2
mossa all’autore russo se si rammenta che solo nel 1953
vennero giustiziati i coniugi Rosenberg, accusati di
spionaggio atomico a favore del grande nemico sovietico.
Questo tragico episodio, apice del maccartismo degli anni ’50,
fu la spia di un malessere della società americana, malessere
che sempre più troverà spazio nelle pagine dei narratori. E
forse, nel romanzo di Nabokov, ben più dello scandaloso
amore del maturo protagonista per una adolescente poco più
che dodicenne, a ferire la suscettibilità degli americani fu
proprio l’immagine grottesca e senza finzioni della falsità e
della vacuità della vita quotidiana della middle class nella
provincia americana.
1957. Un’editore di Boston pubblica The Path to the Nest
of Spiders, prima traduzione in lingua inglese di Italo Calvino.
Comincia qui la storia di un rapporto strettissimo che legherà
per tutta la vita Calvino agli Stati Uniti
1
, e che lo porterà ad
essere lo scrittore italiano del novecento più conosciuto,
apprezzato, tradotto e studiato oltreoceano. Questa storia
inizia fin dall’apprendistato letterario di Calvino, che dai suoi
1
Questa storia è stata diffusamente narrata nel bel libro di Paola Castellucci, Un
modo di stare al mondo. Italo Calvino e l’America, Adriatica Editrice – Bari, 1999. Il
libro, ricco di suggestioni e spunti preziosi, è corredato da una bibliografia di studi
americani su Calvino, ed una delle traduzioni americane delle sue opere.
3
maestri Pavese e Vittorini ricevette in lascito il “mito
americano” costruito da questi primi due divulgatori della
narrativa d’oltreoceano in Italia.
Pavese e Vittorini cercavano – soprattutto nei romanzi
americani - nuova linfa ed esempi vitali per una letteratura
italiana nuova, finalmente capace di liberarsi di stanchi
modelli lirici e di scendere nell’agone di una realtà
drammatica che imponeva scelte di campo ed un preciso
impegno sociale e anche politico. Calvino aderì a queste scelte
con il suo esordio narrativo: Il sentiero dei nidi di ragno, edito
da Einaudi nel 1947, è il frutto dell’esperienza partigiana del
giovane scrittore e della sua entusiastica adesione al modello
di Hemingway, un’adesione cui partecipò molta cultura
italiana e da cui mosse il Neorealismo, movimento culturale
dominante negli anni ’50 in Italia.
2
2
Nel 1954, Giuseppe Berto scriveva:
“I nostri più acclamati scrittori tra le due guerre, per predilezione o
per adattamento, avevano contribuito a creare la cosiddetta prosa
d’arte, una letteratura che avendo progressivamente perduto qualsiasi
contatto con la vita era divenuta aulica, arida, noiosa: morta. Chissà
se da soli ce ne saremmo mai tirati fuori. Ad ogni modo, l’influsso
degli scrittori americani venne a capitare nel momento più
opportuno, quando, cioè, le vicende di un regime in decadenza e
successivamente la sconfitta ci costrinsero, volenti o no, ad affrontare
la realtà. Gli scrittori americani ci offrivano un insegnamento non
tanto di stile, quanto di coraggio: il coraggio per guardare, senza
schemi letterari davanti, la nostra vita, comunque fosse.”
La citazione è tratta da: A. Lombardo, “Tradizione americana” in Studi Americani, n°
2, 1956.
4
Il confronto con la realtà americana, e non solo letteraria,
accompagnerà tutta la vita di Calvino, a partire dal viaggio di
sei mesi negli States del 1959 come conferenziere su invito
della Ford Foundation, per concludersi solo alla sua morte,
sopraggiunta quando lo scrittore ligure stava per terminare la
stesura delle conferenze che era stato invitato a tenere a
Harvard nel 1985, quelle conferenze che resteranno il suo
ultimo lascito letterario, edite nel 1988 sia negli Stati Uniti,
con il titolo di Six Memos for the Next Millennium scelto da
Calvino stesso, sia in Italia, più semplicemente e meno
significativamente, con il titolo di Lezioni Americane.
5
2. Vladimir Nabokov, un maestro per i postmodern.
Cominciare questa ricerca da Nabokov ha un senso ben
preciso: molta critica individua proprio nello scrittore russo un
primo approccio sperimentale che sarà poi approfondito da
scrittori etichettati come post-modernisti (e forse non a caso,
una delle poche cose note della vita di Thomas Pynchon –
altrimenti gelosamente occultata - è che come studente
universitario seguì un corso di Nabokov).
Lo stesso Calvino si dirà molto ammirato, ed in qualche
misura anche influenzato, dall’opera dello scrittore russo
3
; ma
quali peculiarità nella scrittura dell’esule russo hanno colpito
la generazione post-moderna ?
Le parole di Calvino, esprimendo un’adesione ed una presa
di distanza al tempo stesso, propongono una possibile chiave
di lettura: Calvino è affascinato dalla “lingua inglese di una
ricchezza straordinaria”, ma sembra prendere le distanze dal
3
“Se dovessi dire chi è l’autore di questi anni che preferisco, e
che mi ha anche in qualche modo influenzato, direi che è Vladimir
Nabokov: grande scrittore russo e grande scrittore di lingua
inglese; si è inventato una lingua inglese di una ricchezza
straordinaria. E’ veramente un grande genio, uno dei più grandi
scrittori del secolo e una delle persone in cui mi riconosco di più.
Naturalmente è un personaggio di uno straordinario cinismo, di
una crudeltà formidabile, ma è veramente uno dei grandi scrittori”
Intervista di Ugo Rubeo del 1984, raccolta in U. Rubeo, Mal d’America – da mito a
realtà, Editori Riuniti, Roma 1987 – e poi riedita in I. Calvino, Eremita a Parigi. Pagine
autobiografiche, Mondadori, Milano 1994.
6
personaggio “di uno straordinario cinismo, di una crudeltà
formidabile”.
Lingua, cinismo, crudeltà: di fronte allo scalpore destato da
un romanzo come Lolita, non è difficile immaginare quale
carica eversiva contenesse questa miscela negli anni ’50 e ’60.
Nabokov mostra ai suoi lettori innanzi tutto il potere della
lingua (si pensi ai divertenti misunderstandings causati
dall’inglese imperfetto di Pnin, alla vacuità illustrata dallo
slang giovanile parlato da Lolita, all’operazione di arbitraria
interpretazione – quasi una manipolazione – di un poema al
centro di Pale Fire): nelle mani di uno straniero, la lingua
inglese diventa uno strumento ricco e preciso - come già
seppe fare attraverso la penna dell’emigrato polacco Conrad -
svelando tutto il proprio potenziale eversivo. Quel che
Nabokov mostra alla generazione seguente è una sorta di
“heart of darkness” al centro della lingua, una riserva vergine
di puns, nonsenses, doppi sensi, capaci di produrre effetti
dirompenti.
Basta leggere poche pagine dello scrittore russo per
convincersi in tal senso: l’uso di una ricca (e talora anche
desueta) aggettivazione è insistito fino a sottolineare la
vacuità di una realtà che nessun aggettivo può davvero
7
riempire: in Lolita questo tipo di procedimento è ricorrente,
insieme all’uso di liste nominali, usato dal narratore
soprattutto in riferimento alla sua giovane amante o
all’America percorsa nel girovagare dei due strani amanti, due
realtà che Humbert non arriverà mai a comprendere
pienamente
4
.
Ma per esercitare il potere della lingua come grimaldello
capace di scardinare assurdità, ipocrisie e controsensi della
realtà, occorre anche una buona dose di cinismo e di crudeltà,
quella crudeltà che l’occhio straniero di Nabokov non si
trattenne affatto dal dispiegare nel corrosivo ritratto
americano delineato dai suoi romanzi.
L’ammirazione per Nabokov, in Calvino si concretizza
nella tensione verso un italiano estremamente elaborato,
preciso e ricco, frutto di scelte meditate e di ricerca, anche là
4
“…caressing me with her tender, mysterious, impure, indifferent
twilight eyes…”
in V. Nabokov, Lolita, edizione Vintage International, New York, 1989, pag.120.
“…the odd sense of living in a brand new, mad new dream
world…”, ibid., pag. 133
“…our tour was a hard, twisted, teleological growth…”, ibid.,
pag. 154
“…the stone cottages…, the brick unit, the adobe unit, the stucco
court…”, ibid., pag. 145
“…Sunset Motels, U-Beam Cottages, Hillcrest Courts, Pine View
Courts, Mountain View Courts, Skyline Courts, Park Plaza Courts,
Green Acres, Mac’s Courts.”, ibid., pag. 146
“Somber Yellowstone Park and its colored hot springs, baby
geisers, rainbows of bubbling mud…”, ibid., pag. 158.
8
dove esso assume aspetti più immediati
5
(frutto, appunto, di
un ancor più attento controllo); ma Calvino si allontana anche
da Nabokov, probabilmente per indole, quando si tratta di
usare con “cinismo” e “crudeltà” la lingua per denunciare le
ipocrisie e le assurdità della realtà. Nei suoi scritti più
apocalittici o più caustici si potrà riscontrare al più un tono
amaro e solidale per l’uomo perso tra le proprie schiavitù
urbane e tecnologiche (e penso al tono amaramente
umoristico di Marcovaldo o le stagioni in città), oppure un
partecipe sgomento di fronte alle catastrofi possibili della
modernità (e penso al tono angosciato de Il castello dei destini
incrociati).
Per i postmodern americani, invece, la lezione di crudeltà e
cinismo di Nabokov darà pienamente frutto: il loro linguaggio
sarà sempre più privo di reticenze, sempre più esplicito
(specie verso la sessualità), sempre più corrosivo e cinico
(valga come esempio il cinismo estremo dei due narratori nei
primi due romanzi di Barth, Todd Andrews e Jacob Horner),
in questo certo ben distanti dalla misura stilistica di Calvino.
5
L’esempio più lampante è dato dalle Cosmicomiche, nei racconti in cui è presente la
voce narrante di Qfwfq, in cui lo sforzo di riprodurre l’oralità dà luogo ad una lingua
dall’apparenza – ma soltanto apparenza - più rilassata e diretta, propriamente
colloquiale.
9
3. Come misurarsi con un mondo complesso.
La ricerca post-moderna, la questione è stata ormai
ampiamente discettata, trova uno dei suoi punti centrali
proprio nelle riflessioni sulla lingua, e di concerto sulle
strutture narrative e sul rapporto tra autore e fruitore, e da qui
poi sui mezzi della comunicazione di massa: sempre più netta
diviene la percezione del potere esercitato dai mass media,
della capacità di manipolazione insita in un uso spregiudicato
della comunicazione linguistica (e penso qui, ad esempio, al
tema ricorrente della grande macchinazione, o cospirazione
universale, al centro dei romanzi apocalittici di Pynchon
6
).
Conseguenza di queste riflessioni, è la fioritura di diverse
forme narrative sperimentali con gli esiti più disparati: dal
recupero del linguaggio archetipo della fiaba usato per mettere
a nudo la degenerazione dei valori tradizionali nella
contemporanea società dei consumi; al magistrale uso
dell’imitazione fatto da Calvino in Se una notte d’inverno un
vaggiatore per denunciare l’interruzione della comunicazione
6
Tema per cui rimando al capitolo VI. Il tema del complotto è già preannunciato da
Nabokov. In Lolita, Humbert all’inizio del viaggio attraverso gli States, spiega
chiaramente alla sua giovane amante la loro posizione di reietti della società, e la
convince a cospirare contro le regole sociali (pag. 150 – 151, ed. cit.). La stessa Lolita
complotta con il suo amante contro Humbert.
Ed anche in Pnin, si assiste ad una sorta di complotto sociale contro l’indifeso
professore russo, reo di non saper accettare i canoni e le ipocrisie della società
americana.
10
letteraria tradizionale, ed assorbire definitivamente il Lettore
all’interno del ciclo di una produzione letteraria ormai
anch’essa massificata e finalizzata solo alla voracità del
mercato consumistico (fino all’estrema conseguenza
dell’apologia del plagio sbandierata da Federman
7
); per finire
ad un uso senza falsi pudori del turpiloquio e della
pornografia
8
.
Ma tante diverse soluzioni tecniche non sono fini a se
stesse, la letteratura post-moderna non torna a rinchiudersi
nell’eburnea – e solipsistica – torre dell’arte: si tratta invece di
tanti possibili modi di rendere conto della complessità della
società occidentale contemporanea e di denunciarne le colpe e
le contraddizioni. Il campo delle soluzioni sarà allora ampio;
per limitarmi agli autori oggetto di questo studio, si andrà
dalle complicazioni tortuose della trama nei romanzi di John
Barth
9
, all’uso del linguaggio comune della fiaba di Donald
Barthelme, alla scrittura enigmistica e alla science-fiction di
7
Raymond Federman , “Imagination as Plagiarism [ an unfinished paper …] “ in New
Literary History, vol. 7, n° 1 Autumn ’75.
8
Usi che – e non occorrerebbe neanche sottolinearlo – non sfiorano neanche Calvino,
scrittore pudico quanto pochi. Ma già alcune pagine di Nabokov parlano di sessualità
in maniera alquanto esplicita ( l’accusa troppo facile di pornografia mossa a Lolita
dimostra che, forse, quei censori lessero almeno le prime pagine del romanzo); e non è
raro trovare pagine di Barthelme, di Barth, di Federman, cosparse di descrizioni
apertamente – e parodisticamente - pornografiche. William Gass arriva a mettere nel
frontespizio del suo Willie Master’s Lonesome Wife (1968) una foto frontale di un
corpo di donna, e sul retro la foto di spalle della stessa, invitando esplicitamente il
lettore ad un approccio con il testo appassionato quanto quello sessuale.
9
Calvino, nella citata intervista raccolta da Ugo Rubeo, definisce il secondo romanzo
di Barth “esistenzialista”.
11
Thomas Pynchon, allo sperimentalismo tipografico ed
istrionico di Raymond Federman, alla riflessione
propriamente filosofica degli scritti di William H. Gass, ai
lavori scopertamente metanarrativi di Robert Coover, fino
all’uso del linguaggio subdolo della pubblicità presente in
molte opere di questo periodo.
12
4. Calvino e il mondo: una visione post-moderna ?
Molti critici hanno parlato di Calvino come del solo
scrittore italiano pienamente post-moderno, per la natura della
sua scrittura e del suo sguardo sul mondo nelle opere a partire
dalle Cosmicomiche (1965), e certo è questa una delle ragioni
del perdurante interesse intorno a Calvino negli Stati Uniti,
dove è particolarmente avvertito un sentire condiviso con tanti
autori ben noti al pubblico americano
10
.
Ed è effettivamente impossibile ignorare i tanti nodi
tematici che avvicinano Calvino ai suoi colleghi e amici di
oltreoceano: per citarne solo alcuni, la riflessione
metanarrativa, l’uso del linguaggio favolistico, la denuncia
della schizofrenica società urbana e consumistica, la scrittura
fantascientifica. Naturalmente non si possono neanche
ignorare le tante differenze culturali, a cominciare dalle altre
esperienze letterarie sperimentali di Calvino (la nota adesione
10
Tra gli altri interventi critici americani, assumono un significato particolare ai fini di
questo studio gli scritti che si occupano di Calvino – o lo citano -, dei suoi amici
scrittori americani, e segnatamente:
John Barth, “Literature of Exhaustion”, The Atlantic, August 1967 ;
“The Replenishment of Literature: Postmodernist Fiction”, The Atlantic,
January 1980.
Robert Coover, “The Promised Land of Literature”, The New York Times Review,
20 March 1988
John Updike, “Metropolises of the Mind”, The New Yorker, 24 February 1975
“Card Tricks”, The New Yorker, 18 Avril 1977
“Readers and Writers”, The New Yorker, 24 August 1981
13
all’Ou.Li.Po. francese, ad esempio, o l’attenzione riservata al
realismo magico sudamericano
11
), e dall’insegnamento dei
“suoi” classici italiani ed europei
12
, che lo condussero
attraverso innumerevoli esperimenti a creare un proprio
corpus decisamente singolare per l’ampiezza delle proposte
tecniche e dei temi toccati, e la concomitante unità “di tono”
che attraversa e rende ben riconoscibile tutta la sua scrittura.
Eppure parlare di filiazioni tra questi autori americani e
Calvino, nell’una o nell’altra direzione, mi appare alquanto
difficile – escludendo naturalmente Nabokov che appartiene
ad una generazione precedente – ed uno sguardo a qualche
data può forse aiutare a convincersene. Guardando alle date,
vorrei in primo luogo far notare che per la conoscenza delle
opere di Calvino da parte di questi scrittori è necessario rifarsi
alla pubblicazione delle rispettive traduzioni in inglese
13
; e poi
ritengo lecito pensare che questi autori siano stati sconosciuti
a Calvino prima del suo viaggio negli States del 1959, data
11
I nomi di Borges e Garcia Marquez sono importanti punti di riferimento per tutta la
generazione postmoderna, e li vedremo ancora comparire nel corso di questa tesi.
12
Alla affermazione del valore e alla definizione dei “classici”, ed alla compilazione di
un proprio canone letterario, Calvino consacrò molta parte dei suoi scritti teorici, un
lavoro di cui in parte rende conto la raccolta postuma Perché leggere i classici,
Mondadori, Milano, 1991.
13
Nell’intervista citata, Calvino nota a proposito di John Barth:
“… è lui che, pur non leggendo altro che l’inglese, è un po’
l’ambasciatore dell’America nei confronti delle nuove letterature
europee.” (Il corsivo è mio )
14
alla quale solo Barth, nel 1956, aveva già pubblicato il suo
primo libro.
E dunque quali sono le prime opere di Calvino tradotte in
inglese ? Nel 1957 esce The Path to the Nest of Spiders, cui
faranno seguito nel 1959 The Baron in the Trees e nel 1962
The Nonexistent Knight and the Cloven Viscount ; solo nel
1968 apparirà in inglese Cosmicomics, seguito l’anno dopo da
T zero , e i lettori americani dovranno attendere il 1974 per
gustare Invisibile Cities (forse il libro di Calvino più amato
negli States, ed all’estero in generale), e il 1977 per The
Castle of Crossed Destinies.
Sull’altro versante, per contro, quando Calvino pubblica in
volume Le Cosmicomiche,(1965), è già apparso V. di
Pynchon (1963), ma è noto che Calvino lavorava alle sue
Cosmicomiche già dalla fine del 1963, e ne pubblicò diverse
su riviste nel 1964.
Questi pochi esempi “anagrafici”, ci testimoniano di una
storia degli interscambi letterari assai intricata, resa ancor più
complessa dal problema della differenza cronologica tra la
pubblicazione italiana delle opere di Calvino e la loro prima
traduzione inglese.
15
Perciò l’idea di possibili “filiazioni” mi risulta non poco
sgradevole tra questi autori, anche perché la distanza culturale
oltre che geografica, unita alle differenti scelte stilistiche di
ognuno di loro, mi fa apparire curiosa una ipotesi del genere
14
:
specie alla luce della cronologia, che sembra appunto
testimoniare una vicenda di ricerche svoltesi in parallelo
15
,
con le debite differenze dovute al diverso contesto culturale.
Sarà dunque più corretto parlare di un giuoco di specchi tra
le opere di Calvino e dei suoi colleghi statunitensi di cui mi
occuperò in questo studio (in ordine puramente alfabetico:
Barth, Barthelme, Coover, Federman, Gass, Pynchon), un
giuoco di riflessi in cui ognuno di loro trovò nelle opere degli
altri via via disponibili conferme, spunti, ipotesi di lavoro, e
14
Ed, aggiungo, la mia passione per Calvino mi spinge a dirmi fermamente convinto
della sua originalità, non solo nell’ambito italiano (entro il quale la sua opera certo
spicca per unicità più che per originalità), ma anche in quello internazionale. Però
l’originalità da secoli non è più riconoscibile nelle sole idee: quello che veramente può
far ritenere originale uno scrittore è una complessa somma di fattori stilistici, più che
tematici, che presi tutti insieme compongono la cifra individuale di un autore.
15
Calvino stesso scrive:
“L’aver pensato rettamente non è un merito: statisticamente è
quasi inevitabile che tra le molte idee sballate, confuse o banali che
gli si presentano alla mente, qualcuna ve ne sia di perspicua o
addirittura geniale; e come è venuta a lui, può esser certo che sarà
venuta pure a qualcun altro.”
Da “Del mordersi la lingua” in I. Calvino, Palomar, Einaudi, Torino, 1983, pag. 104–
105 (corsivo mio). La sua è una vera negazione dell’unicità delle idee umane che
sembra quanto mai adeguata per questo mio discorso. Con affermazioni in qualche
misura analoghe, Raymond Federman motiverà il suo programma di letteratura come
plagiarismo (vedi capitolo IV, sezione 5).