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Un importante aspetto da tenere presente affrontando queste tematiche
riguarda lo stile e il modo di affrontare lo studio semiologico del cinema di
Pasolini. Nei saggi di questo autore che noi prenderemo in considerazione,
anche per la forma espositiva usata, quella cioè di brevi saggi indirizzati a
riviste specializzate o preparati per convegni, è poco presente la
preoccupazione di dare riferimenti precisi e sistematici agli autori presi come
modello e di elaborare uno studio completo, scientifico e sistematico.
L’approccio di Pasolini è molto personale, attento soprattutto a
ipotizzare nuovi modi di leggere l’oggetto di studio dell’immagine
cinematografica e poco preoccupato di mostrare la base teorica di riferimento o
di entrare nello specifico in alcune questioni solo accennate. Anche il richiamo
alla fenomenologia che egli compie risulta solo abbozzato e poco giustificato.
Attraverso il confronto tra gli scritti di Pasolini e quelli di alcuni
esponenti della fenomenologia (Husserl e Sartre) l’obbiettivo quindi è quello di
mostrare affinità e differenze tra le due impostazioni e verificare le somiglianze
che Pasolini sostiene ci siano tra la suo metodo di analisi e quello della
fenomenologia
Nonostante il fatto che Pasolini non appartenga alla cerchia dei
semiologi, e nemmeno tra quella dei teorici del cinema più sistematici, tanto
meno tra i filosofi, la sua analisi del linguaggio cinematografico pone
interessanti spunti di approfondimento, tanto più se si pensa che è solo
l’esplicitazione di un lavoro artistico concreto che ha prodotto diverse opere
filmiche.
Nel primo capitolo l’intento è innanzitutto di capire come e perché Pier
Paolo Pasolini affronta l’analisi del linguaggio cinematografico, in particolare
dichiarando le caratteristiche dei testi nei quali l’autore ne parla, mostrandone
la frammentarietà.
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L’analisi di Pasolini non soddisfa le esigenze di un semiologo rigoroso
che, come vedremo ad esempio parlando di Umberto Eco, confrontandosi con il
suo lavoro non può che sottolineare le contraddizioni ; le considerazioni di
Pasolini possono tuttavia essere accolte come le intuizioni di un poeta che svela
la profondità degli strumenti linguistici che utilizza. Il cinema, infatti, diventa
per Pasolini il linguaggio che più di ogni altro permette di dire il reale senza
staccarsi da esso, e diventa quindi il mezzo più adatto per soddisfare la sua
ricerca di un modo autentico per raccontare la vita.
Pasolini parla del linguaggio cinematografico affrontando la questione
da diversi punti di vista a seconda degli scritti presi in esame. In alcuni
interventi, utilizzando gli strumenti della linguistica e della semiologia, egli
intende prima di tutto classificare il segno cinematografico originario non
ulteriormente scomponibile. In questo caso, come vedremo nel paragrafo
intitolato “il cinema come semiologia della realtà”, egli tratta l’immagine
cinematografica paragonandola al segno della lingua scritto-parlata.
L’obbiettivo è perciò quello di individuare le cellule ultime del linguaggio
delle immagini, cioè il “segno-immagine” non ulteriormente scomponibile.
Pasolini constata le sostanziali differenze tra il linguaggio della lingua e
delle immagini, riconoscendo la difficoltà nell’individuare nel linguaggio del
cinema la stessa classificazione della lingua parlata che è suddivisa in frasi,
parole e lettere. Nel paragrafo dedicato alla grammatica del cinema si tratta
invece dei diversi strumenti e procedimenti attraverso cui il linguaggio della
realtà viene trascritto nel cinema.
L’analisi di quello che il nostro autore chiama “linguaggio delle azioni”
offre un primo spunto di confronto e di verifica delle possibili coincidenze tra
Pasolini e fenomenologia. La volontà di Pasolini di analizzare il cinema,
intendendolo come specchio che permette di guardare la realtà nel suo darsi più
originario e privo di elaborazioni, è una sensibilità che accomuna Pasolini ad
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alcuni autori della fenomenologia. Questi ultimi infatti volendo considerare la
realtà nel suo darsi più originario e cercando il dato più vero a cui fare
riferimento, parlano del “vissuto” del soggetto.
Anche Pasolini vuole individuare il linguaggio originario e ultimo
attraverso cui la realtà si mostra. In entrambi i casi c’è questa volontà a
spogliare i segni con cui la realtà si dà per giungere al dato non ulteriormente
scomponibile. Si tratta in questo quarto paragrafo di notare le differenze che
esistono tra il concetto di “linguaggio delle azioni” di Pasolini e la prospettiva
fenomenologica che mette al centro il “vissuto” del soggetto. La principale
differenza tra le due prospettive è che secondo Pasolini il linguaggio delle
azioni con cui la realtà si mostra non è caratterizzato dal ruolo del soggetto che
lo vive. Secondo il nostro autore, la realtà si mostra in “unità-azione”
indipendentemente da un soggetto che incarna questo linguaggio.
Per comprendere meglio le tematiche che Pasolini affronta è
indispensabile comprendere il contesto nel quale egli compie la sua ricerca. I
convegni di Pesaro del 1965, 1966 e 1967 sono i luoghi in cui egli espone la
sua teoria ed è interessante vedere quali siano le problematiche linguistiche
sollevate dagli autori che partecipano al dibattito in quegli anni. Pasolini è il
principale catalizzatore dei discorsi e scatena un interessante dibattito
sull’analisi del linguaggio filmico.
Attraverso l’analisi di alcune problematiche affrontate da autori come
Metz ed Eco, questa parte contribuisce a comprendere le questioni linguistiche
e filosofiche che interessano gli studi di quel periodo e nello stesso tempo a
scontrarsi con le prese di posizioni dell’autore italiano.
Attraverso lo studio semiologico di Christian Metz noteremo in
particolare come il modo di pensare il “linguaggio della realtà” di Pasolini sia
profondamente condizionato dal metodo e dai concetti della linguistica e della
semiologia. Le considerazioni dell’autore italiano riflettono l’impostazione di
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Metz quando si parla della non arbitrarietà del segno dell’immagine rispetto a
quello della lingua orale e scritta e quando viene individuata la particolare
forza comunicativa “logopatica” delle immagini in movimento con cui le
emozioni vengono trasmesse direttamente e non attraverso elaborazioni
concettuali.
L’influsso di Metz permette a Pasolini di strutturare la sua idea di
“linguaggio originario delle azioni”. Essendo il nostro intento quello di
confrontare questa ricerca di Pasolini del dato più originario con cui la realtà si
mostra, con l’analogo obbiettivo della fenomenologia di individuare il vissuto
del soggetto come elemento originario di codificazione del reale, si tratta di
vedere se e come l’influsso della semiologia di Metz in Pasolini sia conciliabile
con la fenomenologia. Vedremo come sia centrale la mancata consapevolezza
da parte di Pasolini di affiancare due impostazioni, cioè quella della linguistica
e della fenomenologia, che leggono il linguaggio delle immagini da due ambiti
metodologici con premesse non sovrapponibili.
Con Umberto Eco sarà interessante approfondire una parte delle critiche
che l’analisi di Pasolini suscita. Il problema centrale sembra essere quello della
non sistematicità dell’analisi pasoliniana. Egli infatti si avvicina ad esempio
allo studio semiologico dell’immagine, ne prende in prestito i concetti, ma
subito dopo non rispetta le regole metodologiche che quel contesto
richiederebbe.
Pasolini si sente molto libero nello sfruttare le discipline che incontra sul
suo percorso, per estrapolare dei concetti o delle idee che condivide.
Dopodiché non rimane fedele all’impostazione, ma intraprende un discorso
personale, reinventando a modo suo il senso di quei concetti. Analizzando i
suoi scritti da un severo punto di vista semiologico, rigoroso nel rispettare i
fondamenti della disciplina, come fa ad esempio Umberto Eco, si vedono
quindi le contraddizioni e gli errori di metodo presenti.
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In questa peculiarità e “lacuna” del pensiero del regista italiano sta anche
però la sua grandezza. La sua creatività di artista quale egli era, non lo fa
ragionare in modo rigoroso su un aspetto come farebbe un serio semiologo, ma
lo porta su altre strade. La sua non è quindi una teoria del cinema, ma un
abbozzo di analisi, una riflessione a margine del suo ruolo di artista e
intellettuale. Nei suoi scritti si trovano passaggi illuminanti, anche se non
ordinati e approfonditi, che ci danno in poche righe un’idea della ricchezza
espressiva del cinema.
Nel suo lavoro teorico si comprende perché egli trovi nel cinema il
linguaggio più adatto per esprimersi, il linguaggio più sincero : le immagini
permettono, secondo Pasolini, di avvicinarsi alla realtà fino a immergersi in
essa, anziché rimanere distaccati in un linguaggio di segni arbitrari. Il
linguaggio delle immagini secondo Pasolini, riducendo fino a farla scomparire
la distanza tra segno simbolico e realtà, non evoca il mondo, ma esprime la
realtà con la realtà. Il cinema diventa per il nostro autore un canale privilegiato
per esprimere il suo amore per la realtà in cui immergersi senza interruzioni.
E’ il concetto di “cinèma” quello attorno a cui si può analizzare la novità
del discorso di Pasolini. Egli intende, nella sua analisi semiologica delle
immagini, individuare l’unità ultima in cui è scomponibile la lingua. I “cinèmi”
sono gli oggetti della realtà che l’immagine riproduce e che non può non
considerare. Con il montaggio si comprendono o meno queste unità alfabetiche
e si costruisce con esse un discorso senza però “inventare” e utilizzare un
codice “ex novo”, come succede per la lingua delle parole, ma utilizzando
invece la realtà stessa. Questo concetto permetterà di affrontare quindi il tema
della “materialità” del cinema.
Un film, pur riproducendo la realtà, non se ne distacca come le altre
lingue. Si può dire che la materialità degli oggetti rimane il fondamento
unitario intraducibile delle immagini. Il cinema rimane in un certo senso
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passivo di fronte alla realtà che ha davanti e non la trasforma in altri segni,
utilizza al contrario ciò che appare sottoforma di immagini come alfabeto per
comunicare.
Nel terzo capitolo della tesi è l’approccio teorico realista che
approfondiremo. In particolare è l’analisi di Kracauer ad essere interessante per
affrontare la tematica del ruolo della realtà nel linguaggio umano. Nella
prospettiva dello studioso tedesco si trovano molti elementi in comune con
Pasolini, come ad esempio il modo di intendere il rapporto tra lingua e realtà.
Kracauer mette nettamente in secondo piano il ruolo del soggetto in
questa apparizione delle immagini. La realtà non deve avere ostacoli nel
rimanere impressa sulla pellicola. L’essenza del cinema è proprio quella di non
limitare questa purezza di trasmissione, di relazione, ma di renderla il più pulita
possibile. E’ questa una caratteristica centrale del cinema che entra in sintonia
con il percorso di Pasolini. Anche seguendo la sua analisi linguistica del segno
cinematografico, appare questa comprensione di esso come linguaggio che
rompe la distanza tra segno e realtà.
L’analisi degli scritti teorici di Pasolini infine porterà ad accuparci dei
modelli filosofici a cui il regista italiano fa riferimento. In particolare si tratterà
di comprendere perché Pasolini affianchi il suo metodo di analisi a quello della
fenomenologia. Si cercherà quindi di trovare analogie e differenze tra le due
prospettive. In entrambi i casi vi è un’attenzione a lasciar essere la realtà per
come appare nel suo modo più originario, primordiale e spoglio da pregiudizi.
La fenomenologia tenta di isolare il “fenomeno originario”, il dato più grezzo
con cui qualcosa appare alla coscienza e fare diventare questo elemento
l’oggetto della sua analisi. Il cinema secondo Pasolini ha allo stesso modo
questa capacità di rappresentare il reale nel suo darsi originario e vi è una sorta
di dipendenza e rispetto del cinema verso la realtà come appare nel fenomeno
con le sue determinazioni. Nel cinema, secondo la visione di Pasolini, vengono
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messe al centro le espressioni del mondo come appaiono, cioè le azioni, i gesti
la materialità del mondo.
Saranno quindi messe in evidenza le diversità e inconciliabilità tra
l’analisi fenomenologica del darsi della realtà nella coscienza, e
l’individuazione del “linguaggio delle azioni” di Pasolini per la diversa
importanza data al ruolo del soggetto. Per la fenomenologia, ogni linguaggio
con cui la realtà si mostra si incarna inevitabilmente nel vissuto di un soggetto
che dal suo punto di vista vive il reale. L’analisi dei segni, quindi, in questo
metodo di studio mira ad analizzare le condizioni di rappresentabilità della
realtà della coscienza. Pasolini al contrario parla di linguaggio delle azioni
della realtà quasi fosse una forma di rappresentazione indipendente da una
coscienza che lo incarna. Il “linguaggio delle azioni” di Pasolini sembra infatti
principalmente guidato dalla forza di darsi della realtà in questo originario
modo.
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Capitolo I. PASOLINI E IL CINEMA
I saggi semiologici aiutano alquanto a
comprendere l’opera di Pasolini, poetica e
cinematografica. Sarà pure una semiologia
ingenua ed eretica, eretica proprio perché
ingenua. Eppure essa contiene alcuni illuminanti
verità. Verità forse contraddittorie, se colte con
gli strumenti della logica, ma non agli occhi della
poesia. (De Giusti, 1995: 155)
Occorre innanzitutto esplicitare la modalità e le motivazioni con cui
Pasolini, nel suo percorso artistico, si spinge ad affrontare un’analisi linguistica
del mezzo cinematografico. Il cinema è infatti per quest’autore soprattutto un
mezzo d’espressione artistica, anziché l’oggetto di studio di cui analizzare le
potenzialità espressive. Ciò nonostante la sua produzione cinematografica è
accompagnata da una volontà d’analisi e giustificazione teorica del linguaggio
cinematografico.
Questo studio semiologico del regista è frammentato in una serie
d’interventi che fanno riferimento ad articoli per riviste, ad interviste, a saggi
preparati in occasione di convegni, e non costituisce uno studio completo e
ordinato. Per la tipologia e la forma di questo materiale non è possibile
ricostruire una proposta d’analisi elaborata e completa sullo studio linguistico
del cinema. Più volte lo stesso Pasolini esplicitamente dichiara di stare solo
abbozzando alcune idee per una “semiologia della cinema” o “della realtà”, che
avrebbe in seguito dovuto sviluppare. Così non sarà. I suoi contributi su queste
tematiche rimangono sempre sotto forma di brevi saggi o d’interviste.
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Consapevolmente i suoi scritti hanno un taglio che vuole spaziare su più
discipline, senza un preciso piano strutturale d’esposizione. Si tratta quindi di
un percorso molto frammentato, nonché in continua evoluzione e
riformulazione. E’ sempre lo stesso Pasolini che riconosce la flessibilità con
cui va accolto questo suo lavoro d’approfondimento linguistico, in cui alcune
prese di posizione vengono in successivi interventi modificate o elaborate.
1
Allo stesso modo questo studio linguistico del cinema solo abbozzato
non vuole essere unicamente una giustificazione dello “stile” pasoliniano.
L’analisi semiologica di Pasolini, anche se caratterizzata da poca organicità e
completezza, offre secondo noi interessanti stimoli e suggestioni per l’analisi
del linguaggio cinematografico e non va letta solo come contributo per
comprendere meglio la produzione artistica dell’autore. In un articolo anche il
nostro autore si scontra con chi legge i suoi interventi solo come un manifesto
di stile :
I miei tentativi di trarre una nozione linguistica di cinema dai vari
films - per analogia con quello che si è sempre fatto con la “langue”
e le “paroles” - non è affatto una proliferazione del mio fare estetico,
ossia della mia “poetica” cinematografica. Non lo è affatto. I
caratteri della mia ricerca grammaticale sul cinema hanno semmai un
rapporto profondo e complesso col mio modo di vedere la realtà.
(Pasolini, 1966b : 228).
Perché Pasolini, pur non essendo un semiologo, compie degli studi in
questo settore? Il percorso artistico di Pasolini è caratterizzato da una continua
vocazione a sperimentare linguaggi diversi e ad utilizzare molte forme di
scrittura. Egli fu innanzitutto poeta, quindi pittore, scrittore per il teatro,
romanziere e infine autore cinematografico.
1
A questo proposito si veda Pasolini, 1966a: 198 e 200.
14
Per ogni forma artistica egli inventa un modo personale di vivere il
linguaggio utilizzato.
L’attività nei diversi campi espressivi è inoltre accompagnata dalla
riflessione e teorizzazione con saggi sulla lingua, la letteratura e il cinema con
l’intento di conoscere le possibilità espressive del linguaggio scelto.
In questo lavoro ci occuperemo degli scritti che segnano il passaggio di
Pasolini verso l’utilizzo dell’immagine anziché della parola. In questi saggi
(riuniti principalmente nella raccolta intitolata Empirismo Eretico) egli
s’interroga sul perché, nel suo percorso artistico, il linguaggio cinematografico
diventi ad un certo punto il mezzo più adatto per esprimersi.
Il suo approccio nell’accostarsi al cinema anche dal punto di vista della
linguistica è perciò comunque sempre caratterizzato dall’ottica del regista che
vuole esprimere la sua poetica con quell’alfabeto, e non tanto dall’esigenza
dello studioso di linguistica puro che analizza la lingua in modo staccato e
rigoroso. Pasolini cerca di comprendere le strutture linguistiche sottostanti al
linguaggio delle immagini, ma è prima di tutto un poeta che utilizza quella
lingua per esprimersi al di là della consapevolezza delle strutture linguistiche
sottostanti.
Alle soglie degli anni Sessanta Pasolini trova nel cinema l’alternativa a
una lingua letteraria della tradizione diventata per lui chiusa in un codice poco
universale e diretto. Il linguaggio delle immagini secondo Pasolini, riducendo
fino a farla scomparire la distanza tra segno simbolico e realtà, non evoca il
mondo, ma esprime la realtà con la realtà. Il cinema è la lingua scritta della
realtà, dove gli oggetti sono segni di se stessi. Gli scritti semiologici di Pasolini
confermano che l’approdo al cinema da parte del regista italiano è parte di un
itinerario che lo vuole portare sempre più vicino al reale, restituendogli la
dimensione fisica e concreta che la parola non ha.
15
Il percorso di Pasolini è un ritorno all’originale semiologia naturale, al
linguaggio “selvaggio” meno controllato dalla coscienza razionale.
E’ questa dimensione brada e selvaggia del linguaggio
cinematografico che sembra attrarre Pasolini. Gli consente di
perdersi nel “brusio della vita” anziché evocarla e continuare a
guardarla da fuori. (De Giusti, 1995 : 151)
Il cinema diventa per il nostro autore un canale privilegiato per
esprimere il suo amore per la realtà in cui immergersi senza interruzioni. Il suo
stesso modo di riprendere e di costruire un film va alla ricerca dei metodi più
efficaci per avvicinarsi sempre di più alla quotidianità, alla purezza della vita
che già di per sé il mezzo cinematografico può riprodurre.
Egli allestisce i suoi set in luoghi reali, utilizza attori non professionisti,
è spesso lui stesso con la macchina a spalla a girare una scena. E’ soprattutto
nel tempo passato che Pasolini, volendosi immergere nel mondo, cerca di
ritrovare i segni di una realtà non omologata, non carica di finzione. Nei primi
film questa è rappresentata dalle facce, dai gesti e dalle parole dei sottoproletari
romani (così come nelle sue poesie era rappresentata dai contadini friulani).
Non a caso i personaggi dei primi film muoiono tutti, quasi che l’autore si
renda conto che è difficile trovare nel presente esempi e segni di una realtà
incontaminata e vera. Dopo la “Trilogia della vita” - composta da Il decameron
(1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle mille e una notte (1974) -
egli sembra rendersi conto dell’illusione del tentativo di uscire dalla lingua, di
sottrarsi ad ogni codice, per considerare solo quello della realtà. Con Salò o le
centoventi giornate di Sodoma (1975), Pasolini ritorna all’irrealtà di un
presente privo di segni che vadano al di là dell’omologazione, e la sua opera è
caratterizzata dal pensiero dominante della perdita di realtà del mondo. Egli
sembra scontrarsi con l’illusione di aver creduto che il cinema potesse sottrarsi
alla convenzione linguistica, senza mediazioni.
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Scoprendo e scegliendo la lingua delle immagini come mezzo efficace
per dire il mondo e immergersi nella vita senza mediazioni, Pasolini,
contemporaneamente alla realizzazione dei suoi film, compie uno studio
sull’analisi linguistica del mezzo cinematografico. I suoi saggi e interventi su
queste tematiche vanno quindi letti come approfondimento di questa scelta
artistica e poetica che lo porta dalla letteratura al cinema e non come il rigoroso
saggio di un linguista. Si tratta quindi di accostarsi ai concetti utilizzati da
Pasolini per parlare della lingua cinematografica e di approfondire il contesto
nel quale egli si confronta con altri studiosi su queste tematiche.
In quest’approccio all’analisi linguistica di Pasolini a noi in particolare
interesserà approfondire il legame che l’autore intravede esserci tra il proprio
metodo di studio e la fenomenologia.
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I.1. Il cinema come la semiologia della realtà
Secondo Pasolini è possibile compiere una seria ricerca scientifica del
cinema soltanto attraverso il contributo della linguistica e della semiologia (che
è una disciplina molto recente negli anni in cui il nostro autore scrive).
Confrontando i diversi contributi teorico-critici che analizzano il linguaggio
cinematografico negli anni Cinquanta e Sessanta si riconosce in molti autori il
profondo stimolo che queste discipline danno alle analisi del cinema.
2
Pasolini
è uno fra i tanti che crede nella ricchezza concettuale che questi modi di
analizzare i segni e i linguaggi hanno, e pensa che sia molto fruttuoso applicarli
anche al segno-immagine del cinema.
Seguendo queste discipline, il primo passo che lo studio sul linguaggio
cinematografico deve compiere è quello di individuare l’oggetto della sua
analisi, cioè il segno, o meglio il significante con cui ha a che fare. Nel caso
della lingua parlata o scritta è immediato stringere il campo ad unità strutturali
quali il “capoverso”, la “frase”, la “parola” e infine le “lettere dell’alfabeto”.
Per il cinema individuare il significante è meno immediato perché si ha a che
fare con una materia meno definita e codificata. Si tratta infatti di stabilire i
criteri con i quali classificare cosa s’intende per “sequenza”, “scena”,
“inquadratura” e ragionare se è possibile giungere ad un’unità ultima non
ulteriormente scomponibile.
La semiotica affronta la questione con il proprio metodo cercando, anche
per il cinema, in prima istanza, di classificare il segno utilizzato, di scoprire le
strutture e le regole che danno forma alle immagini. A differenza della lingua
orale, fin da subito s’intuisce di avere a che fare con un segno complesso, cioè
l’immagine in movimento, che non è facilmente definibile in classi. Infatti essa
comprende altri sistemi di segni e codici, come la parola, la musica e il gesto,
2
Si veda il capitolo II dedicato ai convegni di Pesaro del 1965, 1966 e 1967.
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le azioni ecc.. Pur cercando di giungere a una definizione dell’unità minima che
il cinema utilizza, cioè il suo alfabeto formale, ci si rende conto
dell’arbitrarietà di quest’operazione. Quand’anche fosse possibile definire cosa
s’intende con “inquadratura”, “sequenza”, ecc., questa classificazione
risulterebbe sempre arbitraria e sfumata nei suoi confini. Pasolini nonostante
ciò si sforza di costruire una semiotica delle immagini e di giungere anche alle
unità ultime in cui è scomponibile il linguaggio del cinema arrivando a coniare
il concetto di “cinèma”
3
.
La difficile classificazione del segno cinematografico, secondo Pasolini,
è dovuta al fatto che il cinema è la riproduzione scritta di un altro linguaggio, il
quale a sua volta non è codificabile in un alfabeto preciso. Si tratta del
linguaggio della realtà, o linguaggio dell’azione.
4
E’ la realtà nel suo darsi
originario che è difficilmente riconducibile a un alfabeto organico. Il cinema,
essendone la riproduzione, è a sua volta ambiguo e non facilmente
organizzabile in unità definite e stabili (allo stesso tempo è il mezzo che
permette di svelare il reale nelle sue componenti).
Non è stato ancora possibile, secondo l’autore italiano, fare una
semiologia completa di questo linguaggio della realtà e quindi della sua
riproduzione scritta nel cinema, per la complessità di codici che esso contiene.
Si sono in un certo senso analizzati soltanto frammenti isolati di questa
comunicazione. La semiologia si è occupata separatamente del linguaggio delle
parole, del linguaggio dei gesti, e di classificare alcuni comportamenti culturali
e/o epocali. L’intento di Pasolini è quello di comprendere come poter
classificare la lingua originale della realtà, di cui il cinema è lo strumento
attraverso cui essa è messa allo specchio e perciò svelata. Elaborare la
semiologia del linguaggio delle immagini del cinema significa perciò, in questo
caso, compiere la semiologia del linguaggio della realtà. Individuare le
3
L’analisi di questo concetto negli scritti di Pasolini è trattata al cap. III.1.