IV
Il lavoro si apre con una breve introduzione di carattere storico-biografico,
Marina Cvetaeva a Praga, che descrive il rapporto della Cvetaeva con la capitale
ceca dove visse in esilio dal 1922 al 1925. Il secondo capitolo è invece dedicato
più dettagliatamente all’esposizione di caratteristiche e significati del Poema
Gory, ispirato alla poetessa dall’infelice storia d’amore con K. B. Rodzevič e
incentrato sulla trasfigurazione della “montagna” che da semplice colle
praghese diventa personaggio e scenario dell’intera opera. Nel terzo capitolo,
Problemi della traduzione, viene invece dato spazio ad alcune considerazioni sul
processo della traduzione attraverso la presentazione di alcune delle più
importanti riflessioni teoriche riguardanti il tema della traduzione letteraria.
La parte più consistente del lavoro, corrispondente al capitolo quarto, è infine
costituita da un’analisi strutturata in diversi paragrafi che corrispondono ai
criteri di confronto impiegati nell’esaminare le due traduzioni. Dopo una breve
presentazione delle due traduttrici ho preso in considerazione in primo luogo le
differenze tra i testi in lingua ceca e l’originale russo dovute alle diversità tra le
due lingue. Successivamente mi sono occupata del rispetto delle qualità foniche
del poema da parte delle due traduttrici e mi sono soffermata sul loro
comportamento nei confronti dei procedimenti stilistici adottati dalla Cvetaeva,
quali l’uso di enjambements, parallelismi e tropi di diversa natura. Infine, ho
preso in esame le modifiche che hanno subito alcune immagini nel passaggio
dal testo di partenza a quelli di arrivo, nonché i criteri che hanno portato alla
scelta dei vocaboli nelle traduzioni, con riferimento anche al condizionamento
esercitato in questo senso dalle regole metriche.
1
CAPITOLO PRIMO
MARINA CVETAEVA A PRAGA
Marina Cvetaeva giunse a Praga il 1 agosto del 1922 con la figlia Ariadna per
raggiungere il marito che, come molti altri ufficiali dell’Armata Bianca, aveva
trovato rifugio nella capitale ceca. Il governo cecoslovacco, guidato dal
Presidente Masaryk, offriva agli emigrati russi la possibilità di studiare
all’università garantendo un sussidio per mantenersi. Si erano così venute a
creare le condizioni affinché molti giovani in fuga dalla Russia postrivoluzionaria
si concentrassero in questo Paese, appena nato dallo smembramento
dell’Impero Austro-ungarico dopo la prima guerra mondiale. Praga divenne
quindi per breve tempo, insieme a Berlino e Parigi, uno dei centri principali della
seconda ondata dell’emigrazione russa.
E nella Praga della Prima Repubblica Marina Cvetaeva trovò la sua prima
patria dopo la Russia. Qui la poetessa russa risedette per tre anni e mezzo fino
al novembre del 1925 e qui visse molti dei momenti più significativi della sua
vita sia per quanto riguarda l’aspetto privato e sentimentale che per quello
creativo. Ivi nacque infatti nel 1925 l’amatissimo figlio Mur (Georgij) e
sperimentò la travolgente storia d’amore con Konstantin Boleslavovič Rodzevič,
anch’egli emigrato russo, storia che ispirò a sua volta notevoli opere letterarie
quali il Poema Gory, il Poema Konca e le poesie del ciclo Ovrag.
Queste opere testimoniano come a Praga la Cvetaeva abbia raggiunto la
maturità artistica, come afferma la studiosa Anna Saakjanc: «В Чехии Марина
2
Цветаева выросла в поэта, который в наши дни справедливо причислен к
великим»
1
.
Oltre a queste opere, a Praga e nei dintorni dove la poetessa russa era
costretta a vivere dalle precarie condizioni economiche che non le permettevano
di trovare alloggio nella capitale (Horní Mokropsy, Praha-Smíchov, Jíloviště,
Dolní Mokropsy, Všenory), nacquero il Poema Zastavy, Molodec, gran parte di
Krysolov e soprattutto i versi della sua più importante raccolta, Posle Rossii,
della quale, come scrive a Anna Tesková, 133 pagine su 153 sono legate a
Praga.
Incontriamo in esse molti luoghi reali della città, dai più famosi e celebrati
come i dodici apostoli dell’orologio di Staroměstské náměstí o la statua di
Brunsvík sul ponte Carlo che le ispira il celebre componimento Pražskij rycar’ al
colle di Petřín, sfondo e protagonista del Poema Gory e del Poema Konca, senza
tralasciare le più squallide periferie di Smíchov e Libeň, descritte nel ciclo
Zavodskie e nel Poema Zastavy.
Ma la Cecoslovacchia non è solo Praga, è anche la cittadina “tedesca” di
Moravská Třebova, che le ispira il poemetto Krysolov, ed è soprattutto la
natura, elemento in sé non molto presente nella sua poesia e che qui invece le
ispira il ciclo Derev’ja.
Il periodo praghese della Cvetaeva è anche uno dei periodi migliori della sua
vita in quanto riesce a partecipare alla vita culturale della città in misura molto
maggiore rispetto al suo soggiorno parigino. Qui infatti collabora alle riviste
degli emigrati russi “Studenčeskie gody”, “Svoimi putjami” e soprattutto “Volja
Rossii”, diretta da Mark L’vovič Slonim, con cui la poetessa instaura anche un
rapporto di amicizia. Con Valentin Bulgakov lavora invece all’almanacco
“Kovčeg”, su cui viene pubblicato per la prima volta il Poema Konca. Inoltre
partecipa alle discussioni e serate letterarie che si tengono all’hotel Veránek e
1
Cvetaeva, Marina, Sočinenja v dvuch tomach, s predisloviem A. Saakjanc, Moskva,
Chudožestvennaja literatura, 1988.
3
presso la Česko-ruská jednota, avendo così la possibilità di incontrare altri
scrittori russi, come Remizov e Chodasevič.
Pur non conoscendo il ceco, si interessa di letteratura ceca e non le sono
estranee le opere di Hašek, Kubka e in particolar modo di K. Čapek, mentre solo
più tardi imparerà ad amare Praga anche attraverso gli occhi di Rilke, scrittore
di madrelingua tedesca e praghese di nascita. E in Praga ella amava proprio
quell’unione di elemento slavo e cultura germanica che era tanto vicina alla sua
anima di poetessa russa, ma di madre tedesco-polacca e che aveva ricevuto
un’educazione tedesca. Forse anche per questo motivo, una volta giunta a
Parigi, la Cvetaeva non spezza il legame con la Cecoslovacchia, che si mantiene
anche grazie all’amicizia con Anna Tesková, traduttrice, giornalista e presidente
della Česko-ruská jednota. Con lei la poetessa intrattiene un affettuoso scambio
epistolare interrotto solo dal ritorno in Unione Sovietica.
All’amica ceca scrive più volte con nostalgia di Praga al punto da idealizzare la
città e il periodo là trascorso: « Как я хочу в Прагу! Сбудется? Еcли даже нет,
скажите: да! В жизни не хотела назад ни в один город, совсем не хочу в
Москву (всюду в России, кроме!, а в Прагу хочу, очевиднo пронзенная и
завороженная. Я хочу той себя несчастно-счастливой, - себя - Поэмы
Конца и Горы, себя - души без тела всех мостов и мест...» (Lettera ad A.
Tesková del 12 dicembre 1927)
2
. A Praga, la città che ama più di tutte dopo
Mosca, la poetessa sogna di tornare e trascorrere una giornata intera a
passeggiare con l’amica come tante volte aveva fatto durante il suo soggiorno,
2
Cvetaeva, Marina, Pis’ma k Anne Teskovoj, Praha, Academia, 1969.
“Come voglio venire a Praga! Sarà possibile? Anche se non lo è, ditemi di sì! In vita mia non ho
mai voluto ritornare indietro in nessuna città, non provo nessun desiderio di tornare a Mosca
(dovunque, in Russia, eccetto -!), ma a Praga sì, mi ha chiaramente trafitta, stregata. Voglio
quella me, infelicemente-felice del Poema della fine e della montagna, voglio la me stessa –
anima senza corpo di tutti quei ponti e quei posti”, trad. di Serena Vitale, da: Marina Cvetaeva,
Deserti luoghi. Lettere 1925-1941, Milano, Adelphi, 1989.
Poiché questo volume è in realtà un’antologia di lettere e non riproduce per intero lo scambio
epistolare tra la Cvetaeva e la Tesková ho dovuto talora sopperire alla mancanza della
traduzione italiana con una mia traduzione.
Cfr. anche la lettera del 2 luglio 1935: «Чехия осталась у меня в памяти как один синий
день. И одна – туманная ночь».
4
percorrendo le strette viuzze dall’atmosfera medievale, visitando le Chiese dove
il gotico si mescola al barocco e soffermandosi sul ponte Carlo a guardare la
Moldava e il suo amato cavaliere in cui si riconosceva.
Proprio per questo particolare rapporto con la città e con il popolo ceco,
rimane assai colpita dalla notizia dell’occupazione tedesca di gran parte del
territorio ceco, verificatasi in seguito alla Conferenza di Monaco del settembre
1938 e inizia a raccogliere tutte le notizie possibili dai giornali francesi, mentre
le sue lettere all’amica si fanno più concitate e intense. Tra il 1938 e il 1939,
mentre si consuma la tragedia della piccola repubblica aggredita con il consenso
delle potenze occidentali dal governo nazista, la Cvetaeva condensa il suo
amore per questo Paese negli Stichi k Čechii, il suo ultimo ciclo, scritto alla
vigilia del ritorno in URSS. Ad A. Tesková scrive: «Я Чехию чувствую
свободным духом, над которым не властна. А в личном порядке я чувствую
её своей страной, родной страной […]» (Lettera del 23 maggio 1938)
3
e:
«Бесконечно люблю Чехию и бесконечно ей благодарна, но не хочу
плакать над ней, (над здоровым не плачут, а она, среди стран –
единственная здоровая, больны – те!), итак, не хочу плакать над ней, а
хочу её петь» (Lettera del 3 ottobre 1938)
4
.
Purtroppo questi versi non verranno pubblicati subito in Cecoslovacchia a
causa della censura, ma dopo la fine della seconda guerra mondiale
diventeranno molto popolari e costituiscono tuttora uno dei motivi per cui la
poetessa russa è ancora molto nota e amata dal popolo ceco.
3
Cvetaeva, Marina, Ibidem.
“Sento la Boemia come un libero spirito sul quale i corpi non hanno alcun potere. E
personalmente sento la Boemia come la mia terra, il mio paese natale […]”, trad. di Serena
Vitale, op. cit.
4
Cvetaeva, Marina, Ibidem.
“Amo la Boemia infinitamente e le sono infinitamente riconoscente, ma non voglio piangere su
di lei, (sui sani non si piange e lei, tra i Paesi, è l’unica sana, ammalati sono gli altri!), sì, non
voglio piangere su di lei, ma voglio cantare di lei”, trad. mia.
5
A dire il vero, proprio in ceco era stata realizzata la prima traduzione di una
poesia della Cvetaeva, Na bul’vare, tratta dalla raccolta giovanile Volšebnyj
fonar’, nel lontano 1916 (su “Ostravský deník”, 16, 1916, č 104, Ostrava) da un
traduttore anonimo.
Durante il soggiorno della Cvetaeva in Boemia, invece, non venne eseguita
nessuna traduzione delle sue opere, ad eccezione di alcuni brani da Zemnie
primety, tradotta da O.I. Baber a Olomouc nel 1924 (“Eva”, 21, č 3, s.94-95).
Le prime traduzioni di componimenti del periodo praghese appaiono invece
negli Anni ’30-’40.
Ma una conoscenza più sistematica dell’opera della Cvetaeva grazie alla
pubblicazione di antologie di liriche tradotte in ceco avviene solo più tardi, pur
con anticipo rispetto alle lingue occidentali, quando nel 1967 esce la prima
raccolta curata e tradotta da Jana Štroblová, Černé slunce, che contiene tra
l’altro la traduzione di versi dai cicli Stichi o Moskve, Achmatove, Daniil, Don
Žuan, Bloku, Stol, nonché la prima traduzione del Pražskij rycar’ e del Poema
Konca (quest’ultimo peraltro già pubblicato nel 1966 sulla rivista “Svetová
literatura”
5
). La stessa traduttrice pubblica nel 1968 su “Sešity pro mládou
literaturu” la prima traduzione del Poema Gory
6
.
Nel 1969 appare invece il volume Pražské vigilie, contenente traduzioni di
Hana Vrbová, che diventerà l’altra grande traduttrice della Cvetaeva e che
traduce per la prima volta l’intero ciclo Bessonnica, poesie dai cicli Komed’jant,
Razluka, Zemnie primety, Derev’ja, Provoda, Oblaka, Čas duši, Stichi sirote,
nonché un’altra traduzione dei poemi Gory e Konca.
Da allora ad oggi si contano altre otto pubblicazioni di antologie che
raccolgono liriche e prose della poetessa, sempre tradotte e curate da J.
Štroblová e H. Vrbová (Basník a čas, 1970; Pokus o žarlivost, 1970; Hodina
duše, 1971; Já a mé srdce, 1981; Začarovaný kruh, 1987; Konec Casanovy,
5
“Svetová literatura”, 11,1966, č 4, s.197-208.
6
“Sešity pro mladou literaturu”, 3, VI, č 22, s.9-13.
6
1988; Basník a car, 1992 e Lichý střevíc, 1996) e due monografie dedicate
rispettivamente al Poema Konca (1981) e al Poema Gory (1992).
Oltre alle due traduttrici sopra menzionate, si sono occupati della Cvetaeva
diversi studiosi cechi, tra i quali vanno ricordati in particolar modo Galina
Vanečková e Olga Uličná che si sono occupate soprattutto dell’aspetto
linguistico (Uličná, Pražské poemy Mariny Cvětajevové, 1991; Vanečková,
Poetičeskie simvoly Mariny Cvetaevoj in Poezija, Simvol, Perevod, 1990) e del
rapporto tra la poetessa e la capitale ceca (Vanečková, Marina Cvětajevová a
Praha, 1984 e Praha Mariny Cvětajevové,1993), nonché Zdeněk Mathauser e Jiří
Honzík.
Galina Vanečková è anche presidente dell’Obščestvo Mariny Cvetaevoj, nata a
Praga nell’aprile del 2001, che si propone di mantenere viva nella Repubblica
ceca la memoria della poetessa russa. Grazie a questa associazione è stato
possibile raccogliere presso la Slovanská Knihovna di Praga una considerevole
quantità di materiale riguardante la Cvetaeva ed è stata organizzata una mostra
dal titolo Smert’ i žizn’ poeta.
Espressione dell’amore dei praghesi nei suoi confronti è anche la targa
commemorativa posta in Švědská ulice al n°51/1 373, dove visse tra il 1923 e il
1924, fortemente voluta fin dal 1982 e posta subito dopo la caduta del regime
comunista nel dicembre del 1989.
Nella Repubblica ceca si sono tenute anche alcune significative conferenze
internazionali, come quella svoltasi a Dobřiš nel 1992 in occasione dei 100 anni
dalla sua nascita e quella del 2000 a Všenory, in occasione dei 75 anni dalla
nascita del figlio. E anche il centro russo di cultura ha organizzato in suo onore
serate cui hanno partecipato poeti, attori, cantanti e studiosi cechi e russi, e ha
ospitato mostre come quella proveniente da Aleksandrov intitolata
Aleksandrovskoe leto Mariny Cvetaevoj, tenutasi nei mesi di settembre-ottobre
2002.
7
CAPITOLO SECONDO
IL POEMA GORY DI MARINA IVANOVNA CVETAEVA
2.1 – Analisi
Il primo febbraio 1924, Marina Cvetaeva conclude una delle sue opere più
importanti del periodo praghese, intitolata Poema Gory, che fu pubblicata per la
prima volta sulla rivista “Versty” a Praga nel 1926 e in seguito riveduta con
qualche modifica nel 1939-40 al suo ritorno in Russia, e dà inizio ad un’altra
famosissima composizione, il Poema Konca.
Fonte di ispirazione dei due poemi, così come del ciclo Ovrag, nonché di
numerosi componimenti poetici quali Drevnjaja tščeta tečet po žilam, Brožu –
dom že plotničat’, Ljublju – no muka ešče živa, Ty, menja ljubivšij fal’š’ju è
l’intensa, seppur breve, storia d’amore con Konstantin Boleslavovič Rodzevič,
anch’egli emigrato russo a Praga dove studiava Giurisprudenza con il marito
della poetessa, Sergej Efron.
Con queste due opere si apre una serie di poemi, come i posteriori Poema
Lestnicy, Komnaty e Vozducha, i cui personaggi sono solo in parte persone
reali, mentre un ruolo importante è svolto da oggetti inanimati e concetti
astratti resi vivi e animati dalla forza creativa della poetessa. Nel corso degli
Anni ’20 e ’30 si rafforza infatti quella tendenza della Cvetaeva che viene
definita “mifologija veščej”. Protagonisti sono oggetti, come la scala nel Poema
Lestnicy, le cui caratteristiche concrete e reali sono descritte talora con grande
precisione, e che tuttavia assumono il ruolo di simboli portatori di un significato
più generale. Si tratta di poemi che possono essere definiti “sperimentali” e
“personali”, in quanto al centro vi sono le vicende biografiche della poetessa,
trasposte però in forma simbolica attraverso tali oggetti. I poemi hanno perciò
8
due piani, uno autobiografico e uno mitico. Se nei poemi folclorici la poetessa
aveva cercato di esprimere i propri sentimenti e di narrare la propria storia
attraverso immagini e figure tratte dal mito, in questi poemi essa mitologizza
una vicenda biografica riprendendo, sì, simboli e archetipi derivanti dalla
tradizione classica o biblica o folclorica, ma per creare un’opera nuova che narri
la storia della sua vita.
Nel caso dei due poemi praghesi, ad entrare come protagonisti nella storia
narrata dall’io lirico sono prima di tutto alcuni luoghi concreti della città che
vengono ad assumere un significato simbolico. Elementi di questo tipo sono il
fiume Vltava (Moldava), che assume le caratteristiche del fiume infernale Lete, il
ponte che dovrebbe unire i due amanti, ma di fatto li divide e, soprattutto, la
montagna che dà il titolo al primo dei due poemi e, seppur con minor
importanza, è presente anche nel secondo.
Si tratta anche in questo caso di un luogo ben preciso, il colle relativamente
poco urbanizzato di Petřín, nel quartiere di Smíchov, una vera e propria collina
boscosa all’interno della città dove la Cvetaeva e Rodzevič amavano trascorrere
il tempo come due innamorati.
Il problema del genere
I poemi della Cvetaeva appaiono ben diversi dalla tipica forma del poema
romantico di tradizione puškiniana e lermontoviana, mentre presentano
caratteristiche comuni ad altri poemi nati nella prima metà del XX secolo, quali
Vozmezdie e Dvenadcat’ di Blok, Pervoe svidanie di Belyj e il Poema bez geroja
dell’Achmatova
7
. A differenza dei poemi ottocenteschi, infatti, nelle opere
novecentesche è assente una trama narrativa ben sviluppata che collega
strettamente i vari canti, che si presentano perciò piuttosto come una serie di
7
Venclova, Tomaš, Sobesedniki na piru: stat’i o russkoj literature, Vilnius, Baltos Lankos, 1997.
9
episodi spesso a sfondo autobiografico che si differenziano l’uno dall’altro anche
per l’uso di diverse forme metriche. Conseguentemente i canti si presentano
molto più indipendenti dalla struttura generale, e spesso a garantire l’unità
restano solo lo stile e l’elemento linguistico.
Nel caso del Poema Gory della Cvetaeva, è innegabile che esista un
collegamento stilistico tra i vari canti e che sia presente una sorta di trama, ma
è anche vero che alcuni episodi, come quello di Persefone (canto IV), possono
essere percepiti come componimenti singoli, come se si trattasse di una raccolta
di poesie anziché di un poema unitario.
La “trama” è qui rappresentata da vicissitudini, ricordi, pensieri dell’io lirico
che riflettono i sentimenti e la Weltanschauung della poetessa e si sviluppa
perciò in modo puramente associativo. L’unità è data in primo luogo
dall’immagine centrale della montagna e, a livello formale, da procedimenti
stilistici quali parallelismi e ripetizioni di versi da un canto all’altro. L’omogeneità
fonica viene invece raggiunta attraverso il prevalere in tutto il poema dei fonemi
g e r , accompagnati poi in ogni singolo canto da suoni diversi. I dieci canti
sono inoltre come contenuti in una cornice dalla dedica e dall’epilogo, che
creano una struttura simmetrica e conclusa.
Secondo la definizione di Ol’ga Uličná
8
, per la prevalenza dell’elemento lirico e
l’armoniosità della realizzazione, il Poema Gory è dunque un puro poema lirico,
a differenza del Poema Konca, in cui coesistono l’elemento narrativo (epico) e il
piano della confessione lirica. Perciò, pur esistendo un legame stretto tra i due
poemi, essi non si possono considerare un dittico, in quanto sono due opere
che riflettono in modo diverso il mondo poetico della poetessa e la stessa storia
d’amore.
8
Uličná, Olga, K problematike žanrovoj formy Poema Gory i Poema Konca Mariny Cvetajevoj, in
Sbornik přednášek z konference “Marina Cvetajevova a Československo”, Praha - Brno,
Masarykova univerzita, Centrum pro další vydelavaní učitelů, 1993.
10
La struttura del poema
I canti
Il Poema Gory è diviso in dieci canti di diversa lunghezza, preceduti da una
dedica (посвящение) e conclusi da un epilogo (послесловие).
Introduce il tutto un’epigrafe in tedesco, tratta dall’Hyperion di Hölderlin,
segno del grande interesse della poetessa russa per la letteratura classica
tedesca. Il testo, tratto dal secondo volume del secondo libro dell’opera, recita:
“Dich wundert die Rede, Liebster! Alle Scheidenden sprechen, wie Trunkne, und
nehmen gerne sich festlich.“
9
Nel romanzo epico-epistolare di Hölderlin questa frase, inserita in una delle
numerose lettere di Iperione a Bellarmino, è pronunciata dall’amico dello stesso
Iperione, Alabanda, nel momento del suo ultimo congedo: egli infatti è
consapevole che andrà incontro alla morte per mano dei fratelli della Lega della
Nemesi che aveva tradito proprio per salvaguardare la sua amicizia.
La Cvetaeva riutilizza questa frase al di fuori del contesto, applicandola al
proprio addio all’amato. Importante è quindi qui il riferimento alla separazione,
che diventa il tema del suo poema. Allo stesso tempo inserendo questa
citazione come epigrafe, la poetessa mette in evidenza alcune caratteristiche
stilistiche della sua opera, che è scritta in tono “solenne”, in quanto è, appunto,
un poema, e articolata in un discorso non piano e concreto, ma difficile e
simbolico, apparentemente senza logica come il parlare degli ubriachi. Secondo
9
“Ti stupisce questo discorso? Carissimo! Tutti coloro che prendono congedo parlano come
ebbri e prendono volentieri modi solenni“, trad. di Giovanni Scimonello, in: Hölderlin, Friedrich,
Iperione o l’eremita in Grecia, Pordenone, Edizione Studio Tesi, 1989.
11
la studiosa Osipova
10
, Iperione è l’eroe romantico dotato di elevatezza d’animo
che nel romanzo ascende la montagna, incarnazione del concetto dell’altezza
del sentimento amoroso.
L’ epigrafe costituisce perciò un’importante chiave di lettura per chi si accinge
a leggere l’opera, pur senza conoscere il contesto dell’opera da cui è tratta.
La dedica è costituita da un breve canto introduttivo formato da due strofe di
quattro versi costruite con la ripresa di versi e termini e schema metrico più
regolare rispetto agli altri canti. Per il resto, invece, non se ne differenzia
formalmente, anzi dà inizio all’allitterazione g, r, d e alla paronomasia гора-
горе.
Il termine “dedica” è da intendersi nel significato di “proemio”, ossia come
dedicazione alla divinità, piuttosto che ad una persona concreta. La poetessa vi
afferma infatti la volontà di cantare del dolore e della montagna.
Compare qui subito la soggettività dell’io lirico che si esprime in prima
persona (v. verbo e pronomi personali), come continuerà a fare in alcuni dei
canti successivi fino al termine.
L’epilogo è invece uno dei canti più lunghi - comprende infatti sette quartine -
ed ha anch’esso carattere molto personale.
Ci troviamo di fronte ad un “ritratto” appena abbozzato del protagonista
maschile, quale emerge nella memoria offuscata della poetessa: una macchia
bianca, senza tratti precisi. Ma è qui il riferimento più chiaro alla storia d’amore
tra i due eroi: per la Cvetaeva l’immagine dell’amato è indissolubile dal forte
sentimento che prova nei suoi confronti, al punto da non poterselo
rappresentare nella mente insieme ad un’altra donna.
10
Osipova, N.O., Tvorčestvo M.I. Cvetaevoj v kontekste kul’turnoj mifologii Serebrjanogo veka,
Kirov, izd.-vo VGPU, 2000.
12
Nel segno della vendetta, che non è però vendetta minacciosa e gravida di
oscuri presagi, ma solo vendetta della memoria, si chiude il poema.
Da notare che per esprimere queste forti emozioni la poetessa frammenta qui
il discorso più che altrove nel poema: il trattino compare quasi in ogni verso e
per due volte sono presenti i puntini di sospensione. Queste caratteristiche
avvicinano l’ultimo canto al Poema Konca, cui infatti è il più vicino
cronologicamente. Un’altra differenza formale che stacca l’epilogo dai canti
precedenti è il sostituirsi del suono l a r, che determina una percezione di
minore aggressività e che è collegato alla totale assenza della montagna
altrimenti sempre presente.
Redazioni diverse e varianti
Il Poema Gory che, come si è visto, è stato scritto nel 1924, fu pubblicato per
la prima volta nel 1926 sulla rivista “Versty”: in questa redazione, secondo
quanto scrive Irina Ševelenko nel suo Literaturnyj put’ Cvetaevoj
11
, ai versi 5 e
6 nell’espressione «черной ни днесь, ни впредь/ не заткну дыры» il buco
non era “nero”, ma “rosso” («красной ни днесь, ни впредь/ не заткну
дыры»): si trattava perciò di una ferita rossa e sanguinante, che trasmetteva la
sensazione di un’esplosione di dolore, mentre la redazione definitiva sembra
richiamare maggiormente un’idea di muta disperazione, di incapacità di vedere
altro al di fuori della propria sofferenza. Per la Ševelenko, in questa seconda
redazione «речь идёт о [ране] дымящейся, обгуленной, подобной жерлу
вулкана».
Tale redazione non è però quella definitiva poiché, quando la Cvetaeva tornò
in Russia, fra il 1939 e il 1940, si dedicò alla revisione e risistemazione delle sue
opere, compreso il poema in questione, dando origine alla redazione
11
Ševelenko, Irina, Literaturnyj put’ Cvetaevoj. Ideologija – poetika – identičnost’ avtora v
kontekste epochi, Moskva, Novoe literaturnoe obozrenije, 2002, nota 3, p.271.
13
considerata definitiva e perciò pubblicata in Russia. Tuttavia, ne esistono due
versioni leggermente differenti: confrontando le diverse edizioni pubblicate a
partire dagli Anni ’60
12
, ad esempio quella del 1965 e quella del 1980
13
, si può
notare una differenza al verso 10 del canto I (ed. del ‘65: «грудь, титанами
разыгранная», ed. del ‘80 «зря с титанами заигрываем!») e due difformità
ortografiche nei canti IX e X (’65: «вытя-гивания жил» vs ’80:
«вытягивания», «зá-ворóчались» vs «заворочались»).
In questi due ultimi casi si tratta di una differenza che non apporta riflessi
sulla semantica, quanto piuttosto sul piano dell’espressione e dello stile
dell’autrice, in quanto conferma la sua tendenza a giocare con le parole. In
particolare nel caso di «вытягивание» l’inserimento del trattino che spezza la
parola ha una funzione iconica in quanto rende visivamente la sensazione di
stiramento e quindi manifesta una sofferenza che si esprime sul piano fisico sia
nel corpo dell’io lirico sia nel testo, che ne costituisce una sorta di
prolungamento. La variazione del verso 10 del primo canto ha invece un riflesso
sulla semantica del testo, in quanto la prima versione, descrivendo la montagna
come un petto agitato dai titani, si riallaccia all’immagine del petto immobile
della recluta che però preannuncia la battaglia, mentre la seconda non offre
un’ulteriore descrizione della montagna, ma fa riferimento alla storia dei titani
ed al pericolo di scherzare con gli dei, e si collega perciò al tema della vendetta
divina contro coloro che si ritengono pari agli dei, anticipando così il verso 14
(«Бог за мир взымает дорого») e gli altri riferimenti sparsi in particolare nei
canti V e VIII.
12
Cvetaeva, Marina, Izbrannye proizvedenija, vstupitel’naja stat’ja Vl. Orlova, sostavlenije,
podgotovka teksta i primečanija A. Efron i A. Saakjanc, Moskva – Leningrad, Sovetskij pisatel’,
Biblioteka poeta, 1965, bol’šaja serija, vtoroe izdanije.
13
Cvetaeva, Marina, Sočinenja v dvuch tomach. Tom pervyj. Stichotvorenija, poemy,
dramamtičeskie proizvedenija, Moskva, Chudožesvtennaja literatura, 1980, s predisloviem Vs.
Roždestvenskogo, primečanija A. Saakjanc.