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valuteremo lo stato d’avanzamento fisico e finanziario del LEADER Alto
Casertano, arricchendo l’analisi con delle interviste all’amministratore delegato
del GAL Prof. Pietro A. Cappella, e all’INEA la quale svolge sul territorio
regionale l’attività di monitoraggio del PLR.
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INTRODUZIONE
Lo sviluppo rurale. Quale significato?
In una società economicamente evoluta, lo sviluppo deve intendersi come
quel processo che porta ad un cambiamento nella qualità della vita, (il quale,
secondo un criterio di giudizio politico-sociale, è valutato positivamente.)
Lo sviluppo, però, non può essere misurato solo in termini quantitativi
(variazione del reddito pro-capite o della produzione), si è introdotto, allora, il
concetto di “qualità della vita”, e si è parlato di “sviluppo integrato” per poter
includere nella definizione di sviluppo i “beni” in grado di rispondere a bisogni
“superiori” dell’uomo e della società nonché gli indicatori di qualità della vita,
dell’ambiente e di parsimonia nell’uso delle risorse limitate (GUBERT, 1995).
E’ quindi meglio parlare di sviluppo sostenibile, come di quel processo di
trasformazione della società e delle strutture economiche, che ottimizzando i
benefici economici e sociali disponibili immediatamente, non compromette il
potenziale, che consentirà di ottenere benefici analoghi in futuro.
Tutto questo per affermare, che chi si trova ad essere impegnato in problemi
inerenti allo sviluppo rurale, deve affrontare problemi definiti dalla constatazione
di condizioni d’ineguaglianza o di squilibrio rispetto alle aree “urbane”. I
problemi da affrontare sono, quindi, invertire o fermare le dinamiche
demografiche negative, colmare carenze d’occupazione, reddito, l’abbandono
delle superfici un tempo utilizzate, migliorare infrastrutture e servizi, aumentare la
produttività delle produzioni locali sui mercati, ecc. E l’integrazione del concetto
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di sviluppo altro non vuol dire che, superare una prospettiva monosettoriale (per
lo più agricola), per considerare l’insieme delle attività produttive ed i servizi di
un territorio.
Le due grandi correnti del pensiero sociologico in materia di sviluppo cercano
di spiegare quest'ultimo in ragione delle caratteristiche strutturali e/o culturali
della società.
La tesi strutturalista (Durkein) afferma che finché la società non raggiunge un
certo volume (popolazione) ed una certa densità (non solo in termini demografici,
ma anche come frequenza di interazioni) non si pongono le premesse della
divisione sociale del lavoro, fattore primo per l’avvio del mutamento strutturale.
Le aree rurali, quindi, sono strutturalmente meno sviluppate e sviluppabili di
quelle urbane, e quelle marginali, povere di popolazione e risorse, lo sono ancora
meno. Questo perché al di sotto di certe soglie di volume di mercato non
risulta conveniente la fornitura certi servizi. Al di sopra, non solo vi è
convenienza, ma possono crearsi economie di aggregazione, che
ulteriormente accentuano l’attività localizzativa. Secondo quest’impostazione
per sviluppare le aree rurali, occorre aumentare la facilità di trasporti e di
comunicazione tra esse e le aree urbane o genericamente l’esterno, tale da
garantire all’intera area adeguata vitalità economica e socioculturale. L’aumento
di interazione, non produce solo partecipazione ad insiemi sociali con maggiore
volume e densità sociale, ma anche concorrenza fra strutture produttive e modelli
culturali e tanto maggiore è il divario di potere, di efficienza produttiva, di mezzi
di comunicazione adatti alla grande scala, tanto più forte sarà l’effetto di
centralizzazione prodotto dalla sistemizzazione. Le aree più deboli che vengono
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incorporate nel soprasistema, perdono capacità di autodirezione, perdono
autonomia economica e culturale, a vantaggio delle sue parti centrali, più
avvantaggiate solo per il fatto di essere state le prime ad introdurre innovazioni.
Per diminuire la “Dipendenza “ che scaturisce dall’integrazione occorre
puntare sullo “sviluppo endogeno”: ponendo quindi attenzione alla valorizzazione
delle risorse interne, del mercato interno, delle tecnologie compatibili con le
capacità professionali interne, cercando di sfuggire alla concorrenza dei prodotti di
massa, al fine di rendere le collettività rurali locali padrone del proprio sviluppo; si
può trattare della creazione di circuiti di mercato locali per i prodotti locali, la
ricerca di nicchie di mercato per i prodotti tipici, del rapporto diretto tra
produttore e consumatore direttamente in azienda (es agriturismo),
dell’incentivazione degli artigiani locali anche in produzioni specializzate, del
recupero di forme artistiche, architettoniche, letterarie tipiche della realtà locale.
Per la tesi che punta sui fattori culturali (Max Weber), se lo sviluppo è
mutamento e se la cultura tradizionale è mantenimento e conservazione, chiara è
la contrapposizione tra tradizione e sviluppo. Quindi se la cultura tradizionale è
caratterizzata da una grande importanza per la famiglia e la comunità locale, ed è
ispirata ad una visione religiosa della vita, ecc. ecc.; lo sviluppo non può non
avere come pre-condizione che l’opposto: una cultura fondata sull’individualismo,
sull’edonismo, sulla secolarizzazione, una cultura societaria secondo la quale gli
uomini convivono come “soci in affari”. Qualcosa però sta cambiando nella
cultura moderna: sono diminuite le certezze e con esse la convinzione che quanto
è servito a demolire la cultura tradizionale possa servire ancora in futuro.
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Oggi si può parlare di una crisi di modernità e di un passaggio verso temperie
culturali diverse, verso il “postmoderno”.
Catelli, già venti anni fa, ipotizzava come le aree rurali marginali potessero
avere un ruolo importante: quello di mantenere vitali assetti culturali, che
avrebbero potuto rappresentare una ricchezza di varietà a disposizione della
società, in quanto il disagio di fronte alla massificazione ridà spazio alle
peculiarità, siano esse prodotti o culture, e la convinzione che alcuni aspetti
importanti della cultura tradizionale possano agevolare anziché ostacolare lo
sviluppo, ben si combina con un orientamento, che prediliga lo sviluppo endogeno.
Se ci si limitasse a confrontare tra loro condizioni socio-storiche e/o socio-
culturali di partenza di diverse aree, non si riuscirebbe a comprenderne
compiutamente i differenti livelli di sviluppo.
Esistono delle vicende, che segnano diversamente il territorio in relazione a
scelte anche di peso modesto, ma poi ampliatesi, per l’operare di processi
cumulativi autoalimentatisi. Esistono circoli virtuosi che portano allo sviluppo e
circoli viziosi che portano alla marginalità, e l’innesco degli uni o degli altri non è
questione solo di condizioni date a priori. Quindi se è vero che le forze di
mercato, che strutturano la distribuzione sul territorio di attività e popolazione
sono consistenti, non bisogna dimenticare che lo sviluppo moderno risulta
compatibile con intensità di concentrazione della popolazione e delle attività
fortemente differenziate, basti confrontare Francia e Germania, oppure per l’Italia
il Nord-Ovest ed il Nord-Est. Ma vi sono anche diversità di sviluppo fra aree
rurali non diverse quanto a condizioni socio-economiche di partenza.
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Esistono, quindi, grandi tendenze non modificabili se non intervenendo su
elementi di base del sistema socio-economico-demografico, ma vi sono anche
ampi gradi di libertà che consentono posizionamenti diversi di sistemi locali a seconda
delle decisioni assunte dentro e fuori di essi e delle ripercussioni successive nel tempo.
Lo sviluppo è, quindi, in parte anche conseguenza di scelte non necessitate
dalle regole del mercato, ed è questa la sfida che molte comunità locali e molti
sistemi regionali e nazionali hanno voluto attraverso azioni di sviluppo. Queste
considerazioni suggeriscono, quindi, un approccio pianificatorio dello sviluppo
rurale ispirato ad una concezione degli interventi come residuali rispetto al sistema,
perché l’intervento stimola, attira, corregge, vincola ben sapendo che il sistema ha
dinamiche sue proprie solo parzialmente modificabili. Occorre quindi un’azione di
definizione dei problemi da affrontare, alla quale deve partecipare anche la
comunità interessata. Essa determina le sue priorità, considerando congiuntamente
tipo di mete collettive e loro importanza, gravità dei problemi riscontrati in termini
di scostamento dalla situazione desiderata e disponibilità di risorse. Nella fase
attuazione diviene cruciale il lavoro di stimolo degli operatori, in quanto nelle aree
rurali spesso a mancare è stata proprio la capacità d’iniziativa, o meglio la capacità
di “domanda”. La pianificazione così intesa altro non è quindi, che il modo più
razionale di organizzare le misure per perseguire lo sviluppo in stretta aderenza alle
diversità di situazioni e di prospettive collettive.
In questo lavoro intenderemo per “Sviluppo integrato ed endogeno” delle aree
rurali, il raggiungimento di un maggiore livello di “benessere” della popolazione
che in quell’area vive, e nella definizione di cosa sia il benessere è riconosciuta
voce determinante proprio a quella popolazione.
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I. LA NUOVA FILOSOFIA COMUNITARIA PER
LO SVILUPPO RURALE
1. La nascita della PAC
Prima di analizzare i nuovi orientamenti comunitari della politica per lo
sviluppo delle aree rurali, è inevitabile fare una rapida carrellata di quella che è
stato il ruolo dell’agricoltura sia dal punto di vista economico che politico dal
trattato di Roma del 1956 sino ai giorni nostri.
Dopo le vicende belliche, in tutt’Europa era iniziato un rapido processo
d’industrializzazione, e l’agricoltura era considerata da molti un settore non più
strategico per lo sviluppo economico generale. Tuttavia, tutti concordavano sul
fatto, che la Comunità dovesse avere fra i suoi obiettivi il raggiungimento di
adeguati livelli di sicurezza alimentare.
Nasce, quindi, la Politica agricola comunitaria (PAC), ponendovi alla base tre
principi fondamentali e istituendo per i diversi prodotti, organizzazioni comuni di
mercato (OCM), che ne regolano i prezzi, la gestione del mercato interno ed il
flusso degli scambi commerciali. I tre principi alla base della politica della
politica dei prezzi e dei mercati sono:
ξ Il principio dell’unicità dei prezzi e dei mercati, che viene perseguito
mediante l’eliminazione graduale di ogni tipo di ostacolo alla libera
circolazione dei prodotti agricoli, l’armonizzazione di tutte le
regolamentazioni amministrative e sanitarie, la fissazione di prezzi
istituzionali o in moneta comune.
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ξ Il principio della preferenza comunitaria, che mira a garantire sbocchi
commerciali a condizioni più favorevoli rispetto a quelle concesse ai prodotti
di paesi terzi.
ξ Il principio di solidarietà finanziaria, che regola la gestione dei vari tipi di
operazioni finanziarie generate dalle normative decise in favore delle
agricolture dei paesi membri.
Per molto tempo la PAC è stata, quindi, principalmente una politica dei prezzi
e dei mercati, che prevedeva un meccanismo d’intervento, che accoppiava in
modo diretto l’obiettivo del sostegno ai redditi agricoli e la produzione. In questo
modo, però, si erano create delle forti disparità tra piccoli e grandi produttori a
favore di questi ultimi, che rappresentavano il 20% delle aziende agricole
comunitarie, ma che sfruttando le economie di scala, beneficiavano dell’80% del
sostegno comunitario. Così da un lato c’era la concentrazione di una fiorente
attività agricola in alcune aree dell’Europa continentale, dov’era maggiore il
sostegno offerto dalla politica comunitaria, dall’altro lato, invece, si avevano
l’abbandono e lo spopolamento delle campagne e il degrado delle aree più
svantaggiate (come quelle di montagna e la collina dell’area mediterranea) meno
protette, che già stavano subendo un duro colpo dalla progressiva globalizzazione
dei mercati.
La politica agricola strutturata in tal modo, causava inoltre, un continuo
aumento dell’offerta non compensato da uguale aumento della domanda interna.
Provocando di conseguenza il problema dello smaltimento delle eccedenze.
Quest’ultimo fenomeno, poi, andava ad aumentare la quota di bilancio dell’U.E.
allocata a favore del settore agricolo, a scapito degli altri settori.
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Contemporaneamente a tutto questo, i consumatori cominciavano a
manifestare un certo interesse per gli stretti legami esistenti tra l’alimentazione, la
salute, il benessere e la salvaguardia dell’ambiente. Era ben chiaro, quindi, che per
ridiscutere il futuro dell’agricoltura, non bisognava più limitarsi ad intervenire nel
solo settore agricolo, ma era necessario agire in maniera globale considerando
anche i rapporti di questo settore sia con il comparto alimentare, che con il mondo
rurale in generale. D’altra parte, il grande sviluppo della produttività agricola
aveva determinato una continua riduzione della forza lavoro necessaria per
svolgere le attività agricole e, di conseguenza, una forte caduta della popolazione
rurale.
Da più parti, si manifestava, nel corso degli anni ottanta, l’esigenza di una
riforma della PAC, in modo tale da garantire uno sviluppo più armonioso ed
equilibrato del sistema economico, sociale ed ambientale della Comunità. Tale
necessità è stata più volte affrontata anche dalla stessa Commissione Europea in
alcuni importanti documenti di riflessione, primo fra tutti il Libro Verde.
Presentato dalla Commissione nel 1985 e avente come obiettivo primario il
riequilibrio della PAC a favore della politica strutturale, il Libro Verde ha offerto
un’analisi approfondita della politica comunitaria di settore, ne ha individuato gli
elementi di distorsione ed ha suggerito delle ipotesi di riforma.
Il secondo importante documento è stato, invece, l’Atto Unico Europeo
(AUE-1986), che ha introdotto uno dei principi cardine dell’integrazione, ossia
quello della coesione politica economica e sociale. Un principio di solidarietà, per
il quale è necessario integrare l’Europa su un modello di sviluppo omogeneo ed
equilibrato. Il raggiungimento di tale obiettivo implica l’aiuto alle regioni che
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sono in ritardo o più svantaggiate rispetto alle altre (come il Mezzogiorno
d’Italia), attraverso l’utilizzazione delle risorse dei fondi strutturali, che
contribuiscono alla realizzazione di investimenti per il recupero e lo sviluppo di
queste aree.
Un terzo fondamentale documento “Il Futuro del Mondo Rurale (1988)” ha
influenzato in modo particolare la ridefinizione della Politica per lo Sviluppo
Rurale. I principi di questo documento della Commissione hanno trovato una
importante applicazione con la riforma dei Fondi Strutturali, avutasi con i
Regolamenti 2052/88 e 2081/93, che rappresentano il nuovo quadro normativo
della regolazione dei suddetti fondi.
Questa serie di riflessioni ed il mutato quadro internazionale, hanno portato
nel maggio del 1992 ad una radicale riforma della PAC.
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2. La riforma della PAC
Nel 1991 vengono distribuiti dalla Commissione i due documenti contenenti
tutta la filosofia della nuova politica economica di settore, in altre parole il COM
91-100 DEF e il COM 91-258 DEF.
Il primo elemento su cui vuole incentrarsi questa filosofia è la politica del
disaccoppiamento, cioè del sostegno non collegato alla produzione ma dato
direttamente al reddito dei produttori. Allo stesso tempo vengono presi in
considerazione anche il riorientamento delle tecniche produttive ed il principio
dell’estensivizzazione, allo scopo di ridurre l’impiego di fattori nocivi ed attuare
uno sviluppo sostenibile, che non intacchi l’ambiente. Infine, viene affrontato il
problema delle disparità territoriali e viene formulata una nuova politica di
sostegno delle attività economiche per le zone più svantaggiate (aree rurali), che
altrimenti sarebbero perdenti rispetto alle altre.
La nuova configurazione della politica per lo sviluppo del settore agricolo e
delle aree rurali si compone di cinque politiche principali:
- La nuova Politica dei Prezzi e dei Mercati. Questa nuova politica è una
riformulazione della precedente e si indirizza principalmente verso un
riorientamento al mercato dei prezzi interni, cioè verso l’obiettivo di una
maggiore competitività per il recupero dell’efficienza delle imprese più forti e la
diversificazione dell’attività di quelle più deboli. Allo stesso tempo essa introduce
il sistema del sostegno disaccoppiato e dell’aiuto diretto al reddito dei produttori e
stabilisce un maggiore controllo dell’offerta, attraverso il ritiro dei fattori
produttivi, l’estensivizzazione dei processi produttivi e la limitazione degli aiuti.
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- La Politica Agro-Ambientale. Le misure agro-ambientali, introdotte con il Reg.
2078/92 e il Reg. 2080/92, vengono definite misure di accompagnamento della
nuova politica dei prezzi e dei mercati. Il Reg. 2078/92 riguarda i nuovi metodi di
produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell’agricoltura e
con la cura dello spazio naturale. Il Reg. 2080/92, invece, prevede un regime
comunitario di aiuti per lo sviluppo di attività forestali nelle aziende agricole, in
modo tale da realizzare una diversificazione delle attività tutelando allo stesso
tempo il paesaggio e l’ambiente.
- La Politica per la Qualità delle Produzioni Agroalimentari. Questa politica,
rispondendo alle esigenze di eliminare le barriere non tariffarie esistenti tra
gli Stati membri, di garantire la sicurezza dei consumatori e di assicurare i
mercati contro pratiche di concorrenza sleale, prevede, accanto ai due principi
dell’armonizzazione minima e del mutuo riconoscimento, l’applicazione di tre
gruppi di norme riguardanti i prodotti alimentari industriali, i prodotti
agroalimentari con caratteristiche collegate all’area di provenienza e i prodotti
caratterizzati da particolari specificità. Lo scopo ultimo di queste norme è quello
di indirizzarsi verso una qualità-standardizzazione per i prodotti industriali, una
qualità-tipicità per gli altri prodotti ed una qualità-salubrità per tutti quei prodotti
ottenuti con tecniche biologiche (cfr. Marotta, 1995).
-.La Politica per la Ristrutturazione del Settore Agricolo. Gli obiettivi di fondo
di questa politica sono indicati nel Reg. 2328/91
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e nel Reg. 3669/93. Essi
riguardano il miglioramento dell’efficienza delle aziende agricole, il
mantenimento in loco di una comunità agricola per permettere lo sviluppo delle
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Il Reg. 2328/91 è stato recentemente abrogato dal Reg. 950/97.
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aree rurali e delle zone più svantaggiate, la tutela dell’ambiente e la conservazione
dello spazio naturale. Questi obiettivi vengono perseguiti attraverso una serie di
misure volte alla ristrutturazione del settore, allo sviluppo dei servizi alle aziende
e alla concessione di aiuti diretti. Nell’ambito di tale politica viene incluso anche
il Reg. 2079/92 relativo al prepensionamento in agricoltura.
- La Politica per lo Sviluppo Rurale. Questa politica, come meglio si dirà nel
prossimo paragrafo, è uno degli strumenti fondamentali per mezzo del quale si
mira a ridurre sia le disparità esistenti tra le diverse regioni europee che il ritardo
delle zone più svantaggiate.
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3. Politiche per lo sviluppo rurale
Come accennato nell’introduzione le politiche per lo sviluppo rurale hanno
come capisaldi il coinvolgimento delle popolazioni locali nella definizione e nella
gestione delle azioni di sviluppo e la valorizzazione integrata di tutte le risorse
disponibili nei settori produttivi, ambientale, culturale e dei servizi.
L’obiettivo finale che si persegue è quello di garantire più elevati livelli di
occupazione e di reddito e di contribuire al miglioramento della qualità della vita.
Le politiche in questo campo hanno assunto una posizione centrale negli indirizzi
comunitari, in conseguenza: della riscoperta della molteplicità di funzioni che le
aree rurali possono svolgere per uno sviluppo equilibrato e sostenibile (usi
multipli del territorio rurale); per l’esigenza di compensare in qualche modo i
minori aiuti che saranno indirizzati all’agricoltura e alle aree rurali per via del
ridimensionamento del sostegno dei prezzi.
3.1. La politica per lo Sviluppo Rurale.
Nel Libro Verde del 1985, la Commissione proponeva l’importante principiò:
i problemi dell’agricoltura non possono essere risolti dalla sola PAC, ma
quest’ultima deve essere inquadrata nella più ampia prospettiva della politica
rurale in generale.
Tuttavia è con l’Atto Unico Europeo del 1986 (ART.130 A), che viene
affermato il principio della Coesione Economica e Sociale, quale strumento per la
sviluppo armonico dell’U.E.. Da questo principio si sono originate due importanti
linee d’azione della Comunità per “ridurre il divario di sviluppo tra le diverse