la complesso e non ancora adeguatamente assimilato da parte della popolazione
mondiale.
Da un breve excursus storico sulle ONG si scopre che la loro origine si colloca
molto indietro nel tempo, addirittura alla fine del XVIII secolo in Inghilterra. Ma esse
hanno avuto un ruolo determinante in particolare durante la scrittura della Carta
delle Nazioni Unite, poiché sono riuscite a catalizzare l’attenzione mondiale sui dirit-
ti umani e sulle libertà fondamentali. Si rivelò una cosa straordinaria il fatto che 50
Stati, che di solito avevano difficoltà a raggiungere un punto di vista comune su
molte questioni, si fossero trovati d’accordo in un campo complesso come quello dei
diritti umani. Le ONG e le loro pressioni politiche hanno avuto un ruolo determinan-
te anche nell’adozione di un documento fondamentale per la storia dei diritti umani,
la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Eleanor Roosevelt riteneva che le ONG avessero un valore indispensabile poiché
esse avrebbero potuto dar vita ad un “curious grapevine”, cioè ad un singolare flus-
so di notizie incontrollate, che avrebbe portato le parole ed il significato racchiusi
nella Dichiarazione Universale a tutte le persone, anche a chi ne era tenuto all’oscu-
ro dai regimi totalitari.
All’interno delle Nazioni Unite le ONG non hanno ottenuto il diritto al voto, ma
la cosa importante è che esse abbiano, nella pratica, accesso a tutte le conferenze ed
ai comitati ONU e la possibilità di esercitare pressioni influenti nei corridoi delle
grandi istituzioni. Questo assume una notevole importanza se si pensa che oggi, alle
Nazioni Unite, la maggior parte delle decisioni viene presa per consenso.
Nel secondo capitolo si analizza più a fondo il rapporto delle ONG dei diritti
umani con il governo e con la società civile. Vengono messi a confronto due approc-
ci teorici dei quali uno ritiene che lo Stato sia l’unità base di analisi e che, quindi, le
ONG debbano regolare le proprie attività in modo da conformarsi alle più ampie
imprese degli Stati; in questo caso le ONG si vedono concedere poco spazio per
esercitare un’attività autonoma. L’altro approccio, definito come ‘approccio sociale’
ritiene che le organizzazioni siano fatte da persone che lavorano insieme per realiz-
zare un particolare prodotto per mezzo di una tecnica pertinente, e che le ONG
siano assimilabili ad una struttura reticolare.
Le ONG sono state sempre più capaci di accrescere il loro peso nella politica
mondiale, a volte assumendo dei compiti e fornendo dei servizi che, fino a quel
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momento, erano stati una prerogativa degli Stati. A tutto questo ha contribuito anche
la globalizzazione, ridefinendo il concetto stesso di sovranità dello Stato e dando un
posto di rilievo anche agli attori non statali. Nonostante la diffidenza che, in molti
casi, gli Stati hanno dimostrato nei confronti delle ONG, soprattutto quando queste
ultime hanno fatto capire di essere più vicine e di conoscere meglio le richieste della
gente, esse si sono dimostrate utili anche per molto del lavoro nell’ambito delle
Nazioni Unite. Tuttavia questo non dà per scontata una legittimità superiore delle
ONG, anch’esse infatti hanno precise responsabilità nei confronti del personale, dei
volontari, dei loro membri, delle agenzie finanziatrici che danno denaro per proget-
ti e programmi, dei governi, della gente che trae beneficio dal lavoro che esse svol-
gono, di altre organizzazioni dei diritti umani e agenzie con le quali collaborano, o
che il loro lavoro tende ad influenzare. Inoltre le organizzazioni dei diritti umani si
devono attenere anche a precise responsabilità verso gli standards internazionali dei
diritti umani, verso il proprio mandato, verso la legge (cioè verso le obbligazioni
legali e fiscali che le organizzazioni possono avere in base alla legge nazionale).
Infine, non ci si può limitare a fare una sommaria separazione morale tra il mondo
“sporco” dei politici e quello “pulito” delle ONG poiché spesso vi sono stati, e vi
saranno, compiti che hanno richiesto un collegamento tra le ONG e le istituzioni
pubbliche o coloro che devono prendere le decisioni politiche.
Nel corso del lavoro si prendono in considerazione le principali funzioni portate
avanti dalle ONG, tra le quali si possono annoverare: la produzione di informazio-
ne specializzata, lo stabilimento di nuovi standards (area prima di esclusiva pertinen-
za dei governi) e di nuove disposizioni (e questo perché spesso le ONG si rivelano
più preparate rispetto ai governi in certe aree, grazie al fatto di riuscire a stabilire
delle relazioni più ravvicinate con la realtà delle violazioni), la capacità di influenza-
re le decisioni delle politiche governative alimentando la pressione esercitata da
parte delle ONG nazionali prima di arrivare agli incontri ONU, la capacità di svolge-
re ruoli importanti anche nell’attuazione di quelle stesse decisioni. Esse hanno poi
un fondamentale ruolo educativo, che si svolge attraverso le campagne di informa-
zione e di educazione pubblica, che hanno lo scopo di rendere i cittadini consape-
voli dei diritti che devono essere garantiti loro nel rispetto degli standards interna-
zionali, e di far sì che gli Stati si dimostrino responsabili verso i loro impegni inter-
nazionali. L’informazione che esse riescono a raccogliere costituisce l’arma principa-
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le per fare pressioni sui governi che vengono accusati di non rispettare quegli stan-
dards.
Un’area di particolare interesse per le ONG è quella che riguarda la comunicazio-
ne, uno strumento centrale per molte delle loro attività. Il sistema di comunicazioni
globalizzate garantisce alle ONG dei diritti umani informazione, assistenza e suppor-
to. Per questo motivo esse hanno assunto un ruolo sempre più attivo nei confronti
dei mezzi di comunicazione, istituendo propri incaricati per la stampa, diffondendo
informazione in modo diretto, mettendo in atto una certa competizione anche con i
governi e le altre istituzioni per ottenere l’attenzione dei mezzi di comunicazione. Ma
il mercato dell’informazione le porta necessariamente a dover affrontare anche dei
compromessi, ad esempio la necessità di adeguarsi a precise tecniche e richieste del
mondo dei media a discapito di un’informazione corretta e approfondita. Quello che
i mezzi d’informazione esigono è la semplicità, la franchezza, la personalizzazione
dell’informazione, cose che le normali notizie sui diritti umani non riescono a sod-
disfare. Per questo, per le ONG insorge la necessità di promuovere la formazione e
l’uso efficace dei mezzi di comunicazione, di sviluppare proprie tecniche di comu-
nicazione per dirigere in modo efficiente l’informazione verso i media. Nuove oppor-
tunità vengono offerte dalla diffusione delle tecnologie della comunicazione globa-
le. Tra queste Internet rappresenta uno strumento in grado di garantire una risposta
veloce alle denunce che vengono rivolte alle ONG sia da parte di altre organizzazio-
ni che dei singoli individui. Ma, al di là di tutti i vantaggi che esso può offrire —
velocità, bassi costi di trasmissione, interattività… — è necessario fare i conti anche
con i pericoli e i limiti in esso impliciti, come quello che la sua fruibilità possa riguar-
dare anche soggetti che utilizzano male l’informazione, o l’impossibilità per molte
persone di accedere agli stessi strumenti garantiti invece a tutti coloro che abitano
nei paesi più ricchi del Nord del mondo, o il fatto che chi lavora sui diritti umani
possa ricevere più informazione di quella che può effettivamente riuscire a control-
lare. È necessario allora che, dopo aver raccolto l’informazione, vi sia anche la capa-
cità di filtrarla e diffonderla in modo adeguato.
Infine, si è provveduto a descrivere degli strumenti che fossero in grado di verifi-
care l’impatto che le ONG hanno sui cambiamenti e sull’ambiente in cui viviamo.
Ma, dato che è impossibile separare le influenze delle singole organizzazioni e iso-
lare l’ambiente in cui agiscono, l’efficacia può essere verificata in termini di comples-
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sivo miglioramento; un indice di successo è quello che vede le ONG avere un ruolo
importante nello standard setting, e il fatto che i governi non possano più esclude-
re le ONG quando si devono disegnare gli accordi internazionali che riguardano i
diritti umani.
Dopo aver affrontato in modo generale il ruolo e il contesto d’azione delle ONG
dei diritti umani, il terzo e il quarto capitolo si concentrano su una delle più grandi
ONG dei diritti umani del mondo odierno, per numero di membri, per estensione e
per impatto, Amnesty International.
Amnesty ha avuto un ruolo fondamentale nello stabilire standards internazionali
e norme sui diritti umani, nel fare pressione per dar vita a garanzie profonde e vin-
colanti e far luce sul vuoto tra i principi esistenti e l’effettivo esercizio dei diritti
umani.
La cultura organizzativa di AI ha un carattere fortemente democratico, il che rap-
presenta sia una forza che una debolezza dell’organizzazione poiché, prima di intra-
prendere qualsiasi movimento, essa deve fare in modo che lo studio di un caso spe-
cifico passi attraverso l’estesa membership da cui è costituita per poter essere alla
fine costruito il consenso, con l’inevitabile conseguenza che tutto ciò crea notevoli
lentezze nel processo decisionale e quindi applicativo.
Amnesty International è una delle più grandi organizzazioni non governative che
si occupano di diritti umani, con un milione e ottocentomila membri, sostenitori e
sottoscrittori in 150 paesi e territori. Si dichiara indipendente, dal punto di vista finan-
ziario, dai governi nazionali, elemento che rinforza la sua imparzialità rispetto a qual-
siasi schieramento politico. Per garantire tale imparzialità AI ha sempre vietato ai suoi
membri di lavorare su casi che appartengono al proprio paese e di studiare il modo
in cui i propri governi mettono in pratica i diritti umani, e questo sia per mantenere
l’imparzialità politica e l’obiettività, che per proteggere i membri dalla repressione
governativa. Tra gli obiettivi di AI vi sono quello di garantire il rilascio di persone
imprigionate per le loro credenze politiche, religiose o di altro tipo o a causa della
loro origine — purché non abbiano usato o difeso violenza —, assicurare processi
equi e veloci per tutti i prigionieri politici, abolire la pena di morte, la tortura e qual-
siasi trattamento inumano o degradante di prigionieri o altre persone detenute, porre
fine alle esecuzioni extragiudiziali e alle “scomparizioni”. Tuttavia, anche AI presen-
ta delle debolezze, come il fatto di avere una presenza precaria al Sud, o che la sua
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membership debba ancora assimilare in profondità l’inserimento dei diritti economi-
ci, sociali e culturali nel mandato, e infine, come accennato, la lentezza del suo pro-
cesso di decision making.
Il programma di lavoro più estensivo di AI con le Oig riguarda le Nazioni Unite.
Lavorare all’interno di quest’organo assume un’importanza di rilievo poiché rappre-
senta un luogo in cui poter esporre le violazioni e far progredire le frontiere della
protezione dei diritti umani. AI ha acquisito lo status consultivo all’ONU nel 1964,
cosa che le conferisce una posizione internazionale, la possibilità di partecipare ad
importanti incontri ONU e di sottoporre documenti e dichiarazioni di rilievo per il
complessivo lavoro sui diritti umani. Ha avuto un ruolo centrale anche nella pressio-
ne per aumentare il dibattito sull’istituzione di un Alto Commissario per i diritti
umani. Uno scopo del lavoro di AI alle Nazioni Unite è contribuire allo sviluppo e
al rafforzamento dei meccanismi internazionali per la promozione dei diritti umani;
la sua presenza alle Nazioni Unite contribuisce anche ad una migliore comprensio-
ne di cosa sia AI e di cosa si occupi. AI non si limita a far sorgere casi e problemi
su un particolare paese all’interno del sistema ONU, ma contribuisce in modo attivo
anche a studi e dibattiti su questioni emergenti dei diritti umani. AI ha cominciato ad
avere un ruolo importante anche nell’area delle operazioni di peacekeeping portate
avanti dalle Nazioni Unite soprattutto a partire dagli anni Novanta. È proprio in que-
sto periodo che, parallelamente a quelle operazioni, sorge una maggiore attenzione
nei confronti dei diritti umani. AI ha iniziato ad esaminare tali operazioni più da vici-
no concentrandosi, in particolar modo, sulla situazione dei diritti umani nel paese
interessato dall’azione ONU e sui passi da fare perché si desse la giusta attenzione
al rispetto dei diritti umani.
Tra i punti di forza di AI ci sono sempre state le persone che la compongono, il
fatto di coinvolgere in modo personale i suoi membri, la sua flessibilità strutturale e
di gestione...
Ma, a parte tutte le caratteristiche e i successi di cui AI è stata protagonista, esi-
stono anche importanti sfide che essa si trova a dover affrontare poiché immersa,
come tutti, in nuove realtà politiche ed economiche. Le nuove comunicazioni elet-
troniche offrono rapidità, danno più immediatezza ed impatto alle notizie sui diritti
umani e rendono i confini nazionali più permeabili ai flussi d’informazione, così che
AI possa gestire in modo più rapido ed efficiente gli affari interni ed il processo di
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decision making e possa mobilitare in modo più rapido gli attivisti e le campagne.
AI si trova però a dover fare i conti anche con problemi quali la proliferazione di
piccole ONG nazionali che lavorano su aree di interesse emergenti (essa è stata spes-
so riluttante ad unirsi ad altre ONG che dimostravano di avere interessi comuni, per
paura di rischiare di allontanarsi dal suo mandato, ma anche questa posizione sem-
bra tendere oggi ad un cambiamento); il fatto che gli attori non statali stiano assu-
mendo ruoli sempre più centrali, (AI ha provato a coinvolgere, negli anni passati, le
corporazioni transnazionali verso il dialogo e le ha spinte ad adottare codici di con-
dotta affinché riconoscessero la necessità di far rientrare i diritti umani nelle loro
sfere d’azione). Inoltre pare che AI non incorpori, nella pratica, o che comunque non
sia riuscita ad assumere pienamente i diritti economici, sociali e culturali nella sua
missione. Infine, tra le problematiche che AI deve ancora affrontare vi sono il dibat-
tito riguardante l’universalità dei diritti umani e il modo per poter rispondere alle
massicce violazioni dei diritti umani di cui è testimone il mondo odierno.
Il quarto capitolo si concentra sulle tecniche di comunicazione utilizzate da AI per
far conoscere e diffondere le sue azioni, e renderle in questo modo efficaci, su come
organizza le proprie campagne strategiche e su quali elementi fondamentali si con-
centra, quali la chiarezza, la credibilità... Secondo il modo di operare di AI è impor-
tante stabilire su quale problema ci si vuole concentrare, qual è il modo migliore per
raggiungere un certo obiettivo, valutare la situazione e prendere in mano gli stru-
menti disponibili e più adatti per arrivare infine al risultato sperato. AI ha a disposi-
zione molte tecniche e materiali per mettere in piedi le sue campagne, tutto con lo
scopo di attirare l’attenzione del pubblico, di suscitare il suo interesse, di fare in
modo che il lettore venga persuaso a fare qualcosa, e di riuscire poi a convertire que-
sto desiderio in azione. Per dar vita alle sue campagne AI utilizza una varietà di stru-
menti come volantini, documenti informativi, rapporti, poster, notiziari, cartoline,
esposizioni di foto... e un insieme di tecniche come la scrittura di lettere e petizioni,
l’organizzazione di eventi pubblici e proteste, di vertici alternativi a quelli ufficiali, di
contatti con le ambasciate, il supporto delle celebrità...
AI ritiene che anche i media abbiano un ruolo centrale per le sue campagne, per
questo mette in atto alcune tecniche precisamente rivolte a lavorare con essi: confe-
renze mediatiche, “pacchetti” specifici per i media, interviste, distribuzioni video di
notizie...
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Dopo aver preso in considerazione le ONG dei diritti umani, con un’attenzione
particolare ad Amnesty International, e al ruolo che la comunicazione ha per esse,
nel capitolo conclusivo si intende dare uno sguardo d’insieme al modo in cui i dirit-
ti umani vengono affrontati nei media a stampa e televisivi. Sempre più gli attivisti
riconoscono la necessità di utilizzare le moderne tecniche di comunicazione per
poter avere un impatto importante, tanto che sono sorte delle organizzazioni che
riconoscono come loro scopo quello di educare all’uso dei media in quanto strumen-
ti potenzialmente molto utili nell’area dei diritti umani. I diritti umani sono diventati
sempre più presenti negli ultimi anni, ad essi fanno riferimento sempre con maggio-
re frequenza i governi, i leaders politici nei loro discorsi e pare esserci una maggio-
re conoscenza della materia diffusa tra il pubblico. Molti governi hanno inquadrato
le loro politiche all’interno dei principi dei diritti umani, molte istituzioni internazio-
nali hanno inserito i diritti umani tra le loro attività principali. Un nuovo interesse
questo che si riflette anche nei mezzi di comunicazione.
Vi è la convinzione condivisa da molti studiosi che vi sia oggi una maggiore ricet-
tività rispetto ai diritti umani, tuttavia rimangono ancora degli ostacoli che non per-
mettono di affermare che i media coprano in modo adeguato le notizie che riguar-
dano un tema come quello dei diritti umani. Tra questi ostacoli vi è il fatto che i
mezzi di comunicazione che più si interessano alla questione dei diritti umani sono
quelli che hanno sede nei paesi più ricchi del Nord e che questi tendano ancora a
vedere i diritti umani come un problema “straniero”, legato perlopiù a situazioni con-
flittuali. Da ciò deriva il fatto che i paesi più svantaggiati, che hanno meno risorse,
ritengono che la copertura sia inadeguata, superficiale e distorta. In più vi sono alcu-
ni fattori, derivanti dalla stessa struttura organizzativa di quei mezzi di comunicazio-
ne, che hanno una notevole influenza su come le tematiche dei diritti umani possa-
no essere alterate o messe da parte. Quei fattori sono la selettività, il sensazionali-
smo, la contaminazione, la mancanza di contesto...
Di fronte all’attuale panorama della copertura dei diritti umani si fanno delle pro-
poste per realizzare un approccio più esaustivo e strutturato alle tematiche dei dirit-
ti umani, tra cui: garantire una maggiore fruibilità e leggibilità delle notizie, creare
una figura come quella del ‘giornalista dei diritti umani’, capace di avere maggiori
conoscenze e sensibilità nei confronti di questo tema. I diritti umani si trovano a
dover competere anch’essi con quelle che sono le condizioni imposte dall’ambiente
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della copertura giornalistica e televisiva e la sfida che devono affrontare è quella di
garantire una copertura precisa e coerente.
Infine ho voluto porre l’attenzione su cosa il “discorso” sui diritti umani e la comu-
nicazione implichino in termini d’impatto sulle persone, vero oggetto di questa
comunicazione, quindi sugli appelli volti a garantire un maggiore rispetto dei diritti
umani internazionalmente riconosciuti. Di fronte all’enorme quantità d’informazione
che ci viene proposta dai media, dalle organizzazioni dei diritti umani e dagli attivi-
sti, si attiva un meccanismo di difesa per il quale tendiamo a selezionare, o addirit-
tura a rifiutare, tutte le informazioni che ci vengono proposte. Si parla in questo caso
di ‘diniego’, di ‘stanchezza da compassione’. È per questo motivo che le stesse orga-
nizzazioni dei diritti umani hanno tentato di usare drammatici avvertimenti sul futu-
ro per superare appunto le soglie del diniego, non riuscendo però ad ottenere gli
effetti desiderati nel momento in cui si sono trovate a dover competere con tanti altri
tipi di notizie. Si sono aperti anche importanti dibattiti circa le modalità di rappre-
sentazione più adeguate per non far perdere dignità alle vittime di violazioni, e per
superare l’immagine di un Occidente ricco e protettore al di sopra di un mondo che
sta ai margini dell’attenzione.
I gruppi di pressione, le organizzazioni umanitarie e le stesse vittime di violazio-
ni — che spesso diventano il veicolo principale di informazione su certe violazioni
avvenute in diverse parti del mondo, di cui probabilmente non siamo nemmeno a
conoscenza —, e anche i media stanno diventano sempre più determinanti perché
l’opinione pubblica divenga consapevole della sofferenza umana.
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