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l’obiettivo del meccanismo di spalla. In particolare una delle specifiche più
forti del progetto richiede che gli assi di rotazione dei due gradi di libertà
siano perpendicolari e incidenti in modo da ottenere un disaccoppiamento
delle variabili cinematiche e in questo modo ottenere come risultato
oggettivo un controllo più semplice da parte del paziente.
Per l’attuazione dei due gradi di libertà individuati sarà proposta una
architettura ibrida, ovvero una costruzione che preveda una catena
cinematica aperta (seriale) per la prima rotazione e una catena cinematica
chiusa (parallela) per la seconda. Quest’ultima in particolare sarà oggetto
di studio e analizzata dal punto di vista geometrico e cinematico, offrendo
una ottimizzazione degli elementi della catena allo scopo di minimizzare
l’entità di forze richieste al movente. Sarà infine proposto un modello
meccanico del dispositivo che presenti gli organi necessari a realizzare i
due gradi di libertà, integrando componenti commerciali con particolari
originali.
Infine verranno analizzati i risultati ottenuti evidenziando i pregi,
criticandone i limiti e proponendo eventuali sviluppi futuri.
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Capitolo 1 - Protesi
1.1 Generalità sulle protesi
L’assenza di un organo così importante come un arto, oltre a difficoltà di
ordine motorio, è anche fonte di notevoli implicazioni psicologiche. Uno
degli aspetti fondamentali da non trascurare mai nella progettazione di una
protesi, è infatti il destinatario finale, ovverosia l’amputato. È sempre viva
in questo senso l’eventualità che il paziente rifiuti questo tipo di ausilio, in
quanto ritenuto un invasione da parte di un oggetto estraneo al proprio
corpo. Questo particolare atteggiamento, che agli occhi di una persona sana
potrà sembrare anche irragionevole, è più frequente nei malati che
utilizzano protesi con un certo ritardo cronologico dal momento del
trauma. A questo proposito si rende necessario agire quindi nell’interesse
dei malati non solo nel più breve tempo possibile, ma offrendo loro
soluzioni che permettano di recuperare una mobilità e un livello di
autosufficienza tali da poter riprendere a vivere una vita normale. Per
supportare questo nobile scopo, vengono in soccorso le soluzioni
tecnologicamente più avanzate provenienti dalle discipline più differenti
del sapere, dall’elettronica alla meccanica, dalla medicina all’informatica,
per convergere insieme al superamento dell’handicap nel modo più
consono al paziente. Notevole importanza hanno anche le fasi di
rieducazione funzionale e di riabilitazione motoria che precedono e
seguono il momento in cui l’amputato viene dotato di protesi.
1.2 Protesi di spalla
Per quanto riguarda questa ricerca verrà fatto riferimento alle protesi d’arto
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superiore (PAS) [1], pensate per deficienze di diverso livello e natura, ad
una o ad entrambe le braccia. Vi fanno riferimento amputazioni più o meno
complesse, a seconda del trauma o della natura congenita. Risultano
ovviamente tra le più disabilitanti quelle che riguardano la spalla, in quanto
necessitano di una sostituzione totale delle funzionalità del braccio. Il
Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio (BO) è da decenni
specializzato nell’assistenza di pazienti con amputazioni. Nella gamma di
protesi in uso attualmente, per coloro che abbiano subito una
disarticolazione di spalla, non vi sono protesi che possano di diritto
rientrare nella categoria delle cosiddette “protesi attive”. Questa
distinzione evidenzia l’assenza all’interno della protesi di motori, attuatori
o componenti funzionali atti a compiere movimenti in modo autonomo.
Come molte altri tipi di protesi, è costituita da un membro solidale al
paziente, detto “invasatura”, che viene assicurata al moncone per mezzo di
cinghie regolabili e funge da interfaccia con l’elemento protesico. Ogni
invasatura è personalizzata e costruita su un preciso calco in gesso del
moncone del paziente. In questo modo è possibile modellare una superficie
che somiglierà meglio alla forma della zona corporea su cui verrà poi
applicata, migliorandone la portabilità ed il comfort.
Figura 1.1 Protesi passiva attualmente in uso.
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All’invasatura della protesi di spalla è ancorata la testa di un giunto sferico
a frizione che permette di ruotare il resto dell’arto artificiale con una certa,
seppur limitata, mobilità. La regolazione di questa articolazione è
effettuata per mezzo di forze esterne, in particolare con l’uso del braccio
sano o facendo leva su punti di appoggio fissi. Come può essere dedotto
anche dalla fotografia di Fig. 1.1, questa tipologia senza sistemi di
attuazione pone ovvie limitazione al paziente, che oltre a non poter
realizzare ampiezze di movimento elevate (limitate dalla ristretta mobilità
del giunto sferico), deve continuamente far uso dell’altro braccio, se
presente, o di stratagemmi per spostare e correggere la rotazione della
spalla.
Il lavoro di tesi qui sviluppato, si inserisce all’interno di un progetto
avviato dallo stesso Centro Protesi in collaborazione con le Università di
Bologna e di Ferrara, promosso con lo scopo di riempire questo vuoto
dell’offerta protesica attraverso la costruzione di un dispositivo attivo che
vada a sostituire l’articolazione passiva e potenziare le funzionalità delle
attuali protesi per amputazioni di alto livello. Utilizzando anche i risultati
di studi precedenti relativi a protesi per gomito e altre articolazioni, sono
state stilate diverse specifiche tecniche da rispettare nel corso della
progettazione. Per quanto riguarda il comando della protesi, un notevole
passo avanti nella tecnica di controllo è stato realizzato con l’utilizzo di
sensori mioelettrici, già in precedenza utilizzati e sviluppati, per altre
tipologie di arti artificiali.
1.3 Protesi mioelettriche
Questo tipo di protesi utilizza dei piccoli sensori elettronici posizionati a
contatto con l’epidermide del paziente che rilevano, sottoforma di tensione
elettrica, i cosiddetti segnali elettromiografici (EMG) prodotti dai muscoli
durante la fase di contrazione.
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Figura 1.2 Schema di funzionamento (Tratto da Troncossi [1]).
Figura 1.3 sensore differenziale (Tratto da Troncossi [1]).
Questi segnali vengono successivamente amplificati ed elaborati da una
unità di controllo come input di tipo on-off o proporzionale, e li utilizza per
comandare i motori elettrici che muovono la protesi. Solitamente questi
sensori vengono posizionati sui muscoli volontari residui che si trovano più
possibile vicino al moncone. Attraverso un’adeguata educazione, viene
insegnato al paziente come sfruttare la contrazione di questi muscoli per
controllare il movimento della protesi, prendendone così il pieno controllo
per utilizzarla secondo le proprie necessità.
Mediante l’uso dei sensori mioelettrici sarebbe possibile offrire un certo
grado di autosufficienza anche a quei pazienti che presentano una
disarticolazione bilaterale. La concomitante assenza di entrambe le braccia,
più che in altri casi, mette in notevole difficoltà il paziente, non essendo
assolutamente in grado di svolgere quasi nessuna attività da solo, se non
con l’uso degli arti residui. L’utilizzo di questi sensori nelle protesi
metterebbe in luce la possibilità di gestire in modo assolutamente
indipendente gli arti artificiali, e vedrebbe realizzarsi l’inedita occasione di
poter controllare le protesi in modo completo ed in piena autonomia.
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Capitolo 2 - Analisi del problema
Lo scopo di questa tesi nasce per fornire un dispositivo meccanico che
replichi la mobilità della spalla e che si integri correttamente con gli altri
elementi del braccio artificiale (invasatura, gomito, avambraccio, polso,
mano, ecc…). Così come altre parti del corpo umano, è già stato
ampiamente riconosciuto che riprodurre integralmente le capacità di
un’articolazione come quella spalla umana è al momento attuale pressoché
impossibile, vista l’elevata complessità dell’organo e le tuttora inadeguate
risorse tecnico-scientifiche a disposizione per replicarla integralmente. È
stata quindi suggerita la possibilità di limitare le variabili cinematiche della
protesi artificiale ad un numero di due soltanto, contro le tre effettive
individuate nella spalla naturale. Questi due gradi di libertà permettono di
eseguire i movimenti di:
flesso-estensione: sollevamento anteriore-posteriore del braccio
rispetto al piano frontale (in soggetti sani ha un’escursione di 210°)
abduzione-adduzione: allontanamento-avvicinamento del braccio
rispetto al piano sagittale (piano longitudinale che divide il corpo in
due parti simmetriche). In soggetti sani ha un’escursione angolare di
circa 180°.
Nonostante questa semplificazione è possibile garantire all’arto una
sufficiente capacità motoria, tale da essere comunque in grado di compiere
gesti di quotidiana necessità. Per poter affrontare il problema nello
specifico è necessario quindi affrontare uno studio della cinematica del
braccio artificiale attraverso un modello cinematico semplificato del
sistema busto, braccio, avambraccio, mano. Per eseguire l’analisi inversa
andranno definiti sistemi di riferimento solidali ai membri in movimento e
calcolate le matrici di trasformazione delle coordinate da un membro
all’altro. Definite le traiettorie che la mano deve seguire nello spazio
cartesiano durante l’esecuzione dei task motori presi a riferimento, sarà poi
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possibile calcolare le leggi di moto delle coppie cinematiche attuate che
collegano i vari membri.
2.1 Cinematica dell’arto artificiale
Figura 2.1 Modello cinematico dell’arto superiore (Tratto da Stella [5]).
Questa studio posiziona un riferimento di coordinate fisso x
0,
y
0,
z
0
scelto
immaginando il paziente in posizione eretta, e individuando l’origine degli
assi O al suolo nell’intersezione tra il piano mediano frontale e il piano
sagittale. Il paziente sarà considerato immobile per quanto riguardano
gambe, busto e testa, supponendo che possano muoversi unicamente il
braccio e l’avambraccio. Il centro sferico della spalla, chiamato S, è
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solidale al sistema di riferimento fisso al suolo, ed è situato, per quanto
riguarda una persona sana, nella posizione che naturalmente occupa la testa
dell’omero accoppiata alla superficie della scapola detta glenoide.
La coppia sferica di spalla è modellata come un polso sferico, ovvero come
la successione di tre coppie rotoidali ad un grado di libertà con assi
incidenti, corrispondenti, nel caso di Figura 2.1, alle rotazioni θ
1
, θ
2
e θ
H
.
Nello schema costruttivo saranno attuate solo le prime due coppie
lasciando che la terza coppia, responsabile della rotazione θ
H
, venga
concepita come coppia passiva realizzata tramite un disco a frizione.
Riducendo, quindi, la presenza degli attuatori da tre a due, sarà possibile
concepire una struttura più leggera e meno ingombrante del dispositivo e
più semplice da controllare. A questo proposito sarà necessario replicare la
loro disposizione rappresentata nella Fig. 2.1, ricalcando nel disegno del
dispositivo meccanico reale, l’incidenza degli assi di rotazione θ
1
e θ
2
e la
particolare sistemazione delle coppie. Questa collocazione ben precisa,
garantisce al secondo giunto di ruotare sempre attorno ad un asse fisso,
qualunque sia il valore di θ
1
, permettendo così un disaccoppiamento delle
variabili cinematiche θ
1
e θ
2
. Disaccoppiare le variabili risulta di grande
utilità, in quanto permette di esprimere il valore di ogni incognita del
sistema, attraverso equazioni che non siano dipendenti dal valore delle
altre incognite, svincolando così la determinazione della posizione
angolare di un membro da quella delle altre coppie cinematiche. In questo
modo si può esprimere il controllo di posizione di ognuno dei due attuatori
mediante l’espressione della sola variabile che lo contraddistingue, in
modo indipendente l’uno dall’altro. Poiché ogni attuatore, non ha
interferenze di altre variabili, se non quella che egli stesso deve realizzare,
può essere mosso indifferentemente sia prima che dopo l’azionamento
dell’altro. In virtù di questa scelta, il segmento del modello che rappresenta
l’omero, raggiunge la posizione desiderata nello spazio cartesiano in
maniera univoca, descritta solamente dai valori di θ
1
e θ
2
, senza dover
definire alcuna sequenza di azionamento. I vantaggi di questa tecnica si
rilevano soprattutto durante la progettazione del controllo degli attuatori, in
quanto ne semplifica significativamente la gestione, soprattutto quando è
richiesto il movimento simultaneo dei motori.