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1.1 L’inganno mediatico 
 
Le icone dell’11 settembre 2001
1
, nell’immaginario collettivo di chi 
ha vissuto quell’esperienza dallo schermo di un televisore, sono un 
aereoplano, che placidamente vira per colpire il suo bersaglio, e un 
grattacielo. Dopo il primo sgomento, quella scena e le seguenti 
vengono paragonate ad un brutto film per il quale nessuno pagherebbe 
l’ingresso al cinema tanto la trama è inverosimile. La Terra colpita da 
un meteorite o un tornado che spazza via intere regioni sono 
possibilità concrete, un aereo che entra volontariamente in rotta di 
collisione con un grattacielo frequentato da almeno quarantamila 
persone non è concepibile da mente ‘umana’. Eppure l’onnipresente 
occhio mediatico è lì a riprendere l’orrore reale ben più di una volta 
quel giorno, a testimoniare l’innegabile, a invadere il privato senza 
chiedere il permesso per trasmettere il suo messaggio al mondo.  
Visivamente le immagini amatoriali che tutti abbiamo visto non 
hanno nulla di così tremendo, sono astratte, al punto da non farci 
credere che stia succedendo qualcosa di irreparabile.  
                                                 
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  Il giorno 11 settembre 2001 con un attentato terroristico vengono dirottati quattro aerei, due 
colpiscono le Twin Towers del World Trade Center di New York City, uno colpisce il Pentagono, 
sede militare a Washington D.C., uno si schianta sul suolo di Pettysburgh, Pennsylvania. 
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La sterilità di quei primi fotogrammi del disastro ci ha regalato 
l’inganno di essere spettatori di un film. Solo con la ripetizione 
all’infinito di quelle immagini, arricchite di dettagli sempre più 
particolareggiati con il trascorrere del tempo, l’inganno iniziale 
diventa realtà, realizzando in noi l’orrore e donandoci la sensazione 
che un’era terribile sia iniziata.  
 
Una tra le migliori rappresentazioni di una New York City sotto 
assedio del terrorismo è il film The Siege – Attacco al potere
2
. La 
trama è quella di una metropoli che, in seguito ad attentati terroristici, 
reagisce accettando per difesa la legge marziale. Unici particolari che 
allontanano il lungometraggio dalla realtà sono l’eccessivo ottimismo 
finale e la data di ambientazione, che anticipa di tre anni gli attentati 
del 2001 e la realtà sconcertante che ne è scaturita. 
                                                 
2
  EDWARD ZWICH The Siege, The 20th Century Fox, 1998. 
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1.2 Viaggio interiore di un io collettivo 
 
 
Oggi, a tre anni di distanza, ad allarmarci è sufficiente un volto dai 
lineamenti arabeggianti seduto accanto a noi in metropolitana, un 
treno che si ferma per un guasto, un incidente aereo. Risultato di 
quello che passerà alla Storia come «l’11 settembre» è un io collettivo 
rimasto turbato, se non traumatizzato, da eventi eccezionali che non 
hanno trovato finora nessuna valvola di sfogo. I tanti trattati, articoli, 
lungometraggi pubblicati sull’argomento non si sono posti l’obiettivo 
di elaborare la perdita di qualcosa di impalpabile come la nostra 
serenità.  
Se scrittori e registi non hanno voluto trattare da vicino 
l’argomento, ciò è forse dovuto al timore di un eccessivo impatto 
emotivo sul destinatario. Ma è possibile dar vita ad un’opera 
cinematografica senza cadere nella crudeltà di un documentario e 
nella freddezza di un libro che analizza l’evento politicamente?  
La sceneggiatura che segue nasce da una necessità dettata dal 
desiderio di rielaborare, attraverso il registro emozionale, una realtà 
che mediaticamente è stata testimoniata con un linguaggio erroneo, 
considerato da tutti noi come qualcosa di  troppo lontano solo perché 
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visto in televisione. Rielaborare in questa sede la realtà non ha 
soltanto il significato di adattare i fatti reali alla finzione filmica, bensì 
cercare un finale in grado di rispondere alla necessità inconscia di 
trovare un risvolto positivo a tanta sofferenza.   
 
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2 UN’IDEA CHE CHIEDE DI ESSERE RACCONTATA 
 
Prima che sia identificata come tale, una sceneggiatura è un’idea 
che nasce da un’immagine, una storia, una situazione che chiede voce 
attraverso il suo continuo ripresentarsi alla mente. Come ogni cosa che 
si sviluppa nella fantasia, è tanto definita l’idea quanto caotico è il 
percorso da seguire per realizzarla.  
Se si cerca di ripercorrere all’indietro il tragitto che ha condotto alla 
stesura di questa sceneggiatura, è difficile stabilirne la scintilla 
iniziale. Sicuramente una delle idee principali è stata quella di dar vita 
ad un racconto-documento sull’11 settembre 2001, partendo dai tanti 
appunti, articoli e ricerche condotte, che mancavano di una qualunque 
organizzazione.  
Man mano che il lavoro procedeva, perdeva le caratteristiche che 
gli si volevano conferire: profondità, emotività, simbologia. Soltanto 
attraverso il racconto per immagini
3
 (per la cui trattazione si rimanda 
al testo di Paolo Morales) sarebbe stato possibile rendere ciò che ci si 
era prefissati.  
                                                 
3
 Cfr. PAOLO MORALES, Narrare con le immagini. Le tecniche del racconto cinematografico 
dallo script allo schermo, Dino Audino ed., Roma 2004. 
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Sono nate così le ambientazioni, le caratterizzazioni, i personaggi 
che a poco a poco hanno preso vita per raccontare se stessi e le loro 
storie. 
 
 12
3 COME NASCE UNA SCENEGGIATURA 
 
Un film non nasce solo grazie ad un’idea, necessita di un metodo 
valido per non apparire come un insieme di appunti confusi. Seguire 
un percorso che da un inizio conduca ad una fine è fondamentale, e 
per far ciò è necessario porre in essere quella che è definita la tecnica 
delle «tre fasi», che dalla stesura del soggetto porta alla scaletta prima 
e alla sceneggiatura poi.  
3.1 Soggetto 
 
Per Linda Seger
4
 il primo passo da compiere per giungere alla 
sceneggiatura, o per valutarne la coerenza interna, è la redazione di un 
soggetto
5
, racconto sotto forma di novella che delinea i punti 
essenziali della trama. Procedimento relativamente semplice poiché 
richiede pura inventiva, al soggetto segue la scaletta
6
, ovvero l’elenco 
dettagliato delle scene, prive di dialogo, che compongono la 
sceneggiatura. 
 
                                                 
4
 Cfr. LINDA SEGER, Come scrivere una grande sceneggiatura, Dino Audino ed., Roma 4° 
edizione 1997 [ed. or. Making a Good Script Great, Samuel French Trade 1994)], passim.  
5
 Cfr. ivi, p. 17. 
6
 Cfr. ivi, p. 16. 
 13
Nel caso specifico, il soggetto trattato è quello del weekend 
precedente gli attentati dell’11 settembre vissuto dai protagonisti. La 
trama delle tre storie, separate l’una dall’altra, non è di particolare 
profondità.  
Sono le vite di tre persone comuni, - Ellis, Carly, Mark - con i loro 
piccoli problemi, le loro incomprensioni, le loro paure, che vivono la 
vita come se esistesse un oggi da risolvere come base per il domani. Il 
loro microcosmo, però, sta per essere preso in consegna da un destino 
diverso. I protagonisti non sanno di vivere in quel momento il loro 
domani: Ellis non sopravviverà agli attentati e non pubblicherà le foto 
per cui ha lavorato, Carly non saprà mai se il figlio guarirà dalla sua 
malattia, Mark si riavvicinerà alla sua famiglia, ma non abbastanza a 
lungo per esserne felice.  
La drammaticità dell’intero script è in fondo questa: ognuno di noi 
potrebbe vivere le stesse storie, ma lo spettatore sa che tra noi e loro 
non può esserci identificazione totale, perché la corsa instancabile dei 
protagonisti per raggiungere il domani non porterà da nessuna parte. 
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3.2   Scaletta 
 
Un film è, dunque, in linea di massima il racconto delle 
vicissitudini di un personaggio e attraverso i suoi occhi vediamo i 
colori della realtà che lo circonda. Nella presente sceneggiatura la 
necessità di raccontare diversi punti di vista, diverse realtà, ha 
richiesto la delineazione di più storie ben distinte tra loro ma 
intersecate in funzione del momento finale.  
Improntare un’unica scaletta che delineasse le sfaccettature dei tre 
personaggi sarebbe stata impresa ardua, se non si fosse ricorso ad un 
metodo pratico. Il primo passo è stato, dunque, quello di creare delle 
schede contenenti le caratteristiche fisiche e caratteriali di ogni 
personaggio in modo tale da non confonderlo con gli altri. In seguito 
si è data vita ad una scaletta contenente l’elenco cronologico delle 
azioni fondamentali che ogni personaggio avrebbe compiuto 
all’interno della propria linea narrativa. Infine sono stati scritti i 
dialoghi e le didascalie – la sceneggiatura – per ognuno di essi.  
Il momento più complesso è stato intersecare armoniosamente le 
scene per tutti i personaggi.  
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Il problema principale con script così strutturati, infatti, è porre 
attenzione alla cronologia temporale, fondamentale per la creazione 
dell’ironia drammatica
7
 di cui il film è pregno.   
 
 
                                                 
7
 YVES LAVANDIER, L’ABC della drammaturgia Vol 2°, Dino Audino ed., Roma 2001, p. 245. 
[ed. or: La dramaturgie, Le Clown et l’Enfant, 1994]. 
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4 LA SCENEGGIATURA: struttura in tre atti 
 
Superato lo scoglio della delineazione del soggetto, è giunto il 
momento di stabilire il modo in cui si intende far procedere la storia 
da raccontare. Il modello che si è preferito seguire in questa sede è 
quello classico dei «tre atti» teorizzato, tra gli altri, da Linda Seger e 
Yves Lavandier
8
.  
Questo modello prevede la trattazione sistematica di tre momenti 
principali nella storia e ha lo scopo di garantirne lo sviluppo armonico. 
Se analizzando le varie fasi, dopo una prima stesura della 
sceneggiatura, non risultano evidenti le caratteristiche che rivelano 
tratti salienti di personaggi e linea narrativa, sono necessarie altre 
riscritture della sceneggiatura. 
Detto questo, i tre atti di uno script si rinvengono ne: 
a) la premessa; 
b) lo sviluppo; 
c) la risoluzione. 
                                                 
8
 LINDA SEGER, Come scrivere una grande sceneggiatura, cit., passim. 
YVES LAVANDIER, L’ABC della drammaturgia Vol. 1° e 2°, passim.