8
grafica del parlare
3
. Ma se questo è un eccesso che la pubblicità può
tranquillamente permettersi dovendo, per ragioni di sussistenza,
incuriosire, attrarre, impressionare, sul piano giornalistico gli
orientamenti sono stati, per molto tempo, discordanti. Questo non ha
comunque impedito di giungere, in maniera pressoché uniforme
riguardo le grandi testate nazionali, a una omogeneità della forma che,
proprio negli ultimi decenni, ha posto nella relazione tra visivo e
testuale uno dei punti cardini per il suo rilancio e per il suo stesso
essere.
In questo studio, condotto sul quotidiano nazionale “la Repubblica”,
esamino l’evoluzione dell’immagine grafica: un unico nome per una
pluralità di componenti, la cui variazione ha un legame indissolubile con
la struttura logica e formale dei contenuti che il giornale offre al lettore.
Toccherò spesso, in questo percorso storico, aspetti che sembrano
essere estranei alla grafica ma che, invece, la interessano molto da
vicino in quanto legano intimamente riempimento e contenitore
facendone una cosa sola nel contesto-giornale. Sergio Ruffolo, di cui
discuterò ampiamente in seguito, riferendosi al ruolo giocato da forma
e contenuto all’interno del giornale precisa che:
«In esso sia l’una che l’altro sono chiamati ad operare in stretta identità
e univocità d’intenti nel pieno rispetto delle reciproche esigenze e del
diverso campo d’espressione. Gli aspetti ritenuti estranei alla grafica
giornalistica, che nella realtà rappresentano invece la sua stessa ragione e il
suo vero significato, sono quelli che presiedono alla natura e allo spirito
del giornale al quale essa è chiamata a dare contenuto formale»
4
.
La scelta del tema deriva dalla mia passione verso le due discipline,
informazione e grafica, accresciuta negli anni dal corso di studi
compiuti. Il campione per l’analisi, il quotidiano fondato da Eugenio
3
Cfr. Raffaella Petrilli, L’interazione simbolica. Introduzione allo studio della
comunicazione, Perugia, Guerra, 2002, pp. 114-117.
4
Sergio Ruffolo, Vestire i giornali, Torino, Gutemberg 2000, 1986, p. 56.
9
Scalfari, oltre a essere stato assunto per il significato di rottura e per
l’indiscutibile novità che ha portato nel mondo giornalistico italiano è il
giornale che ho letto e seguito di più tra quelli in circolazione e che
quindi mi garantisce una dimestichezza e una certa familiarità visiva tali
da rendermi attento osservatore delle pur piccole variazioni.
L’operazione realizzata da Scalfari e compagni, poi imitata da altri, sia
pure con varianti, ha caratteristiche creative tali da farne un giornale di
successo pur nella sua conformazione «ibrida»
5
ovvero mezzo popolare
e mezzo di qualità:
«Il colore, i commenti, espliciti e impliciti, la gamma delle opinioni, la
titolazione a effetto sono tutti particolari di un giuoco a incastro che solo
la grafica riesce a ricondurre a inconfondibile unità. Il quotidiano ibrido,
pur facendo propri molti stilemi del quotidiano tabloid e popolare, riscatta
queste sue caratteristiche con i preziosismi del quotidiano di qualità
applicati alla grafica ma anche alla scrittura»
6
.
La grafica, come detto, costituisce il “biglietto da visita” con il quale
ogni quotidiano si presenta al lettore ed è il luogo dove è possibile
cogliere con particolare evidenza la trasformazione significativa che ha
caratterizzato il mondo dell’informazione negli ultimi decenni.
Questo cambiamento è da addebitare essenzialmente a tre fattori:
l’introduzione e l’utilizzo delle nuove tecnologie che ha portato a una
generale riorganizzazione del processo produttivo del giornale. Sia per
quanto riguarda le tecniche di stampa mediante il passaggio dalla
linotype alla fotocomposizione e successivamente alla stampa in offset.
Sia per quanto riguarda l’ambiente di lavoro redazionale con
l’introduzione dei videoterminali e dei sistemi editoriali integrati
all’interno delle redazioni, attraverso i quali è mutata la gestione ed il
modo con cui prende forma il menabò della pagina.
5
La definizione è di Giovanni Bechelloni, Giornalismo o postgiornalismo? Studi
per pensare il modello italiano, Napoli, Liguori, 1995.
6
Ivi, p. 155.
10
In secondo luogo ha contribuito alla trasformazione dei giornali la
diffusione della televisione con uno stile giornalistico più snello, veloce
e documentato visivamente, in seguito alla quale i giornali hanno perso
il ruolo primario di informatori, e successivamente di Internet che batte
qualsiasi altro mezzo per quantità e varietà di fonti. Di fronte al dilagare
del fenomeno televisivo e multimediale i quotidiani non hanno potuto
fare altro che rinnovare il modo di fare informazione e soprattutto il
clichè con il quale la si presenta
7
.
Il terzo fenomeno che ha contribuito a modificare i contenuti dei
quotidiani è il processo di settimanalizzazione, conseguente alla nuova
funzione informativa rivestita dalla carta stampata. Il loro scopo
principale è ora quello di approfondire le notizie, curarle dal punto di
vista testuale e demandare alla multiforme infografica il compito di
introdurre l’evento, raccontare l’accaduto, riassumere la storia.
L’importanza acquistata da quest’ultimo elemento, l’uso della grafica
come elemento qualificante dell’informazione, sarà una delle più
significative differenze rilevate a fine della ricerca.
Le “pezze” del vestito grafico su cui mi sono maggiormente
soffermato sono l’impaginazione e la gestione dello spazio, la
fotografia, la vignetta, la titolazione e la prima pagina, realtà a sé stante
che non segue le medesime sorti delle pagine interne.
Se consideriamo l’evoluzione grafica, la prima pagina si è
notevolmente avvantaggiata delle nuove possibilità che la tecnologia ha
offerto e lo sviluppo dell’infografica ha e avrà in futuro una
ripercussione sulla “copertina” del quotidiano, esattamente come
l’introduzione del colore, lo sfondamento di schemi rigidi
7
Per i rapporti dei giornali con i diversi media cfr. Challenger in a digital world.
Il futuro della carta stampata, Rapporto dell’European Journalism Centre,
Potenza, ForMedia, 1999.
11
nell’impaginazione e l’evidenza dei titoli. Rimane il commento, ultimo
baluardo della vecchia guardia giornalistica di prima pagina, che diventa
più breve, magari con rimandi all’interno, ma ancora più pregevole.
Per quanto attiene all’impianto grafico, la gestione dello spazio, i
trattati di grafica presentano diverse ipotesi teoriche per una buona
realizzazione della pagina. Sostanzialmente vengono indicati quattro tipi
di impaginazione: simmetrica, contrastante, diagonale e irregolare
8
.
L’impaginazione simmetrica divide verticalmente la pagina in due parti
uguali: a un articolo di due colonne sul lato sinistro si oppone
specularmene un articolo di due colonne sul lato destro, un metodo
usato da molti quotidiani in passato che oggi non convince più per
l’eccessiva monotonia.
Il tipo di impaginazione maggiormente usato negli anni ’80 da molti
quotidiani italiani, non “Repubblica”, è quello contrastante: esso divide
la pagina in quattro sezioni all’interno delle quali trovano posto i vari
elementi offrendo un discreto margine di manovra ai redattori
mantenendo un giusto equilibrio.
L’impaginazione in diagonale, come suggerisce il nome stesso,
dispone le notizie seguendo una linea trasversale dall’angolo sinistro a
quello destro. Fantasiosa, permette di giocare sulla continuità
dell’informazione limitando però di molto l’agire dei redattori che si
trovano costretti a ridurre gli elementi man mano che si scende in
pagina anche per questo motivo non è usata in Italia se non per un
breve periodo dal quotidiano “L’Unità” intorno agli anni Sessanta.
Infine l’impaginazione irregolare prevede di ordinare testo, grafica e
pubblicità senza tener conto di alcuna norma.
“Repubblica” al suo nascere inventa uno stile che possiamo definire
8
Cfr. Gianfranco Carmignano, Come nasce il giornale (elementi di tecnologia
grafica), Milano, Guido Miano, 1963.
12
“per blocchi orizzontali” disponendo le notizie su più fasce orizzontali
separandole da fili con l’eccezione dei fondi o degli articoli di spalla. In
concreto si tiene conto di tali indicazioni sono in sede di progettazione,
poi, è difficile applicare rigidamente questi schemi ogni giorno quando
la pagina prende corpo.
Un elemento che col tempo ha acquistato valore è la fotografia.
“Repubblica” nasce quasi senza corredo fotografico, frutto di una
precisa linea editoriale, dettata anche da motivi di ordine tecnico,
destinata col tempo a ricredersi. Oggi, comunque, non è un elemento
che invade la pagina e la sua funzione spesso non è neutra: già la
collocazione, le dimensioni, l’eventuale sovrapposizione di infografica
sono una “bussola”, colpiscono più o meno emotivamente il lettore, lo
spingono a dare una certa interpretazione fino anche a modificare il suo
stesso significato.
Grande considerazione viene riservata alla vignetta, elemento recente
nei quotidiani italiani basti pensare che la prima striscia quotidiana
appare nel 1953, affidata a Pino Zac, su “Paese Sera”. Da semplice
illustrazione, a volte opera d’arte, ha via via acquisito dignità maggiore
essendo paragonata a un editoriale. “Repubblica” deve molto ai sui
disegnatori, tra cui merita particolare nota l’inizio del tema economico,
in quanto la vignetta da sola è capace di attirare lettori, creare dibattito
e, come fa notare Emilio Giannelli, «direttori ed editori scoprono che il
pubblico cerca la vignetta, il disegno, lo vuole, lo critica, lo discute, lo
apprezza, ha imparato a distinguere un disegnatore dall’altro, a
riconoscere i diversi modi di fare caricatura, satira politica»
9
.
Ultimo elemento passato al vaglio dell’evoluzione è la titolazione. La
maggior parte degli acquirenti dei giornali, per mancanza di tempo o
9
Emilio Giannelli, Olivolì, olivolà, Milano, Baldini e Castaldi, 1996, p. 5.
13
per pigrizia, legge solamente i titoli delle notizie che permettono di
avere un’informazione istantanea e sommaria degli avvenimenti. I
quotidiani italiani, del resto, si caratterizzano dal veicolare una notevole
massa di informazioni attraverso una titolazione assai corposa
10
. La
titolazione si configura come un vero e proprio «testo parallelo»
11
,
ovvero potenzialmente indipendente dall’articolo cui si riferisce, con un
senso compiuto e una sua autonomia. Nel tempo “Repubblica” ha
accentuato i valori emotivi e di partecipazione del lettore al titolo specie
con il discorso diretto. Sempre più sintetici, si avvicinano al modello
della pubblicità e c’è chi addirittura, come Claudio Fracassi, invita a
leggerli e considerarli come veri e propri slogan pubblicitari:
«Il lettore è stato abituato a leggere i titoli come se fossero slogan. E’
dunque giusto che tali si abitui a considerarli. Uno slogan non è una
notizia: è una suggestione, è un solletico alla curiosità, è una strizzatina
d’occhio. Con questa disincantata coscienza, il nostro approccio al titolo
sarà più distaccato, meno ottusamente fiducioso»
12
.
Il lavoro di ricostruzione storica è stato diviso per comodità in
cinque parti. Nel primo capitolo si affrontano le premesse alla nascita di
un nuovo quotidiano, l’intesa e la progettazione de “la Repubblica” e la
nascita con la descrizione delle linee grafiche fondamentali del giornale
in edicola. Oltre alla consultazione delle copie del giornale, precedente
indispensabile per qualsivoglia analisi, la storia del quotidiano è affidata
sostanzialmente alle ricostruzioni effettuate in vari testi e articoli,
puntualmente segnalati, dallo storico del giornalismo Paolo Murialdi, al
10
Cfr. Stefano Ondelli, La «messa in scena» delle notizie nei titoli dei quotidiani.
Una prospettiva linguistica, “Problemi dell’informazione”, anno XXI, n. 2,
giugno 1996, pp. 223-237.
11
La definizione è di Domenico Proietti, “La vetrina del giornale”: funzioni
comunicative e caratteri stilistico-grammaticali della titolistica dei quotidiani tra
lingua e codice iconico, in Mario Medici, Domenico Proietti (a cura di), Il
linguaggio del giornalismo, Milano, Mursia, 1992, p. 118.
12
Claudio Fracassi, Le notizie hanno le gambe corte, Milano, Rizzoli, 1996, p. 169.
14
testo di Eugenio Scalfari
13
, ottima guida alle sensazioni e sentimenti del
gruppo e a una serie di articoli pubblicati in seguito al restyling del 1995
dal giornalista Nello Ajello tra il 3 ottobre e il 4 novembre 1995, anche
questi doverosamente segnalati in nota. Per i necessari riferimenti
storici, di carattere socio-politico, abbiamo preferito un lavoro di
ricostruzione complessiva dovuto ad un unico storico, Paul Ginsborg
che, oltretutto, ha utilizzato “Repubblica” come fonte storica
14
.
Nel secondo capitolo si affrontano i mutamenti della linea editoriale,
a seguito di numerose vicende societarie, ci si sofferma sulla dotazione
tecnologica di “Repubblica” e sull’organizzazione del lavoro in
redazione. Il capitolo si chiude con il passo decisivo che porta
“Repubblica” a divenire un quotidiano: “primo giornale”, finalmente
completo e a respiro prettamente nazionale.
Nel terzo capito si affronta il restyling del 1995, grazie anche
all’opera di Paolo Radiciotti
15
, e la sua evoluzione sino al giornale
odierno nelle sue componenti cinematografiche di gestione dello
spazio, titolazione e “oggetti” grafici, categoria sotto la quale per
comodità facciamo rientrare tutto ciò che non è testo e titoli, ovvero la
parte paratestuale
16
.
Il quarto capitolo, che precede le conclusioni, è riservato alla parte
viva dell’approfondimento, le interviste con i protagonisti dei principali
mutamenti di “Repubblica”. Sono Franco Bevilacqua e Giorgio
13
Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto: storia di un gruppo dal
Mondo alla Repubblica, Milano, Arnoldo Mondadori, 1986.
14
Paul Ginsborg, Storia d’Italia da dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-
1988, Torino, Einaudi, 1989.
15
Paolo Radiciotti, Osservazioni per una storia grafica del quotidiano La
Repubblica, “Nuovi annali della scuola speciale per archivisti e bibliotecari”, anno
XII, 1998.
16
Cfr. Enzo Arcuri, Testo e paratesto, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 49.
Per comodità e mole di presenza abbiamo considerato i titoli a parte, fuori dal
contenitore del paratesto.
15
Forattini con i quali ho avuto una frequentazione telefonica, Angelo
Rinaldi e Silvia Rossi che ho avuto il piacere di incontrare durante le
fasi dello studio effettuate all’interno della redazione centrale di Roma.
Alla loro disponibilità e cordialità deve molto questa ricerca. Chiudono
il lavoro una serie di documenti grafici ed esempi di impaginazione utili
per meglio cogliere la sottile ma indispensabile cura visiva.
L’attività grafica sottende una struttura profonda che guida la
direzione dello sguardo. Il modo con cui una persona gira lo sguardo
all’interno del giornale dipende sia dalla familiarità che ha col giornale
sia dalle sue attese. Le aspettative del lettore sono spesso connesse ai
pregi, o ai difetti, estetici della pagina che influenzano il giudizio della
sua leggibilità. Se il design dei giornali fosse governato da criteri
puramente estetici, come dice lo psicologo Donald A. Norman nel suo
trattato sugli oggetti di uso comune,
«la vita forse sarebbe più gradevole all’occhio ma meno comoda; se
fosse governato dalla praticità d’uso, sarebbe forse più comoda ma più
brutta. Se il criterio dominante fosse il costo o la facilità di
fabbricazione, i prodotti potrebbero non essere né belli né funzionali
né durevoli. Chiaramente, ognuna di queste considerazioni ha il suo
posto. I guai nascono quando una domina su tutte le altre»
17
.
L’atto visivo e percettivo, durante la lettura ben lontano dall’essere
una pura e semplice percezione meccanica, è estremamente complesso
e il segno grafico diventa un punto di appoggio sul quale si sviluppa una
serie di reazioni in base al supporto, al disegno, all’inchiostro, alle
misure, al contrasto e in base al quale la mente seleziona cosa leggere,
dove fermarsi. Inutile ribadirne l’importanza considerato che: «le forme
indiziarie di co-testo (coesione interna degli enunciati che lo
compongono) e di con-testo (coerenza alla situazione e allo scopo della
17
Donald A. Norman, La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti
quotidiani, Firenze, Giunti, 1997, pp. 169-170.
16
comunicazione) definiscono la specificità di un testo»
18
.
Come metodo della ricerca, infine, abbiamo optato per una sorta di
integrazione tra il recupero bibliografico esistente sul tema in generale e
sul quotidiano in particolare (quest’ultimo capitolo molto ricco grazie
agli interventi “metagiornalistici” di Scalfari e Ajello), una analisi diretta
di diverse annate di “Repubblica”, soprattutto nella fasi di “passaggio”
tra un’impostazione grafica e un’altra), il tutto arricchito dalle
testimonianze, dalle letture degli eventi e dalle spiegazioni dei
protagonisti, dai fondatori (Bevilacqua e Forattini), agli autori
dell’ultima svolta grafica (Rinaldi e Rossi).
18
Rossella Bavarese, Comunicazione media e società. Modelli analisi ricerche,
Napoli, Esselibri, 2004, p. 137: «In un giornale, la collocazione e la posizione
degli articoli, la misura del titolo, le immagini definiscono la specificità di quel
testo e possono svelare le intenzioni illocutive della redazione».
17
ringrazio per la grande disponibilità
tutti gli interessati, Franco Bevilacqua e
Giorgio Forattini, Silvia Rossi e Angelo Rinaldi:
grazie a Rossi, in particolare, ho potuto
personalmente partecipare al lavoro di redazione,
e grazie soprattutto al professore Pantaleone Sergi,
che mi ha accompagnato nel lavoro e, senza il quale,
questa mia idea non avrebbe forse assunto mai forme di ricerca.
18
CAPITOLO 1
UN QUOTIDIANO DIVERSO
1. In principio era “L’Espresso”
2. Un progetto innovativo: il tabloid di Scalfari
3. All’ombra di Barbapapà: “la Repubblica” in edicola
19
In principio era “L’Espresso”
L’aria che si respira in Italia nel periodo che va dal 1975 al
1980 è di profonda tensione e crisi. E’ il periodo storicamente
identificato come “anni di piombo”, caratterizzato da grandi
speranze nelle riforme ma anche da velleitarismi rivoluzionari e
da forti spinte demagogiche. L’ondata di terrorismo che flagella
l’Italia per un quindicennio – dal 1969 al 1984 – è sconvolgente e
dopo la catena delle stragi di chiara impronta fascista, diventano
più aggressivi i gruppi clandestini (Brigate rosse in testa) che
inneggiano alla rivoluzione proletaria.
Sono gli anni in cui crescono, in modo più o meno organizzato,
il movimento giovanile e quello detto dell’Autonomia.
I risultati elettorali del 20 giugno 1976 premiano le politiche di
Enrico Berlinguer e Aldo Moro e, dal problema del “sorpasso”
comunista che aveva caratterizzato tutto il periodo elettorale, si
apre ora la prospettiva di un governo di unità nazionale, il
“compromesso storico”, che raccoglie ampi consensi. L’enorme
crescita delle iscrizioni al sindacato (ancora in aumento nel 1976),
la maggiore istruzione attraverso le 150 ore, i movimenti sociali
legati all’occupazione e al problema della casa, lo sviluppo di
gruppi di sinistra in settori quali la scuola e la magistratura creano
una nuova coscienza collettiva tra le classi lavoratrici e parte dei
ceti medi che in massa dirigono le proprie preferenze elettorali in
direzione del Pci
19
.
19
Paul Ginsborg, op. cit., pp. 469-545. L’analisi più dettagliata del voto del 1976
si trova in Arturo Parisi, Gianfranco Pasquino (a cura di), Comunità e mutamento
20
A fare da traino alla sinistra italiana influisce certamente la
carismatica leadership di Berlinguer e il fatto che vengono chiamati
per la prima volta alle urne i giovani dai 18 ai 21 anni. Ma un fattore
incisivo, forse il più importante, può identificarsi con il lungo
processo di azione politica e mobilitazione nella società civile che
era andato avanti fin dal 1968.
Le tensioni politiche e sociali, le violenze, i misteri di Stato, le
aspettative di cambiamento portano a una crescita del mercato di
lettura della stampa quotidiana e periodica. E se da un lato si allarga
in vari settori del giornalismo (compreso quello radiotelevisivo)
l’impegno per una forte autonomia professionale e per
un’informazione più ampia e corretta, dall’altro lato si manifestano
tendenze alla concentrazione e manovre per il controllo di questa o
di quella testata .
Ai primi di luglio del 1974, l’anno della cocente sconfitta
democristiana sul divorzio, si apprende ufficialmente che la famiglia
Rizzoli, titolare del più grande gruppo editoriale di periodici, ha
concluso le trattative per acquistare il gruppo “Corriere della Sera”,
quello, per intenderci, che sovrintende all’edizione del più
prestigioso quotidiano nazionale. All’operazione partecipa, come
garante di una cospicua fideiussione bancaria, il presidente della
Montedison, Eugenio Cefis, il quale ha comprato, pochi mesi prima
dai Perrone, “Il Messaggero”, il più diffuso quotidiano di Roma e
sostiene finanziariamente diversi quotidiani di opposto
orientamento politico. Tutti questi fatti, uniti all’andamento politico
che il “Corriere della Sera” assume sotto la direzione di Piero
Ottone, sono all’origine di una specie di secessione guidata dal
elettorale in Italia. Le elezioni del 20 giugno 1976, Bologna, Il Mulino, 1977,
specialmente alle pp. 11-65.
21
giornalista più letto del quotidiano milanese, Indro Montanelli che
porta, il 25 giugno 1974, alla nascita de “Il Giornale nuovo”. E’
l’avvento di un modello di giornalismo nuovo per l’Italia. Viene
costituita una società di redattori che è proprietaria della testata e
responsabile della gestione dell’impresa. Con un programma
editoriale improntato sulla cautela ma dichiaratamente di tendenza
rispetto all’impegno informativo (in questo caso la tendenza è di
centro-destra) e un’impostazione classica ma al tempo stesso più
vicina ai lettori
20
, “Il Giornale nuovo” si propone come l’anti-
Corriere. Alla maggiore libertà di cronaca e di critica si accompagna
un più forte e diffuso coinvolgimento politico-ideologico di molti
giornalisti, mentre nei gruppi di potere aumenta l’interesse di
controllare i media la cui importanza politica e sociale sta
aumentando in maniera considerevole.
Sono anni in cui i lettori di quotidiani appaiono più esigenti e
partecipi e in cui la stampa italiana presenta certamente aspetti
contrastanti: da un lato si manifesta una vivacità editoriale e
giornalistica finora sconosciuta, soprattutto riguardo le animate
vicende politiche, che apre la strada all’intraprendenza e alla
politicizzazione di molti giornali, dall’altro lato preoccupa la
crescente crisi finanziaria dei quotidiani e in generale dei tradizionali
canali di comunicazione.
«Nel 1975 la vendita media dei quotidiani è di 4.646.100 copie. Il più
diffuso è il Corriere della Sera (500.400 copie), seguito dalla Stampa
(361.000), dalle due edizioni dell’Unità (239.000), dal Messaggero
(227.500). Del gruppo di testa, inoltre, fanno parte Il Giorno e Il
Giornale Nuovo, uscito un anno prima sotto la guida di Indro
Montanelli. Alla diffusione limitata corrisponde la situazione quasi
stagnante degli investimenti pubblicitari. Il risultato è che – sempre nel
20
Sono innovativi il breve corsivo quotidiano in prima pagina, intitolato
“Controcorrente”, i necrologi per beneficenza ma soprattutto l’ampio spazio dato
alle lettere del pubblico.