7
Infatti, se il villaggio di Umuofia, protagonista del romanzo, sembra non esistere
fisicamente sulle mappe e cartine – vuoi perché la grafia delle città varia col tempo e con la
pronuncia locale; vuoi perché, essendo questo un romanzo inventato, il luogo dove la
vicenda è ambientata è probabilmente esso stesso fittizio –, realistica è invece la
rappresentazione della comunità di Umuofia, come del materiale socio-antropologico sulla
popolazione stessa: «Achebe infatti più che descrivere rappresenta, e la rappresentazione
(…) tiene viva l’attenzione del lettore»
1
.
Nei primi tre capitoli verrà pertanto analizzata la popolazione igbo in termini generali,
secondo le loro (presunte) origini e vicissitudini storiche, i loro costumi tradizionali, la loro
struttura sociale e religiosa; nella seconda parte, invece, verrà analizzato più
dettagliatamente l’autore del romanzo in questione, Chinua Achebe, nel capitolo 5, e
successivamente (capitolo 6) il romanzo in sé, Things Fall Apart, cercando così di costruire
un collegamento tra le notizie antropologiche trovate sugli Igbo, e gli elementi antropologici
che lo scrittore traspone.
Tutto ciò, ricordando sempre che il destino è poi il vero protagonista del romanzo, e delle
sorti africane in genere – impersonificato nel colonizzatore –, il fato riveste il ruolo
centrale nella vita e nella Storia, ruolo che gli stessi Igbo avevano già intuito come
fondamentale, come testimonia il famoso proverbio autoctono «Onye ma echi? Chi conosce
il domani?
»
2
.
1
TRIGONA, PROSPERO, La maledizione del serpente. Saggio sulla narrativa di Chinua Achebe, Jaca Book, Milano, 1989, p. 67.
2
GUARIGLIA, GUGLIELMO, Gli Igbo e la loro cultura tradizionale. Ritratto di un popolo della Nigeria, Celuc, Milano, 1971, p. 54.
8
1. La geografia degli Igbo
Figura 1: Mappa dell'area di stanziamento igbo, tratta da ILOGU EDMUND, Christianity and Ibo Culture, Brill, Leiden, 1974
9
La popolazione igbo, stanziata nella Nigeria sudorientale, consta di oltre 20 milioni di
abitanti
3
, cioè circa il 20% della popolazione della Nigeria: infatti, l’etnia igbo è la terza in
ordine di importanza e presenza sul territorio nigeriano, dopo gli Haussa del nord, e i
confinanti Yoruba (lo Yorubaland si trova ad ovest del territorio Igbo e, data la vicinanza
dei due territori, si possono riscontrare diverse somiglianze tra la cultura igbo e quella
yoruba; più avanti nel testo, si evidenzieranno alcuni dei tratti culturali in comune,
riscontrati soprattutto in campo religioso).
Sebbene la lingua ufficiale sia ancora l’inglese, bisogna ricordare che in Nigeria si parlano
250 lingue differenti; la lingua igbo si suddivide a sua volta in più di trenta dialetti, e di
fatto questo pluralismo di idiomi, seppur fondamentalmente simili tra loro, portò a
problemi comunicativi a livello interetnico, problemi che ritroviamo anche nel romanzo di
Achebe – ad esempio, quando un igbo del villaggio di Umuru non capisce il saluto
ancestrale dell’antenato di Umuofia: «Ajofia was the leading egwugwu of Umuofia. (…)
“The body of the white man, do you know me?” he asked. Mr Smith looked at his
interpreter, but Okeke, who was a native of distant Umuru, was also at a loss»
4
.
La Nigeria meridionale, luogo di stanziamento degli Igbo, è geograficamente costituita da
un vasto bassopiano, attraversato dal fiume Niger e dai suoi numerosi affluenti. Il Niger
sbocca poi in un amplio delta, formando zone paludose e malariche ancora negli anni
Sessanta, ma coperte da una fitta e ricca vegetazione, generalmente mangrovie e palme da
olio, che costituirono in un passato non molto remoto fonti di ricchezza e commercio per
le popolazioni circostanti.
La vegetazione, a tratti tropicale per via della foresta e della forte umidità, offre agli igbo
un terreno fertile, sebbene in prevalenza argilloso – l’argilla è basilare nella vita igbo, in
quanto è il fondamentale materiale che serve a costruire edifici e abitazioni; a
dimostrazione della sua importanza, si ricorda un mito della creazione parla di come
l’uomo sia stato modellato dall’argilla –. La fertilità del terreno ha permesso nei secoli la
3
KORIEH, CHIMA JACOB, Widowhood among the Igbo of Eastern Nigeria, University of Bergen, Norway, 1996; reperibile su
internet: http://www.ub.uib.no/elpub/1996/h/506001/korieh/chima.html.
4
«Ajofia era il più importante tra gli egwugwu di Umuofia. (…)“Corpo dell’uomo bianco, mi conosci?” chiese. Mr Smith
guardò il suo interprete, ma anche Okeke, che era nativo del lontano villaggio di Umuru, era smarrito». ACHEBE,
CHINUA, Things Fall Apart, Heinmann, Oxford, 1994, p. 136. .Sono presenti nel testo ulteriori riferimenti a tale opera,
indicati con TFA. Traduzione da ACHEBE, CHINUA, Il crollo, Jaca Book, Milano, 1994, p. 175 (indicato in seguito con
IC).
10
coltivazione dell’igname, grosso tubero simile alla patata dolce americana, e fondamento
della vita quotidiana e sociale della comunità.
Infatti, la festa della semina degli ignami (Festa dei Nuovi Ignami
5
) segna anche l’inizio
dell’anno nuovo; l’importanza dell’igname è riscontrabile anche in un altro mito della
creazione dell’uomo, secondo cui Chukwu, l’Essere Supremo, avrebbe piantato l’igname
nella foresta e poi, una volta cresciuto, lo avrebbe ridotto a pezzetti, comandando loro di
crescere e moltiplicarsi: tutti quei pezzetti di igname divennero poi uomini.
Gli Igbo quindi sono dediti all’agricoltura, meno all’allevamento (domesticando capre,
pecore, polli – quest’ultimi utilizzati per sacrifici e offerte agli antenati – , e raramente
bovini), sebbene il luogo fosse popolato, più in passato che oggi, da numerose specie di
animali di grossa taglia, ma anche serpenti, insetti (ritroviamo le locuste nel romanzo di
Achebe), e tartarughe. Del resto, questa abbondanza di animali è anche riscontrabile nei
racconti e fiabe tradizionali degli Igbo, che spesso vedono come protagonisti uccelli,
serpenti e la tartaruga, considerata “re degli animali”
6
.
Gli Igbo hanno poi una solida tradizione di commerci alle spalle, solitamente intessuti con
le etnie confinanti gli odierni Nigeria e Camerun (solo in tempi recenti il commercio si è
esteso anche al di fuori della Nigeria, e della stessa Africa, venendo a contatto con i
mercanti europei); gli Igbo scambiavano prodotti di palma, noci di cola (Cola acuminata
7
) e
cocco con bovini, manufatti o semplicemente cauri (Cypraea moneta), la “moneta” di
scambio degli Igbo, usata ancora all’inizio del XX secolo. Inoltre, importante ricordare che
gli Igbo, dopo che la tratta degli schiavi fu dichiarata illegale, riuscirono a sopravvivere in
quanto adattarono il proprio commercio alla nuova, legale, richiesta occidentale di olio di
palma: per questo, i fiumi nel delta del Niger vennero denominati come i “fiumi dell’olio”.
5
Questa festa rappresenta l’inzio del nuovo anno, il Capodanno igbo, in cui il mondo si ricostituisce, si fonda
nuovamente, ma conservandosi e preservandosi, «contro il rischio di disgregazione ad opera di forze settoriali e
centrifughe». Per questo, i vecchi ignami dell’anno passato vanno bruciati, e si seminano nuovi ignami che
rappresentano il nuovo, il futuro. A riguardo, cfr. LATERNANI, VITTORIO, La grande festa. Vita rituale e sistemi di
produzione nelle società tradizionali, Dedalo, Bari, 2004, p. 396.
6
Cfr. la raccolta di fiabe igbo di Ben Amushie: BEN AMUSHIE, La tartaruga re degli animali e altre favole igbo della Nigeria, EMI,
Bologna, 1995.
7
La noce di cola è fondamentale, oltre che per i momenti di solidarietà e ospitalità, per le pratiche rituali degli Igbo, in
quanto essa è strumento per ottenere risposte sul futuro dal mondo soprannaturale: il rito prevede lo spezzare della
cola in spicchi, quindi la riunione di questi, poi nuovamente l’apertura, in un gesto che significa allo stesso tempo unità
del gruppo e accettazione delle possibilità del futuro. Quindi, gli spicchi vengono lasciati cadere, in modo da ricevere
responsi dal mondo degli spiriti.
11
1.1. Igbo-speaking people
La lingua igbo viene classificata come lingua kwa, appartenente al ceppo delle lingue
sudanesi. Lingua tonale – a toni diversi delle vocali (alte, medie o basse) corrispondono
parole diverse con significati diversi –, essa ha la peculiarità di avere una base
monosillabica e priva di ogni inflessione e caso grammaticale (per specificare il numero ed
il genere dei sostantivi, per esempio, bisogna aggiungere un’ulteriore parola che identifichi
tale caratteristica del vocabolo; pertanto, per parlare di un fanciullo, sarà reso nwata in
senso indeterminato, mentre per specificare se si tratti di un ragazzo o di una ragazza,
bisognerà aggiungere rispettivamente, al vocabolo succitato, nwoke, maschio, o nwanye,
femmina; il risultato sarà così nwata nwoke, ragazzo, e nwata nwanye, ragazza).
Il nome igbo, a volte reso come ibo per la difficoltà (europea) di pronuncia del fonema
/gb/, sembra sia stato inizialmente utilizzato dai vicini popoli del delta del Niger, per
designare le popolazioni dell’interno in senso di dispregiativo. Effettivamente, igbo sembra
significare “popolo”, dal sudanese bo o po, ma potrebbe anche significare “schiavo”, da
onigbo (oni, popolo, e igbo, schiavo), dall’idioma Igala dei loro confinanti.
Inoltre, nei documenti di origine europea ci si riferiva spesso al popolo sudorientale
nigeriano come ad un popolo da cui proveniva gran parte del commercio degli schiavi del
Delta.
Il termine migliore, e più corretto, per designare tali popolazioni sarebbe quindi Igbo-
speaking, “genti di lingua igbo”, essendo l’igbo una realtà linguistica riconosciuta dagli stessi
membri appartenenti all’etnia in questione; tuttavia, da ricerche anche condotte su
Internet
8
, si è riscontrato che, sui forum e luoghi di discussione dedicati alle popolazioni di
etnia igbo, essi stessi tendono ora a riconoscersi come “Igbo”, rivendicando quindi una
propria identità, precedentemente invece imposta, e pertanto rifiutata, in quanto non
sentita come propria
9
.
La parola ritmata degli Igbo sembra poi essere stata “tradotta” in scrittura in seguito alla
colonizzazione britannica, e gli autori dell’epoca (tra cui, più tardi, anche Chinua Achebe)
8
Cfr. http://home.igbonet.com.
9
Infatti, nei mesi estivi, vengono organizzati, anche qui in Italia, dei festival e manifestazioni, che dovrebbero coincidere
con l’originaria Festa dei Nuovi Ignami in Nigeria, e che servono probabilmente a rilanciare, e ricordare, le origini e le
usanze tradizionali igbo. Il più importante festival igbo a livello nazionale si tiene a Ferrara (sito internet
http://www.racine.ra.it/casadelleculture/igbo-festival.htm), mentre a Cernusco, in provincia di Milano, viene celebrata
la “Festa dei Popoli” in giugno, cui partecipa la comunità igbo del territorio (http://www.cernuscoinsieme.it).
12
hanno cercato di riprodurre il ritmo, la cadenza, l’espressività della parola orale in lettere
ordinate su fogli stampati; hanno in definitiva cercato di rendere, nei limiti del possibile,
quella musicalità tradizionale presente nell’oralità, rendendola con proverbi e detti
popolari. Il tono stesso utilizzato dal narratore è quasi teatrale, vuole riprodurre
fedelmente il discorso in senso africano, con le sue parabole e i suoi diversi piani
semantici, nel tentativo di rendere nuovamente viva la società tribale di Things Fall Apart
ormai defunta.
Da ricordare però che il tono di per sé è «un elemento strutturante»
10
della parola e della
sua musicalità, ed è per questo che «è quasi impossibile renderne la ricchezza espressiva
quando la si traduce in grafemi, per la difficoltà a evidenziarne i toni. Nella scrittura
l’accento acquista così un’importanza fondamentale»
11
, in quanto esso va a “segnare”
graficamente il tono di una parola, in modo da rendere la sua originaria musicalità
espressiva.
Infine, di grande rilevanza sembra essere il concetto che gli Igbo stessi sembrano avere della
parola: sebbene il valore della parola in tutta l’Africa abbia una valenza sostanzialmente
diversa da quella che acquista in Occidente, nell’Igboland in particolare tale valore è
sottolineato più volte, soprattutto a livello etnico; la parola è «energia vitale che sveglia
ogni vita ed esercita un’azione sulle “cose”»
12
, è «parola generatrice, parola-azione»
13
: «La
parola, sussurrata, detta, gridata o cantata, accresciuta o meno da gesti o sguardi, o
rafforzata da mezzi esterni quali strumenti musicali o altro, non ha soltanto il valore che le
viene attribuito per il suo contenuto semantico razionale, ma ha il valore derivante dal
fatto che (…) in tutte le espressioni e tradizioni orali di un popolo, si configura come (…)
un elemento conduttore di potere»
14
Così, nel romanzo analizzato di Chinua Achebe, troviamo diverse situazioni in cui uomini,
riuniti intorno ad una “cola”, ad una offerta, prima di arrivare al nocciolo del discorso,
divaghino e parlino “del più e del meno”; e quando il fulcro del problema è stato
10
BARBÀRA, ROSAMARIA SUSANNA, “La letteratura orale yorùbá: gli oriki”, in FALDINI PIZZORNO, LUISA, (a cura di)
Religione e magia. Culti di possessione in Brasile, UTET, Torino, 1997, p. 98.
11
Ibidem.
12
JAHN, JANHEINZ, Muntu. La civiltà africana moderna, Einaudi, Torino, 1975, p. 134.
13
Ibid., p. 187.
14
FALDINI PIZZORNO, LUISA, "Candomblé: suono, potere, parola" in FALDINI PIZZORNO, LUISA, (a cura di) Religione e
magia. Culti di possessione in Brasile, UTET, Torino, 1997, p. 157.
13
raggiunto, subitamente questo sembra venga sdrammatizzato e “addolcito” con una gran
quantità di proverbi e luoghi comuni, che rappresentano in fin dei conti il bagaglio
culturale igbo, la visione del mondo della comunità, e vengono pertanto adoperati come
esemplificazioni e moniti riguardo la questione. Lo stesso Guariglia ci dice come «Inu bu
mmanu eji esuli okwu, (…) Il proverbio è come l’olio per condire il discorso»
15
.
«Among the Ibo the art of conversation is regarded very highly, and proverbs are the
palm-oil with which words are eaten. Okoye was a great talker and he spoke for a long
time, skirting round the subject and then hitting it finally»
16
.
Esemplare è quindi l’opera di Thomas
17
, il quale raccolse più di mille proverbi igbo, che
«rivelano la sapienza accumulata in centinaia d’anni, (…)», e che «costituiscono una specie
di scuola perenne per i giovani»
18
. Inoltre, il Guariglia accenna anche all’esistenza di una
raccolta da parte del chierico N. Obiagba di iscrizioni che si potevano leggere, intorno agli
anni Sessanta, sugli automezzi di servizio pubblico nella zona di Onitsha: proverbi che
richiamano i “lettori” alla riflessione religiosa e morale sulla caducità delle cose, e sugli
attribuiti e valori dell’Essere Supremo Chukwu.
15
GUARIGLIA, GUGLIELMO, Op. cit., p. 52.
16
«Tra gli ibo l’arte della conversazione è reputata molto importante, e i proverbi sono l’olio di palma con cui si
condiscono le parole. Okoye era un grande oratore e parlò a lungo, girando intorno all’argomento, per poi alla fine
affrontarlo direttamente», ACHEBE, CHINUA, TFA, cit., p. 5. Trad. ACHEBE, CHINUA, IC, cit., p. 12.
17
THOMAS N. W., “Antropological Report of the Ibo-speaking Peoples of Nigeria”, in GUARIGLIA, GUGLIELMO, Op. cit., p. 52.
18
Ibidem.
14
1.2. Un popolo senza storia?
1.2.1. Le origini
La mitologia della creazione igbo fa risalire il progetto e l’attuazione del mondo a Chukwu,
l’Essere Supremo, il quale, secondo il mito
19
, creò dapprima le piante, poi gli animali e
quindi l’uomo.
Il mito prosegue dicendo che egli voleva creare i giorni, e per far ciò decise di creare
quattro persone; quindi costruì una casa, e invitò i quattro uomini ad entrare nella nuova
dimora, chiamandoli ad uno ad uno: Eke, Orie, Afo, Nkwo : Questi furono i nomi dei
quattro mitici fondatori dei villaggi originari degli Igbo, e questi sono i nomi dei quattro
giorni che compongono una settimana igbo.
I quattro uomini avrebbero poi avuto il compito di disperdersi, fondando altre città, da cui
sarebbero dipartite ulteriori correnti migratorie, in modo da popolare l’intera zona a noi
conosciuta come Igboland
20
.
Il mito della creazione igbo fa dunque chiaramente risalire l’origine della popolazione del
territorio orientale nigeriano, come del resto di tutta la Nigeria, a moti migratori ed
espansioni di popolazioni originariamente stanziate in altri luoghi; effettivamente, non ci è
giunta nessuna notizia certa sulla tipologia d’origine degli Igbo, dato che le prime
informazioni considerate attendibili (in quanto scritte), risalgono solamente all’arrivo dei
missionari e alla tristemente celebre tratta degli schiavi.
Edmund Ilogu
21
, nel suo saggio, seguendo la teoria di Amaury Talbot, fa risalire l’origine
degli Igbo a migrazioni che ebbero origine dall’Egitto nel 1870 a.C., a causa di eventi
catastrofici come le guerre di Nubia di Amenemhat I, o la conquista dell’Egitto da parte
degli Hyksos. Questa comunque continua ad essere una teoria sull’origine Igbo, come del
resto è teoria quella che farebbe discendere tali popolazioni da alcune branche di
migrazioni ebraiche, probabilmente dovute a motivi altrettanto catastrofici come
nell’ipotesi succitata.
19
Tale mito si può trovare, in forma più “estesa”, in Ibid., p. 78.
20
Effettivamente, quattro sono i punti cardinali, e quindi quattro sono le principali direzioni in cui ci si espande per
costituire villaggi e comunità. Riguardo alla simbologia del numero quattro, cfr. più avanti la sezione 5.4.
21
ILOGU, EDMUND, Christianity and Ibo Culture, Brill, Leiden, 1974.
15
In entrambi i casi, comunque, pare che le migrazioni siano il vero fenomeno originario
dello stanziamento nel territorio nigeriano del sudest; popolazioni migranti arrivarono nel
cosiddetto “nucleo” dell’Igboland, e altre successive ondate migratorie portarono ulteriori
popolazioni a stanziarsi a nord e ad ovest del nucleo originario intorno al XIV o XV
secolo. Da quest’area primigenia poi, si suppone siano partite successive ondate migratorie
verso le quattro direzioni, portando così ad una omogeneizzazione della cultura igbo.
Le prime notizie certe e documentate sugli Igbo risalgono al XV secolo, quando il
territorio dell’Igboland occidentale fu invaso e sottomesso dal regno di Benin, che esercitò
un’influenza duratura sull’area. La dominazione da parte del regno di Benin provocò
inizialmente conflitti, e successivamente emigrazioni, che portarono al mescolarsi ed
all’assorbire popolazioni di territori confinanti, fino ad un generale assestamento e
stanziamento nelle terre che ancor’oggi identifichiamo come igbo.