6
D’altro canto, però, ci si può chiedere anche se sia attuabile una morale che ruoti
attorno all’incontro con Altri senza il supporto di un’emozione che spinga, davanti alla
chiamata dell’Altro, ad essere concretamente etici nei suoi confronti, a rispondergli e a
mettersi in gioco, fatto che, secondo gli insegnamenti di Bergson, non può trovare le sue
cause semplicemente nella consapevolezza di cosa è giusto, nel rendersi conto di quale
sia l’etica autentica e di quali siano i miei obblighi morali.
È opportuno rilevare che entrambi i filosofi hanno sviluppato una concezione della
morale a-sistematica, più vicina ad un approccio fenomenologico che non ad una
articolata speculazione teorica. Proprio per questo motivo il tema dell’immediatezza,
che, come si vedrà, ha molto a che vedere con l’etica, è fondamentale in entrambi i
pensatori nonché fonte di profonde differenze. Sia Bergson che Lévinas pongono infatti
l’origine della morale autentica in un evento ben preciso e immediato: il primo
nell’attrazione esercitata da un’emozione creatrice e il secondo nell’incontro con un
Volto. Ambedue questi “eventi” sono primi, all’origine della morale e non se ne può
indagare ulteriormente il perché. Silvano Petrosino scrive a tal proposito,
commentando Lévinas: «…Non è possibile spiegare il perché della presenza degli altri,
ma solo mostrare il significato e le conseguenze di questa presenza; per Lévinas tale
presenza indica un ulteriore sviluppo di quel reale che si è mostrato muto nell’essere e
rinchiuso in un solo mondo nell’io. Attraverso la presenza degli altri il reale si apre ad
una nuova possibilità: da questo punto di vista gli altri sono, per Lévinas, un lusso,
un’eccedenza rispetto al mondo dell’io così come l’io, il proprio, è in una certa misura
un lusso rispetto all’anomicità dell’essere»
1
. Ho ritenuto proficuo un confronto fra
questi due pensatori, entrambi ebrei francesi, che hanno formulato concezioni così
originali, così radicalmente diverse, eppure per certi versi “complementari” di ciò che
sta alla base dell’etica e, di conseguenza, della sua struttura.
Nel primo capitolo mi sono occupato dell’impostazione metafisica nei due autori. Per
quanto riguarda Bergson questo ha significato sostanzialmente affrontare la teoria della
conoscenza e cioè, principalmente, i concetti di relativo, assoluto, intuizione e durata,
temi fondamentali e imprescindibili per qualunque discorso riguardante questo filosofo
e, in particolare, indispensabili per potersi occupare dell’emozione creatrice e della
struttura della morale, concetti, come si vedrà, profondamente ancorati ad essi.
1
S. Petrosino, La fenomenologia dell’unico, saggio introduttivo a Totalità e infinito, p. XLV, nota 92
7
In Lévinas metafisica e morale non sono due aspetti diversi della filosofia, ma
sostanzialmente la stessa cosa. Ho affrontato qui i concetti alla base dell’impostazione
filosofica di Lévinas, cioè il Desiderio, il Medesimo, l’Altro, la trascendenza, l’infinito e
la separazione, senza pretendere di esaurirne, in poche pagine, il significato, ma solo
presentandone le caratteristiche essenziali in vista di un confronto con il pensiero morale
di Bergson. Il capitolo si chiude con alcune osservazioni critiche e considerazioni
risultate da un primo confronto fra le due strutture metafisiche.
Il secondo capitolo presenta le due forme dell’etica in Bergson, cioè l’obbligazione e la
morale aperta, si occupa del concetto di emozione creatrice, della sua origine, della
descrizione che ne dà il filosofo francese, ma soprattutto dei limiti e delle critiche che è
possibile imputare ad essa.
Nel terzo capitolo vengono approfondite l’etica di Lévinas, la sua origine, i concetti di
Altro e di Volto. In esso ha luogo un confronto fra l’etica lévinassiana del Volto e la
morale aperta di Bergson. In particolare, si vuole evidenziare come i concetti di Volto e
di Altro siano inassimilabili all’interno della filosofia di Bergson, che non contempla
l’alterità e che rapporta tutto al primato della coscienza. Questo fatto, a mio avviso, ne
costituisce un notevole limite. Due parti particolarmente significative di questo capitolo
sono il parallelismo–confronto fra durata e godimento, cioè le “modalità prime”,
rispettivamente secondo Bergson e Lévinas, nelle quali l’uomo si rapporta al mondo e si
identifica come “io”, e, il paragrafo Durata e alterità, dal quale emergono le differenze
più profonde e significative fra le due impostazioni filosofiche e morali.
Il quarto capitolo vuole sottolineare come rispondere all’appello del Volto sia
concretamente impossibile senza il supporto di un’adeguata emozione, unica e
irripetibile, proprio come il Volto che ci sta di fronte e che la provoca in noi. Viene poi
affrontata la questione se Lévinas avrebbe potuto sviluppare una filosofia del Volto
senza l’influenza delle “emozioni creatrici” cristiana ed ebraica. Temi strettamente
connessi a questi, e dunque trattati in questo capitolo, sono la prossimità, l’immediatezza
del rapporto con il Volto e la differenza fra l’obbligo che da esso scaturisce e quello della
morale chiusa in Bergson.
Il quinto ed ultimo capitolo è un confronto fra i due autori sul tema della giustizia:
un’evoluzione fatta di slanci ed arresti secondo Bergson, un elemento che scaturisce
8
sempre dal rapporto etico fra il Medesimo e l’Altro, ma al quale si aggiunge la “presenza
problematica del terzo”, nella filosofia di Lévinas.
Questo lavoro non si propone tanto l’obiettivo di sviscerare ed analizzare il pensiero di
due grandi filosofi del ventesimo secolo, operazione che, come sosteneva lo stesso
Bergson, non potrebbe restituirci l’essenza dell’oggetto analizzato. Si propone piuttosto
l’obiettivo di mettere a confronto due visioni profondamente diverse del reale, che,
tuttavia, non possono fare a meno di occuparsi, seguendo strade diverse e originali,
dell’etica, della giustizia e dei rapporti umani. Questo confronto non può che delinearsi
lungo i temi fondamentali dell’emozione, che in Bergson è l’unica entità così intensa e
prorompente da spingerci a capire ed agire in modo etico, e del Volto dell’altra persona,
che, in Lévinas, è la fonte dell’etica e della struttura stessa del reale.
9
Capitolo primo
La metafisica in Bergson e in Lévinas
§ 1. Una premessa
Affrontare, seppur brevemente, l’argomento metafisico nei due autori mi sembra il
primo, indispensabile passo per capire e collocare al meglio i concetti principali attorno
ai quali ruota questo scritto: l’emozione creatrice e l’alterità.
La teoria della morale costituisce l’ultima fase del pensiero di Henri Bergson, che in
Le due fonti della morale e della religione formula il concetto di emozione creatrice.
Questa particolare emozione, così come tutta la filosofia morale di Bergson, va letta, per
essere compresa al meglio, alla luce della precedente produzione bergsoniana ed in
particolare tenendo in considerazione i concetti di durata e di intuizione, i due fulcri
della metafisica di Bergson, che trovano la loro completa formulazione in Introduzione
alla metafisica
1
. Intuizione e durata infatti, permettono una conoscenza assoluta, cioè
vera in quanto mira all’essenza dell’oggetto preso in considerazione.
Per quanto riguarda Emmanuel Lévinas, invece, il discorso si fa più complesso. Il
pensatore di origine lituana, infatti, si differenzia da tutta la tradizione dell’ontologia
occidentale e pone l’origine dell’etica addirittura prima dell’essere. L’etica, in Lévinas,
è la filosofia prima. In questo capitolo e nei prossimi tale enunciato verrà via via
delineandosi più chiaramente. Si può anche affermare che in questo autore, data la sua
particolare impostazione filosofica, l’etica e la metafisica coincidono. Sarebbe
impossibile collocare la loro formulazione in uno o più punti precisi della produzione
lévinassiana poiché la pervadono tutta. Mentre in Bergson il concetto di emozione
creatrice costituisce uno degli ultimi passi della filosofia morale e ha le sue radici
1
Nelle pubblicazioni di quest’opera è presente, di solito, anche L’intuizione filosofica, pubblicato nel
1911 e costituito dal testo della conferenza che Bergson tenne al Congresso di Filosofia di Bologna il 10
aprile 1910. È un approfondimento, appunto, sul tema dell’intuizione. Durata ed intuizione sono i due
concetti fondamentali della filosofia di Bergson che trovarono una prima formulazione nel Saggio sui dati
immediati della coscienza (1889), poi in Materia e Memoria (1896) e infine, appunto, nell’Introduzione
alla metafisica (1903), dove vennero ulteriormente approfonditi dal pensatore francese, senza essere però
sostanzialmente modificati.
10
nell’impostazione metafisica dell’autore, in Lévinas l’etica e la metafisica sono
coincidenti e derivano entrambe da un concetto primo, attorno al quale ruotano tutte le
sue opere: l’Altro.
La seconda parte di questo capitolo non ha, dunque, la pretesa di essere esauriente, ma
rimanda, per il suo completamento, al terzo capitolo, che sostanzialmente consiste in un
confronto fra Bergson e Lévinas sull’origine della morale e in una formulazione più
precisa dei concetti di Altro, Volto, il y a, godimento, esteriorità.
11
HENRI BERGSON
§ 2. Il relativo e l’assoluto
L’Introduzione alla metafisica comincia con la distinzione fra il relativo e l’assoluto,
due modalità della conoscenza la cui distinzione è presente, secondo Bergson, più o
meno esplicitamente in tutti i filosofi. Il relativo è la modalità che appartiene al senso
comune e alla scienza in generale, l’assoluto è la modalità della filosofia e in
particolare della metafisica bergsoniana che è, appunto, intuizione dell’assoluto. Nel
relativo il punto di vista dell’osservatore è esterno all’oggetto osservato ed esistono
un’infinità di punti di vista. La loro somma però non ci darà l’assoluta conoscenza
dell’oggetto. Le molteplici visioni esterne che si danno di esso sono sempre traduzioni
tramite simboli, cioè segni convenzionali foggiati per uso pratico. Nessuna forma di
conoscenza esterna può essere assoluta secondo Bergson, che individua tale assolutezza
del conoscere solo nella coincidenza del conoscente con il conosciuto, possibile soltanto
da un punto di vista interno del primo rispetto al secondo.
In una posizione filosofica, come vedremo, completamente opposta rispetto a quella
di Emmanuel Lévinas, Bergson ritiene possibile, almeno per un momento, coincidere,
per mezzo di uno sforzo d’intuizione, con un’altra persona. La conoscenza assoluta è la
perfezione ed estingue il mio ardente desiderio di conoscere, che non veniva invece mai
esaurito dalla molteplicità dei punti di vista. Vedremo, nei prossimi capitoli, come
questo punto in particolare sia motivo di lontananza fra i due pensatori presi in
considerazione in questa sede: secondo Lévinas, infatti, è impossibile la conoscenza
dell’altra persona e il mio desiderio di essa non si può spegnere, né acquietare. La
perfezione della conoscenza, in Bergson, è la coincidenza del pensiero con l’essere. In
Lévinas invece, dato che l’essere e il reale non coincidono, il pensiero non potrebbe mai
abbracciare il reale, quindi non esiste una conoscenza assoluta.
12
§ 3. L’intuizione
Come è possibile la conoscenza dell’assoluto? Secondo Bergson, l’analisi, che è la
modalità propria della scienza, non può che restare alla superficie delle cose, senza
coglierne mai l’essenza. L’analisi, infatti, consiste «nell’esprimere una cosa in funzione
di ciò che non è essa stessa. Ogni analisi è una traduzione, uno sviluppo in simboli, una
rappresentazione presa da punti di vista successivi da dove si notano tanti contatti tra
l’oggetto nuovo che si studia e altri che si crede di conoscere già»
2
.
Unità e molteplicità non sono principi sufficienti per una conoscenza assoluta
dell’oggetto. Bergson dedica un’ampia parte dell’Introduzione alla metafisica a queste
categorie, dapprima evidenziando come i razionalisti abbiano assolutizzato la prima e
gli empiristi
3
la seconda, poi spiegando che entrambe le determinazioni appartengono al
concetto di durata, ma non lo esauriscono.
Né empirismo né razionalismo possono raggiungere la conoscenza assoluta
dell’oggetto: il primo, infatti, e qui Bergson si riferisce apertamente a «Taine e Stuart
Mill, […] Psicologi per il metodo che applicano, […] metafisici per l’oggetto che si
propongono»
4
, riduce la persona alla molteplicità dei suoi stati psicologici, poiché
«cercando l’unità del me negli interstizi, in certo modo, degli stati psicologici, è
condotto a colmare gli interstizi con altri stati, e così di seguito indefinitamente, in
modo che il me, racchiuso in un intervallo che va sempre restringendosi, tende verso
Zero via via che si spinge in avanti l’analisi;…»
5
. L’empirismo, insomma, «stanco di
lottare, finisce per dichiarare che non vi è altro che la molteplicità degli stati
psicologici…»
6
.
Anche il razionalismo considera la persona a partire dalla molteplicità dei suoi aspetti,
ma persiste a ricondurli tutti ad un’unità che, secondo Bergson, altro non è che una
forma vuota, che pretende di contenerli tutti. L’assurdo, spiega il pensatore francese, è
2
H. Bergson, Introduction a la metaphysique, Alcan, Paris 1903, trad. it di B. Brunello, Introduzione alla
metafisica, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1949, p. 26
3
L’empirismo di cui Bergson parla qui non è certo quello autentico, che caratterizza anche la sua
impostazione filosofica e di cui scrive, infatti: «Ma un vero empirismo è quello che si propone di
accostarsi più che può all’originale stesso, di approfondirne la vita, e mediante una specie di
auscultazione intellettuale, sentirne palpitare l’anima: questo vero empirismo è la metafisica».
(H.Bergson, Introduzione alla metafisica, p. 40)
4
Ibi, p. 38
5
Ibi, p. 40
6
Ibi, p. 39
13
che i razionalisti «che hanno isolato questa forma della personalità la trovino poi
impotente a determinare una persona, e che essi siano condotti di grado in grado, a fare
del loro vuoto Me un ricettacolo senza fondo […] nel quale si troverà posto, come si
vorrà, per l’umanità intera, o per Dio, o per l’esistenza in generale […]»
7
.
Dunque, se nell’empirismo l’analisi della persona si perde nello Zero, nel
razionalismo si perde nell’Infinito. L’errore comune ad entrambe le scuole di pensiero,
dal quale, come vedremo, l’intuizione filosofica non è compromessa, è stato quello di
considerare i simboli come frammenti della cosa da conoscere, di prendere «le notazioni
parziali per delle parti reali, confondendo così il punto di vista dell’analisi e quello
dell’intuizione, la scienza e la metafisica»
8
.
In cosa consiste dunque l’intuizione? È molto importante, anche alla luce della critica
alle due citate modalità della conoscenza, rispondere a questa domanda. Il concetto di
intuizione, infatti, tornerà utile quando si parlerà di uno dei due temi fondamentali di
questo scritto, cioè dell’emozione creatrice e soprattutto di come è possibile coglierla.
L’intuizione è la «simpatia mediante la quale ci si trasporta nell’interiorità di un oggetto
per coincidere con ciò che ha di unico e, conseguentemente, di inesprimibile»
9
. È un
atto semplice, ci spiega Bergson, eppure l’analisi più dettagliata non potrebbe renderne
conto. Il motivo è che l’intuizione ha come oggetto la cosa in sé, mentre l’analisi, come
abbiamo visto, si occupa di frammenti simbolici della realtà.
Bergson non disdegna affatto il metodo analitico, ma è categorico sul fatto che esso
sia proprio della scienza e che non debba essere esteso alla filosofia, che, a differenza
della prima, non si occupa dell’utile, ma del vero. «Se esiste un mezzo di possedere una
realtà assolutamente, invece di conoscerla relativamente, di porsi in essa, invece di farne
l’analisi, infine di afferrarla al di fuori di ogni espressione, traduzione o
rappresentazione simbolica, la metafisica è proprio quella. La metafisica è dunque la
scienza che pretende di fare a meno dei simboli»
10
.
La nostra conoscenza di tutti i giorni avviene tramite il lavoro della nostra
intelligenza ed è una conoscenza interessata. Noi, infatti, «…non miriamo, in generale,
a conoscere per conoscere, bensì a conoscere per un partito da prendere, per un profitto
7
Ibidem
8
Ibi, p. 37
9
Ibi, p. 26
10
Ibi, p. 27
14
da ricavare, e infine per soddisfare a un interesse. Noi cerchiamo fino a qual punto
l’oggetto da conoscere è questo o quello, in qual genere conosciuto rientri, quale specie
d’azione, di andamento o di attitudine dovrebbe suggerirci»
11
. Questo modus operandi,
per concetti, scrive Bergson, è naturale e legittimo, ma se trasposto in filosofia la
condannerebbe ad ottenere soltanto conoscenze di ordine pratico, utilitaristico e ad «un
eterno armeggiare tra le scuole»
12
. «O non vi è filosofia possibile e ogni conoscenza di
cose è una conoscenza pratica orientata verso il profitto che vogliamo trarre da esse, o
filosofare consiste a porsi nell’oggetto stesso mediante uno sforzo d’intuizione»
13
.
Questo aut–aut è molto chiaro: l’unica filosofia possibile e sensata è quella
dell’intuizione. Sarà estremamente interessante, in seguito, vedere come invece il
pensiero di Lévinas non si pieghi a questo aut–aut e come egli ponga una terza
possibilità: la filosofia dell’Altro.
È stato scritto, in modo chiaro e schematico:
L’intuizione si rivela strumento decisivo per la filosofia, come d’altronde è
testimoniato dalla storia dei sistemi filosofici. L’intuizione è il realizzarsi
dello “sforzo doloroso” con cui, solo per pochi istanti, la coscienza cerca di
staccarsi dal fatto e di coglierlo nel suo farsi. Per questo non appena se ne è
servita e ne ha ricevuto un vero e proprio “slancio”, la filosofia è costretta ad
abbandonare l’intuizione per mettere mano alla distinzione e alla
sistematizzazione
14
.
Ogni filosofo che ha avuto un’intuizione filosofica è passato poi ad analizzarla, a
renderla sistematica. Chi legge le sue opere, però, non può cogliere l’intuizione originale
semplicemente giustapponendo gli elementi teorici e le riflessioni presenti negli scritti
nel tentativo di ricostruire il pensiero autentico dell’autore. Si comprenderà veramente
quest’ultimo, nella sua intuizione originale, soltanto partecipando dell’intuizione stessa
del pensatore.
11
Ibi, p. 42
12
Ibi, p. 43
13
Ibidem.
14
P. Rossi e C. A. Viano, Storia della filosofia, vol.6, Il Novecento, Laterza, Bari 1999, p. 10
15
Bruno Brunello, proprio a proposito della impossibilità di esprimere l’intuizione con le
normali forme del dire e dello scrivere, che porta in fondo ad una incomunicabilità e al
solipsismo del soggetto nella propria intuizione, muove una forte critica a Bergson, che è
bene riportare:
Del resto, se ci accostiamo senza pregiudizi alla filosofia del Bergson e ci
chiediamo se il metodo intuitivo sia sufficiente a cogliere la realtà, è difficile
poter rispondere affermativamente, perché l’intuizione dell’immediato è
inesprimibile in una qualsiasi forma logica che non sia quella della
coscienza soggettiva. Se infatti, come pensa il Bergson, il linguaggio e lo
stesso pensiero logico, che si distendono nelle forme dell’universale e del
necessario nelle quali pure noi ci esprimiamo, spezzano con le loro
operazioni il concreto fluire della durata, come potremo mai esprimere ciò
che cogliamo con l’intuizione che è — per definizione — inesprimibile?
L’intuizione porta a rinchiudere il soggetto nella sua coscienza limitata a un
atto inesprimibile, ineffabile, che può sì estendersi all’infinito, ma di cui noi
non potremo renderci esatto conto perché quando parliamo, quando
comunque ci esprimiamo, lo facciamo in forme logiche (universali–astratte)
e spazio–temporali
15
.
Come si sarà notato anche da quest’ultimo passo, il concetto di intuizione è
strettamente legato a quello di durata, tanto che sarebbe impossibile la comprensione
dell’uno senza l’altro. Solo l’uomo, in quanto dura, è capace dell’atto intuitivo. Del resto,
l’atto intuitivo primo, di cui tutti, secondo Bergson, siamo capaci, è proprio l’intuizione
della nostra durata, realtà che per definizione è sempre colta da un punto di vista interno
e che quindi è la conoscenza assoluta per eccellenza, alla quale tutte le altre si
rapportano.
15
B. Brunello, Introduzione a H.Bergson, Introduzione alla metafisica, pp. 15, 16
16
§ 4. La durata
L’io autentico dura, vive un tempo unico e molteplice, ma non suddivisibile in istanti
determinati. La durata è la continuità degli istanti del nostro tempo interiore, quello
qualitativo, fatto di emozioni e stati d’animo. Questi stati o istanti che lo formano, in
realtà, non sono veri istanti, nel senso che il vocabolo assume nella fisica: non sono cioè
separati in modo netto gli uni dagli altri. Ogni istante è diverso da tutti gli altri, contiene
la memoria del precedente e l’anticipazione del successivo. La durata
è una successione di stati di cui ciascuno annuncia ciò che segue e contiene
ciò che precede. Veramente, essi non costituiscono degli stati multipli che
quando io li ho già sorpassati e torno indietro per osservarne la traccia.
Mentre li provavo erano sì solidamente organizzati, sì profondamente
animati d’una vita comune, che non avrei saputo dire dove uno qualunque di
essi finisse o l’altro cominciasse. In realtà, nessuno di essi comincia o
finisce, ma tutti si prolungano gli uni negli altri
16
.
Da quanto detto finora risulta chiaro che la durata e l’intuizione hanno a che fare con la
mobilità e sono le modalità della conoscenza per mezzo delle quali l’uomo può cogliere
autenticamente la realtà, interna ed esterna a lui, che è appunto mobile, mai fissa, e che
non può essere colta, nella sua essenza, mediante l’analisi ed i concetti.
Questa realtà è mobilità. Non esistono cose già fatte, ma soltanto cose che si
fanno, non stati che si mantengono, ma solamente stati che cangiano. Il
riposo è sempre apparente, o piuttosto relativo. La coscienza che abbiamo
della nostra propria persona, nel suo continuo scorrere, ci introduce
nell’interno d’una realtà sul modello della quale noi dobbiamo
rappresentarci le altre. Ogni realtà, dunque, è tendenza, se si conviene di
chiamare tendenza un cangiamento allo stato nascente
17
.
16
H.Bergson, Introduzione alla metafisica, p. 28
17
Ibi, pp. 53, 54
17
Stando a ciò che dice Bergson, in realtà, il concetto di durata non è completamente
definibile a parole, come del resto, quello di intuizione. Non è nemmeno un concetto
definibile per mezzo di altri concetti “più piccoli”, come io ho cercato di fare in queste
pagine. Anche “l’illustrazione” della durata tramite immagini non è del tutto attuabile
come ci spiega il filosofo francese dopo aver provato a renderlo con una serie di
pittoresche metafore visive
18
che rivelano tutta la sua vena artistica di premio Nobel per
la letteratura. Come si potrebbe, del resto, rendere l’idea di durata, se essa è l’intuizione
prima? Di qui l’osservazione, assolutamente inevitabile, di Bruno Brunello, riportata
sopra.
18
Sono, ad esempio, quelle famose dell’avvolgersi di un gomitolo, dell’attraversamento di uno spettro
dalle mille sfumature di colore, dell’allungamento dell’elastico… Nessuna immagine può rendere
davvero l’idea, ma, secondo Bergson , «molte immagini diverse, ricavate da serie diversissime di cose,
potranno, per la convergenza della loro azione, dirigere la coscienza sul punto preciso nel quale vi è
un’intuizione da afferrare» (H.Bergson, Introduzione alla metafisica, p. 39). Rispetto ai concetti e alle
parole, poi, l’immagine ha perlomeno il pregio di tenerci nel concreto.
18
EMMANUEL LÉVINAS
§ 5. Il Desiderio, il Medesimo, l’Altro
Le prime frasi di Totalità e Infinito sono dedicate proprio ad una definizione della
metafisica, nell’accezione generale che essa ha avuto nella storia del pensiero:
«La vera vita è assente». Ma noi siamo al mondo. La metafisica sorge e si
mantiene in questo alibi. Essa è rivolta all’«altrove», e all’ «altrimenti», e
«all’altro». Nella forma più generale sotto la quale si è presentata nella storia
del pensiero, essa appare infatti come un movimento che parte da un mondo
che ci è familiare — quali che siano le terre ancora sconosciute che lo
circondano o che nasconde — da una casa «nostra» e nella quale abitiamo, e
va verso una casa «non-nostra» ed estranea, verso un laggiù
19
.
Lévinas comincia quella che può essere considerata la sua summa filosofica
distinguendo i desideri che abbiamo comunemente, che in fondo sono dei bisogni, dal
Desiderio dell’assolutamente altro, di qualcosa di cui non abbiamo mai avuto
conoscenza, di cui non possiamo avere nostalgia, che a differenza di un bisogno non può
mai essere appagato.
Il Desiderio è invisibile, e l’incontro con esso non può essere anticipato col pensiero,
non possiamo prefigurarcelo. Non si può soddisfare il desiderio dell’Altro ed è proprio
questo fatto che garantisce «l’allontanamento, l’alterità e l’esteriorità dell’Altro»
20
. Fra
il Medesimo e l’Altro può attuarsi un rapporto capace di mantenere i due termini
esteriori l’uno all’altro.
19
E.Lévinas, Totalitè et Infini, Nijhoff, La Haye, 1961, trad. it. di A. dell’Asta, Totalità e infinito, Jaca
Book, Milano 1980, p. 31
20
Ibi, p. 32