7
magnificenza, tutti elementi che caratterizzano questo periodo storico,
definito barocco.
Quando si passeggia per il centro storico romano e volgiamo lo sguardo ai
monumenti, ai dipinti, è facile pensare a questa vita sfarzosa ma
soffermandoci ci viene spontaneo chiederci: ma la gente, il popolo cosa
faceva? Come trascorreva il suo tempo? Di cosa si occupava?
Così alla base di tutto l’incantevole scenario, scopriamo l’esistenza di una
fervida attività economica portata avanti da artigiani e mercanti che
possiedono botteghe, acquistano e vendono, investono.
Si è tanto parlato di economia chiusa riguardo a Roma, forse rispetto ad altre
città dell’epoca questo potrebbe esser vero ma analizzandola dobbiamo
ricrederci poiché scopriamo tanta ricchezza di menti che va a formare la base
sociale in grado di dar vita ad una economia fondata sul credito.
Ecco perché la nostra ricerca si concentra sull’importanza del credito.
Il credito e quella rete di debiti che si forma nella società romana
preannuncia sicuramente l’età successiva definita capitalistica.
Nel 1600 non si può parlare di questo, esistono le condizioni, maturano le
esigenze economiche e tutto prenderà forma nel secolo successivo, fino a
delinearsi una struttura sociale nuova, fondata sull’economia di mercato
accompagnata da un sistema giuridico-legislativo molto più attento e
articolato a difesa dei cittadini.
8
Roma nel 1600 è una città viva economicamente, non possiede grandi
industrie ma in compenso è ricca di artigiani e mercanti, maestri e mastri,
giudici e notai.
Questi si sorreggono su un rapporto fatto di economia e bisogno, l’artigiano
lavora e se investe del denaro ha bisogno del notaio per registrare un
contratto, viceversa senza un movimento economico non avrebbero lavoro
giudici e notai, il loro compito è quello di applicare e far funzionare la legge.
L’artigiano che vuole per il figlio una posizione sociale meno sofferta della
sua ricorre al maestro per impartirgli lezioni sia di grammatica sia di
mestiere.
Sarà un ‘rentiér’, un futuro gentiluomo che vive di rendita e che rifugge ogni
attività che implica lavori manuali.
Le fonti utilizzate per questa indagine sul credito sono diverse, ci
siamo orientati tra gli studi effettuati da Ago, Delumeau, Braudel, Sella, e un
prezioso aiuto ci è pervenuto dai documenti ritrovati presso l’Archivio di
Stato di Roma interrogando l’inventario del Tribunale Criminale del
Governatore.
I processi sono ricchi di elementi che mettono in luce i modi attraverso i quali
la gente contrae un credito o in che modo si ritrova nella condizione di
debitore.
9
Questi processi possono esser letti come racconti di vita quotidiana composta
di liti, truffe, inganni e dai quali trapelano le emozioni dei vari protagonisti:
la fiducia tradita, la disperazione di chi si è visto truffato, derubato e ha visto
svanire ogni suo investimento.
Soprattutto ciò che emerge costantemente, è il rimettersi nelle mani della
giustizia, i nostri personaggi credono molto nelle figure giuridiche sia che si
tratti di un giudice che di un avvocato.
Attraverso il credito, il debitore ha la possibilità di essere agevolato sia per
l’acquisto di una qualsiasi cosa sia per un investimento, dal canto suo il
creditore deve, innanzitutto, riporre nel richiedente la massima fiducia e
successivamente deve saper aspettare il saldo del prestito effettuato.
10
I PROCESSI PER DEBITO NELLA ROMA DEL 1600
CAPITOLO I
Economia Urbana
Paragrafo 1. Cenni storici
Da molti storici il Seicento è stato trascurato come oggetto di studio poiché
considerato un periodo storico di decadenza e di depressione economica.
Tra l’altro anche Secolo che sin dai primi approcci storici è stato facilmente
associato alla peste, alla sofferenza, alla miseria, un po’ come lo scenario
manzoniano de “ I Promessi Sposi”.
Ma non è stato in fondo così buio, tetro e miserevole. Osservandolo sotto
altri parametri, sotto l’aspetto economico- sociale, emergono elementi di
studio affascinanti e nello stesso tempo curiosi.
Cercheremo di focalizzare l’attenzione sulla realtà quotidiana, sui singoli
personaggi, sui loro comportamenti e su tutti gli escamotage improvvisati
dalla povera gente o in ogni caso da coloro che per sopravvivere sono
dotati di uno spirito di furbizia commerciale da indurci ad approfondire la
ricerca.
L’Italia di questo periodo, nonostante la drammatica situazione di travaglio
11
e stanchezza per le guerre sostenute e nonostante il passaggio da un
conquistatore all’altro perseguirà un cammino economico inaspettato.
E se vogliamo, sarà proprio il Seicento a gettare le basi per tutte quelle
riforme che faranno del Settecento il secolo illuminato.
In questa sede prenderemo come punto di partenza e di riferimento l’anno
1559 che ha significato un momento fondamentale nella storia del nostro
paese poiché sancirà la dominazione spagnola.
L’anno della pace di Cateau-Cambrésis stipulata tra Spagna e Francia.
Con circa metà del territorio sotto il suo diretto controllo e con le risorse del
suo vasto impero, la Spagna, grazie alla sua posizione politica, è in grado di
far sentire la sua influenza sulla maggior parte degli Stati italiani, che
seppure ufficialmente indipendenti, venivano a essere suoi satelliti a causa
del forte indebitamento verso essa
1
.
Quanto al papa, con la forte ascesa del protestantesimo e con un rapporto
incerto con la Francia, non gli restava altra scelta che appoggiarsi alla
Spagna per assicurarsi la difesa per la causa cattolica
2
.
In ogni caso, l’Italia visse un lungo periodo di pace, senza coinvolgimenti
politici devastanti, potendo gestire i suoi affari interni sia politici sia
economici.
In qualche modo, l’Italia deve darsi un’identità socio-economica.
12
La situazione politica si complica dal 1598, quando la Francia ritorna a
rango di grande potenza e inevitabilmente verrà a scontrarsi nuovamente
con la sua rivale Spagna, per motivi e disegni politici espansionistici: in
questo caso era in gioco l’ Europa.
Il ritorno sulla scena della Francia riaccende le speranze di quanti volevano
disfarsi del nemico spagnolo tanto da indurre prima il duca Carlo
Emanuele I e, dopo, il papa Urbano VIII, a far si che la Francia si
intromettesse negli affari politici italiani.
Difatti, Carlo Emanuele I crea una Lega con lo scopo preciso di cacciare gli
Spagnoli dall’Italia del Nord, ma il tentativo non vedrà che il fallimento
3
.
A causa della guerra dei Trent’anni, l’Italia diventa teatro di guerra e la
conseguenza più grave è stata la sottoscrizione del Trattato di Cherasco.
Quest’ ultimo, infatti, se da una parte fu un successo per il cardinale
Richelieu, per l’Italia significò un’altra solida presenza: la Francia.
Persino papa Urbano VIII ebbe da ridire e a tal proposito leggiamo una
sua dichiarazione:
“…che forse sarebbe peggiore di quello dei Spagnoli, per la volubilità, insaziabilità
e leggerezza di quella nazione”
4
, eppure proprio lui aveva incoraggiato
l’intervento francese negli affari italiani con la sua politica di equilibrio.
1
D. SELLA, L’ Italia del Seicento, Laterza, 2000;
2
D. SELLA, L’ Italia del Seicento, Laterza, 2000;
3
D. SELLA, L’ Italia del Seicento, Laterza, 2000;
4
D. SELLA, L’ Italia del Seicento, Laterza, 2000;
13
Dal canto suo, lo Stato Pontificio, in questa situazione, non aiutò
certamente a dare un’immagine di sé diversa poiché, annettendo il Ducato
di Urbino, nel 1631 diede la conferma di esser interessato solo
all’espansione territoriale.
Il suo prestigio cadde quando, poi, tentò di annettere anche il Ducato di
Castro
5
.
Non esiste una spiegazione semplice in grado di dar conto di come il
sistema degli Stati italiani e la loro struttura interna sono sopravvissuti.
Sella ci dice che un ringraziamento andrebbe ai monarchi spagnoli, da
Carlo V in poi, poiché si impegnarono a rispettare e conservare l’identità e
l’autonomia dei possedimenti italiani.
Questa apparente stabilità non poteva che apportare cambiamenti
istituzionali e come dicevamo
6
, sarà il punto di partenza dei riformatori
protagonisti del Settecento.
Durante il Seicento si cercherà di tenere a freno l’anarchia della nobiltà
feudale e di limitare l’influenza della Chiesa nella vita degli Stati.
Tutto porterà a rivalutare questo secolo, creare un’altra immagine fino a
dimostrare che i governi italiani non furono dei puri fossili della storia ma
organismi viventi
7
.
5
Ibidem
6
Pag. 1
7
D. Sella, L’Italia del Seicento, Laterza, 2000;
14
Paragrafo 2. L’economia
Storici ed economisti hanno a lungo dibattuto sulle varie formule che
servono per distinguere i diversi tipi di economia e in che modo sono tra
loro collegate nel progresso sociale.
Ogni tipo di evoluzione attraversa diversi stadi di formazione, così anche
per il progresso socio – economico dobbiamo tener presente tre tipi di
economia: naturale, monetaria e creditizia.
Alfons Dopsch afferma che in una società in cui lo scambio manca del tutto
o esiste solo quello che ha la merce come suo oggetto, si potrà parlare di
economia naturale fondata, appunto, sullo scambio in natura
8
.
Non bisogna cadere nell’errore e credere che l’esistenza di questo tipo di
economia presuppone l’assenza di quella monetaria e/o creditizia,
piuttosto bisogna chiedersi come possono coesistere nello stesso contesto
storico italiano.
Una si distingue dall’altra, eppure per secoli la moneta è stata affiancata
dallo scambio in merce, in natura.
In molti casi addirittura si mescolano tra loro: possiamo trovare situazioni
in cui il proprietario di un intero capitale percepisce gli interessi in natura,
8
Alfons Dopsch, Economia naturale ed economia monetaria nella storia universale, Firenze, 1949 è citato in
Storia d’ Italia, G.Einaudi Editore, Torino,1983 a cura di Romano e Tucci;
15
cioè in agnelli, legumi e altri generi alimentari, così fece il re di Napoli
Ferrante che pagava gli stipendi in grani e stoffe
9
.
L’economia naturale predominava su quella monetaria, in alcune aree
geografiche la moneta non circolava e non poche documentazioni riportano
lamentele per l’assenza di denaro per il pagamento del salario.
Il fenomeno del baratto si estende anche nei rapporti economici e
commerciali con i paesi esteri, dimostrando che non è un problema
unicamente italiano.
Accanto al problema del tipo di pagamento e a quale forma
economica utilizzare, emerge la dimensione, altrettanto estesa,
dell’indebitamento.
Indebitamento, anch’esso in generi: un salario da pagarsi in moneta
alla fine è saldato in natura a causa dell’indebitamento che si crea tra
l’operaio e il suo datore di lavoro.
9
Annali della Storia d’Italia, vol.II, Economia naturale, economia monetaria, Torino, Einaudi, 1983 a cura di
R. Romano e U. Tucci;
16
Paragrafo 3. Economia naturale ed economia monetaria
Nel paragrafo 2 abbiamo fatto cenno alla coesistenza dei due tipi di
economia, all’uso che si fa o dell’uno o dell’altro o di entrambe.
In un primo tempo, storicamente parlando, il continuo ricorso
all’economia naturale anziché monetaria è accettato perché
appartiene al vecchio sistema economico, inoltre a prescindere
dall’accettare o meno lo scambio, l’economia naturale è il sistema
prevalentemente usato.
Ad un certo punto sembra che questo vecchio sistema sia rifiutato, si
parla di monetarizzazione dalla rivolta dei Ciompi nel 1378 che
rivendicano di essere pagati in moneta grossa e non più in moneta
piccola
10
.
La coesistenza di un’ economia naturale e di una monetaria per
quanto tempo si affianca nel progresso sociale?
E’ difficile dare indicazioni esatte e non può esistere una data perché
la conversione da naturale a monetaria, per non parlare di quel
sistema economico creditizio, non ha potuto che compiersi
gradatamente e distinguendosi da regione a regione.
17
Certo è che lo stadio dell’economia naturale scompare lentamente nel
corso dei secoli, e bisogna chiedersi perché ha tempi così di lunga
durata.
La risposta è semplice: il salario in natura, nei momenti di maggiore
inflazione, ha permesso ai lavoratori di resistere alle pressioni
inflazionistiche e viceversa ha aiutato i datori di lavoro negli stessi
momenti di difficoltà a liquidare un lavorante con grani e legumi
anziché con somme di denaro.
Per quanto riguarda le emissioni monetarie nel XVIII sec., abbiamo il
caso del Piemonte nel quale venivano definite “nobile”, questo
significa che la maggior parte di queste emissioni è composta di
monete d’oro e d’argento e una minima di rame.
Questo ci conduce ad unica conclusione: il grosso della popolazione è
esclusa dalla circolazione monetaria.
Terminiamo questo paragrafo affermando che il passaggio dall’
economia naturale all’ economia monetaria, pur se non lineare, c’è
stato e sicuramente per tutti coloro che la moneta era ancora
sconosciuta, è stato un passaggio sofferto.
10
Annali della Storia d’ Italia, vol-II, Economia naturale, economia monetaria, Torino, Einaudi, 1983, a cura di R.
Romano e U. Tucci;
18
A questo proposito, Fernand Braudel afferma che ha rappresentato
un grande sconvolgimento nelle mentalità di ogni singolo uomo.
Paragrafo 4. L’economia tra gli scrittori
Il sistema economico e il diverso modo di rapportarsi verso di esso lo
troviamo citato,valorizzato, ironizzato, mitizzato da diversi scrittori.
Tra questi Lorenzo de Medici che mostra, attraverso l’elaborazione di
un mito, il passaggio dall’economia naturale a quella monetaria.
L’economia naturale rustica e modesta, senza ambizioni e lotte
politiche, è preferibile a quella del suo tempo in cui già si delinea
quella monetaria; e per scrivere due poemi “Selve d’amore” e
“Altercazione” dimostra che benché fosse prediletto il sistema naturale
o “pastorale” , la moneta circolante comincia ad avere un’influenza
forte e a ragione Braudel si esprime con il termine di
“sconvolgimento nelle mentalità”
11
.
Poliziano, altro scrittore del Rinascimento, nel suo poema “Stanze per
la giostra” non farà che evocare l’età dell’oro durante la quale non si
11
F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), I, Le strutture del quotidiano, Torino, 1982,
pag.406- 407;
19
conosce ancora la moneta e non potevano esistere quei disordini che
essa comporta nella società.
E ancor Petrarca nel “De vita solitaria” polemizza continuamente
contro la moneta idealizzando l’età naturale.
Non potremmo, parlando di scrittori fra Tre e Cinquecento,
dimenticare Dante Alighieri perchè già alla sua epoca la moneta è
vista come motivo fondamentale della perduta felicità, motivo
cristiano e a ben ragione, considerato il rapporto mantenuto dai papi
ed ecclesiastici verso il lusso e la ricchezza.
Ugo Tucci attesta che il successo del topos antimonetario è
sostanzialmente legato alla rifeudalizzazione e al successivo sviluppo
della cultura di corte
12
.
12
Annali della Storia d’Italia, Economia naturale, economia monetaria, Torino, Einaudi, 1983 a cura di R. Romano e U.
Tucci;