5
Questo lavoro si propone di illustrare le proprietà e le possibilità di impiego della
dimensione spazio-temporale nel linguaggio filmico, attraverso l’analisi dei primi
tre lungometraggi di Alain Resnais.
Il fatto di aver scelto le opere di questo autore come modelli di un particolare
trattamento del tempo e dello spazio è stato dettato, oltre che da una personale
ammirazione per il regista, dal fatto che Resnais ricopre un ruolo fondamentale
nella ricerca formale di questi universali del linguaggio filmico.
In realtà tutti i suoi film, a partire dai cortometraggi, potrebbero essere assunti
come modelli di costruzione dello spazio e del tempo, ma mi limiterò ai primi tre
lungometraggi perchè mi sembrano tre momenti di un unico percorso e di un’unica
ricerca, parti di un’opera compiuta, che potremmo definire una “trilogia della
memoria e della ricerca”, visto che al centro di questi tre film ci sono dei
personaggi che cercano il loro futuro, attraverso il recupero del loro passato.
Prima di passare all’analisi dei film, però, ritengo sia necessario fare il quadro
degli studi teorici svolti fino a questo momento sullo spazio ed il tempo nel
racconto. Il primo capitolo avrà, perciò, un carattere più generale rispetto
all’ambito prettamente cinematografico. D’altronde stiamo parlando di coordinate
universali che determinano ogni tipo di narrativa, per cui è chiaro che alcune
categorie strutturali elaborate in seno a studi linguistici e letterari, possano essere
ben applicati anche al linguaggio cinematografico. In particolare saranno presi in
considerazione gli importanti studi di Gérard Genette e Seymour Chatman.
Nel secondo capitolo, invece, si prenderà in considerazione il concetto di spazio-
sogno, con cui s’intende la dimensione onirica di quei film che non sono costruiti
sulle leggi del pensiero logico e razionale, ma sono dominati dalle leggi del sogno,
in cui il processo primario fa sì che passato e presente, vicino e lontano sussistano
in un mondo indistinto dove non vige il principio di non-contraddizione.
Quindi mi sembra necessario spiegare i meccanismi che entrano in gioco nel
processo primario del sogno secondo i termini in cui li definisce Freud e
6
considerare anche le teorie di Ignacio Matte-Blanco, che riformula i concetti
freudiani di coscienza e inconscio in quelli di logica simmetrica e logica bivalente.
Negli ultimi tre capitoli, si cercherà infine di analizzare Hiroshima mon amour,
L’année dernière a Marienbad e Muriel alla luce delle teorie esposte nel corso di
tutto il lavoro.
7
1. SPAZIO E TEMPO NEL RACCONTO
“Vi è un livello di significazione autonomo, dotato di una struttura
che può essere isolata dal resto del messaggio: il racconto (récit).
Di conseguenza ogni tipo di messaggio narrativo, qualunque sia il
procedimento espressivo impiegato, dipende dal medesimo
approccio al medesimo livello. E’ necessario e sufficiente che
racconti una storia. La struttura di questa è indipendente dalle
tecniche impiegate. Essa si lascia trasporre dall’una all’altra senza
perdere nulla delle sue proprietà essenziali.”
1
Così, Claude Bremond, strutturalista francese, definisce il racconto come la
struttura interna ed autonoma propria di ogni messaggio narrativo. Questo significa
che tutte le storie, al di là della specificità del mezzo con cui vengono esposte,
mantengono un nucleo narrativo di base, con delle proprie leggi, che non viene
alterato dalle determinazioni contingenti dovute alle possibilità espressive dei
singoli mezzi.
Da quest’affermazione di Bremond possiamo dedurre che il discorso può
realizzarsi in diversi tipi di media, conservando una struttura interna autonoma,
poiché la storia sotto forma di discorso “esiste ad un livello più generale di
qualsiasi particolare oggettivazione, di qualsiasi film, romanzo o altro”
2
, ed ancora
Chatman afferma che “la trasponibilità della storie è la ragione più valida per
arguire che le narrative sono strutture indipendenti da qualsiasi medium.”
E’ proprio in base all’universalità della struttura narrativa, che possiamo analizzare
le dimensioni dello spazio e del tempo nel “racconto” ad un livello generale,
eludendo, per il momento, il discorso cinematografico come oggetto di studio
privilegiato.
Le coordinate spazio-temporali, infatti, sono le componenti necessarie di ogni testo
narrativo, tanto che, generalmente, si definisce un racconto come
“rappresentazione di eventi, azioni, personaggi e ambienti attraverso enunciati che
1
Claude Bremond, Le Message narratif, Communications, 4 (1964) cit., p. 4.
2
S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Pratiche, Parma 1978 e 1981, cit., p.
41
8
si dispongono lungo coordinate spazio-temporali”. Possiamo individuare le
“proprietà essenziali” di cui parlava Bremond proprio nella costruzione del tempo
e dello spazio, senza cui nessuna storia esisterebbe sia sul piano del significato, sia
su quello del significante.
Infatti, oltre alla spazialità e alla temporalità evocate da un testo o rappresentate in
un film, esiste anche una spazio-temporalità materiale propria del linguaggio in cui
gli enunciati sono espressi e si organizzano: nelle narrative visive il carattere
spaziale del linguaggio è molto evidente in quanto gli eventi sono narrati in uno
spazio scenico ben definito e attraverso movimenti di macchina che lo sfruttano
nella sua tridimensionalità, ma anche le narrative verbali possiedono una propria
spazialità materiale che si svela nelle tracce grafiche sulle pagine e che può anche
assumere, come in alcuni casi limite della poesia, un significato simbolico e
retorico. Inoltre, ogni descrizione letteraria o raffigurazione spaziale visiva non è
mai priva di una temporalità materiale: richiedono, infatti, un certo tempo di
manifestazione e di ricezione. Dunque, il racconto, oltre ad acquisire il suo tempo
necessariamente su coordinate spazio-temporali, “significa” attraverso significanti
che hanno una propria spazio-temporalità. Già negli anni Venti i formalisti russi
avevano impostato una teoria della produzione di spazio e di tempo nel cinema. Il
formalismo si proponeva di studiare la forma delle opere come loro aspetto
determinante, era quindi chiaro che lo studio formale del film doveva occuparsi
soprattutto dello spazio e del tempo, dato che il film non è altro che organizzazione
di azioni e personaggi nello spazio e nel tempo. Dal momento che i formalisti
impostano lo studio della forma come autentico significato dell’opera d’arte, lo
spazio ed il tempo per loro non sono solo la forma del film, ma diventano anche il
suo significato. Il tempo non è più un contenitore vuoto ed omogeneo, nel quale si
collocano le azioni e gli eventi, non esiste indipendentemente dal testo, al
contrario, sono i procedimenti del cinema che lo producono. Il tempo non contiene
la rappresentazione, ma nasce come suo prodotto, sta dentro la rappresentazione.
9
1. 1. Storia e discorso
Nella Poetica, Aristotele distingueva all’interno del racconto un logos, ovvero
l’argomento, costituito dall’imitazione delle azioni del mondo reale, e un mythos,
l’intreccio.
In seguito, i formalisti russi hanno ripreso questa stessa distinzione, utilizzando,
però altri termini: la “favola”, o somma degli eventi riferiti in ordine cronologico, e
l’intreccio, o l’ordine della concatenazione degli eventi in cui la storia è narrata.
In linea con la tradizione formalista e strutturalista, Seymour Chatman,
nell’approfondita analisi sulla struttura narrativa del romanzo e del film, distingue
il racconto in una storia o “cosa”, il concatenarsi degli eventi e degli esistenti, ed
un discorso o “come”, i mezzi tramite cui è comunicato il contenuto della storia,
“la rappresentazione discorsiva derivante dall’utilizzo espressivo della
manifestazione significante, riconducibile alle forme di enunciazione e
rappresentazione proprie di ogni forma narrativa”
3
. Il discorso, abbiamo detto, è il
“come” della storia, è l’insieme dei procedimenti attraverso cui essa si esplicita e
viene percepita, ma è anche la condizione stessa della sua esistenza. Infatti, il
discorso, in qualsiasi medium, non è semplicemente una “transcodificazione e non
costituisce un piano espressivo staccato o sovrapposto, ma riguarda la natura stessa
della narrazione e i modi della sua enunciazione, che investono a fondo il senso e
l’articolazione della diegesi”.
Chatman riprende, poi, questa distinzione tra storia e discorso e la applica ad un
piano di contenuto e uno di espressione, elaborando uno schema della struttura
narrativa, dove vediamo sul piano della storia e del contenuto gli eventi, che si
distinguono a loro volta in azioni e avvenimenti a seconda che il protagonista
svolga un’azione o la subisca; e gli esistenti, vale a dire i personaggi e i loro
ambienti.
3
Ibidem.
10
Mentre sul piano del discorso e dell’espressione troviamo da una parte la struttura
della trasmissione narrativa, implicita al testo e dall’altra, la manifestazione, cioè i
modi espressivi che ogni mezzo possiede per narrare una storia.
SCHEMA DELLA STRUTTURA NARRATIVA
Azioni
Eventi
Avvenimenti
= Forma
Personaggi del contenuto
Storia Esistenti
(contenuto) Ambienti
Persone, cose, ecc., quali
vengono elaborati dai = Sostanza del
codici culturali dell’autore contenuto
Narrativa
Struttura della
trasmissione = Forma
narativa del’espresione
Discorso Verbale
(espressione) Cinematografica
Manife- Coreografica =Sostanza
stazione Pantomimica dell’espressione
ecc.
11
Secondo Chatman, azioni e avvenimenti costituiscono una rappresentazione del
tempo, mentre esistenti e ambienti si rappresentano nello spazio. Possiamo
affermare, in generale, che l’area della storia e della trasmissione narrativa
rappresentano una zona di convergenza tra tutte le espressioni artistiche, mentre
l’area sottostante della manifestazione evidenzia l’emergenza del discorso nella
specificità del mezzo. La zona di convergenza, quindi, riguarda la “combinatoria
narrativa” mentre le differenze, i rispettivi linguaggi.
4
4
G. Carluccio, Cinema e racconto. Lo spazio e il tempo, Loescher, Torino 1988, cit., p 25.
12
1. 2. Il tempo
Ora entriamo nel vivo della questione e cominciamo ad osservare la dimensione
temporale come componente essenziale della struttura narrativa. Per prima cosa
dobbiamo fare delle distinzioni tra il tempo delle arti verbali e quello delle arti
visive. Le narrative verbali esprimono i contenuti narrativi del tempo trascorso
molto più facilmente delle narrative cinematografiche, le quali, invece, esprimono
meglio le relazioni spaziali. Il tempo nelle arti visive risulta impoverito rispetto a
quello delle arti verbali: infatti, un’azione percepita visivamente ha soltanto un
tempo, il presente ed un modo verbale, quello reale, l’indicativo, ed esclude il
passato, il futuro e gli altri modi verbali. “Tutti i modi ipotetici e le forme di
discorso indiretto o pseudo-diretto sono difficilmente rappresentabili nelle arti
puramente visive”. Mentre gli studi linguistici sono giunti ad una precisa
classificazione dei tempi e dei modi verbali in cui si organizza il discorso e
possiedono formule che forniscono precise indicazioni sulla posizione del soggetto
parlante, in campo cinematografico è difficile giungere alla stessa esattezza, poiché
il sistema di rappresentazione temporale del film non ha uno statuto grammaticale
atto ad esprimere i diversi atteggiamenti enunciativi. Un grosso impegno in tal
senso è lo studio di Bettetini Tempo del senso, in cui si parte dalla convinzione che
per il cinema, il riferimento al tempo non è sufficiente a stabilire una tipologia di
discorso, ma è necessario il ricorso all’analisi di fattori spaziali: “il tempo
cinematografico si racchiude in tracce spaziali.”
5
Secondo Bettetini, il presente
dell’immagine equivale al presente storico, che è un tempo compiuto, chiuso e
incommensurabile, un tempo impersonale che non segnala la presenza né di un
narratore, né di una narrazione. Questa presenza è segnalata nel racconto verbale,
dagli altri tempi: l’imperfetto, il passato, che marcano un distacco tra storia e
discorso.
5
Bettetini, Tempo del senso, Bompiani, 1979
13
Secondo Bettetini, questi tempi verbali possono esprimersi nella rappresentazione
cinematografica, assumendo una forma spaziale, trasformandosi, cioè, da relazioni
temporali in relazioni spaziali. Bettetini osserva, per esempio, che la distinzione fra
presente e passato è paragonabile a quella fra primo piano e sfondo. Il tempo nel
cinema, quindi, lavora su molti piani, con gli elementi spaziali, scenici e ritmici del
discorso narrativo. Bettetini collega i modi temporali del racconto cinematografico
allo spazio e alla relazione tra figura e sfondo e, sulla scia di Weinrich in
letteratura, individua anche nel film forme narrative e forme commentative.
Il cinema, nel corso della sua storia, ha, comunque, cercato di liberarsi dal vincolo
del tempo presente e del modo reale, elaborando nuovi codici espressivi per
raffigurare il sogno, i ricordi, il discorso pseudo-diretto, dimostrando che anche il
racconto filmico poteva raggiungere una certa disinvoltura nella rappresentazione
temporale. La cinematografia ha, dapprima, utilizzato dissolvenze e altri espedienti
tecnici, che sono stati subito abbandonati quando si è acquisita una notevole
esperienza nella rappresentazione dei vari tempi verbali mediante l’uso del
presente e delle azioni ipotetiche mediante l’azione reale. Fino a che questa
operazione di trasformare il film da registrazione meccanica del tempo reale in
modello artistico del tempo è diventata peculiare della creatività di alcuni registi,
come vedremo nelle opere di Resnais.
Secondo Mukarovsky, il tempo filmico è una costruzione più complessa del tempo
epico e del tempo drammatico: nell’epica c’interessa un solo tempo, quello
dell’azione; nel dramma ci sono due tempi che scorrono paralleli, quello
dell’azione e quello dello spettatore. Nel cinema si possono distinguere tre tipi di
tempo:
a) il tempo dell’azione raccontata;
b) il tempo dell’immagine;
c) il tempo dello spettatore che la percepisce, parallelo a quello delle immagini.
6
6
J. Mukarovsky, Il significato dell'estetica, Einaudi 1973.
14
Il tempo filmico, secondo Mukarovsky, presenta le stesse caratteristiche dell’epica
e del dramma unificate: da una parte il gioco libero con il tempo, caratteristico
dell’epica, ( ellissi, accelerazioni, sospensioni, anticipazioni, ritorni indietro);
dall’altra la durata uguale e parallela della rappresentazione, caratteristica del
dramma.
Secondo Noël Burch,
“dal punto di vista formale, il film è una successione di parti di tempo e parti di spazio. Il
découpage è quindi la convergenza di un découpage nello spazio realizzato al momento
delle riprese, e di un découpage nel tempo, in parte previsto durante le riprese e portato a
termine in sede di montaggio”.
7
In quest’ottica di considerazioni, Burch definisce le inquadrature come
“découpages parziali nello spazio e nel tempo” ed analizza i diversi tipi di rapporti
che possono esistere tra due durate successive (découpage nel tempo) e tra due
messe in scena successive (découpage nello spazio)”.
Ci occuperemo dei rapporti tra due messe in scena successive nel paragrafo
dedicato allo spazio cinematografico; vediamo ora i rapporti tra le durate
successive. Secondo Burch, si possono distinguere cinque tipi di rapporti possibili
tra il tempo di un’inquadratura e quello di un’altra che la segue immediatamente
nel montaggio.
Essi possono essere del tutto continui, come accade, per esempio, nel campo-
controcampo, dove spesso è proprio il dialogo a legare i raccordi; oppure ci può
essere uno iato tra le due continuità temporali: in questo caso si parla di ellissi, un
procedimento usato per condensare l’azione e ridurla all’essenziale; l’ellissi può
essere di due tipi a seconda della sua durata e collocazione: il primo tipo di ellissi è
sufficientemente corto da essere percepito e misurabile; il secondo tipo è l’ellissi
indefinita, “ quella a livello di sceneggiatura, intimamente legata al contenuto
7
N. Burch, Prassi del cinema, Pratiche, Parma 2001, cit., p. 12
15
dell’immagine e dell’azione ma che, attraverso questi ultimi, resta un’autentica
funzione temporale”.
8
Infine si può avere il ritorno indietro, che può essere piccolo
e misurabile, oppure indefinito: quest’ultimo tipo compare il più delle volte sotto la
forma di flashback.
Riprendiamo ora la distinzione tra storia e discorso alla luce delle teorie sulla
dimensione temporale nel racconto. Per prima cosa bisogna distinguere un tempo
della storia, la durata degli eventi esposti secondo una sequenza lineare e
cronologica, ed un tempo dell’intreccio, come concatenazione arbitraria di questa
sequenza: i rapporti di questa doppia temporalità determinano il tempo del
discorso, tempo materiale che occorre per la ricezione del racconto.
Gérard Genette,
9
una tra le figure più rappresentative della nouvelle-critique, ha
cercato di mettere in evidenza i meccanismi di produzione del testo letterario nella
sua specificità. In particolare, il terzo volume delle Figure, costituisce un punto di
riferimento fondamentale per gli studi sul tempo e sullo spazio nel romanzo.
Genette, partendo dall’analisi del tempo proustiano, esamina approfonditamente le
relazioni tra il tempo della storia e quello del discorso e ne distingue tre categorie:
quella di ordine, il rapporto tra l’ordine temporale di successione degli eventi nella
storia e la loro disposizione nell’intreccio; quella di durata, il rapporto tra la durata
degli avvenimenti nella storia e nel tempo del discorso; e quella di frequenza, la
relazione di frequenza o ripetizione degli avvenimenti nel rapporto tra storia e
discorso.
8
N. Burch, Prassi del cinema, cit. p. 14
9
G.Genette, Figure III, Einaudi, Torino, 1972
16
1.2.1. L’ordine
A condizione che la sequenza della storia rimanga percepibile e comprensibile per
il lettore o lo spettatore, il discorso può riordinare gli eventi narrativi
arbitrariamente. Per questo motivo la categoria più importante nell’analisi del
tempo narrativo è proprio quella dell’ordine. Abbiamo già detto come questo
termine indichi la relazione tra la successione naturale degli eventi nella storia e la
loro disposizione nell’intreccio. Ora, all’interno di questa categoria, Genette
distingue la “sequenza normale”, in cui storia e discorso hanno lo stesso ordine; la
“sequenza parzialmente anacronica” e la “ sequenza completamente anacronica”,
in cui la narrazione si organizza in assenza totale di relazioni crono-logiche tra
storia e discorso.
L’anacronia è più propriamente una sfasatura temporale e può essere di due tipi:
retrospettiva, quando il discorso rompe il flusso della storia per richiamare eventi
precedenti, in questo caso si parla di analessi; e anticipativa, quando il discorso fa
un salto in avanti ad eventi successivi a quelli intermedi. Esistono, poi, diverse
modalità per collegare un’anacronia con la storia che procede: essa può essere,
infatti, interna, esterna o mista. Si ha un’anacronia esterna quando il suo inizio e la
sua fine si verificano prima dell’adesso, un’anacronia interna inizia, invece, dopo
l’adesso, un’anacronia mista inizia prima e finisce dopo l’adesso. Le anacronie
interne possono essere a loro volta suddivise in eterodiegetiche, se non
interferiscono con la storia interrotta e omodiegetiche nel caso in cui
interferiscano. In quest’ultimo caso si può distinguere tra anacronie completive e
iterative. Le prime riempiono delle lacune passate o future; mentre le seconde
ripetono quanto è già stato detto, sebbene con un diverso modo di vedere gli
eventi.
Genette continua nel suo studio, distinguendo tra la portata di un’anacronia e la sua
ampiezza. La portata è l’intervallo di tempo tra l’adesso, anticipato o retrospettivo,
e l’inizio dell’anacronia; l’ampiezza è la durata dell’anacronia stessa.
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Quanto detto finora fa parte di un discorso formulato sulla base delle narrative
verbali, ma partendo proprio dal principio di Bremond secondo cui la struttura
della storia è indipendente dalle tecniche impiegate per esporla, possiamo
applicarla anche al campo cinematografico. Difatti, anche nel linguaggio filmico
esistono due figure che potremmo dire “retoriche”, le quali hanno una funzione
analoga a quella dell’analessi e della prolessi in letteratura e rappresentano degli
interventi espliciti sull’ordine della storia: il flashback ed il flashforward. Le
distinzioni individuate da Genette all’interno delle anacronie valgono, quindi,
anche per definire le caratteristiche strutturali dei flashback e dei flashforward del
racconto cinematografico. Ogni flashback, infatti, ha un inizio, una fine ed una
collocazione all’interno dell’intreccio che ne stabiliscono la portata e l’ampiezza e,
come l’anacronia, può interferire o no con il racconto principale che ha interrotto.
Anche le caratteristiche strutturali e morfologiche individuate dalla teoria letteraria
per l’analessi o retrospezione possono bene adattarsi al flashback cinematografico.
Questo può, infatti, come nel racconto letterario, presentarsi come processo
investigativo, attraverso il recupero regressivo attuato da un personaggio-
testimone; oppure come processo rimemorativo, attraverso il recupero regressivo
di un personaggio-protagonista; infine, può presentarsi in un processo dialogico,
attraverso un confronto che comporti la ricostruzione e il racconto ad un partner.
Bisogna dire, però, che, mentre l’analessi e la prolessi letteraria si possono subito
riconoscere grazie alla presenza dei tempi e dei modi verbali di cui dispongono, al
cinema, escludendo chiari riferimenti diegetici, flashback e flashforward sono
organicamente identici a causa dell’apparente presente dell’immagine
cinematografica; in più, nulla stabilisce se si tratta d’immagini soggettive od
oggettive. Le immagini retrospettive e anticipatorie condividono sempre lo stesso
statuto iconico-analogico del racconto lineare progressivo che interrompono. Il
cinema moderno, in particolare, ha sfruttato molto questa caratteristica e, abolendo
i tradizionali passaggi demarcativi, “ha esplorato la temporalità cinematografica,