CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA DEGLI EX-VOTO
Referente extralinguistico di un significante (richiesta di grazia o di guarigione,
ringraziamento) che si concretizza in svariate forme e prova di un avvenuto
scambio tra l’uomo e la divinità, l’ex voto dà prova della sua esistenza sin dai
tempi più antichi, mantenendo le sue precipue peculiarità nel tempo: propiziatorie,
espiatorie, gratulatorie. E’ possibile fare una classificazione in base alla
morfologia che l’ex voto assume. E’ possibile riscontrare una tipologia definita
nel tempo, specchio della civiltà e dei materiali di volta in volta a disposizione e
dell’utilizzazione e selezione operata secondo la classe sociale che ne fruisce.
Tuttavia sarebbe errata una divisione delle offerte in categorie fondate sulla
qualità del donatore, benché la professione possa avere una certa influenza sulla
natura dell’oggetto, in realtà ogni uomo offre doni d’ogni specie che, una volta
stipati nei santuari, subiscono un livellamento del loro valore e cioè, di fronte al
dio, assumono pari importanza oggetti preziosi e poveri pregnati dello stesso
valore simbolico. Non esiste inoltre una relazione necessaria tra le offerte e le
divinità cui s’indirizzano.
La migliore classificazione è quella che si fonda sulla forma e sulla categoria degli
oggetti.
Attraverso un’analisi diacronica gli ex voto sono individuabili, sin da epoche
remote, presso le popolazioni primitive, che attribuivano a questi oggetti
appartenenti alla sfera del sacro, poteri taumaturgici quindi riferibili ai
meccanismi della simpatia magica.
Distingueremo allora per queste epoche tra ex voto anatomici o poliviscerali
1
, in
cui ad essere offerta è la parte malata; ex voto raffiguranti oranti e animali, in
sostituzione del sacrificio cruento; impronte di mani e piedi come forma di
autodedicazione alla divinità.
2
Una classificazione generica può essere operata dividendo gli ex voto in due
grandi gruppi: per impetrare la grazia; per ringraziamento a grazia avvenuta. E
così i Greci indicavano con ικεσια (preghiera) quelli del primo tipo e
χαριστηριον, ευχαριστηριον o σωτηρια, quelli del secondo tipo.
Soffermandoci sulla terminologia e le sue significazioni distingueremo, in ambito
greco, tra αναθηµα,
3
che significa “porre, situare, mettere in alto” e che esprime
sia l’intenzione del donatore di presentare un dono di scambio al dio, sia l’atto
materiale del porlo davanti al dio, in contrapposizione a δϖρον che è un semplice
donativo che non rientra nell’ambito sacro.
Ιεροω, αφιεροω esprimono l’atto della consacrazione.
I Romani distinguevano i doni propiziatori da quelli gratulatori contraddistinti
dalla formula V.F.L.M. (votum fecit libens merito), corrispettivo della più recente
V.F.G.A. (voto fatto grazia avuta), ed esprimevano l’offerta col termine votum,
1
TABANELLI M., Gli ex-voto poliviscerali etruschi e romani. Storia, ritrovamenti,
interpretazioni, Firenze, 1962.
2
TRIPPUTI A.M., Le tavolette votive del santuario di S. Matteo in S. Marco in Lamis, 1978
3
HOMOLLE T., Donarium, in Daremberg C.- Saglio E., Graz, 1963.
che presupponeva il destinatario divino come il greco αναθηµα, laddove donum
designava un dono qualunque tra uomini ed era corrispettivo del greco δϖρον.
Il termine donarium invece, equivalente del greco θεσαυρος, indicava il luogo
stesso in cui si deponevano le offerte e al plurale era usato per designare le offerte
stesse. Assume talora per sineddoche il valore di tempio
4
, altre volte è da riferirsi
all’altare
5
.
Θεσαυρος
6
è termine greco di oscura origine, ma di più precisa accezione, atto a
designare piccoli edifici di raccolta degli anathemata o anathemata essi stessi. Si
presentano come dei piccoli tempietti in antis. A Delo ed Eleusi ve ne sono nello
Hieron, nell’Asklepieion e nel Serapeion.
In ambito romano possono essere operate una serie di corrispondenze
terminologiche, per es. tra il latino sacrum ed il greco αφιερωµα (offerta
votiva), votum ed ευχη che è più specificamente la preghiera; primitiae ed
απαρχη decuma e δεκατη, che si riferiscono ai primordi di questo contratto col
divino in cui era d’obbligo consacrare agli dei la decima parte dei propri
possedimenti e prodotti, concependosi così l’offerta come un mercato, quindi
un’origine contrattuale del dono per cui gli dei danno a chi dà loro per interesse e
se si è ricevuto qualcosa da loro, bisogna, per un giusto ritorno, pagarne il prezzo.
4
Verg. Georg. III, 533; Ov., Amores, II 13, 13.
5
Ov., Fasti, III, 335; Apul., Metamorph., IX, 10; Luc., Bell. Civ., IX, 516.
6
La denominazione a partire da: Xen., An., V, 3, 5; Eur., Ion., 1141; Strab., IX, 3-8; Diod., XIV,
93; Pausania, VI, 19, 1 ss. e X, II ss.
Questo carattere contrattuale è notevole nella religione romana che non è che un
insieme di obblighi. Ogni atto religioso deriva da questa idea che una parte di tutte
le cose, e la prima, ritorna di diritto agli dei.
Le offerte, all’inizio in natura (prelievi su ogni oggetto d’uso: territorio, bestiame,
grano, bambini, uomini), vengono convertite in offerte simboliche fatte ad
immagine della cosa rappresentata
7
: vigne, alberi, piante diverse, animali di ogni
specie; così alla consacrazione dei capelli, si sostituì un monumento in cui
l’offerta era rappresentata in marmo. Noi porremo l’accento in particolare sui
pinakes
8
, una specifica tipologia del dono, più facilmente raffrontabile con gli ex-
voto dipinti che prenderemo in analisi. Il pinax designa, in origine, qualunque
elemento piano che consenta di essere utilizzato da supporto per la scrittura, da
qui prese il significato di tavoletta votiva. Sono rilievi in terracotta, spesso ad
imitazione di quadretti in lamina sbalzata (πινακες χαλκοι
9
).
Il termine pinacoteca veniva inoltre utilizzato per designare tanto un santuario
ricco di quadri, quanto una parte della casa romana, dove venivano raccolte pitture
i cui soggetti erano per lo più religiosi e chiaramente votivi: scene di sacrificio,
apparizioni di divinità.
Abbiamo una descrizione della morfologia delle pinacoteche dagli inventari
redatti dagli Ateniesi a Delo a partire dal 166 a.C., in cui si fa cenno a pinakes con
sportelli, a due o quattro ante, posati su basi, sospesi al soffitto, di veri e propri
7
V. moneta di Metaponto con spighe dorate cui fanno menzione gli inventari del
Partenone.
8
MORENO P., Pinakes, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma, 1965.
9
I.G.,II,5.
cassettoni dipinti oltre a cicli di tavole disposti nella parte alta dei muri ed
emblemata incassati negli intonaci .
La finzione illusionistica della pittura pompeiana ha fatto infine pensare che ai
Romani non fosse estranea la suggestione dei grandi santuari ellenistici, i cui
pinakes furono riprodotti nelle pitture del II e IV stile.
Risalendo nel tempo, intersecando il nostro secolo, ulteriori classificazioni
vengono operate dagli studiosi riguardo al dono votivo, più particolareggiate e
quindi si distinguono: oggetti d’uso fisicamente interessati dall’intervento
miracoloso come capelli, capi di vestiario, gomene, timoni, volanti, caschi, fucili;
rappresentazioni dell’evento quali immagini pittoriche, fotografie e, infine,
immagini plastiche anatomorfe, come sostituti corporei.
10
“Gli ex-voto sono oggetti/immagini della realtà”
11
, non realtà essi stessi, ma
sostituti di questa.
La fotografia o foto-ritratto, che è un “ritrovato” religioso di neoformazione, la
troviamo anche in forma di ricostruzione fotografica, mediante la sovrapposizione
delle testimonianze, quasi a voler rendere una oggettivazione tridimensionale
dell’evento e stabilire una dinamicità altrimenti assente nell’immagine pittorica,
statica rispetto a questa novità del XX secolo e raffigurante il solo momento del
miracolo. Ad accompagnare il nuovo testimone dell’evento miracoloso troviamo
scritti rievocativi o dediche o disegni elementari.
10
CLEMENTE P.–ORRÚ L., Sondaggi sull’arte popolare, in: Storia dell’Arte Italiana,
Torino, 1982.
11
FRAGALE A., ΚΑΛΟΓΕΡΩΣ, Messina, 1995
La mediazione artigiana, indispensabile nella tavola dipinta, viene qui superata
con un recupero dell’autonomia di iniziativa del donatore, ma viene mantenuta la
vocazione magica del dono come duplicato della persona.
Tra le immagini plastiche troviamo occhi, cuori, mani, gambe, braccia, piedi, di
cui abbiamo antecedenti etruschi, greci, romani e punici.
Su alcuni di questi ex voto, a volte riprodotti in grandezza reale, come aveva
notato Pitré, una crocetta, un punto, una macchia per lo più di colore rosso,
indicano il luogo vulnerato.
Tra questi oggetti è possibile operare una ulteriore classificazione tra quelli che
rappresentano effettivamente il corpo umano (ex voto in legno, ferro, metalli
preziosi, cera, pane, paste dolci…) e quelli che lo simboleggiano come unghie,
capelli, indumenti, monili, suppellettili
12
.
La cera, nell’immaginario religioso popolare, è tramite tra umano e divino con la
sua duplice natura solida e fluida
13
. Viene “appositamente plasmata per raffigurare
le diverse parti del corpo, che si ritengono sanate o da sanare… il corpo
rappresenterebbe il referente princeps di questo tipo di ex-voto”
14
.
Abbiamo infine accennato, nella nostra classificazione, alle immagini pittoriche
cui si farà ampio cenno nella trattazione seguente, basterà qui notare la varietà dei
supporti cui essa si accompagna, che possono essere in vetro, legno, tela e tessuto.
12
FAETA F., Le figure inquiete, Milano, 1989.
13
Ibidem.
14
FRAGALE A., op. cit., 1995
GLI ATTESTATI VOTIVI NEL MONDO CLASSICO: GRECI, ETRUSCHI, ROMANI
E’ stato fatto nell’introduzione un breve cenno agli ex-voto nell’antichità. Si
potrebbe affermare, infatti, che il voto di scambio con l’interlocutore divino sia
nato con l’uomo come moto istintivo dell’anima, che tende a proiettarsi verso il
suo creatore, per impetrare l’aiuto necessario per la ricostituzione dell’unità
primordiale, violata dallo stato di infermità o di pericolo.
In epoca antecedente alla civiltà classica, una delle più antiche testimonianze, è
riportata nella Bibbia, nel Libro dei Re,
15
a proposito di un ex-voto anatomico in
oro fatto dai Filistei per placare l’ira del Dio d’Israele ed impossessarsi dell’arca.
La consistenza dei materiali utilizzati in epoche trascorse ha permesso la fruizione
di tali “opere” fino ai nostri giorni, a differenza di quanto accade oggi con ex-voto
quali quelli fotografici, che utilizzando supporti di facile deperibilità come la
carta, sono soggetti ad una precoce antichizzazione e scomparsa. Ad apportare
novità, una crescente coscienza cristiana, spesso votata all’anonimato e ad una
non ostinata pretesa di durare nel tempo dipesa anche dalla facilità di reperimento
di determinati materiali, che permettono una maggiore immediatezza rispetto ad
altri, quali quelli legati alla pittura, che necessitano inevitabilmente di un
mediatore; si elude così il passaggio committente-artigiano-committente esoso e
dispendioso a livello di tempo, per una più immediata ricostruzione, che instaura
un rapporto diretto con la comunità e col divino.
15
Re, I, V, vv. 5-7.
L’uso di materie difficilmente deperibili nell’antichità quali oro, argento, rame,
bronzo, legno, terracotta, arenaria, marmo, è dovuto anche alla funzione
ornamentale dell’oggetto, che diviene così oggetto d’arte.
Non dimentichiamo che non esisteva il concetto di opera d’arte così come noi lo
intendiamo, ma tutto ciò che studiamo come tale era frutto di maestranze, che
operavano previa richiesta di committenze illustri quali nobili personaggi o
amministrazioni cittadine; quindi i pinakes, le stele venivano ad assumere una
funzione esornativa nei santuari, nei cimiteri ed in tutti i luoghi di fruizione
dell’antichità: pareti di templi, statue di divinità a cui venivano affissi, altari,
alberi sacri, fosse votive (in sostituzione degli animali da sacrificare) o nei
tempietti presso sorgenti di acque calde o minerali.
Delle forme più rare non vi erano molti esemplari ed erano destinati ad una
committenza selezionata ed elitaria, quindi avevano valore di opera d’arte in
quanto irripetibili ed unici.
A riprova di quanto detto finora, ricordiamo che il rilievo votivo in Attica, nel
periodo compreso tra il 480 a.C. ed il 450 a.C., ebbe manifestazioni sporadiche,
anche se di notevole livello iconografico e formale e ciò fu probabilmente dovuto
ad un divieto rivolto contro il lusso eccessivo, che impediva la dedicazione di
monumenti funerari troppo sfarzosi.
La produzione riprese attorno al 430 a.C.
16
16
Cfr. GIULIANO A., Storia dell’arte greca, Roma, 1989.
Come vedremo per le nostre tavolette votive settecentesche e ottocentesche, anche
nell’antichità esisteva un repertorio iconografico fisso senza una precisa
intenzione di caratterizzazione individuale, ma che evidenziava l’intensità
psicologica dei soggetti rappresentati. Solo eccezionalmente le stele erano scolpite
con un più preciso programma iconografico.
Lo sguardo del defunto ha una precisa connotazione psicologica, perso nel vuoto
scruta l’aldilà sfuggente e impalpabile all’osservatore terreno cui resta la sola
immagine dello scomparso senza riuscirne a scorgerne l’interlocutore. Lo sguardo
mesto riflette la nostalgia di una vita troppo presto interrotta. Basti ricordare la
lekythos del Pittore del Canneto,
17
risalente al 420 a.C., o le pitture parietali delle
tombe macedoni, in particolare la tomba detta di Persefone, in cui una figura
femminile
variamente interpretata come Demetra, sembra più verosimilmente richiamarsi a
questa precisa iconografia e, di conseguenza, essere la rappresentazione della
defunta.
Pinakes e stele venivano policromati su richiesta dell’acquirente. All’inizio
dunque abbiamo una produzione sporadica di tali monumenti funerari, solo a
partire dal 420 a.C. diverrà consuetudine almeno per le tombe delle famiglie più
ricche. Tra 360 e 320 a.C. le stele si inventano vere e proprie scene monumentali.
Il rilievo è più accentuato e vi è una varietà iconografica maggiore e più
complessa in riferimento probabile all'arte pittorica. Gli scultori di stele, colpiti da
17
ARIAS P. E., L’arte della Grecia, Torino, 1967.
un ulteriore divieto contro il lusso nel 317 a.C., costretti alla diaspora, portarono
le esperienze dello stile attico nei nuovi stati ellenistici.
Uno tra gli esemplari greci più conosciuti è un uomo barbuto ritto in piedi, che
abbraccia una gamba enorme su cui spicca una grossa vena in senso verticale, due
piedi sono esposti a sinistra come offerta votiva
18
.
Luoghi di ritrovamento sono tutte le zone grecizzate dell’Asia minore, la Grecia
stessa, Creta, l’Egitto e le divinità più sovente impetrate Apollo, Diana, Asclepio,
Telesforo, Igea.
L’Asklepieion (santuario di Asclepio) è senza dubbio il luogo di maggiore
ritrovamento e significazione a tal proposito, viste le proprietà guaritrici del dio
Asclepio.
Il malato che si recava al santuario e vi restava per il periodo dell’incubazione,
della durata di tre giorni, uscendone doveva spesso far incidere la storia della
propria guarigione sopra una tavoletta di marmo o sopra una colonna, che veniva
custodita nel tempio. Sembra che da queste rappresentazioni abbia tratto
vantaggio la scienza medica di Ippocrate evolutasi attraverso lo studio della
fenomenologia delle patologie così raffigurate. Simili santuari si trovavano a
Tricca, Sicione, Cillene, Titane, Kleitor, Messene, Creta (Lebena), in Asia min.,
nella Cirenaica e nella Magna Grecia (Metaponto e Reggio)
19
.
18
TABANELLI M., Gli ex-voto poliviscerali…, Firenze, 1962.
19
Cfr. FERRI S., Asklepieion, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma, 1958.
Se vogliamo scrutare l’archailoghia dell’ex-voto, dobbiamo volgere lo sguardo al
villaggio di Pitsà
20
, ad occidente di Sicione, nell’Argolide, dove in una grotta,
sono stati rinvenuti numerosi oggetti votivi tra cui quattro esemplari di tavolette
votive in legno, testimoni vetusti della pittura arcaica, che mantengono ancora i
colori ben distinguibili.
Sono rappresentate scene di sacrificio e il luogo e gli oggetti atti al
compimento dello stesso. Sopra ciascuna figura è scritto, nell’antico alfabeto
corinzio, un nome proprio e frasi come “… ανεθεκε ταις νυµφαις” e ancora,
nell’angolo destro in alto “… o Κορινθιος”, nel pinax A, che è probabilmente il
nome del pittore.
La frequente dedica alle Ninfe, in quanto divinità secondarie, può far pensare ad
un accostamento alle molte rappresentazioni di santi, nei nostri più recenti ex-
voto, come tramite col divino e intercessori presso il dio cui non si è talora degni
di rivolgersi; basti pensare che non tutti potevano accedere ai santuari di Asclepio
se non ritenuti degni di ciò dal sacerdote e dal neocoro.
Interessante notare, a livello tecnico, l’assenza di ogni tentativo di resa prospettica
sia negli arredi che nelle figure e nei particolari anatomici, che risultano appiattiti
come l’occhio, per esempio, che è visto di prospetto, senza gradazione di toni che
creino una varietà di livello tra le superfici. Questa apparente primitività della
composizione, che non si avvale di espedienti di cui verosimilmente allora i pittori
non avevano padronanza, si mantiene nel tempo come caratteristica tipologica del
20
ORLANDOS A. K.., Pitsà, in Enciclopedia dell’Arte Antica,Roma, 1965.
dono votivo dipinto, proprio perché l’accento venga posto non nel grafismo
dell’insieme, ma nel messaggio che questo insieme vuole dare; è un racconto, non
una rappresentazione statica e come tale si avvale di segni che comunichino in
sostituzione della scrittura.
Abbiamo numerose attestazioni nei classici di voti promessi, mantenuti e non.
Questa seconda ipotesi era possibile visto il carattere contrattuale e condizionato
del voto nella religione greca e romana in particolare
21
.
Il dio antropomorfizzato dalla civiltà classica, veniva ad essere un interlocutore
quasi alla pari dell’uomo, che gli offriva la concretizzazione della sua preghiera
qualora lui adempisse un suo volere.
Ci si rivolgeva ad un dio per ottenere protezione, favori, per calmarne la collera,
l’ostilità, per ringraziarlo della benevolenza.
Il voto nella sua completezza partecipava della preghiera e dell’azione di grazia ed
ευχη era termine che veniva usato per designare entrambe e corrisponde al latino
votum.
22
Numerosi gli esempi di voti nei poemi omerici: quello delle donne troiane ad
Atena nel libro VI dell’Iliade
23
; di Diomede sempre ad Atena nel libro X
24
; di
Ulisse ai morti nell’ XI dell’Odissea
25
; alle Ninfe di Itaca nel XIII
26
; quello che
21
Cfr. EITREM S.-MAXWEL OGILVIE R., Votum, in Dizionario di antichità classiche di
Oxford, Roma, 1981.
22
TOUTAIN J., Votum,in Daremberg C. Saglio E., Graz, 1963.
23
Hom., Il., VI, 24 ss.
24
Ibid., X, 283 ss.
25
Hom., Od., XI, 29 ss.
26
Ibid., XIII, 355 ss.
Telemaco consiglia a Penelope di offrire a Zeus ancora nel XIII.
27
Singolare lo scioglimento dal mantenimento del voto, fatto in precedenza dal
padre Peleo al fiume Spercheo, di Achille nel libro XXIII, vv. 140-153 dell’Iliade,
per corroborare quanto finora detto sull’origine condizionata del voto. Achille,
tradito dal dio fluviale nelle sue aspettative, morto ormai l’amato amico e sfumata
ogni possibilità di tornare sano e salvo dalla guerra di Troia in patria, depone la
capigliatura recisa tra le mani di Patroclo:
140 - ’Ενθ’ αυτ’ αλλ’ ενοησε ποδαρκης διος ’Αχιλλεúς
στας απανευθε πυρης ξανθην απεκειρατο χαιτην,
την ρα Σπερχειϖ ποταµϖ τρεφε τηλεθοωσαν
οχϑησας δ’αρα ειπεν ιδων επι οινοπα ποντον
«Σπερχει’, αλλως σοι γε πατηρ ηρησατο Πηλευς,
145 - κεισε µε νοστησαντα φιλην ες πατριδα γαιαν
σοι τε κοµην κερεειν ρεξειν θ’ιερην εκατοµβην,
πεντηκοντα δ’ενορχα παρ’ αυτòθι µηλ’ιερευσειν
ες πηγας, οθι τοι τεµενος βωµος τε θυηεις.
ως ηραθ’ο γερων, συ δε οι νοον ουκ ετελεσσας.
150 - νυν δ’επει ου νεοµαι γε ϕιλην ες πατριδα γαιαν,
Πατροκλω ηρωι κοµην οπασαιµι ϕερεσθαι».
‘Ως ειπων εν χερσι κοµην εταροιο ϕιλοιο
θηκεν, τοισι δε πασιν υφ’ιµερον ωρσε γοοιο.
27
Ibid., XVII, 50 ss.
140 - Altro intanto pensò Achille glorioso piede rapido:
dritto davanti al rogo la chioma bionda recise,
che lunga nutriva in onore del fiume Spercheo:
e disse gemendo, rivolto al livido mare:
«Spercheo, invano il padre Peleo ti promise
145 - che tornato laggiù nella cara mia patria
per te avrei reciso la chioma e fatta sacra ecatombe,
cinquanta montoni non castrati avrei ucciso
sulle sorgenti, dov’è il tuo sacro recinto e l’altare odoroso;
così promise il vecchio, ma il suo desiderio tu non compisti.
150 - Ora, che in patria non devo tornare mai più,
all’eroe Patroclo darò la mia chioma, che la porti con sé».
Dicendo così nelle mani del caro amico depose
La chioma e in tutti eccitò voglia di pianto.
E’ interessante notare, a questo proposito, come il dono della capigliatura si riveli
essere l’offerta caratteristica di una ben determinata fascia d’età e, per l’appunto,
quella giovanile
28
. Saranno numerose le rappresentazioni di questa e, fino ai nostri
giorni, l’offerta concreta dei capelli. Motivo di maggior vanto per un giovane la
capigliatura e il reciderla segno di grande tributo al dio.
28
Cfr. HOMOLLE T., Donarium, in: Daremberg C.- Saglio E., 1963.