iv
magistratura stessa: “ I confini inclusive di Vico pisano come acqua pende verso Arno
et seguendo et includendo i confini di Libafratta et di poi passando il Serchio come
acqua pende et includendo i confini dl comune di Filettola et de comuni di Vecchiano
Sanfriano Nodica Cafareggio Malaventro et Metato et insino all’Arno tucto drento
includendo insino alle mura di Pisa et di poi cominciando i confini del fiume Arno et
seguendo per la strada che va a Sancta Maria in Selva o vero al Ponte di Sacho et
includendo le confina di Gello et dell’Avaiano et di poi seguitando insino al fosso o
vero fiume del Sannone dove si dice lo Strecto che parte le confina di Perignano
all’Avaiano et di poi seguitando per detto Sannone per infino a fossa Micciola dove
detta fossa entra nel Stagno et di poi di Stagno pervenendo al ponticello che va a
Livorno sotto San Piero in grado tutto dentro includendo insino alle mura di Pisa et
che in fra detti confini s’intenda compreso et come beni et romeni compresi in fra detti
confini si debbano tractare i comuni del Ponte ad Hera et Calcinaia co loro confini et
uomini et persone et in detti comuni stanti abitanti o beni possidenti e che detti confini
o luoghi come quelli che hanno bisogno di maggiore riparo principalmente si debbino
riparare et acconciare”
3
La tesi quindi, si compone di quattro capitoli di cui il primo, a carattere generale, si
occupa di inquadrare la situazione idraulica e geologica della pianura di Pisa mentre gli
altri, riuniscono al loro interno opere analoghe quali: la navigazione fluviale, gli
scolmatori e loro opere di presa, le rettifiche d’alveo.
Il secondo capitolo è dunque dedicato al canale dei Navicelli, il terzo alle opere di
scolmamento di Fornacette e Putignano, il quarto alle rettifiche d’alveo operate a
Montecchio, Barbaricina e Bocca d’Arno.
Oltre ai succitati interventi d’idraulica fluviale meriterebbe di essere menzionato anche
il sifone sul fiume Arno realizzato all’altezza di San Giovanni alla Vena, ma essendo lo
scopo principale di tale opera quello di garantire il deflusso delle acque del lago di Sesto
se ne è tralasciata la trattazione anche se, privando l’Arno di quelle acque, si volle anche
ridurre la portata sul fiume gia molto gravosa, mentre per quanto attiene alle altre opere
si è cercato di affrontarne la storia, la costruzione ed il funzionamento da un punto di
vista tecnico quale è quello della Ingegneria Civile Idraulica, considerato che la
bibliografia esistente è stata, in larga parte, prodotta da personalità di cultura non
prettamente tecnica.
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NOTE:
1
traduzione di Fabio Redi “Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture
materiali”
2
Targioni Tozzetti, “Disamina d’alcuni progetti fatte nel secolo XVI, per salvare
Firenze dalle inondazioni dell’Arno”
3
Capitoli dei consoli del Mare del 5 Luglio 1475 tratti da : Ranieri Fiaschi, ”Le
Magistrature Pisane delle Acque”
1
CAPITOLO 1
LA PIANURA DI PISA
1.1 AMBIENTE FISICO
La pianura di Pisa, rigidamente condizionata dalle sue acque, fondamentalmente è
costituita da un ventaglio di terreni degradanti verso il mare, che partono dal corso
dell’Arno ai piedi del Monte Pisano e si allargano verso il mar Tirreno, da Livorno fino
a Viareggio, dove si collegano alla pianura litoranea versiliese.
Circondata da rilievi montani, (il monte Pisano) e collinari (colline livornesi e colline
pisane) che si susseguono dolcemente e creano una corona non troppo ampia di bacini
imbriferi tributari; mentre, di più importanti dimensioni sono i bacini imbriferi
dell’Arno e del Serchio, i due fiumi che dividono in due la pianura, il primo, e la
delimitano a Nord, il secondo.
E’ quindi facile constatare che la pianura riceve le acque di territori estremamente più
estesi della sua stessa superficie (i bacini di Arno e serchio sommano quasi diecimila
Kmq), queste acque, tuttavia, condizionano l’idrologia della pianura molto meno delle
acque dei bacini minori e delle stesse acque meteoriche che vi piovono sopra. Da
questo deriva la diffusa presenza di acque lentamente fluenti o stagnanti nella pianura e
l’abbondanza delle falde sotterranee che si trovano nel sottosuolo.
L’ambiente tipicamente umido della pianura è peraltro accentuato dalla vicinanza del
mare, dal cui livello e dalle cui maree è regolato il moto di tutte le acque, sia superficiali
che sotterranee. Le accumulazioni di acque superficiali esistenti nella pianura di Pisa si
presentano in genere in forma di paduli e lame, talvolta con presenza di chiari e altre
tendenti a terreni umidi e torbiere.
All’estremità settentrionale della pianura si ha l’esempio più significativo di tale
ecosistema, rappresentato dal complesso del lago di Massaciuccoli e dei paduli che lo
circondano.
2
Tali accumulazioni sono le ultime tracce di più ampi specchi d’acqua che si erano creati
nei millenni più recenti tra le conoidi di sedimentazione delle acque di piena del Serchio
e dell’Arno ed i cordoni sabbiosi litoranei.
Esse costituiscono, quindi, specchi d’acqua e paduli con profondità minima, in cui
giungono acque di deflusso superficiale o di drenaggio dei terreni circostanti; essi
hanno livelli poco variabili e di poco superiori a quello medio del mare, sono talvolta
collegati al mare tramite un emissario o scambiano acque con il mare attraverso le
sabbie litoranee.
Per quanto concerne le acque sotterranee, vale la pena ricordare che la loro presenza ed
il loro assetto idrodinamico dipendono dalle formazioni permeabili del sottosuolo e
dalle acque dolci e marine che vi si insediano.
A differenza di molte altre pianure litoranee createsi in periodo postglaciale, in cui il
complesso dei depositi alluvionali raramente supera i 100 m di profondità, le
formazioni incoerenti della pianura di Pisa hanno in gran parte origine molto più
antica, risalendo alle deposizioni conseguenti ad un vasto movimento orogenetico che
aveva provocato localmente, verso la fine del Miocene, l’innalzamento del massiccio
dell’attuale Monte Pisano e lo sprofondamento delle aree verso il Tirreno.
Tale sprofondamento provocò l’immersione in mare del substrato preneogenico, che si
trova ora in corrispondenza di Marina di Pisa a circa 2000m di profondità ed il
successivo graduale colmamento, dovuto inizialmente a sedimenti lacustri e marini e
successivamente al trasporto solido dei corsi d’acqua tributari del litorale (bacino del
Serchio, dell’Arno e bacini tributari della pianura)
Il tipo del materiale man mano depositato, gli ambienti di sedimentazione e le forme in
cui essa avvenne, hanno portato ad una estrema differenziazione idrogeologica delle
formazioni della serie stratigrafica.
Questo comporta una forte variabilità della permeabilità e delle altre caratteristiche
idrodinamiche tra i vari livelli del sottosuolo; tale differenziazione è notevole, per altro,
anche in senso orizzontale, in dipendenza della distanza dal mare e dai corsi d’acqua
tributari di sedimenti.
3
La configurazione dei campi di moto delle acque sotterranee, il loro movimento, la loro
quantità e la loro qualità dipendono, quindi, dalla geometria dei vari acquiferi che così
si sono venuti a definire, delle loro caratteristiche idrodinamiche e dalle continuità
idrauliche esistenti tra i vari acquiferi e le aree di alimentazione meteorica, superficiale e
marina.
La quota nel livello del mare regola il deflusso delle acque sotterranee e, in funzione
della permeabilità degli acquiferi attraversati, ne determina la pressione piezometrica e
nella generalità degli acquiferi attraversati, la creazione di falde idraulicamente
differenziate, freatiche o in pressione.
i
4
1.2 LA PIANURA DI PISA IN EPOCA STORICA
Concretamente, è possibile descrivere la geografia della pianura di Pisa in epoca storica
sintetizzando con due aspetti salienti: la linea di costa assumeva un andamento
decisamente diverso dall’odierna e l’entroterra era costituito da ampie zone paludose di
cui la più importante detta padule maggiore.
Con la linea di riva posta all’altezza della odierna San Piero a Grado, il mare presentava
, a sud di Pisa e subito a nord di Livorno una profonda insenatura, il Sinus Pisano che
costituiva una sorta di rada protetta ai venti , dove poter ormeggiare le navi in attesa di
accedere a porto Pisano, porto che si sviluppava all’interno del Padule Maggiore .
Oltre all’importante approdo militare che forniva una base per le attività navali e
commerciali dei romani, gli storici parlano anche di un porto urbano di darsene che,
come hanno evidenziato i ritrovamenti di San Rossore, erano situate a ovest di quello
che, nel medioevo , era il centro storico della città.
Come ha affermato il direttore tecnico e scientifico degli scavi, prof. Stefano Bruni, ad
oggi “non ci sono elementi che ci aiutino a collocare cronologicamente il periodo nel
quale questo porto, situato all’interno di un insediamento che risale almeno alla fine del
IX secolo a.c. cominciò a essere utilizzato, al contrario, una notevole quantità di
materiale, probabilmente caduto in acqua nel corso delle operazioni di sbarco, permette
di fissare il periodo nel quale il porto, o una parte di esso , cessò di essere utilizzato, e
cioè durante l’ultimo scorcio del V secolo e l’inizio del VI secolo d.c. in coincidenza
con il collasso del sistema urbano romano”
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