2
Gislason, il direttore della fotografia Tom Elling e
aggiunge ‘Von’ al suo cognome “Per spirito di
provocazione. Nessuno s’ interessava veramente a cosa
potevano somigliare i miei film, al modo in cui li
producevo, ma questo ‘Von’, non potevano ignorarlo come
se niente fosse!”
1
.
Nel 1984 firma il suo primo lungometraggio, The Element
of Crime (L’Elemento del Crimine), primo di una trilogia
sull’Europa, sceneggiata insieme a Niels Vorsel, tutta
basata sui pericoli della natura, che prende il sopravvento
sulla realtà. Ottiene il premio della ‘Commissione
Superiore Tecnica’ a Cannes, ma il regista non ne è molto
soddisfatto in quanto afferma che il film è qualcosa di più
di un esercizio tecnico.
Durante l’uscita del film in Danimarca Lars diffonde il
primo, di una serie di manifesti artistici; una sorta di
dichiarazione d’intenti del regista che riporta l’attenzione
sulla freschezza delle immagini e sulla gioia della
creazione filmica. Nel 1987 realizza Epidemic e con
1
Lars von Trier, Il cinema come dogma, conversazioni con Stig Bjorkman. Oscar
Mondatori, Milano 2001.
3
questo il secondo manifesto, il quale rimarca con più
vigore il tema della semplicità e spontaneità delle
immagini; “I capolavori si trovano nelle opere più
semplici”
2
. L’anno dopo, crea Medea, un film per la
televisione basato sulla sceneggiatura di Carl Theodor
Dreyer, al quale va il premio ‘Jean D’Arcy’ come migliore
film TV. Nel 1991 completa la trilogia con Europa e
pubblica il terzo manifesto, nel quale afferma che
l’estetica, le teorie ben congeniate, il concetto di arte,
soffoca le emozioni autentiche, il piacere carnale,
primitivo; “Versate una sola lacrima solitaria o un’unica
goccia di sudore e la cambierò volentieri con tutta ‘l’arte’
del mondo”
3
. Questo film vince il “Premio della Giuria” a
Cannes, ex-aequo con La vita sospesa di Maroun Bagdadi;
ma il regista si dimostra insoddisfatto per la poca
considerazione ricevuta e ritirando il premio sul palco,
definisce nanetto il presidente della giuria (Roman
Polanski) e getta a terra la pergamena del premio.
2
Secondo manifesto, 17 maggio 1987.
3
Terzo manifesto, 29 dicembre 1990.
4
Nel 1992 fonda insieme a Peter Albaek Jensen la società
di produzione cinematografica Zentropa. Due anni dopo da
vita a Riget (Il Regno), lavoro per la televisione, diviso in
quattro episodi ed ambientato tutto all’interno di un
ospedale. Qui avviene la svolta stilistica del regista;
dall’attenzione per la tecnica, la precisione d’immagini,
all’improvvisazione e alla casualità delle inquadrature.
Il 13 marzo 1995, ad un convegno internazionale sul
cinema a Parigi, Lars von Trier legge il voto di castità, o
meglio DOGMA 95, ideato con Thomas Vinterberg
(autore del primo dogma, Festen). Tutti i film realizzati
seguendo le regole del dogma riceveranno un attestato e
diventeranno dogmi anch’essi; Idioterne (Idioti), è il
dogma del regista.
L’anno successivo vince il premio della Giuria e il premio
Fipresci al Festival di Cannes, con Breaking the Waves
(Le Onde del Destino). Nel 1997 continua la serie
televisiva de Il Regno con altri quattro episodi. Nel 2000
porta a termine Dancer in the Dark, primo di una trilogia
5
sull’America, completamente realizzato in digitale e vince
la Palma d’oro a Cannes.
Nel 2003 realizza Dogville, un gangster movie, secondo
della trilogia, completamente girato in un teatro della
Zentropa e per la prima volta si avvale, per il ruolo della
protagonista, di una star hollywoodiana, Nicole Kidman.
All’ultimo Festival di Venezia, Von Trier, presenta un
film dove costringe Jorgen Leth, il suo vecchio professore
di cinema a rigirare un suo film, L’uomo perfetto, per ben
cinque volte, ogni volta con delle regole diverse. Oltre
aver realizzato questi lungometraggi è impegnato in altri
progetti: Armybase e Dimension. Il primo è un’università
su internet, dove gli studenti potranno svolgere i loro
lavori e mostrarli su internet e i professori li seguiranno e
faranno lezione sul web. Il secondo è un film iniziato nel
1992, che avrà termine nel 2024; il regista gira una
sequenza di due minuti all’anno e uno dei punti fermi di
questo progetto è utilizzare attori con cui ha appena
lavorato.
6
La sceneggiatura non è terminata e il soggetto si formerà
nel corso degli anni nella mente di Von Trier e di Niels
Vorsel.
7
1. IL LINGUAGGIO
“Se analizzi i miei film, scopri che è sempre la stessa
storia… Si può raccontare solo un tipo di storia nella vita
e la tecnica diventa sempre più semplice; il mio stile si è
purificato.”
4
Il linguaggio cinematografico di Lars von Trier vede due
momenti ben precisi, divisi da Il Regno, la fiction
televisiva che fa da spartiacque. L’uno rigoroso e più
attento alla forma; l’altro, meno ragionato e dettato dalla
sperimentazione.
4
Lars von trier, intervista di Marc Gervais per la trasmissione canadese condotta da
Keith Morrisson,“The directors”, Montreal, 1999.
8
1.1 I PRIMI LAVORI E LA TRILOGIA
SULL’ EUROPA
A cominciare da Befrielsesbilleder (1982), è evidente il
rigore formale, l’attenzione per i movimenti di macchina e
la grande maestria nel controllare il mezzo. Il film
racconta la storia di Leo, soldato tedesco all’indomani
della liberazione nazista a Copenaghen, che dopo un
tentato suicidio fallito, vuole incontrare la sua fidanzata
(Esther), che nel frattempo ha una storia con un soldato
americano. La donna lo accusa di aver partecipato alla
tortura di un giovane della Resistenza al quale sono stati
cavati gli occhi, Leo nega e le chiede di nasconderlo dagli
americani. Esther lo conduce in un nascondiglio nel bosco,
ma gli tende una trappola; la Resistenza lo cattura e la
donna gli cava gli occhi.
Un film dove niente è lasciato al caso, il lungo piano
sequenza finale sulla protagonista femminile (Kristen
Olesen) che guarda in macchina, come per comunicarci
9
direttamente il suo dolore; il colore che tende al giallo per
gli interni e al celeste per gli esterni e la recitazione
formale, teatrale, carica di significato. Von Trier era
affascinato dalla ricchezza di possibilità tecniche che gli si
aprivano davanti e allo stesso tempo s’imponeva delle
regole da rispettare rigidamente: “Ero già abbastanza
fissato sui movimenti di macchina durante i miei studi alla
scuola di cinema. Avevo proclamato una serie di regole a
mio uso e consumo. Le panoramiche e i movimenti di
macchina sull’asse orizzontale e verticale erano vietati…
perché alteravano la prospettiva dell’immagine. Mi
rifiutavo perfino di fare delle carrellate panoramiche”
5
.
La macchina da presa si muove in lente carrellate laterali,
o in profondità, non incontrando mai l’ostacolo delle
pareti. Significativa, la gru che porta in cielo, al di sopra
di tutto Leo (Edward Fleming), diventato ormai cieco dalla
punizione inflittagli dalla spietata Esther; la sequenza
iniziale dove sono elencate una serie di città europee sulle
5
Lars von Trier, Il cinema come dogma, conversazioni con Stig Bjorkman. Oscar
Mondatori, Milano 2001.
10
immagini decadenti, infernali e solitarie, di soldati
tedeschi che rantolano a terra, che attendono, che si
suicidano e che cercano aiuto, richiama un significato
altro, ogni immagine è un simbolo.
In Menthe, i titoli iniziali compaiono durante una
carrellata molto lenta sul corpo di una donna. Per far sì
che questo movimento fosse perfetto, von Trier costruì
personalmente un supporto in acciaio dove fissare la
macchina da presa e farla procedere con estrema lentezza,
centimetro per centimetro.
“Uno scienziato non si lancia in un lavoro senza sapere
dove va, non più di un cineasta. Se sceglie di osservare lo
spazio, suppone certamente che potrà scoprire delle stelle
o dei pianeti. Uno sperimento scientifico serve spesso a
confermare una teoria. Agisco alla stessa maniera, mi
lascio guidare dalla mia immaginazione e dal mio
lasciarmi affascinare dalle cose”
6
.
L’aspetto che caratterizza di più questa sua prima fase è
che la macchina da presa si muove nello spazio, a
6
Lars von Trier, Il cinema come dogma, conversazioni con Stig Bjorkman., cit. ,p. 9.
11
prescindere dai personaggi, scopre l’ambiente quel tanto
che basta per svelare i luoghi, gli oggetti e i protagonisti, i
quali trasmetteranno l’atmosfera e il significato, piuttosto
che la vicenda.
Nella trilogia sull’Europa, oltre a rifarsi a generi filmici
ben precisi, come il noir, attinge a piene mani da grandi
registi come Orson Welles, Ingmar Bergman, Carl
Theodor Dreyer, Andrej Tarkovskij. Ne L’Elemento del
crimine, si richiama apertamente all’estetica
espressionista; è un film che ritrae le immagini del
subconscio attraverso lunghi movimenti di macchina,
scenografie angoscianti, umide, decadenti, che ricordano
L’Infernale Quinlan di Welles; soprattutto per il luogo in
cui si svolge, un paese al confine tra sogno e realtà. Il film
narra la storia di un detective (Fisher), che traumatizzato
dal suo ultimo incarico, si fa ipnotizzare da uno psichiatra
del Cairo con il quale rivive quel periodo della sua vita.
Fisher indaga su un serial killer che si aggira in Germania
ed ha violentato e assassinato molte bambine. Il punto di
riferimento dell’ispettore è il professor Osborne, autore
12
del libro L’Elemento del Crimine, nel quale sostiene che i
crimini prendono origine da un contatto specifico, una
fonte d’infezione che si propaga in certe condizioni come i
batteri e che per arrivare a coglierne la natura, occorre
immedesimarsi nel criminale, apprenderne le abitudini
vivere la sua vita. Fisher segue questa strada a pieno
stringendo una relazione amorosa con la donna
dell’assassino, ripercorrendo tutte le tappe dei suoi delitti,
arrivando fino a patire gli stessi atroci mal di testa.
All’improvviso arriva alla chiave dei crimini: unisce i
punti che indicano i luoghi dei delitti e riesce ad intuire il
luogo ed il momento in cui avverrà l’ultimo omicidio.
Prepara una trappola per il criminale (Harry Grey), ma le
cose gli sfuggono di mano e a causa di un grave errore
uccide egli stesso la bambina completando così il disegno
di morte dell’assassino.
La sequenza finale, quando Peter, il compagno poliziotto
di Quinlan, lo fa confessare sul ponte, richiama alla mente
quella della diga, quando Fisher scopre di essere lui stesso
la vera causa degli omicidi.
13
Il regista concepisce ogni movimento di macchina
all’interno di una scena come se stesse scrivendo l’intero
film: con un suo inizio, un suo svolgimento e una sua fine.
Come il lungo piano sequenza iniziale dell’ Infernale
Quinland dove, Orson Welles, partendo dal dettaglio della
bomba che verrà messa sotto una macchina, costruisce la
sequenza come una piccola storia, come un’ introduzione
allo svolgimento della trama; segue la macchina fino a che
non esplode e introduce i due personaggi principali.
Una microstoria dentro la storia, dove la macchina da
prese invece di soffermarsi sui personaggi o di seguire gli
avvenimenti, sembra inquadrare cose che non servono, o
addirittura a lavorare contro la storia.
Le scenografie del film non sono costituite solo di stanze,
mobili e accessori, ma anche di esseri umani, che sono
sdraiati in terra, che si muovono nell’acqua, di animali che
rantolano, muoiono, come ingredienti di una vasta
scenografia, a servizio del significato più che della trama.
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“ L’Elemento del crimine è, più una costruzione letteraria,
che cinematografica. Nell’insieme, le scenografie e
l’atmosfera hanno la meglio sulla vicenda vera e propria”
7
.
Anche l’uso della luce è a servizio dell’atmosfera;
vediamo, infatti per tutto il film, una predominante
giallo-oro, resa dall’uso di lampade al sodio a bassa
pressione che hanno la caratteristica di uniformare il
colore e allo stesso tempo di definire le tinte forti; come
ad esempio il lampeggiante blu delle macchine della
polizia o il rosso di un fiore. Modellando questo tipo di
luce, ha potuto ottenere l’effetto desiderato senza
intervenire sul colore in post-produzione e rendere
l’atmosfera direttamente sul set, facilitando così anche la
recitazione degli attori.
Nel secondo lungometraggio, Von Trier si avvale della
collaborazione di Henning Bendtsen, vecchio capo-
operatore di Dreyer, con il quale istaura un rapporto di
fiducia, fino a diventare il direttore della fotografia in
Europa.
7
Lars von Trier, Il cinema come dogma, conversazioni con Stig Bjorkman., cit. ,p. 9.