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La ragione ultima è che il sistema politico o Stato, si è venuto configurando
nell’epoca moderna prima della divisione tra Stato e società civile e che
contrariamente a quanto l’ideologia borghese della rivoluzione francese e del
liberalesimo hanno voluto far credere, gli elementi di continuità tra lo Stato
assoluto e quello contemporaneo sono molti forti. Dopo la decapitazione di Luigi
XVI avvenuta il 21 Gennaio del 1783, sembrerebbe visibile agli occhi di tutti
essersi verificata una rottura storica un vacillare dello stesso principio di
legittimazione.Un avvenimento, quello delle decapitazione, che offusca gli
elementi di continuità tra l’organizzazione statuale dell’assolutismo e quello dei
sistemi politici successivi alla Rivoluzione francese. A tal proposito, invece, G.M.
vede tra i due sistemi elementi di continuità . Innanzitutto un corpus di leggi
basato sulla riscoperta del Diritto Romano e sulla codificazione della pletora di
norme create dai diritti medievali ,e poi l’esercito, il sistema fiscale, un corpo
funzionariale ,infine un sistema di relazioni internazionali basato sulla diplomazia
professionale per sostenere il commercio . E’ pur vero che lo Stato assoluto
rimane un sistema feudale, o meglio un feudalesimo riorganizzato per far fronte
alla nascita della classe mercantile successiva alla rivoluzione urbana dei primi
secoli del secondo millennio , ma questo non diminuisce l’importanza che hanno
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avuto quegli elementi di continuità tra sistema tradizionale-patrimoniale e sistema
razionale-legale .
La sostituzione del principio di legittimità,che trasferisce il principio di sovranità
dalla investitura divina al popolo, avvenuta con la rivoluzione politica del XVIII
secolo,non cambia la sostanza della struttura statuale la cui costruzione era già
stata avviata dall’ancien regime .I principi di universalismo impliciti nella
imposizione del sovrano assoluto sui particolarismi della società medievale
costituiscono un presupposto necessario per lo sviluppo dello Stato politico
rappresentativo. L’idea della rivoluzione borghese (e della distinzione tra società
civile e Stato che ne scaturisce) con l’idea stessa di progresso , sta alla base
delle filosofie liberali, ma questa idea è stata, radicalmente criticata dalla scuola
marxista. Nel pensiero marxista non si nega che la borghesia abbia avuto nella
storia un ruolo sommamente rivoluzionario, ma si nega che la democrazia
borghese abbia effettivamente introdotto quella libertà che si proponeva e che
l’ideologia liberale vanta.
Marx solleva il problema partendo dalla questione ebraica e dalla critica posta da
Bruno Bauer alla soluzione di tale questione.
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Questi attribuiva alla arretratezza dello Stato tedesco ,ancora imbevuto di
elementi feudali e caratterizzato quindi dalla permanenza di elementi religiosi
nella politica, l’impossibilità di risolvere in Germania la questione ebraica.
Marx nega che l’emancipazione degli ebrei possa derivare dalla modernizzazione
dello Stato tedesco perché lo stato borghese non solo non emancipa l’uomo, ma
anzi sanziona e rende più potenti le divisioni sociali .
“Qual’era –si chiede Marx- il carattere della vecchia società?Una sola parola la
caratterizza: La feudalità. La vecchia società civile aveva immediatamente un
carattere politico, cioè gli elementi della vita civile, come la proprietà o la famiglia
o la maniera del lavoro, nella forma del dominio fondiario, dello Stato e della
corporazione,erano innalzati a elementi della vita dello Stato […].La rivoluzione
politica (i.e. la rivoluzione democratico-borghese)soppresse […] il carattere
politico della società civile[…]. L’emancipazione politica è la riduzione dell’uomo,
da un lato, a membro della società civile,all’individuo egoista indipendente,
dall’altro, al cittadino, alla persona morale. Solo quando l’uomo reale, individuale
riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita
empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto
membro della specie umana ,soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e
organizzato le sue ’forces propres’ come forze sociali, e perciò non separa più da
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sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l’emancipazione
umana è compiuta”
1
.
Anche se le distinzioni ,sostiene G.M., proposte da Marx sono di tipo logico-
sistemico i modelli di società si susseguono anche sul piano storico :
1) Nella società feudale la politica e la società sono fuse, e quindi la politica esercita
automaticamente un controllo sulla società.. ma ciò avviene in una situazione di
forti disuguaglianze sociali e di oppressione da parte delle classi dominanti .
2) Nella società borghese ,Stato e società si scindono , ma ciò non porta a una
riduzione delle disuguaglianze insite nella società civile, anzi le esalta. Il principio
dell’uguaglianza di fronte alla legge è punitivo per il debole che eguale non é.
3) Solo in una società futura in cui uomo e cittadino siano ricomposti, in cui cioè la
politica controlla la società civile, ma in condizioni di eguaglianza , è possibile
raggiungere oltre all’eguaglianza anche una condizione sostanziale e non
puramente formale di libertà.
1
Karl Marx, Sulla questione ebraica, in: Opere scelte,a cura di Luciano Gruppi,Editori Riuniti,
Roma,1971,cit.,pp.98-101.
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1.2. La concezione dello Stato di Guido Martinotti
La politica è la scienza e l’arte del governo; queste si interessano della forma
dell’organizzazione e dell’amministrazione di uno Stato o di una parte di esso, e
dei suoi rapporti con altri stati.
Questa definizione, se da un lato è valida a fondare una scienza e una tecnica a
carattere normativo e istituzionale,non lo è altrettanto a definire gli ambiti della
sociologia politica.
Per arrivare alla sociologia occorre enucleare dalla definizione l’idea centrale che
è l’idea del potere e dell’autorità che ne consegue. All’autorità,poi,bisogna riferire
i possibili condizionamenti sociali e i relativi comportamenti umani.
Nel testo What Is Left,G.M., nell’affrontare il tema delle caratteristiche
organizzative dello Stato e dei suoi meccanismi regolativi, mette in evidenza due
aspetti del pensiero sociologico weberiano,l’attenzione per l’economia ordinaria e
la prevedibilità del sistema di potere.
Per Weber il rapporto tra sistema di potere ed economia costituisce un problema
cruciale, sopratutto per il potere a carattere carismatico che, allo stato puro, vive
di rapina, di mecenatismo o di elemosina e lo definisce una “potenza
antieconomica” per la imprevedibilità dei suoi risultati.
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Invece il sistema di potere tradizionale-patrimoniale,tipico del feudalesimo e della
società dei ceti, fa grande attenzione per l’economia quotidiana, in quanto è
estensione dell’ oikos del signore . Tuttavia il sistema tradizionale-patrimoniale,
essendo interamente basato su complesse catene di deferenza tra subordinati e
superiori,costruite sulla fiducia accordata al subordinato,non è prevedibile nel suo
prodotto finale autoritativo.
L’unico sistema al tempo stesso prevedibile e interessato all’economia ordinaria
è quello razionale-legale,dotato di un corpo di funzionari che obbediscono a
norme oggettive, reclutati in base al merito e non alle appartenenze e la cui
carica è svincolata dalla persona.Tutto il sistema deve obbedire a un corpus di
norme oggettive, che non possono essere disobbedite neppure dai massimi
detentori del potere.
Il modello razionale-legale ,secondo G.M., è la componente teorica di maggior
successo del pensiero weberiano ; un successo che emerge con forza
,sopratutto se confrontato con le insufficienze del pensiero marxista che
considerava lo Stato come una variabile dipendente del conflitto di classe
,trascurando in modo radicale l’analisi del funzionamento dello stato e degli
apparati burocratici
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In Stato e Rivoluzione, Lenin, esprime nella forma più pura gli assunti portanti
della teoria marxista-leninista del mutamento sociale. E la forma pura è un
sillogismo con premessa maggiore , premessa minore e conclusione, corredato
da una prova sperimentale. La premessa maggiore è: lo Stato è il prodotto e la
manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi . La premessa minore
è: il proletariato si impadronisce del potere e anzitutto trasforma i mezzi di
produzione in proprietà dello Stato.
La conclusione : lo Stato si estingue; la prova empirica è l’esperienza della
Comune.
Oggi è facile dire che le cose sono andate diversamente , ma sarebbe ingiusto
sottovalutare la potenza evocativa di questo ragionamento su cui sono stati
scritti fiumi di inchiostro e che ha costituito la bussola giroscopica per l’azione
politica di generazioni di militanti in innumerevoli paesi del mondo.
Secondo G.M. il nucleo della debolezza logica del ragionamento di Lenin va
ricercata nel concetto di dittatura del proletariato.Lo Stato post-rivoluzionario, in
teoria, avrebbe dovuto cominciare ad estinguersi nel momento stesso in cui si
fosse compiuta la rivoluzione ma in realtà invece di estinguersi o assopirsi lo
stato proletario tendeva ad espandersi e gonfiarsi fino al punto da divorare se
stesso e l’intera società perché investito da una missione pedagogica :
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l’eliminazione della cultura borghese dalle coscienze individuali. Ed in questa
lotta contro i residui della mentalità borghese si sono consumate le peggiori
efferatezze burocratiche dei regimi marxisti post-rivoluzionari con la costruzione
di uno smisurato apparato di controllo della società.
1.2.1. Definizione dello Stato.
Nel testo Cittadini si diventa G.M. definisce lo Stato come una comunità
organizzata secondo regole comuni. In una organizzazione di grandi dimensioni
molte cose si fanno a distanza , senza incontrarsi o conoscersi e gli accordi sono
basati non sulla fiducia riposta in una singola persona, ma nelle leggi scritte.
G.M. chiama Stato la forma assunta dell’organizzazione politica di una società
grande e complessa come quella in cui viviamo oggi.
Lo Stato è caratterizzato dall’esercizio della sovranità su un territorio ben
delimitato: all’interno di questo territorio lo Stato ha l’esercizio del potere di
emanare leggi vincolanti per tutti – che tutti devono rispettare-e se necessario di
punire anche con l’uso della forza, chi non le rispetta. Lo Stato è tenuto a
rispettare i diritti del popolo,unico sovrano e a tutela e garanzia di tali diritti viene
introdotta la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) compresi in un
sistema di autonomie e reciproci controlli.
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La rigorosa separazione dei tre poteri, vale a dire l’impossibilità per l’uno di
interferire nei poteri dell’altro, è indispensabile garanzia per uno Stato
democratico.
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1.3. Governi democratici o autoritari
G.M. opera una distinzione molto netta tra Monarchia e Repubblica.
La Monarchia – che significa letteralmente il potere di una sola persona (in greco
“monos”significa uno solo e”archè” significa comando) si distingue dalla
repubblica principalmente nel fatto che in una repubblica il massimo
rappresentante dello Stato, il Presidente della repubblica, viene eletto
periodicamente, mentre nelle monarchie la carica è a vita e si trasmette per via
ereditaria .
.A seconda delle forme in cui governa i suoi cittadini uno Stato si può dire
autoritario o democratico .Il governo democratico , a differenza di quello
autoritario, viene liberamente scelto da tutti i cittadini attraverso elezioni
periodiche a cui partecipano partiti e candidati che sostengono idee politiche
differenti. In questo modo tutti i cittadini partecipano, cioè sono rappresentati in
parlamento dai deputati che hanno eletto .
Si parla invece di governo autoritario quando il potere è esercitato da una sola
persona, o da un solo organo, senza il consenso dei cittadini.
G.M, favorevole ad uno Stato governato democraticamente distingue due tipi di
democrazia : diretta e rappresentativa .
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1.3.1 La democrazia diretta
La democrazia è un sistema politico di antica data, sviluppato
originariamente nelle città-greche nel V° o Vi° secolo a.c.
Il suo nome deriva dalla combinazione di demos popolo e cratos potere e
significa quindi “il governo di tutti”. In quelle città, infatti, le decisioni di interesse
generale venivano prese con discussione pubblica e voto finale da parte di tutti
gli interessati.
Oggi simili forme di democrazia diretta sono rare, le troviamo in alcuni cantoni
svizzeri , nei quali,come un tempo nella Grecia antica e nei Comuni medievali
esiste ancora la possibilità di radunare tutti i cittadini in una piazza per
discutere.Che tutti i cittadini si conoscessero personalmente era infatti
considerato dai greci un requisito essenziale per il buon funzionamento della
democrazia, tanto che il filosofo Platone mise a punto una formula aritmetica per
calcolare le dimensioni ottimali della città ideale Questo calcolo parte dal numero
7, un numero considerato magico da molti filosofi antichi e somma i prodotti
successivi di tutte le cifre da 1 a 7 con una operazione che i matematici
chiamano “fattoriale di 7”e che da come risultato 5040..
Come si vede questa tipo di democrazia non può essere adattata in un
organizzazione di grandi dimensioni come quelle moderne.
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1.3.2. La democrazia rappresentativa
Se crescono le dimensioni, come i greci avevano ben capito, la democrazia
diretta non funziona più ; anzi il tentativo di mantenere forme di democrazia
diretta con popolazioni numerose può facilmente produrre la tirannide o il
dispotismo . Anche questa pericolosa deformazione della democrazia era stata
prevista dai greci che la definirono demagogia.
I cittadini delle moderne democrazie non esercitano la loro sovranità
direttamente, ma attraverso i loro rappresentanti, scelti attraverso le elezioni.Per
es. la forma di democrazia nel nostro paese è di tipo “parlamentare” e
“rappresentativa. Si definisce democrazia“rappresentativa”perché i cittadini la
esercitano mediante rappresentanti eletti a “suffragio universale e diretto”, e
parlamentare perché gli eletti svolgono i loro compiti nelle due assemblee che
compongono il Parlamento italiano, vale a dire la camera dei Deputati e il Senato
della Repubblica.
Il voto, o suffragio, si dice “universale” perché tutte le persone adulte hanno
diritto di voto senza distinzione di sesso o di reddito. Non è stato sempre così :
fino al 1913 in Italia potevano votare solo i maschi adulti con un certo reddito,
capaci di leggere e di scrivere ,ovvero il 2% degli abitanti nel 1851 e l’8 % nel
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1909. Nel 1913 venne introdotto il “suffragio universale maschile” che portò la
percentuale al 23% di aventi diritto al voto.
Le donne italiane hanno avuto diritto al voto solo a partire dal 2 Giugno 1946:con
la nascita della Repubblica, si arrivò così a concedere il diritto di voto al 62%
degli abitanti. Circa il 40% della popolazione era costituita da minorenni, cioè
persone che non avevano ancora raggiunto i 21 anni d’età ; dal 1975 l’età
minima per votare è stata fissata a 18 anni.
.
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1.4. La funzione dell’esercito in un Stato democratico
G.M. si rifà ad un modello di esercito molto vicino al concetto di milizia popolare
per la difesa del “vivere civile” di Niccolò Machiavelli. Nel testo Cittadini si
diventa, racconta che N. Machiavelli avesse un giorno convocato una grande
folla di cittadini per una prova di addestramento militare.Egli che non era un
istruttore militare, fu sopraffatto dalla confusione; finché alcuni ufficiali mercenari
lì presenti presero in mano la situazione e con pochi ma esperti comandi e rulli di
tamburo inquadrarono i cittadini e li fecero marciare ordinatamente.La deduzione
è che per far marciare un esercito o anche un solo plotone, occorrono delle
conoscenze di tecnica militare.Ci vogliono competenze elaborate che solo un
corpo di militari di professione è capace di svolgere.Ai tempi di Machiavelli , i
signori feudali, per estendere i loro domini, utilizzavano i soldati mercenari che
facevano la guerra per mestiere, “al soldo” di questo o quel signore e il loro
mantenimento comportava dei costi molto elevati; costituivano un pericolo
costante per le popolazioni civili poiché razziavano,importunavano e non di rado
uccidevano. Spostandosi da un luogo all’altro, non essendo campioni di pulizia e
di igiene personale, contribuivano a diffondere le malattie.