quale l’educazione muove senza tregua,
nella convinzione che è sempre possibile avanzare nel sapere
(Bloom, 1956); dall’altro lato può essere visto come “il soggetto
stesso” (Gardner, 1988) in quanto, come ben evidenzia la
maieutica socratica, è sempre a partire dal soggetto dell’esperienza
2
H. Gardner (1988) ben riassume questo stesso concetto citando il dialogo platonico “Menone”, in cui
Socrate pronuncia la seguente frase: “…per questo, che, cioè, pensando sia quasi un dovere cercare
ciò che non si sa, diverremo migliori, più forti e meno pigri, che se ritenessimo impossibile trovare e
non dover cercare quello che non sappiamo; per questo, se ne fossi capace combatterei con forza, con
la parola e con i fatti”; pag. 2.
- 4 -
educativa e dalla sua partecipazione che è possibile giungere,
tramite il dialogo, alla verità
3
.
Eppure, millenni di alunni “educati” a suon di vergate e
bacchettate per opera di maestri cinici e severi, tanto da motivare
ripetute “e-vasioni” fanciullesche dal luogo della tortura scolastica,
hanno fatto apparire l’ “e-ducazione” come qualcosa di “forzato”,
legato all’imposizione di contenuti e comportamenti rigidi, tutto ciò
in piena antitesi con l’etimo originario della parola, che appare
certamente meno incline dei “sanguinari” docenti a concepire il
ruolo di chi impara come succubo e subordinato. Pertanto, se, da
un punto di vista etimologico, non vi sarebbero esplicite ragioni di
concepire educazione ed entertainment in netta contrapposizione;
dal punto di vista della storia, l’antitesi posta tra i due elementi è
quanto meno giustificabile.
Il vocabolo appena introdotto, entertainment, dà forma alla
seconda parte del neologismo “edu-tainment”. Esso è in prima
approssimazione traducibile in italiano con “intrattenimento”.
Tuttavia, il significato abitualmente evocato da questo lemma in
Italia fa riferimento soltanto ad una minima parte di ciò a cui il
corrispettivo inglese vorrebbe rimandare. Se, infatti, nella nostra
lingua, la parola intrattenimento significa “il gesto dell’intrattenere;
festa, riunione, trattenimento”, e solo di recente si è iniziato ad
adoperarla come sinonimo di “spettacolo” (si parla ad esempio di
intrattenimento televisivo, teatrale, musicale, radiofonico ecc.), in
inglese entertainment è molto più correttamente traducibile con
“divertimento in senso lato”. Nell’inglese parlato è infatti
particolarmente evidente l’antitesi tra il quotidiano, la routine, il
dovere e “l’entertainment”, che è invece il tempo libero, il tempo in
3
Il termine greco per verità è “alethéia” e significa letteralmente “disvelamento”.
- 5 -
cui si ha la possibilità di “di-vergere” dal quotidiano (è del resto
proprio questo il significato recondito del termine “divertimento”).
Questo tempo della libertà e delle libere scelte, d’altronde, coincide
con il tempo in cui si ha la possibilità di con-vergere a se stessi
(trattenersi con sé), approfittando per apprendere qualcosa di
nuovo, per “e-ducarsi”, in senso stretto.
Insomma, tra lavoro ed “entertainment” esiste un’antitesi
molto simile alla differenza che c’era presso gli antichi Romani tra
“negotium” e “otium”. Il primo era il tempo del lavoro, il secondo
era invece il tempo dedicato a se stessi, al divertimento, allo
“studio” (parola il cui omologo latino studium significa tra l’altro
“appassionamento”, e, secondo alcuni filologi (Olivieri, 1965),
deriverebbe da “stupeo”, ossia “mi stupisco”): lo stesso Cicerone
(De Oratore, II) parlerà esplicitamente di “otium litterarium”,
vedendo nell’ozio la principale occasione di acculturarsi
4
.
L’entertainment è oggi pensabile anche come un comparto
dell’economia particolarmente competitivo, all’interno del quale si
muovono enormi colossi industriali, guidati da figure descritte
talvolta come “titani” (Wolf, 2000), a sottolinearne lo straordinario
potere economico, nonché la forte intraprendenza. Sono state
proprio le aziende operanti all’interno di questo comparto dai
confini estremamente mobili le prime a mettere a disposizione
risorse a favore di progetti educativi. Emblematici sono i casi di
Disney e della televisione nazionale inglese BBC, che ha
nell’educare uno dei tre punti cardine della sua missione, insieme
all’informare e – guarda caso – all’intrattenere (cioè “divertire”).
4
Secondo G. Zaccaria (2001), la stessa parola “cultura” è etimologicamente riconducibile al verbo
latino “colo”: che significa “coltivare”, “(far) crescere”.
- 6 -
Un forte ruolo propulsivo allo sviluppo dell’edutainment è
stato certamente dato dalla messa a punto e dalla diffusione delle
tecnologie digitali, che hanno contribuito in maniera sostanziale a
rivoluzionare modalità di insegnamento consolidate ormai da secoli.
La possibilità di rendere “virtualmente reale” qualcosa, permette
oggi di contestualizzare principi e argomenti che un tempo
sarebbero restati distanti e intangibili allo studente: il “gioco
virtuale” (il classico video-game) è stato da più parti esaltato come
un innovativo ed efficace strumento, utilizzabile anche per
l’apprendimento, proprio grazie alla sua capacità di far immergere
lo studente-giocatore in una realtà che può vedere, ascoltare,
esplorare (multimedialità) e con cui può interagire (interattività).
Forse sulla scia della bolla speculativa provocata dalla new
economy, o forse per l’uso estremamente frequente che si fa del
termine edutainment in accezione informatica, non manca chi
identifica in senso stretto l’edutainment con un settore
specializzato dell’editoria multimediale. E’ ad esempio il caso del
linguista De Mauro (2000), che nel suo dizionario introduce il
neologismo “edutainment” definendolo per l’appunto come “settore
dell’editoria multimediale che produce e distribuisce opere che
educano divertendo”.
In realtà, una siffatta definizione appare alquanto restrittiva.
E’ infatti già possibile ravvisare attività che si auto-definiscono di
edutainment nei contesti più svariati, dalla creazione di parchi
tematici alla gestione di reti museali, sino ad alcune iniziative
intraprese dalle pubbliche amministrazioni in favore dell’infanzia.
Nel seguito del lavoro, pertanto, parlando di edutainment si farà
riferimento a “qualsiasi tipo di attività creata a scopo educativo,
che decida di avvalersi di strumenti ludici e di intrattenimento o
- 7 -
comunque afferenti a contesti diversi da quello scolastico
tradizionale”.
Lo si farà, in particolare, tenendo sempre ben ferma in mente
questa considerazione di McLuhan (1960): “è assolutamente
fuorviante porre una differenza tra educazione ed entertainment”.
5
E’ questa la riflessione del sociologo canadese sull’ossimoro
insito nella parola edu-tainment, giustificabile più a livello di
abitudini pedagogiche che a livello di etimologie: vi si scontrano il
tempo libero contro il tempo dell’indottrinamento; il tempo del
gioco contro il tempo della segregazione scolastica; il tempo della
vera educazione, che è anche occasione di intrattenimento e di
divertimento, contro il tempo della falsa educazione, che è
pedanteria.
2. Il “fil rouge” di questo lavoro
Dietro lo stesso termine “edutainment” si nasconde un
profondo tentativo di integrazione tra ambiti differenti. Pertanto,
anche questo lavoro adotta un approccio teorico eclettico e
interdisciplinare.
La trattazione parte (cap. 1) da una considerazione storico-
sociologica sull’educazione divertente e ludica. Nel corso delle
prime pagine del lavoro, in particolare, si prova ad illustrare come
l’attuale edutainment sia in realtà il frutto di un ripensamento del
concetto di educazione-apprendimento avvenuto nella società post-
moderna. In contrasto con un’idea di cultura legittimatrice di élites
di potere nella società (Manacorda, 1997), è infatti emersa, nel
presente periodo di crisi di valori (Firat, 1993), l’idea di
5
M. McLuhan, estratto da “Classroom without walls”, Explorations in Communication, Boston
Beacon Press (1960).
- 8 -
un’educazione strutturata da ciascun individuo, in cui le dimensioni
emotive e ludiche hanno senz’altro più peso di quanto non sia
avvenuto nei secoli passati (Hetzel, 1993).
Nel lavoro si è pensato di ricondurre questo nuovo stato
dell’educazione alle utopie pedagogiche che, sin da Platone, hanno
riconosciuto al gioco e al divertimento un ruolo educativo. E’
tuttavia incerto se l’edutainment e la sua capacità di generare
valore culturale per l’individuo siano interpretabili come effettiva
“realizzazione dell’utopia pedagogica”.
Allo scopo di verificare quando educazione e divertimento
possano marciare di pari passo verso un reale arricchimento
personale per il soggetto di un’esperienza educativa, nel capitolo 2
si è adottato un approccio in grado di far dialogare alla pari le
teorie dell’experiencial view e dell’hedonic consumption con le
teorie della psicopedagogia novecentesca. Ciò allo scopo di
identificare, da un lato, dei punti di contatto inerenti la concezione
del soggetto di un’esperienza di carattere educativo e, dall’altro, il
suo contenuto e il suo contesto di fruizione. Si è così evidenziata
nella logica dell’“interazione” (Addis, 2002) tra soggetto e contenuti
culturali, una tipicità dell’edutainment.
Le considerazioni ricavate sono state quindi raffrontate nei
diversi ambiti di realizzazione dell’edutainment (cap. 3), i quali
sono stati dapprima raggruppati, secondo la recente classificazione
di Veltman (2004) in ambiti di edutainment serio, commerciale e
dei luoghi della memoria; e, in seguito, all’interno di una matrice in
grado di distinguere due fondamentali caratteri delle molteplici
esperienze ludico-educative oggi offerte dal mercato: la prevalenza
di educazione o divertimento; la prevalenza di uno scopo meritorio
o di uno scopo commerciale.
- 9 -
Ci si è infine focalizzati sullo studio di un caso pratico, relativo
al Family Entertainment Center Felisia di Castellaneta Marina (TA),
strutturato anch’esso in modo da evidenziare i caratteri di
interazione tra soggetto, oggetto e contesto all’interno delle
esperienze di edutainment (cap. 4).
In particolare, allo scopo di sottolineare il ruolo decisivo
dell’individuo nel corso del learning process e della fruizione di
esperienze edonistiche, si è resa molto utile una metodologia di
indagine qualitativa, la Zalman’s Metaphor and Elicitation
Technique.
Essa ha permesso, a partire dalla creazione di 18 collage
realizzati da altrettanti ragazzi di scuola media, e dal successivo
processo di storytelling legato alle illustrazioni, di mettere in
evidenza come, in ogni esperienza di edutainment, conviva una
molteplicità di variabili di interesse, sia di carattere cognitivo, che
di carattere affettivo, comportamentale e contestuale.
Dallo studio di queste variabili e delle loro interconnessioni in
mappe raffiguranti il mental model di ciascun intervistato, si sono
tratte utili indicazioni circa l’opportunità di strutturare un’offerta di
edutainment in grado di generare valore superiore a quello del
semplice svago, così come a quello didattico frontale, tipico di altri
generi di educazione.
E’ in particolare apparsa l’urgenza, per le imprese operanti
nel campo dell’edutainment, di concentrarsi sulla coerenza nella
gestione dei c.d. experience provider in vista dei loro scopi
educativi e di intrattenimento, pena la creazione di esperienze
percepite come “poco significative” dai propri fruitori.
- 11 -
Capitolo 1
Imparare divertendosi, una lettura storica
L’Ottocento è stato definito, sul piano culturale, come il
secolo dell’ “incivilimento”. Questo termine moralistico, patriottico,
decisamente retorico, nato in contemporanea con i principali musei
nazionali europei, era stato dettato dalla volontà di trasformare in
“cittadini” gli esponenti di una plebe incolta e ignorante delle
proprie origini. Il primo centenario del millennio appena iniziato,
invece, si candida ad essere il secolo della “cultura-spettacolo”, in
cui tutto si è fatto “entertainment”.
Visitare un museo oggi non rispecchia ormai in alcun modo
l’obiettivo ottocentesco della sua costruzione. I prezzi di ingresso,
un tempo calmierati per favorire l’“incivilimento”, oggi rispecchiano
quelli di un biglietto d’ingresso a una proiezione cinematografica e,
anche nel comune sentire e nei comportamenti sociali, l’idea di
fruizione della cultura è legata all’impiego del tempo libero, dello
svago, dello spettacolo, del vivere passioni fortemente soggettive e
personali.
In questo contesto, le istituzioni culturali si stanno
interrogando anche sul senso della loro missione educativa.
“Educazione” è un termine che troppo spesso riporta alla mente la
costrizione di un banco di scuola o l’idea di qualcosa che si fa
perché si deve. “Molto più efficace e leggero è diventato parlare di
edutainment, una parola che sterilizza sul nascere l’idea di fatica e
di impegno”, così come sostiene con una certa vena polemica
Paolucci (2004).
- 12 -
Una simile affermazione rivela la tensione legata al dibattito,
peraltro molto attuale nel mondo delle cultural industries, relativo
al concetto di cultura e di educazione: da un lato vi è
l’impostazione tradizionale, di stampo modernista, che tende a
considerare “culturale” quel complesso di principi e conoscenze
“per pochi”, legato all’idea della nicchia e dell’élite, all’idea
dell’autoreferenzialità dei testi e all’esistenza di un’high culture a
cui adeguare l’individuo, opposta a una low culture e al
divertimento; dall’altro lato, nell’ambito del post-modernismo, si è
invece diffusa un’idea di cultura dai contorni molto più labili, tesa a
definire il fenomeno dell’educazione come processo legato alle
variabili cognitive ed emotive di ciascun soggetto, il quale, non
riconoscendo più alcun tipo di autorità culturale, politica, religiosa,
crea personalmente i propri valori e i propri significati, lasciandosi
guidare dall’eclettismo e dall’edonismo (Hetzel, 1993).
In questo primo capitolo, il contrasto tra l’idea di educazione
elitaria ed esclusiva, da un lato, e l’idea di un’educazione inclusiva,
dall’altro, che legittimi il percorso di arricchimento culturale operato
da ciascun individuo sulla base delle proprie disposizioni, è resa
sulla base di una riflessione interdisciplinare tra storia, sociologia e
filosofia.
Nel corso della trattazione si distingueranno due filoni
contrapposti: il filone dell’educazione ludica sul piano effettivo, e
sul piano ideale.
Il primo filone, rifacendosi alle teorie della sociologia
strutturalista e marxista, mette in evidenza il ruolo dell’educazione
intellettuale e di alcune forme di educazione “ludica” come fonte di
legittimazione di élite politiche e sociali, rinforzando in tal senso il
concetto modernista di cultura come fenomeno di nicchia.
- 13 -
Un secondo filone, più ricco di spunti per il moderno concetto
di edutainment, fa invece riferimento a una storia dell’educazione
“ideale” e “utopistica” che, enfatizzando l’aspetto della motivazione
all’apprendimento di ciascun individuo, trova la forza di proporre
approcci educativi rivoluzionari rispetto a quelli tradizionali,
riconoscendo un ruolo pedagogico essenziale anche al gioco e
all’intrattenimento.
1. L’educazione ludica sul piano “effettivo”
E’ definibile edutainment ogni tipo di attività intrapresa a
scopo educativo che si avvalga di strumenti di intrattenimento,
quali ad esempio il gioco, la pratica sportiva o artistica, la
sperimentazione diretta, le tecnologie multimediali e interattive.
L’edutainment è tuttavia solo un “tipo” di educazione, il cui impiego
pare aver rivestito un ruolo del tutto marginale nella storia della
pedagogia.
La motivazione, secondo quanto qui si sostiene, è da
ricercare nello stretto legame che intercorre tra educazione, gioco e
società. Difficilmente le società e i gruppi sociali che ne fanno
parte, infatti, appaiono disposti ad accordare al gioco e al
divertimento una funzione educativa. Ciò, secondo alcuni autori, è
dovuto al segreto timore nutrito nei confronti del gioco (sia esso
d’alea, o agonistico) come fattore di parificazione sociale: “lusores
liberi sunt a nullo duce”
6
dicevano gli uomini di Chiesa e di legge
del Cinquecento, condannando alcune forme di gioco popolare
7
6
“I giocatori sono liberi da qualsivoglia potere”
7
Emblematica una definizione di “gioco” data da M. McLuhan ne “Gli strumenti del comunicare”,
opera scritta nel 1964: “Essendo, come ogni forma d’arte, un modello tangibile di un’altra situazione
meno accessibile, il gioco include sempre un formicolante senso di stranezza e di buffoneria che rende
ridicola la persona o la società troppo seria e troppo zelante”.
- 14 -
(McLuhan, 2002) con la stessa attenzione con cui tolleravano le
medesime forme a corte (Guerzoni, 2001).
Non ci si deve dunque stupire se i passi decisivi verso
un’educazione che riconoscesse al gioco un ruolo educativo, siano
stati paralleli allo sviluppo dell’educazione universale e siano stati
effettuati, sul piano ideale, a partire dal Settecento con l’affermarsi
dei principi illuministici dell’egualitarismo e, su quello effettivo, solo
nella società di massa del Novecento.
Allo stesso modo non stupirà che gli esempi di educazione
attraverso il gioco siano stati, prima del Settecento, appannaggio
delle classi dominanti, che socialmente erano già “liberae a nullo
duce” in senso stretto.
Alla luce di quanto qui sinteticamente osservato,
nell’immediato seguito del lavoro si richiama dapprima l’attenzione
del lettore sullo studio di quegli autori che meglio di altri hanno
evidenziato il rapporto tra società ed educazione; più oltre ci si
soffermerà invece sul principio di differenziazione funzionale nella
società, il quale ha riflessi sia in ambito educativo, sia in ambito
ludico.
1.1 Educazione e società
Per quanto possa sembrare che oggetto dell’educazione sia
un insieme di contenuti e comportamenti stabili nel tempo, veicolati
da istituzioni legittimate a tale compito come la famiglia e la
scuola, in realtà, osservando la storia della pedagogia, ci si rende
ben presto conto di come tali contenuti e comportamenti siano
tutt’altro che standardizzati ed eterni, e di come abbiano subito nel
corso del tempo una serie di profonde modificazioni. Ciò che
apprendeva lo scriba egiziano è infatti molto diverso da quanto
- 15 -
apprende oggi un bambino alle scuole elementari, e questo è
essenzialmente dovuto ai mutamenti sociali che, necessariamente,
sono intercorsi in quattro millenni di storia.
A suffragio di questa tesi intervengono le teorie in materia di
“educazione” elaborate da parte della sociologia struttural-
funzionalista, i cui principali esponenti sono Durkheim
8
(1858-
1917) e Parsons
9
(1902-1979). Il pensiero di entrambi gli autori
può essere così riassunto: l’educazione è un fatto sociale, e quindi
varia a seconda delle condizioni storiche e delle società.
In uno dei suoi ultimi testi, intitolato “Scienze dell’Educazione
e Sociologia”, edito nel 1913, Durkheim scrive testualmente:
“Educare non è formare a un ideale valido per ogni epoca;
educare è socializzare metodologicamente le nuove
generazioni, e cioè formarle in funzione della struttura
sociale di una determinata epoca”.
10
E ancora:
“Ogni uomo è così composto: ha i propri stati mentali, che
sono gli avvenimenti della propria vita, e vanno a
costituire la sua propria individualità; vi è poi il sistema
delle idee, sentimenti, abitudini, che esprimono in noi il
gruppo o i gruppi di cui facciamo parte: credenze
religiose, credenze e pratiche morali, tradizioni nazionali o
professionali, opinioni collettive. Ciò costituisce l’ideale
collettivo a cui adeguare l’individuo”.
11
8
Emile Durkheim fu un sociologo costantemente impegnato nel mondo dell’educazione francese
lungo tutta la seconda metà dell’800 e il primo quindicennio del ‘900. Egli ha ricoperto il ruolo di
direttore responsabile dell’educazione primaria presso il Ministero della Pubblica Istruzione, ed è stato
titolare della cattedra di Pedagogia presso la Sorbonne di Parigi.
9
Talcott Parsons è ritenuto il padre della sociologia strutturalista. Il suo testo “The Social System” è
forse il più rappresentativo nel descrivere la società come sistema, nonché i meccanismi che ne
consentono la sopravvivenza.
10
Cit. da S. De Carli, Pedagogia e Didattica, Trieste, 2004
11
S. De Carli, Ibidem, Trieste, 2004
- 16 -
E’ dunque possibile affermare che l’educazione costituisce
una sorta di morale laica, la quale, a partire da una conoscenza
scientifica delle leggi del comportamento, forma l’individuo
trasmettendogli l’ethos collettivo
12
.
Tale riflessione influenzò sensibilmente il pensiero di Parsons
(1951), sociologo statunitense che ebbe l’occasione di studiare
Durkheim alla luce delle teorie psicologiche elaborate nella prima
metà del Novecento. Il suo approfondimento delle teorie freudiane
sull’interiorizzazione del super-ego lo portò, negli anni ’40, a
riflettere in maniera diffusa su quelli che chiamò “i quattro
imperativi funzionali”.
Nello specifico, all’interno del “Sistema Sociale” parsonsiano,
la continuità e la sopravvivenza di una società sono collegate a
quattro funzioni profondamente interiorizzate dagli individui:
• la funzione adattativa (vale a dire la capacità della società
di rapportarsi all’ambiente fisico);
• la funzione politica (cioè la capacità della società di
coordinare le azioni verso un fine comune);
• la funzione culturale (ossia la capacità della società di
darsi ordinamenti valoriali condivisi);
• la funzione integrativa (relativa a tutte le procedure che
rendono solidali le varie parti del sistema).
L’educazione, secondo l’autore, incide tanto sulla funzione
culturale, quanto sulla funzione integrativa, connotandosi come un
fattore fortemente distintivo di ogni società.
12
S. De Carli, Ibidem, Trieste, 2004