noli nel mercato internazionale e nel trasporto della merce verso il
Paese importatore; di “exchange dumping”, per quanto riguarda la
svalutazione della propria moneta ovvero l’applicazione di cambi
multipli al fine di favorire le proprie esportazioni; di “bounty
dumping”, nei premi all’esportazione ed infine (soprattutto per una
recente ritrovata attualità) di “social dumping”,
3
nei casi in cui il
costo del lavoro o il sistema di sicurezza sociale permetta
l’esportazione a prezzi favorevolmente inferiori alla media
nazionale. Sebbene l’attenzione possa focalizzarsi maggiormente
sul concetto industriale di esportazione a prezzi “sleali”
(riguardante anche i servizi come merci in senso lato), le altre
sfumature di dumping possono comunque essere per certi versi
ricondotte ad una trattazione unitaria, valendo molte delle nostre
considerazioni genericamente per ognuna di esse. Consideriamo
quindi questa distinzione unicamente a titolo conoscitivo non
riferendoci ad essa ulteriormente (se non in via indiretta e
marginale) nel corso del presente lavoro e nell’analisi delle
normative (alla quale scarsamente fanno riferimento).
4
termine “unload”.
3
Primi casi storici per eccellenza di “social dumping” risalgono agli anni ’20 con
l’imposizione di diritti doganali addizionali per contrastare gli effetti di un prolungamento
dell’orario di lavoro di un determinato Paese esportatore.
4
Nel raduno a Londra del Comitato Preparatorio per la discussione sull’Articolo 11 (della
proposta statunitense sui dazi antidumping) emerse dalla discussione il riferimento a quattro
tipi di dumping: “price, service, exchange, social”. L’Articolo 11 si riferì a misure riguardanti
unicamente il primo tipo con il conseguente presunto obbligo di non contrastare i rimanenti tre
(era d’altronde generalmente accettato come l’”exchange dumping” fosse di pertinenza del
Fondo Monetario Internazionale mentre il “social dumping” materia per il Comitato di studi
sull’industrializzazione. Da un rapporto di un sottocomitato alla Conferenza dell’Avana invece
ricaviamo testualmente: “The Article as agreed to by the Sub-Committee condemns injurious
‘price dumping’ as defined therein and does not relate to other types of dumping”. Dal rapporto
di un altro sottocomitato, riguardante le eccezioni generali all’Articolo VI, ed in riferimento
all’Articolo XX(d) del GATT “designed to exempt measures against so called ‘social
dumping’ from the provisions of Chapter IV, the Sub-Committee expressed the view that this
objective was covered for short-term purposes by paragraph 1 of Article 40 [XIX] and for
2
Anche escludendo tale precedente distinzione non possiamo
però non prendere atto della vastità di portata che l’argomento
dumping va ad abbracciare (indipendentemente dalla normativa
internazionale atta a regolarlo): come hanno brillantemente notato
Blonigen e Prusa
5
infatti questo, insieme allo studio
dell’antidumping come attività di contrasto, affonda i suoi
presupposti e le sue spiegazioni in una lunga lista di concetti
economici che vanno dalla teoria del “rent-seeking” all’azzardo
morale ed alla selezione avversa, dalla concorrenza imperfetta alla
protezione da contingentamento ed al concetto di cartello tra
imprese per passare infine dalla nozione di tariffa ottimale, costo
comparato e regionalismo economico.
6
Andare ad analizzare il comportamento dell’impresa ed i
benefici da questa ricavati nell’operare in dumping può essere un
interessante punto di partenza: le teorie a cui è possibile riferirsi
risalgono sorprendentemente agli inizi del XX secolo, sulla scia di
long-term purposes by Article 7 [on workers rights] in combination with Articles 93, 94 and 95
[on dispute settlement]”. Dal secondo rapporto del Gruppo di Esperti “on Anti-Dumping and
Countervailing Duties” citiamo infine: “the Group decided that what was generally known as
freight dumping did not fall under the provisions of Article VI”. In Analytical Index of the
GATT pp. 204-205.
5
José Tavares de Araujo Jr Legal and Economic Interfaces Between Antidumping and
Competition Policy in World Competition, 25(2) 2002, pp. 159-172 (pp. 161-162).
6
“Rent-seeking” o “rent defending” è un termine utilizzato per indicare lo spreco dell’intero
profitto da parte di un monopolista (oltre alla perdita di efficienza per un prezzo maggiore di
quello praticabile in condizione di perfetta concorrenza) utilizzato ad esempio in campagne
pubblicitarie, avvocati o lobby per difendersi dall’autorità antitrust. Seleziona avversa (o
antiselezione) ed azzardo morale sono due comportamenti derivanti dal concetto più ampio di
imperfezioni dei mercati dovuto all’incompletezza delle informazioni di cui dispongono gli
individui che vi operano. Il primo indica un vantaggio acquisito da un individuo che gode di un
certo margine di libertà, nell’esecuzione di un accordo o stipulazione di un contratto, proprio
per le informazioni che detiene in modo esclusivo; il secondo è invece un comportamento
sleale da parte di un soggetto che altera la realtà (occultando o modificando informazioni) e
beneficiando della situazione che si viene pertanto a creare. Del concetto di concorrenza
imperfetta ci riferiremo più volte nel discutere della discriminazione di prezzo presente nel
primo capitolo; i concetti invece di vantaggio comparato, tariffa ottimale e regionalismo
3
quegli studi che individuavano negli schemi della concorrenza
perfetta una risposta insoddisfacente a descrivere l’evoluzione
dell’allora panorama economico, e più precisamente nella critica
alla cosiddetta “legge del prezzo unico”, come presupposto per
valutare la discriminazione di prezzo (di cui il dumping può
considerarsi un particolare esempio, caratterizzato dalla
segmentazione e dalla differenziazione geografica e politica di
mercati internazionali). E’ possibile rendersi conto quindi di quali
siano gli elementi distintivi del fenomeno e le condizioni essenziali
sulla base delle quali questo possa verificarsi (riassumibili
principalmente come vedremo nella possibilità di segmentare i
mercati e nella necessità di una barriera in grado di mantenere
duratura nel tempo tale distinzione).
Due sono infatti le particolarità di fondo relative al dumping
che si riflettono in parte anche nella sua regolamentazione
internazionale e nei modi in cui gli studiosi si rapportano a questo
fenomeno.
Un primo elemento riguarda la natura dello stesso,
riconducibile principalmente al comportamento di un’impresa come
soggetto privato, nei confronti del quale la normativa internazionale
non può che riferirsi in maniera indiretta, sanzionando e vincolando
in pratica il comportamento degli Stati o più che altro
concedendogli la facoltà di reagire a tale pratica (derogando
parzialmente al principio di non discriminazione, imponendo dei
dazi senza concedere in cambio alcun beneficio). Collegato a questo
fatto è anche l’impossibilità di addentrarsi più di tanto nell’analisi
delle situazioni indagate, per l’elevata difficoltà di cogliere
economico saranno trattati nel secondo.
4
esteriormente fattori strategici legati alle scelte manageriali interne
e all’andamento ed alla valutazione dei costi delle imprese (tanto
necessari per cogliere l’entità della scorrettezza della pratica).
Da quanto detto non si può evitare di prendere atto come
comportamenti anche legittimi di imprese, poiché riconducibili a
pratiche manageriali pienamente accettate ed ampiamente
condivisibili, possano in ultima analisi risultare scorrette poiché
discriminanti nei confronti di mercati di differenti Paesi, e quindi in
teoria sanzionabili.
7
Un analisi sulla vera pericolosità del dumping,
in relazione alla possibilità di istituire un monopolio e costringere
ad uscire dal mercato le imprese concorrenti, ovvero sulle
caratteristiche dei mercati interessati, risulta pertanto un gradino
necessario da affrontare, così come l’individuare i caratteri migliori
sui quali basare un processo di valutazione per stabilire l’effettiva
esistenza di questa pratica.
8
Come ricordato la reazione diretta (sul piano internazionale)
per contrastare il dumping si concretizza nell’imposizione di un
dazio, la cui considerazione obbliga inoltre ad un’analisi dei suoi
effetti sui mercati dei Paesi coinvolti (in termini di perdite di
benessere per i soggetti interessati). Questo ci permette di introdurre
un ulteriore ordine di fattori che vede nel dilemma tra importazione
in dumping, danno per l’impresa nazionale (e per la perdita dei
7
Avremo modo di considerare ampiamente infatti come la segmentazione e la discriminazione
tra differenti mercati possa considerarsi pienamente condivisibile nell’obiettivo di conseguire
un ricavo totale più elevato rispetto all’ipotesi del prezzo unico.
8
In questo caso sarà dato ampio spazio al concetto di “contestabilità di mercato”, ovvero la
facilità (nella valutazione di un dato settore) di entrata ed uscita delle imprese che vi operano, e
di “prezzo predatorio”, vale a dire quella pratica di vendita a prezzo talmente inferiore da avere
come effetto quello di costringere i concorrenti a lasciare il mercato, insediarvisi
successivamente come monopolista imponendo prezzi maggiorati per rivalersi delle perdite
dell’operazione (entrambi considerati ovviamente sempre sul piano internazionale).
5
fattori ivi impiegati), e vantaggio in termini di prezzo, indubbio
beneficio per i consumatori locali e per l’efficienza del sistema
economico globalmente inteso, un argomento piuttosto dibattuto.
E’ questo l’altro elemento importante che vogliamo
sottolineare: il contrasto di una importazione competitiva può senza
dubbio infatti essere considerata una pratica protezionistica
svantaggiosa, anche in un’ottica di pieno ed eccellente sfruttamento
mondiale delle risorse produttive ovvero positiva occasione di
riallocare in modo migliore quei fattori dimostratisi così
scarsamente produttivi.
9
Una valutazione sulla necessità ed i
vantaggi del libero scambio (partendo dalle basi del commercio
internazionale e dalla teoria dei Costi Comparati), così come delle
esigenze e dei fattori che inducono ad intraprendere una politica
protezionistica sembra essere pertanto una tappa obbligata.
10
L’importanza della considerazione del carattere protezionistico
nell’imposizione dei dazi ci permette altresì di introdurre la cornice
istituzionale ed internazionale nella quale il dumping deve essere
riconsiderato:
11
la struttura del GATT e l’impianto
9
Come valutare infatti l’importazione di un prodotto ad un prezzo più basso di quello praticato
dalle imprese nazionali: un tentativo di danneggiare il settore produttivo interessato con tanto
di riflesso per la perdita dei fattori ivi impiegati (sulla base della mercantilistica affermazione
che racchiude nell’espressione “beggar the neighbour” la considerazione della ricchezza come
guadagno a danno di altri) ovvero un benefico regalo da parte del Paese esportatore che, per
ragioni pratiche o per la strategia adottata dai soggetti che vi operano, svende parte del proprio
reddito (cedendolo in realtà sulla base di una ragione di scambio a lui svantaggiosa).
10
Vedremo in questo contesto l’importanza dei principi ispiratori del libero scambio. E’
possibile notare infatti come, anche in presenza di comportamenti protezionistici adottati dagli
Stati (in risposta a situazioni di crisi) Questi non abbiano mai disconosciuto tali principi (posti
peraltro alla base delle organizzazioni internazionale). La giustificazione è spesso stata infatti
in termini di misure necessarie, anche se temporanee, per risolvere singole situazioni
contingenti (fonte di problemi economici e sociali in particolari settori) ed eliminabili non
appena la capacità di competere sul piano internazionale viene recuperata.
11
La facilità con cui, in particolar modo intorno agli anni ’80, tali tipi di dazi sono stati
applicati getta un’ombra di incertezza sugli scambi e può costituire una nuova forma di
protezionismo contraria allo sforzo avviato nella riduzione delle barriere doganali. Blonigen e
6
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, come forum
internazionale di cooperazione economica multilaterale, ci portano
alla necessaria analisi dell’Articolo VI e di conseguenza
dell’”Agreement on Implementation of Article VI of the General
Agreement on Tariffs and Trade 1994”.
12
Citando una similitudine molto perspicace di Robert Baldwin
13
possiamo paragonare la liberalizzazione del commercio alla
bonifica di una palude: con il diminuire del livello dell’acqua infatti
(ovvero con l’abbassamento delle protezioni tariffarie) grazie ad
una efficace opera di drenaggio facilmente emergono rocce, tronchi
ed ogni altro genere di ostacoli; da questo punto di vista il WTO
può avere una funzione molto importante, un po’ come un “albero
maestro” al quale i governi dei vari Paesi possono legarsi per
scampare al richiamo delle pressioni protezionistiche dei vari
gruppi (Roessler 1985).
14
Passeremo pertanto ad analizzare dettagliatamente l’approccio
normativo internazionale in materia antidumping, valutando in
particolar modo l’Accordo di intesa venuto alla luce a seguito della
conferenza dell’Uruguay Round, come esplicazione dei principi
dell’Articolo VI nonché ampio complesso di procedure e strumenti
Prusa (2001) hanno osservato a tal proposito come dal 1980 i Membri del GATT/WTO siano
ricorsi alle procedure previste dall’Accordo Antidumping in misura maggiore rispetto a tutti gli
altri accordi commerciali considerati insieme. In Jozef Konings and Hylke Vandenbussche
Does Antidumping Protection raise Market Power of Domestic Firms? Evidence from Firm
Level Data, (I. Introduction p. 2) da http://econ.haifa.ac.il/~ozshy/dump20.pdf.
12
Potremo constatare come le normative dei vari Stati in materia antidumping affondino le
proprie radici pressappoco nello stesso periodo dei primi studi economici in materia, e nello
scopo principale di impedire l’istituzione di un monopolio nel Paese importatore (riflesso del
carattere fortemente strutturale e rigido delle economie capitalistiche dell’epoca, concausa tra
l’altro della crisi del ’29).
13
Keith Steele Anti-Dumping under the WTO: A comparative Review, Kluwer Law
International, Preface (Petros C. Mavroidis), p. xxi.
14
Bernard M. Hoekman and Michael M. Kostecki The Political Economy of The World
7
sui cui presupposti un Paese può applicare un dazio a contrasto di
tale pratica. Gli elementi principali possono racchiudersi nella
individuazione del margine di dumping (come differenza calcolata
con l’ausilio di particolari tecniche e procedure di normalizzazione
dei prezzi nei due mercati
15
), nell’analisi del pregiudizio (causato al
settore interessato debitamente identificato) nonché il nesso causale
tra questi due elementi.
Nessun giudizio è invece espresso nel valutare se il dumping
sia in definitiva un comportamento di “unfair competition” ed
eventualmente in quali termini, frutto probabilmente sia delle
particolarità di questo già anticipate, che del fatto di essere un
argomento largamente dibattuto in letteratura e sulla cui base manca
un coerente ed ampio consenso.
16
L’unica cosa che si può rimarcare
è come la definizione di dumping si sia evoluta nel corso degli anni
(a partire chiaramente dal rischio di istituzione di monopolio nelle
prime discipline nazionali) da “practice of selling a good for export
at a price below that charged for the identical good in the exporting
country” (Willig, 1997) a “offering a product for sale in export
markets at a price below normal value (as the price charged by a
firm in its own market, in the ordinary course of trade)”.
17
Trading System: The WTO and Beyond, par. 1.3 p. 12.
15
Come vedremo dal confronto tra prezzo di esportazione e presunto prezzo praticato
internamente dal Paese esportatore (definito valore normale). Presunto poiché considerato
spesso non attendibile (o non “in the ordinary corse of trade”) e ricavato in alternativa dalla
struttura dei costi dell’impresa indagata ovvero con il raffronto verso un altro Paese
esportatore.
16
Specialmente sull’effettiva dannosità della discriminazione di prezzo.
17
Andrea Lasagni Does Country-targeted Anti-dumping Policy by the EU Create Trade
Diversion? in Journal of World Trade, 34(4) 2000, pp. 137-159 (p. 139).
Da uno dei rapporti periodici sull’antidumping (del 1993) della Commissione Europea
ricaviamo le seguenti considerazioni sulle misure antidumping:
The reasons why GATT consider dumping as unfair are:
- dumping requires that the export market be segregated and that the importing market be open.
8
Non è un caso quindi, come potrà emergere anche dalla
minuziosa valutazione ed analisi critica sulle disposizioni
dell’Accordo, come possano sorgere alcuni dubbi sull’efficacia del
suo approccio, in particolar modo con riguardo al grado di
trasparenza ed affidabilità da questo garantito nei confronti degli
interessi della comunità internazionale (specialmente per gli Stati
politicamente ed economicamente meno potenti).
Questo dubbio, condiviso da un gran numero di studiosi, ci
permetterà di analizzare infine eventuali proposte di riforma ovvero
valutazioni particolarmente critiche circa la necessità di mantenere,
abrogare o solamente emendare la normativa (e sulla base di quali
presupposti).
Scopo di questo lavoro è in definitiva, dopo aver analizzato gli
elementi principali relativi alla discriminazione del prezzo e alla
necessità di un sistema economico multilaterale strutturato sulla
base di determinati principi, considerare le disposizioni
dell’Accordo e valutarne analiticamente conseguenze ed
eventualmente incongruenze, per giudicare quanto queste siano o
meno di riflesso delle considerazioni economiche messe in
evidenza. Altrettanto importante sarà conseguentemente esprimere
un giudizio sulla codificazione della normativa antidumping
all’interno del WTO, per determinare se questa sia in qualche modo
e sotto quali auspici migliorabile ovvero se le insoddisfazioni ed i
These substantially different degrees of market access make international trade fundamentally
different to trade within an integrated market;
- operating from a segregated market can confer on exporters an advantage which is not due to
higher efficiency and cannot be matched by his competitors in the importing country;
- this provides the dumper with the opportunity to maximize profits or minimize losses and can
be highly injurious to the importing country’s industry.
Robert Z. Lawrence Brookings Trade Forum 1998, Brookings Institution Press, Washington,
9
problemi emersi nel corso della trattazione siano invece per larga
parte infondati; riflesso di una incompleta armonizzazione delle
pratiche economiche e giuridiche degli Stati e di una cooperazione
che vede in una comunità anarchica (come quella dei soggetti di
diritto internazionale) un ulteriore limite all’efficienza del sistema
mondiale inteso nel suo complesso.
I – LA NASCITA DEL GATT, ACCORDO E
ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE
Abbiamo visto come la normativa antidumping trovi luogo
all'interno dell'Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul
Commercio e di conseguenza nella struttura dell'Organizzazione
Mondiale del Commercio.
Vogliamo in questo parte presentare gli elementi principali di
Questa (prima di iniziare la trattazione vera e propria) e per far ciò
riteniamo interessante partire dalla costituzione stessa dell'Accordo
Generale e dalle circostanze e le caratteristiche che hanno spinto poi
alla sua modificazione nel corso dell'Uruguay Round.
Il GATT è stato il primo e più importante accordo
multilaterale in materia commerciale, in un campo dominato fin dai
tempi dei primi Stati Nazionali da accordi bilaterali orientati
principalmente a fissare condizioni di importazione ed esportazione
vincolanti per gli operatori commerciali pubblici e privati. Il
risultato di questi accordi era però la creazione di un insieme di
relazioni frammentarie, piuttosto svantaggiose in termini di
riduzioni tariffarie, maggiormente esposte all'influenza dei soggetti
D.C. p. 27.
10
economicamente più forti nonché più difficilmente controllabile nel
complesso.
La crisi sofferta negli anni '30 inoltre (considerata una delle
cause fautrici di quel clima che portò poi alla seconda guerra
mondiale) aveva diffuso la fondata convinzione della necessità di
una cooperazione politica pacifica tra gli Stati, da ricercare in una
crescita internazionale comune sulla base di principi democratici
ispirati al liberismo ed alla ricerca della migliore allocazione delle
risorse. L’assenza di tale cooperazione infatti facilitò a parere di
molti l’esasperazioni di nazionalismi e politiche autarchiche, con il
conseguente aggravamento delle crisi economiche già in atto.
18
La collaborazione economica multilaterale si sviluppò pertanto
alla fine della guerra, su iniziativa anglo-americana, e come
reazione al precedente protezionismo nonché esorcismo verso
quelle condizioni che ne erano state causa scatenante. L'ideologia
preminente vedeva pertanto un ritorno al liberismo economico
(sulla base dei principi in voga nel diciannovesimo secolo), in
special modo nel richiamo alla teoria del Vantaggi Comparati sulle
cui fondamenta la divisione internazionale del lavoro avrebbe
dovuto portare la massimizzazione del benessere di ciascun Paese
coinvolto. Tale orientamento generale era però mitigato dalle più
recenti dottrine economiche, che vedevano la necessità di interventi
governativi per motivi sociali e politici al di fuori dell'orizzonte
economico, e per correggere eventuali imperfezioni nel mercato e
favorire una politica di occupazione e crescita stabile del reddito
18
L’eccessiva necessità di intervento dello Stato nel sistema produttivo con un approccio
neutrale e protezionista si rifletté peraltro, oltre che in una famosa politica di appalti pubblici,
in una forzata industrializzazione pesante e conseguentemente una corsa agli armamenti.
11
nazionale.
Nella necessità di progettare il sistema monetario
internazionale del dopoguerra e sulla base dei presupposti appena
individuati (oltre che con lo scopo di evitare in futuro la caotica
situazione sviluppatasi alla fine della prima guerra mondiale),
gruppi di esperti del Tesoro americano ed inglese diedero pertanto
vita ai cosiddetti accordi di Bretton Woods (nel Luglio del 1944).
Nonostante le comuni intenzioni però le decisioni intraprese non
furono prive di contrasti, derivanti in particolar modo sia dalle
differenze economiche in cui versavano i due Paesi (l'Inghilterra,
uscita come gli altri fortemente indebitata dalla guerra e con un
apparato industriale pressoché distrutto, soffriva ormai lo strapotere
degli Stati Uniti, l'unico Paese creditore nei confronti del resto del
mondo, avendo accumulato circa il 70% dell'oro mondiale, nonché
quasi esclusivo fornitore dei beni presenti sul mercato e della
tecnologia) che dagli obiettivi riposti in tale cooperazione. Gli
americani sostenevano da questo punto di vista l'importanza del
libero scambio e di una stabilità dei cambi (con la paura che
venendo meno la spinta impressa dal recente conflitto bellico si
potesse riaffacciare una recessione
19
), l'Inghilterra dall’altro, non
essendo in condizione di affrontare una libera competizione,
privilegiava un'ottica di pieno impiego non subordinato
all'equilibrio della bilancia dei pagamenti e supportato da un
rapporto privilegiato con i Paesi dell'Impero. Il compromesso a cui
si giunse assicurò l'adesione inglese alla tesi della convertibilità
delle monete, in cambio di un impegno USA a perseguire il pieno
19
Lo spettro della crisi del ’29 (che aveva portato a credere addirittura ad un tramonto in
chiave marxista del capitalismo) era ancora piuttosto vivo e presente.
12
impiego ed a garantire risorse finanziarie sufficienti per la
ricostruzione ed il mantenimento dei legami speciali del Regno
Unito con il Commonwealth.
La conferenza predispose pertanto gli accordi istitutivi del
Fondo Monetario Internazionale, come insieme di norme ed
istituzioni intese a regolamentare gli aspetti monetari e finanziari
delle relazioni economiche internazionali,
20
e della Banca
internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Ne discese inoltre
la necessità di un accordo sui mezzi più idonei a ridurre gli ostacoli
al commercio internazionale ed a promuovere relazioni
commerciali multilaterali mutuamente vantaggiose, al fine di
conciliare il nuovo sistema monetario internazionale con lo stimolo
alla creazione ed al sostegno degli investimenti (con un
capovolgimento delle politiche protezionistiche e discriminatorie
del periodo precedente).
Nel 1945 gli Stati Uniti proposero pertanto agli Stati membri
aderenti all'appena costituita Organizzazione delle Nazioni Unite un
documento dal titolo "Proposte per l'espansione del commercio e
dell'occupazione Mondiali", nel quale si prevedeva tra le altre cose
la creazione di un'organizzazione internazionale in materia
commerciale. Nel Febbraio del 1946 pertanto il Consiglio
Economico e Sociale delle Nazioni Unite, nella sua prima sessione,
decise di indire la Conferenza della Nazioni Unite sul commercio e
sull'occupazione con l'obiettivo di costituire l'Organizzazione
internazionale del commercio (International Trade Organization o
ITO). L'accordo istitutivo dell'ITO avrebbe dovuto comprendere tra
20
Con un sistema di conversione delle valute basato sulla quantità di risorse apportate al Fondo
ed incentrato di conseguenza principalmente sul dollaro USA.
13
l'altro norme volte ad ottenere uno stabile ed elevato livello di
occupazione, oltre che a regolare il commercio in un'ottica di
riduzione delle restrizioni reciproche e di promozione dello
sviluppo industriale.
A Ginevra, nel corso di una delle sessioni preparatorie
dell'Organizzazione, si svolsero anche i previsti negoziati
multilaterali per la riduzione delle tariffe doganali concretizzatisi
nella stesura di liste di concessioni per il reciproco trattamento
tariffario dei vari prodotti e con lo scopo di vincolare gli Stati già da
subito ad una diminuzione delle barriere (nell'ottica di inserire tale
struttura come onere di adesione alla futura Organizzazione
Internazionale di cui si prevedeva a breve la nascita). Con gli stessi
negoziati si previde inoltre un insieme di regole transitorie di
condotta commerciale (inserite nella parte II) per garantire il
mantenimento degli impegni assunti ed evitare pratiche
commerciali scorrette in grado di aggirarli
21
(regole che avrebbero
cessato di aver efficacia alla nascita dell'ITO, lasciando come
riferimento quindi solo la parte I e III di tale Accordo).
Non era prevista però alcuna disposizione di carattere
organizzativo dato che il governo americano operava sotto una
speciale delega conferita dal Congresso (competente in materia di
accordi commerciali), la cui scadenza sarebbe avvenuta di lì a
poco
22
ed il cui rinnovo, a causa di una nuova maggioranza, era
considerato poco probabile.
21
In questa parte anche il ben noto Articolo VI, la cui facoltà di applicazioni per gli Stati Uniti
(già dotati di un apparato normativo indirizzato al dumping ed alle sovvenzioni dai requisiti
procedurali però meno rigorosi) costituì nel corso degli anni uno dei maggiori disaccordi e
conseguentemente uno delle cause che portarono alla stipulazione dei successivi Accordi di
Implementazione.
22
Nel giugno del 1948.
14
Nella necessità pertanto di stipulare un accordo commerciale
entro tali termini il più completo possibile il 30 Ottobre del 1947
venne sottoscritto da ventitré Stati il cosiddetto Accordo Generale
sulle Tariffe Doganali e sul Commercio (o GATT), il cui
funzionamento era assicurato da subito grazie al cosiddetto
"Protocollo di applicazione provvisoria".
23
Quasi contemporaneamente, nel corso della Conferenza
plenaria convocata dal Consiglio Economico e Sociale che si svolse
all'Avana dal 21-11-1947 al 24-3-1948, veniva terminato il testo
della carta dell'ITO (anche denominata "Carta dell'Avana") con
l'approvazione e la sottoscrizione da parte di cinquantaquattro Stati
e con il proposito di essere ratificata entro un anno dalla stesura
della stessa. Se nonché gravi difficoltà interne sofferte da Stati Uniti
e Gran Bretagna nell’ottenere l’autorizzazione necessaria alla
ratifica lasciarono allo stadio di progetto tale organizzazione,
svuotata tra l’altro di contenuto a causa della mancata adesione di
quegli Stati che maggiormente ne furono promotori e sostenitori.
Gli Stati Uniti ad esempio, con un mutato clima di apertura e
fiducia verso una completa cooperazione internazionale e sotto le
pressanti richieste protezionistiche di varie associazioni di
produttori,
24
giunsero nel Dicembre del 1950 all'annuncio ufficiale
di rinunciare ad ottenere l'autorizzazione alla ratifica; presto seguito
da un analoga dichiarazione da parte della Gran Bretagna.
Rimase pertanto in vita solamente l'Accordo Generale che,
23
Un accordo in forma semplificata stipulato allo scopo di non dover attendere il deposito della
ratifica contestualmente a quello della Carta dell’ITO (come era intenzione di molti Stati
partecipanti).
24
Oltre alla diffidenza verso un accordo che prevedeva tra l’altro l’obbligo internazionale di
perseguire la piena occupazione e non garantiva un sufficiente controllo delle restrizioni
quantitative applicate al commercio.
15