implica, infatti, l’insorgere di numerose questioni di
carattere giuridico-morale, quali, per esempio, la
qualificazione o meno dell’embrione formato in provetta
come individuo, con la conseguente problematica della
tutela della vita, della dignità, della salute del
concepito fin dal momento della sua formazione; la
questione della liceità dell’accesso alla fecondazione
artificiale da parte dei singles o delle coppie non
sposate, o di quelle omosessuali; oppure ancora la
legittimità della fecondazione eterologa, caratterizzata
dall’utilizzo di gameti provenienti da un donatore
estraneo alla coppia; il problema della legittimità della
cosiddetta fecondazione post mortem o dell’utero in
affitto, e numerose altre questioni, che dovrebbero
essere discusse in Parlamento.
Attualmente, poiché non esiste nessuna disciplina
vincolistica in materia di maternità assistita, deve
ritenersi che ogni intervento, di qualunque specie esso
sia, è penalmente lecito e non può dare pertanto luogo di
per sé a responsabilità penale. Dico di per sé nel senso
che non vi sono norme penali che puniscano chi
semplicemente richieda o applichi una delle tecniche di
procreazione assistita, mentre esistono già nel nostro
ordinamento norme penali che individuano una
responsabilità per il medico che, come in qualsiasi altro
intervento medico-chirurgico, provochi delle lesioni
personali al paziente che, nel caso della fecondazione
artificiale, è la donna che si sottopone al trattamento,
oppure lo stesso concepito.
Esiste, anche, nel nostro ordinamento il reato di abuso
d’ufficio, in cui potrebbe incorrere il medico che
utilizzasse i fondi stanziati dalla Regione o dalle Unità
Sanitarie Locali, per forme d’intervento di maternità
assistita in relazione alle quali l’ente erogatore abbia
imposto dei vincoli o dei divieti nell’impiego del denaro
pubblico.
A queste (poche) norme di carattere penale si possono
aggiungere le numerose circolari che il Ministro della
sanità ha emanato negli ultimi anni, allo scopo di
colmare il vuoto normativo in materia di procreazione
medicalmente assistita.
Ma si tratta di disposizioni che, da un lato, si occupano
solo di alcune delle questioni cui la fecondazione
artificiale dà origine, quali quelle attinenti al
pericolo di trasmissione del virus dell’HIV e di altri
agenti patogeni attraverso il seme umano impiegato per la
fecondazione artificiale
1
, quella riguardante le
strutture e i servizi disponibili
2
, quella della non
remunerabilità della donazione di materiale genetico
3
,
oppure quella contenente il divieto di sperimentazione a
fini di clonazione
4
; dall’altro sono contenute in atti,
la circolare o l’ordinanza, di carattere amministrativo,
la cui violazione potrebbe comportare, tutt’al più,
l’applicazione di sanzioni disciplinari per il personale
sanitario, fatta eccezione per l’ipotesi in cui
l’inadempimento da parte del medico sia alla base della
1
Circ. Min. Sanità 27 aprile 1987, n°19 e Circ. 10 aprile 1992, n°17.
2
Circ. Min. Sanità 1° marzo 1985.
3
Ordinanza del Ministro della Sanità del 5 marzo 1997.
4
Ordinanza del Ministro della Sanità del 5/3/1997.
provocazione di danni alla salute del nascituro, cosa che
potrebbe portare ad una condanna per lesioni colpose a
carico del medico inadempiente.
Ma la salute del nascituro non è l’unico bene meritevole
di tutela che potrebbe essere offeso dall’incondizionata
applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita. Vi sono anche l’interesse alla crescita del
bambino in un ambiente educativo favorevole, composto da
un padre e da una madre, il diritto allo sviluppo
dell’embrione, il rispetto del corpo umano: tutti beni
che non possono essere trascurati dal legislatore.
Nel complesso, dunque, il quadro normativo attualmente
esistente non offre un’esauriente disciplina delle più
importanti problematiche connesse alla riproduzione
artificiale, né tanto meno un’adeguata tutela ai beni
giuridici coinvolti dalle nuove tecniche, tutte questioni
che, al contrario, sono state ripetutamente affrontate
nei numerosi progetti di legge presentati finora in
parlamento e che hanno dato vita a vivaci discussioni
dovute all’ampia eterogeneità delle posizioni assunte.
Le divergenze, per di più, si sono registrate non solo
tra i diversi gruppi politici, ma anche all’interno di
ciascuno di essi e ciò dimostra la complessità della
materia, legata al fatto che le questioni in essa
implicate non sono solo di tipo tecnico-giuridico, ma
anche e soprattutto morale e religioso.
Nonostante le difficoltà si è comunque arrivati ad un
compromesso: la XII Commissione (Affari Sociali) della
Camera, riunitasi in sede referente, ha, infatti,
elaborato il “Testo unificato delle proposte di legge in
materia di procreazione medicalmente assistita”
5
, il
quale è stato presentato in Parlamento il 14 luglio 1998.
Si tratta di un traguardo molto importante, dato che
rappresenta il frutto di una complicata opera di
mediazione, realizzata grazie soprattutto alla
convinzione, condivisa da tutte le forze politiche, che
una legge sulla fecondazione assistita non poteva essere
fatta a colpi di maggioranza.
E’ interessante notare che il primo compromesso raggiunto
è stato quello riguardante il titolo della “legge”, che
da “procreazione artificiale” è mutato in “procreazione
medicalmente assistita”. La prima delle due espressioni
aveva, infatti, secondo i sostenitori della liceità delle
nuove tecniche, un significato fortemente negativo, dato
che era stata spesso utilizzata in chiave spregiativa da
coloro che rifiutavano in maniera assoluta qualsiasi
possibilità di accesso ai metodi scientifici di
riproduzione. L’espressione “procreazione medicalmente
assistita”, invece, oltre a non danneggiare l’immagine
delle nuove scoperte in tema di bioetica, ne sottolineava
la finalità di cura della sterilità.
Infatti, come spiegherò meglio in seguito, la
procreazione assistita è consentita solo in caso di
accertata sterilità della coppia.
5
Il progetto di legge è pubblicato in Bioetica, 1/98, pag.124, mentre la relazione acoompagnatoria è
disponibile in internet all’indirizzo http://www.camera.it
L’analisi delle varie problematiche connesse alla
fecondazione assistita sarà, dunque, condotta
principalmente sulla base del Testo della Commissione
Affari Sociali, avendo presente, però, da un lato, che lo
scopo di questa trattazione è di mettere in risalto le
varie questioni di carattere penalistico, e dall’altro
che il Testo summenzionato è tutt’altro che definitivo.
Infatti, nonostante esso abbia già superato positivamente
il vaglio della Commissione Affari Costituzionali della
Camera, molti sono ancora i motivi di discussione tra le
forze politiche, alcune delle quali hanno addirittura
dichiarato che quando il Testo arriverà in aula non lo
approveranno.
La situazione, inoltre, è resa ancor più complessa dal
fatto che la Commissione Affari Costituzionali si è
pronunciata favorevolmente sulla legittimità
costituzionale dell’impianto generale del Testo, ma,
nello stesso tempo, ha posto in evidenza la necessità di
approfondire e modificare alcuni punti, fissando quattro
condizioni
6
:
1) la fecondazione eterologa deve essere disciplinata in
modo tale da evitare fenomeni di selezione
eugenetica.
2) E’ necessario che, nell’individuazione dei soggetti
che possono accedere alle tecniche di riproduzione
artificiale, si precisi meglio la dicitura “coppie
stabilmente legate da convivenza”, al fine di evitare
elusioni della legge da parte dei singles.
3) Deve essere previsto lo status di figlio legittimo
anche per i nati da tecniche di fecondazione
assistita non applicate in conformità alla legge
(punibili sono solo i genitori, non il minore).
4) Devono essere rafforzate le norme a tutela
dell’embrione nella logica della legge 194/1978.
Il futuro del Testo è, dunque, tutt’altro che certo.
Per comprenderne appieno il significato, sarà comunque
utile dare uno sguardo alla disciplina giuridica degli
altri Paesi ed ai principi generali sanciti dal
Parlamento Europeo e dal Consiglio d’Europa in materia di
bioetica, dato che all’elaborazione del Testo unificato
si è arrivati anche osservando le soluzioni praticate nel
contesto internazionale.
6
Per una sintesi della decisione della Commissione Affari Costituzionali della Camera vedi l’Unità
di mercoledì 3 giugno 1998, pag.9.
Cap. 1. Il ruolo del diritto: la tutela dei beni
giuridici.
La possibilità di accedere, con una certa facilità, alle
tecniche di riproduzione assistita ha sollevato numerose
critiche, di carattere soprattutto morale.
Molti rifiutano l’idea che un bambino possa essere
concepito “in provetta” anziché mediante un atto d’amore
da parte dei futuri genitori
7
.
Ma la questione che ha scatenato maggiori polemiche
sembra quella riguardante la cosiddetta fecondazione
eterologa, ossia quella tecnica di riproduzione che
sfrutta le cellule germinali di un membro della coppia e
di un donatore estraneo ad essa: è inammissibile, secondo
i critici, che ai futuri genitori venga consentito di
fare una scelta così non curante delle esigenze del
figlio, come quella di farlo nascere da un estraneo
8
. E
si aggiunge: “Ridurre il diritto di procreare ad una
libertà individualistica e autonoma, sottratta alle norme
che regolano la trasmissione della vita, significa
inalberare come criterio operativo l’egoismo”
7
Cfr. Roberto Colombo, delegato della Conferenza episcopale italiana, il quale nell’audizione
tenutasi davanti alla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati nella seduta del 1°
luglio ’97, ha affermato che “le tecniche di fecondazione artificiale…….si sostituiscono di
fatto……all’atto coniugale…..L’atto che fonda l’esistenza dei figli non si iscrive più in un gesto
con il quale due persone che si amano si donano l’una all’altra, bensì in un processo che affida la
vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica
sull’origine e sul destino della persona umana”. Famiglia e diritto, n.6/97, pag.592, nota 43.
8
A questo proposito, nella “Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione”, redatto dalla Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa Cattolica, si
legge: “……La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio ad essere concepito e messo
al mondo nel matrimonio e dal matrimonio…….lo priva della relazione filiale con le sue origini
parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale”. Famiglia e diritto, n.6/97,
pag.592, nota 46.
(argomentazione portata anche a sostegno
dell’inammissibilità dell’accesso alle tecniche di
fecondazione assistita da parte della donna sola)
9
.
Analoghe considerazioni sono state fatte con riferimento
al fenomeno della maternità surrogata, per il quale, in
aggiunta, si è detto che comporti una “grave scissione
dell’atto generativo e una profonda frammentazione della
figura materna, essendo incontestabile che durante la
gestazione si creano stretti vincoli tra feto e organismo
materno”
10
.
Tutte queste problematiche di carattere morale non
possono, però, essere poste alla base di una legge sulla
fecondazione assistita, non essendo compito del
legislatore quello di proteggere le tradizioni e i
costumi di una società. Ciò è vero in particolare per il
diritto penale, mediante il quale il legislatore si
avvale del potere punitivo dello Stato per reprimere e
prevenire comportamenti ritenuti dannosi per la società e
per l’individuo.
La funzione del diritto penale è, infatti, quella di
tutelare beni giuridici, ossia situazioni di fatto
permeate di valore, mediante l’incriminazione di
comportamenti che li ledono o semplicemente li mettono in
pericolo.
Non si può invece accettare un diritto penale che punisca
condotte contrarie alla morale, se da esse non deriva
nessun danno (o pericolo) per l’individuo o per la
9
V. Gino Concetti, teologo, in l’Osservatore Romano di giovedì 12 febbraio 1998.
10
V. relazione al progetto Busnelli, intitolato “Norme di bioetica con particolare riguardo alla
fecondazione assistita”, in Famiglia e diritto n.2/97, pag.188.
società
11
.
E’ innegabile, infatti, che il nostro sia uno Stato
pluralistico, laico, ispirato a valori di tolleranza,
come si desume dalla nostra Costituzione, la quale
riconosce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge
senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione,
opinioni politiche, condizioni personali e sociali
(art.3, comma 1), nonché il diritto di tutti i cittadini
di manifestare liberamente il proprio pensiero (art.21,
comma 1), e l’uguaglianza e la libertà di tutte le
confessioni religiose (art.8, comma 1)
12
.
In uno Stato come il nostro, quindi, il diritto penale
non potrebbe essere utilizzato come strumento per imporre
ai cittadini un proprio codice morale di comportamento,
anche se conforme al costume della maggioranza della
popolazione. Se così fosse verrebbero violati il diritto
alla libertà morale implicitamente riconosciuto dalla
Costituzione ed i principi della tolleranza ideologica e
di tutela delle minoranze.
E’ altresì vero che un diritto penale modellato sulla
morale dominante svolgerebbe una funzione meramente
conservatrice e non sarebbe in grado di preservare
l’individuo e la collettività da quei comportamenti che,
11
V. Marinucci e Dolcini, “Corso di diritto penale”, paragrafo 4.1., pag.49, ss. e paragrafo 5.1.,
pag.75, ss. Cfr., inoltre, il “Manifesto per la libertà di procreare”, elaborato dalla Consulta di
Bioetica e dal Centro studi Politeia, in Bioetica, n.2/98, pag.325, nel quale si afferma: “alle leggi
chiediamo che mettano le condizioni per limitare i danni certi e non per configurare danni presunti,
quali possono essere quelli derivanti da assunzioni soggettive sull’ordine della natura e sull’essenza
della tecnica…..Le leggi….. non devono trasformare in mali morali oggettivi i tabù che ciascuno è
libero di rispettare ma che nessuno può imporre agli altri”.
Sulla necessità di limitare l’intervento del legislatore nella materia della fecondazione artificiale,
vedi, inoltre, la relazione al primo dei due progetti della Commissione Santosuosso, in
Giurisprudenza italiana, 1986, parte IV, pag.37.
pur essendo pregiudizievoli, non siano ancora percepiti
dalla comunità come tali
13
.
D’altro canto, va sottolineato il fatto che a volte le
norme penali nascono proprio per contrastare certe
pratiche ammesse dalla società, ma intollerabili se
considerate sotto l’aspetto del sacrificio di diritti
inviolabili che esse comportano (è il caso, per esempio,
dell’omicidio per causa d’onore, che viene punito alla
stregua dell’omicidio comune e non come reato minore,
nonostante il fatto che in certe zone d’Italia esso sia
considerato dalla collettività come una forma meno grave
di omicidio).
Compito della futura legge sulla fecondazione assistita
sarà, dunque, quello di apprestare un’efficace tutela dei
beni giuridici che possono essere lesi o messi in
pericolo dal ricorso alle attuali tecniche di
riproduzione artificiale.
Per l’individuazione di tali beni, utili indicazioni
possono essere ricavate dalla Costituzione, la quale da
un lato implicitamente impone dei divieti di
incriminazione, laddove riconosce come inviolabili,
soprattutto da parte del legislatore, i diritti di
libertà, il cui esercizio deve essere consentito senza
ulteriori limitazioni rispetto a quelle previste dalla
Costituzione
14
. Dall’altro lato si può affermare che i
beni costituzionalmente rilevanti sono incontestabilmente
meritevoli di tutela penale, anche se poi spetta al
12
V. Marinucci e Dolcini, “Corso di diritto penale”, paragrafo 5.1., pag.75, ss.
13
V. Marinucci e Dolcini, “Corso di diritto penale”, paragrafo 3.4., pag. 44-45.
14
V. Marinucci e Dolcini , “Corso di diritto penale”, par. 6.2., pag.113, ss.
legislatore la scelta del tipo di sanzione da applicare
(penale oppure no), dato che la meritevolezza di pena del
bene giuridico è condizione necessaria, ma non
sufficiente a legittimare l’incriminazione dei
comportamenti che lo offendono, essendo necessaria a tale
scopo l’inidoneità di sanzioni meno gravi (quali quelle
civili o amministrative) a garantire un’efficace e
proporzionata protezione al bene tutelato
15
.
Non esiste, inoltre, nella Costituzione nessun obbligo di
incriminazione (salvo l’eccezionale caso dell’art.13, per
il quale “è punita ogni violenza fisica e morale sulle
persone comunque sottoposte a restrizione di libertà”),
potendo, anzi, il legislatore considerare meritevoli di
tutela anche beni non contemplati dalla stessa
16
.
A questo proposito è utile ricordare gli sforzi compiuti
dalla cosiddetta teoria costituzionale dei beni
giuridici
17
nel tentativo di individuare dei criteri di
scelta dei beni meritevoli di tutela penale, dotati di
vincolatività nei confronti del legislatore ordinario, in
modo tale da eliminare il rischio di un esercizio
arbitrario della sua discrezionalità valutativa.
A questo scopo la Costituzione viene assunta come
criterio di riferimento nella scelta di ciò che può
legittimamente assurgere a reato, e ciò per due motivi:
a) Essendo la Costituzione un testo sovra-ordinato, è
possibile ricavare da essa dei limiti al potere punitivo
del legislatore ordinario.
15
V. Marinucci e Dolcini, manuale cit., par. 6.7., pag.148, ss.
16
V. Marinucci e Dolcini, manuale cit., par. 6.6.3.4., pag.142-143 e par. 6.4., pag.122, ss.
17
V. Fiandaca e Musco, "Diritto penale", parte generale, terza edizione, parte prima, cap.1, par.2.3., pag.12-13.
b) La pena sacrifica alcuni beni di rilevanza
costituzionale, come la libertà personale, la dignità
sociale e la piena estrinsecazione della personalità
umana. Quindi la sua applicazione può essere giustificata
solo quando è diretta a tutelare beni dotati di rilevanza
costituzionale.
La teoria costituzionale dei beni, dunque, non ammette il
ricorso alla pena come strumento di tutela di beni non
previsti, espressamente o implicitamente, dalla
Costituzione.
L’analisi del sistema penale vigente, tuttavia, dimostra
che il legislatore tutela anche beni privi di rilevanza
costituzionale.
Ci si potrebbe allora chiedere se la Corte Costituzionale
possa essere chiamata ad esercitare il sindacato di
legittimità in merito alla scelta dei beni giuridici
operata dal legislatore, ma la risposta non può che
essere negativa.
Il controllo di legittimità della Corte, infatti,
“esclude ogni valutazione di natura politica e ogni
sindacato sull’uso del potere discrezionale del
Parlamento” (L.87/1953)
18
.
Ciononostante la Corte Costituzionale è intervenuta, in
passato, su questioni di legittimità dei beni assunti ad
oggetto di protezione da parte del legislatore penale, ma
si è limitata a denunciare il conflitto tra le norme
penali oggetto del sindacato e l’esercizio di alcune
libertà costituzionalmente garantite.
18
Cfr. Fiandaca e Musco, “Diritto penale”, parte generale, terza edizione, pag.21.
Più precisamente, essa è pervenuta a pronunce ablative di
norme penali poste a tutela di interessi di manifesta
inconsistenza, rispetto alla maggiore importanza
rivestita dalle libertà costituzionali sacrificate da
quelle norme
19
.
Essa, quindi, si è sempre mossa con una certa cautela in
questo campo, dimostrando così di accogliere l’idea che
la politica dei beni giuridici rientri, in gran parte,
nell’ambito della discrezionalità valutativa del
legislatore.
Sennonché, la Corte Costituzionale ha negli ultimi anni
esercitato il sindacato di legittimità sulla base di un
nuovo parametro, quello della “ragionevolezza”, che pur
differenziandosi da quello della meritevolezza di tutela
del bene giuridico, in particolare per la sua maggiore
elasticità, viene comunque utilizzato come criterio di
valutazione del contenuto delle scelte compiute dal
legislatore
20
.
Più precisamente, il criterio della ragionevolezza viene
impiegato dalla Corte, soprattutto, nel giudizio
riguardante il bilanciamento, effettuato dal legislatore,
tra il bene giuridico che costituisce l’oggetto
principale della tutela apprestata dalla norma penale e i
beni giuridici “secondari” che necessariamente devono
19
Cfr. Fiandaca e Musco, “Diritto penale” parte generale, terza edizione, pag.21. Cfr. anche
Palazzo, il quale afferma che “non è dato riscontrare nemmeno una sentenza di accoglimento
fondata sulla natura non costituzionale del bene protetto”, in “Offensività e ragionevolezza nel
controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali”, in Riv. It. di diritto penale e proc.
penale, 2/98, pag. 372.
20
Cfr. Palazzo, “Offensività e ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sul contenuto delle
leggi penali”, in Riv. It. di diritto penale e proc. penale, 2/98, pag.371-372.
essere, in parte, sacrificati in virtù della suddetta
tutela
21
.
Così, per esempio, nella sentenza n.27/75, in tema di
aborto, la Corte, nel dichiarare costituzionalmente
illegittimo l’art.546 del codice Rocco nella parte in cui
non prevedeva che la gravidanza potesse essere interrotta
quando l’ulteriore gestazione implicasse un danno o
pericolo grave per la salute della madre, dopo aver
rilevato che “la scriminante dell’art.54 c.p. si fonda
sul presupposto di un’equivalenza” dei beni in conflitto,
concluse che: “Non esiste equivalenza tra il diritto non
solo alla vita, ma anche alla salute proprio di chi è già
persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione
che persona deve ancora diventare”
22
.
La Corte, dunque, con quella sentenza, dichiarò
illegittima una norma penale perché il legislatore non
aveva correttamente (o meglio ragionevolmente) bilanciato
il diritto alla vita del concepito con quelli alla salute
e alla vita della madre, sacrificando totalmente questi
ultimi a favore del primo.
In ogni caso, va detto che la Corte, pur avendo
interferito, avvalendosi del parametro della
ragionevolezza, nell’ambito delle scelte discrezionali
riservate al legislatore, non ha mai esercitato il suo
sindacato di legittimità portando a fondamento del suo
giudizio l’esistenza di un nucleo predeterminato di beni
meritevoli di tutela da essa individuati sulla base del
21
Cfr. Palazzo, “Offensività e ragionevolezza…”, cit., in Riv. It. di diritto penale e proc. penale,
2/98, pag. 379.
22
Sentenza 18 febbraio 1975, n. 27, in Giurispr. Cost., 1975, pag. 117.
dettato costituzionale, lasciando al legislatore il
compito di individuare quei beni e limitandosi a
dichiarare illegittime quelle norme che comportavano un
totale sacrificio di altri beni protetti dalla
Costituzione.
La problematica sin qui esposta attiene alla ricerca di
beni meritevoli di tutela. Ma, come ho già sottolineato
in precedenza, il requisito della meritevolezza non è
sufficiente a giustificare l’uso della sanzione penale.
Un diritto penale che considerasse tale requisito come
sufficiente al fine della scelta circa l’impiego della
pena sarebbe improntato all’idea della retribuzione,
della stigmatizzazione e della riaffermazione del valore
tutelato e trascurerebbe le esigenze di prevenzione
generale e speciale
23
. La pena, infatti, lungi dall’essere
un semplice strumento per la punizione dei colpevoli,
deve in primo luogo essere utilizzata come deterrente
verso il compimento di nuovi reati, sia da parte del reo
che del resto della società. A questo scopo, però, non è
detto che non esistano rimedi più efficaci e nello stesso
tempo meno gravosi della pena, la quale deve essere
intesa come ultima ratio, prima di tutto perché è
espressione del massimo potere punitivo dello Stato, il
quale, con un atto di forza, priva l’individuo della sua
libertà e poi perché spesso la sua applicazione comporta
costi superiori ai benefici. E’, infatti, dimostrato che
la pena, in particolare quella detentiva, non solo può
avere effetti criminogeni (il contatto con l’ambiente
23
Cfr. Marinucci e Dolcini, “Corso di diritto penale”, pag.142-143.
carcerario può stimolare l’insorgenza nel detenuto di
sentimenti di rabbia e ribellione che non lo allontanano
certo dal crimine), ma, in certi casi, può addirittura
comportare la lesione di altri beni di rilevanza
costituzionale
24
.
Prima di ricorrere alla pena, in definitiva, il
legislatore deve cercare altri tipi di sanzione che
possono essere ugualmente efficaci per la prevenzione del
crimine, pensando alla sanzione penale solo come estrema
ratio.
24
V. le considerazioni di Marinucci e Dolcini sulla non punibilità dell’aborto nei primi 90 giorni di
gravidanza, in “Corso di diritto penale”, pag.144.