7
Il secondo aspetto riguarda l’entità del fenomeno: esso ha assunto, infatti,
una portata realmente internazionale, a cui nessuno stato può più restare
indifferente. Lo sviluppo e la diffusione globale dei mezzi di comunicazione e di
trasporto hanno dato la possibilità a molti disperati in fuga dalla miseria, così
come ai rifugiati in fuga dalla persecuzione, di raggiungere le frontiere degli stati
“più ricchi”, inclusi naturalmente quelli europei, oggi assai più facilmente che in
passato.
L’Italia non è certo esclusa dal fenomeno: le notizie degli sbarchi di
centinaia di profughi sulle nostre coste o gli arrivi entro i nostri confini di camion
stipati di malcapitati in cerca di una nuova vita sono all’ordine del giorno e sotto
gli occhi di tutti.
La maggiore possibilità per i rifugiati di raggiungere paesi sicuri si scontra,
però, con il più o meno esplicito rifiuto di questi di farsi carico della loro
protezione: in questo momento l’Europa è attraversata da un diffuso sentimento di
paura e diffidenza verso gli stranieri in generale, percepiti indiscriminatamente
come approfittatori del sistema, o peggio, come criminali e terroristi.
I paesi occidentali ed in particolare quelli Europei, che poco più di
cinquant’anni fa si trovavano ad “esportare” rifugiati, in fuga dagli orrori nazisti,
ed avevano premuto per la creazione della Convenzione di Ginevra, uno strumento
di diritto internazionale espressamente dedicato alla tutela di chi fugge da
persecuzione, sembrano aver dimenticato, ora che il problema non li tocca più
direttamente, cosa questo significhi e gli obblighi che si erano allora assunti.
Con la giustificazione del controllo dei flussi migratori e della lotta
all’immigrazione clandestina, e, recentemente, al terrorismo, i paesi europei si
sono piuttosto impegnati, nell’ultimo decennio, nella costruzione di barriere ai
confini e nell’ideazione di sistemi per legittimare l’espulsione del maggior numero
di stranieri, senza preoccuparsi di porre alcuna distinzione tra migranti economici
e richiedenti asilo.
Non si vuole contestare, in questa trattazione, la necessità per gli stati e per
l’Unione Europea di attuare delle misure di regolamentazione dell’immigrazione, e
di contrasto di quella clandestina, tuttavia esse devono essere rispettose dei diritti
umani e soprattutto in grado di distinguere tra chi ha scelto di emigrare e chi
invece è stato costretto a farlo per salvarsi la vita ed ha dunque bisogno di essere
protetto.
8
È, del resto, innegabile, che la mole sempre crescente dei richiedenti asilo
che presentano domanda negli stati membri, sia andata progressivamente saturando
le capacità dei sistemi d’asilo nazionali, ed costringa gli stati ad un notevole
dispendio di energie e di mezzi, situazione certamente non di facile gestione,
soprattutto in un periodo di recessione economica più o meno diffusa.
È alla luce di quanto detto fin qui, che si impone l’adozione di una politica
comune in materia di asilo, che sia in grado di uniformare e distribuire gli sforzi
in tutta l’Unione, rinnovando gli impegni assunti dai singoli stati con la
Convenzione di Ginevra ed integrandoli nella legislazione comunitaria.
Va ricordato che l’UE, creata come uno spazio di libera circolazione di
persone, beni e servizi, in sicurezza e giustizia, si fa promotrice all’estero della
tutela dei diritti umani, e deve, a maggior ragione, accogliere e proteggere coloro
ai quali questi diritti vengono calpestati.
Gli stati membri si sono da tempo resi conto della loro incapacità di gestire
da soli i flussi migratori e la questione dei rifugiati, ed hanno avviato già dagli
anni ’90 una cooperazione intergovernativa in materia.
Negli ultimi cinque anni, poi, è stata avviato il processo di
comunitarizzazione della materia d’asilo, e la sua trasposizione nel diritto
dell’Unione.
Obiettivo di questa trattazione è quello di mettere in luce come, purtroppo,
fin dalle sue origini tale processo non abbia puntato verso un’unione di sforzi per
meglio garantire e tutelare l’individuo, nel rispetto dei diritti umani e della
Convenzione di Ginevra, bensì verso un sistema che mette in primo piano gli
interessi degli stati, che si ritengono ormai sovraffollati da stranieri illegali che
utilizzano l’espediente dell’asilo per regolarizzare la propria situazione ed
approfittarsi del benessere delle società europee.
A tale scopo, descriveremo, in primo luogo, come viene disciplinato lo
status di rifugiato dal diritto internazionale, così da poter rendere chiaro quali
siano le basi su cui il diritto comunitario si deve fondare.
Esamineremo, quindi, rapidamente l’evoluzione che ha portato l’antico
istituto del diritto d’asilo a trasformarsi fino a confondersi con l’odierna
concezione di protezione internazionale e daremo una descrizione storica dello
sviluppo del moderno diritto internazionale dei rifugiati, descrivendo brevemente
le istituzioni che ne hanno segnato il percorso.
9
Ci soffermeremo poi in modo particolare sui tre strumenti fondamentali per
la tutela di richiedenti asilo e rifugiati, ovvero lo Statuto dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la Convenzione di Ginevra ed il Protocollo di
New York, esaminando la definizione di rifugiato in essi contenuta, le garanzie ad
esso attribuite ed il significato del fondamentale principio di non-refoulement.
Per completare il quadro internazionale, un breve cenno verrà fatto anche
con riferimento a due documenti regionali in materia di rifugiati, la Convenzione
dell’OUA e la Dichiarazione di Cartagena, poiché esse contengono delle
interessanti innovazioni nella definizione di rifugiato, ed inoltre, in quanto
strumenti regionali, rappresentano un possibile modello per lo sviluppo di un
sistema d’asilo comune in Europa.
Nella seconda parte prenderemo in esame lo sviluppo della cooperazione
Europea in materia d’asilo, descrivendone le iniziative e mettendo in luce di volta
in volta quali siano gli aspetti che violano il diritto internazionale dei diritti
umani, e giovano, invece, agli interessi nazionali.
Analizzeremo dapprima i sistemi messi in moto dalle Convenzioni di
Schengen e di Dublino, che nascondono, dietro l’obiettivo del controllo e della
regolarizzazione dei flussi migratori e dell’eliminazione del problema dei
“rifugiati in orbita”, il tentativo di arginare o di rimuovere il fenomeno dei
richiedenti asilo al di fuori dell’Unione, attraverso la creazione di sistemi di
barriere ai confini e concetti come quello di paese terzo sicuro.
In un secondo momento, esamineremo le iniziative volte a limitare il più
possibile nel tempo la permanenza di coloro che, nonostante gli ostacoli, riescono
a fare ingresso nel territorio dello stato e ad accedere alle procedure d’asilo.
Queste hanno previsto da una parte l’istituzione di sistemi di filtro, basati su
procedure accelerate e criteri di manifesta infondatezza, volti a rigettare quanto
prima le domande, e dall’altra la creazione di sistemi di protezione temporanea, i
quali, come discuteremo, se da una parte rendono possibile l’accoglienza di ingenti
gruppi di sfollati e anche di coloro che formalmente non rientrano nella
definizione di rifugiato, dall’altra presentano il rischio di diventare delle
protezioni più “diluite” e meno dispendiose per lo stato, che vanno a pregiudicare
la qualità della vita e la sicurezza dei soggetti.
Infine, analizzeremo la fase più recente della cooperazione, quella della vera
e propria comunitarizzazione e armonizzazione della materia, in cui sono state
10
create le prime normative comunitarie volte a fornire degli standard minimi a cui
gli stati sono tenuti ad uniformarsi, prima di procedere alla costruzione di un vero
e proprio sistema d’asilo comune.
Purtroppo anche in questa fase, come vedremo, gli stati non hanno mostrato
una reale volontà ad assumersi impegni nell’interesse dei rifugiati, ma piuttosto
hanno utilizzato il diritto comunitario per venire incontro ai propri interessi,
legittimando alcune tra le pratiche nazionali meno rispettose dei diritti umani e di
quelli dei rifugiati.
La terza parte della trattazione, infine, analizzerà la legislazione nazionale
di tre Stati Membri dell’Unione Europea, con il duplice scopo di illustrare da un
lato le diversità esistenti tra esse, che rendono impossibile l’applicazione di una
legislazione comune come il sistema di Dublino, in mancanza di una precedente
armonizzazione, e dall’altro, l’insufficienza delle misure prese a questo proposito,
che non uniformano realmente le normative lasciando troppi aspetti alla
discrezione.
Va, da ultimo, precisato che, data la vastità di implicazioni che la materia
presenta, si sono voluti evidenziare quelli che, a nostro parere, rappresentano i
nodi fondamentali della questione a livello europeo: abbiamo dunque concentrato
l’attenzione sulla fase di arrivo, ingresso nel territorio ed accoglienza dei
richiedenti asilo, sulle procedure di esame delle domande e sull’esistenza e
possibile attribuzione di diversi status, con le differenze di trattamento che essi
comportano, tralasciando altri aspetti, seppure importanti, come il
ricongiungimento familiare, le procedure di identificazione dei soggetti e di
trattamento dei dati personali ed il rimpatrio.
11
PARTE PRIMA: LO STATUS DI RIFUGIATO NEL
DIRITTO INTERNAZIONALE
12
1 IL DIRITTO D’ASILO: DALLE ORIGINI AL CONCETTO
MODERNO.
Nell’affrontare le tematiche inerenti allo status dei rifugiati è impossibile
prescindere dal concetto di diritto d’asilo.
Esso, tuttavia, viene spesso dato per noto ed assimilato al diritto dei
rifugiati, come denota il fatto che il termine asylum seeker sia comunemente usato
per designare colui il quale ha presentato richiesta per lo status di rifugiato ed è in
attesa della decisione
4
; il riconoscimento dello status di rifugiato sarebbe quindi
sufficiente alfine di ottenere l’asilo.
In realtà, come vedremo, anche se in pratica ciò avviene, e l’asilo viene
generalmente accordato a chi soddisfa i criteri per l’attribuzione dello status di
rifugiato, da un punto di vista strettamente legale gli Stati non sono affatto
obbligati a garantirlo, specialmente sia esso inteso come soluzione permanente
5
.
Addirittura non vi è un documento internazionale che dia una definizione di
asilo
6
, né menzione alcuna ne viene fatta nella Convenzione di Ginevra relativa
allo status di rifugiato del 1951 e nel Protocollo di New York del 1967, che le ha
fatto seguito.
Pare quindi doveroso, prima di proseguire, un chiarimento sul significato
che quest’istituto, dalle ben antiche origini, è andato assumendo nel corso dei
secoli: da pratica religiosa, a strumento di affermazione dell’identità e
dell’autorità statale, per arrivare all’odierna commistione fra diritto internazionale
umanitario e diritti umani, ed alla sovrapposizione allo status di rifugiato.
4
Pubblicazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Asylum-with the contribution of Guy S. Goodwin-
Gill, (1995), 95-95, 98.
5
Guy S. Goodwin-Gill, Refuge or asylum: International Law and the search for solutions to Refugee Problem, in
“Refugee or Asylum a choice for Canada”, edito da Howard Adelman e Michael Lampier, (1990), 31.
6
Vedere in Guy S. Goodwin-Gill, Refugees in International law, (1996), 173. Infatti, come vedremo oltre la
Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo si limita a prevedere il diritto per l’individuo di godere dell’asilo
concesso, ma non prevede l’obbligo per lo stato di concederlo.
13
1.1 Il diritto d’asilo nell’antichità e nel Medioevo: il diritto d’asilo
religioso.
L’istituto dell’asilo, come abbiamo detto, ha radici molto profonde ed
antiche: la parola deriva dall’aggettivo greco asulos ( ∆ ς Ξ Ο Ρ ς), che indica ciò a
cui non può essere fatta violenza, quindi ciò che è inviolabile, e dal sostantivo
asulon ( ∆ ς Ξ Ο Ρ Θ), che significa inviolabilità d’asilo
7
.
Il latino asylum designa ancora più specificamente il concetto: indica infatti
un luogo inviolabile, un rifugio.
8
Le due caratteristiche del diritto d’asilo erano dunque nell’antichità la
sacralità del luogo e la sua inviolabilità.
In tutte le culture il concetto di asilo fu sempre associato primariamente ai
luoghi di culto, anche se non solo ad essi, infatti nelle diverse epoche anche luoghi
naturali, che per le particolari caratteristiche venivano associati alla presenza
divina, furono a loro volta considerati inviolabili.
9
Ciò che rende l’asilo religioso sostanzialmente diverso da quello laico è il
fatto che nel primo caso la sacralità e l’inviolabilità del luogo sono attribuite alla
volontà divina, volontà suprema, ultraterrena e alla quale evidentemente non ci si
può opporre.
Per questo motivo risulta, dunque, impossibile pensare di far prevalere la
legge degli uomini alla legge degli dei o di Dio, presso la quale l’individuo ha
trovato protezione contro la giustizia, o ingiustizia, umana.
L’asilo laici è, invece, come si vedrà, una concessione dello stato sovrano, e
quindi piena espressione delle leggi umane.
L’asilo, nell’antichità, è ben delimitato al luogo sacro in questione: solo,
infatti, all’interno del tempio o in prossimità del luogo naturale considerato sacro
è possibile godere della protezione, ma una volta allontanatisi, essa viene meno.
10
L’asilo cristiano, che appare nel IV secolo d.C., mantiene naturalmente le
caratteristiche dell’asilo religioso pagano, ma vi si differenzia enormemente, se
non nella pratica, bensì nelle ragioni che vi sottendono, al punto tale che gli autori
7
Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco-Italiano; vedere anche Philippe Ségur, La crise du droit d’asile, (1998), 3-4,
François Crépeau; Droit d’asile –de l’hospitalité aux contrôles migratoires, (1995), 29-34.
8
Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, Vocabolario della Lingua Latina, (1990). Il concetto di asilo era inoltre presente
anche nella tradizione ebraica, vedere Philippe Ségur, (1998), op. cit., 10-11; François Crépeau, (1995), op. cit., 30-31.
9
Philippe Ségur, (1998), op. cit., 16.
10
Ibidem, 27.
14
cristiani rifiutano l’uso della parola “asilo”, come abbiamo visto di uso pagano, e
vi preferiscono la perifrasi “ad ecclesiam confugere”
11
, ossia “rifugiarsi in una
chiesa”.
L’asilo per i cristiani non è più soltanto dovuto alla sacralità del luogo di
culto, bensì esso è anche frutto di un senso di dovere che nasce nel profondo della
coscienza del cristiano, la cui dottrina predica l’amore verso il prossimo e
soprattutto l’idea della remissione dei peccati; per cui se un criminale si rifugiava
in una Chiesa, per trovare scampo alla legge, la garanzia di asilo e protezione che
gli veniva offerta era percepita come un’opportunità per costui di pentirsi,
ravvedersi e convertirsi
12
.
Il diritto d’asilo cristiano, il diritto dunque di trovare rifugio in qualsiasi
chiesa consacrata, sfuggendo così, innocenti o meno, alle leggi temporali, fu
rispettato da signori e reggenti fino all’incirca ai secoli XIII e XIV
13
.
L’autorità delle monarchie e dei sovrani andava, tuttavia, facendosi sempre
più potente e l’asilo offerto dalla Chiesa diveniva così un ostacolo se non una
sfida al volere del sovrano.
E’ vero anche che larghi abusi ne furono compiuti in ogni epoca e
innumerevoli criminali vi fecero ricorso per sfuggire ad una giusta punizione e non
certo per sfuggire dalla persecuzione.
14
Furono dunque anche queste ragioni, oltre al fatto che questa pratica
diventava, negli stati nazione nascenti e in un momento di secolarizzazione del
potere temporale, fonte di conflitto tra la giustizia ecclesiastica e quella laica, che
il diritto d’asilo religioso venne sempre maggiormente malvisto, ostacolato ed
opposto.
Gli Stati, oramai detentori del potere legislativo sul loro, ben delimitato,
territorio, pretendevano ormai di esercitarvi appieno la propria sovranità, senza
eccezioni. Se di asilo si doveva parlare, questo doveva dunque essere concesso non
dalla Chiesa, ma dall’autorità statale.
Poco a poco dunque, la pratica dell’asilo religioso finì per estinguersi, o
meglio si secolarizzò.
15
11
Ibidem, 37.
12
Ibidem, 36-42, François Crépeau, (1995), op. cit., 35-37.
13
Philippe Ségur, (1998), op. cit., 71; François Crépeau, (1995), op. cit., 38-40.
14
Philippe Ségur, (1998), op. cit., 72-73.
15
Ibidem, 87, François Crépeau, (1995), op. cit., 40.
15
1.2 Il diritto d’asilo politico: l’innovazione della rivoluzione francese.
Con lo svilupparsi degli stati nazionali sovrani, entità ben precise,
delimitate le une dalle altre ed ognuna esercitante autorità sul suo territorio e su
tutto ciò che si trova al suo interno, persone comprese, il significato del diritto
d’asilo muta radicalmente.
Esso diventa infatti uno strumento per proclamare e ribadire l’identità dello
stato: è vero infatti che il diritto è originariamente proprio dell’individuo, ma esso
trasla nel tempo, per diventare un diritto esclusivo dello stato, che può infatti
concederlo o meno.
La prima manifestazione codificata del diritto d’asilo laico si ritrova in
occasione della rivoluzione francese.
Nel periodo rivoluzionario, come è noto, regnavano gli ideali liberali; i
rivoluzionari si ponevano infatti come obiettivo quello di limitare il potere
affinché ognuno potesse godere appieno delle proprie libertà.
In questo contesto troviamo l’embrione del moderno concetto d’asilo: nel
testo della costituzione repubblicana del 1793, tuttavia mai entrata in vigore,
leggiamo infatti, all’articolo 120 che il popolo francese “dà asilo agli stranieri
banditi dalla loro patria per la causa della libertà, e non ai tiranni”
16
.
Da questa affermazione emerge chiaramente il cambiamento subito dall’idea
di asilo: innanzi tutto esso non è più limitato ad un luogo specifico, ma si estende
a tutto il territorio nazionale, inoltre si restringe notevolmente il dominio di
applicazione dello stesso, specificando in modo inequivocabile a chi esso sia
diretto: si rivolge infatti ai soggetti che fuggono dalla loro patria “per la causa
della libertà”, non più quindi a chiunque, e specialmente non più ai criminali.
E’ evidente quindi, pensando con l’ottica del giorno d’oggi, che anche i
migranti economici sono esclusi dal poterne godere.
Chi può avere diritto alla protezione del popolo, e dunque dello Stato,
francese è solo colui che è perseguito ingiustamente in seguito alla sua azione
politica in difesa della libertà
17
.
16
Articolo 120 della Costituzione francese del 1973; vedere anche Philippe Ségur, (1998), op. cit., 89; François
Crépeau, (1995), op. cit., 41-45.
17
Philippe Ségur, (1998), op. cit., 96.
16
L’asilo è invece negato ai “tiranni”, coloro che sono la causa
dell’oppressione delle suddette libertà.
Il diritto d’asilo si arricchisce quindi dell’elemento politico, elemento che
ritroveremo poi, a distanza di più di un secolo, anche nella definizione di rifugiato
dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato del
1951, fatto che farà, dunque, sì che i due concetti vengano a compenetrarsi e
confondersi.
Aldilà di questa parentesi, bisognerà però, appunto, aspettare fino agli
sconvolgimenti politici del XX secolo perché il diritto d’asilo, nel contesto di una
crescente formazione di una coscienza internazionale, acquisti definitivamente la
sua faccia politica ed inizi poco alla volta, lungo un processo tutt’oggi lontano
dall’essere ultimato, ad affrancarsi dallo stato e dal diritto internazionale degli
stati per divenire, passando attraverso il diritto umanitario, un diritto umano
riconosciuto ad ogni singolo individuo.
17
1.3 Il diritto d’asilo nel diritto Internazionale.
La prima codificazione del diritto d’asilo di rango costituzionale avviene,
come abbiamo visto, in occasione della rivoluzione francese; tuttavia, come
precisato, la suddetta costituzione non entrò mai in vigore, e sarà necessario
quindi attendere il secondo dopoguerra per ritrovare questo diritto nelle
costituzioni dei paesi europei, ed a livello internazionale, seppur, come si vedrà,
con dei limiti. Tuttavia esso non rimane affatto un istituto sconosciuto al diritto
internazionale, piuttosto si sviluppa come prassi consuetudinaria, la cui legittimità
viene più volte messa in discussione.
Sotto il nome di diritto d’asilo si riconducono tradizionalmente, all’interno
di quelli che venivano indicati come diritti d’autonomia dello stato
18
, il cosiddetto
asilo extraterritoriale o diplomatico e l’asilo territoriale.
Con la prima denominazione si indica la “particolare condizione riservata-
(…)-dal diritto internazionale ai luoghi e ai beni nei quali veniva richiesto e
concesso l’asilo”
19
; in particolare, la denominazione di asilo diplomatico veniva
attribuita nei casi in cui esso fosse “accordato in locali di missioni diplomatiche”.
L’asilo territoriale è quello a cui ci si riferisce normalmente riguardo ai
rifugiati, ossia quello concesso dallo stato entro il proprio territorio nazionale.
1.3.1 Il diritto d’asilo extraterritoriale
La sentenza del 20 Novembre 1950 della Corte Internazionale di Giustizia
distingue tra asilo territoriale e diplomatico: nel primo caso, afferma, il rifugiato
si trova nel territorio dello stato di rifugio, che dunque esercita legittimamente la
sua sovranità offrendo protezione, così come la esercita in una decisione relativa
all’estradizione.
Nell’asilo extraterritoriale al contrario, il rifugiato si trova ancora nello
paese d’origine; lo stato che offre protezione sta dunque invadendo la sovranità e
competenza esclusiva del primo, sottraendo illegittimamente il reo alla giustizia
20
.
18
Mario Miele, Principi di diritto internazionale, (1960), 184-185; Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa,
(1995), op. cit., 96.
19
Mario Giuliano, Tullio Scorazzi, Tullio Treves, Diritto Internazionale –II gli aspetti giuridici della coesistenza tra
stati, (1983), 399.
20
Ibidem, 400.
18
La dottrina
21
è concorde nel non riconoscere alcun obbligo allo Stato di
tollerare l’asilo offerto nel suo stesso territorio da un altro stato, salvo là dove ciò
sia previsto da accordi internazionali.
Su questo punto di vista si sono evidentemente sempre schierati gli Stati,
che hanno spesso esplicitamente opposto la legittimità del diritto d’asilo,
invocando ad opposizione la loro potestà territoriale ed il loro diritto ad
esercitarla liberamente
22
.
Tuttavia, una forma di legittimazione dell’istituto è avvenuta a seguito del
riconoscimento della sua funzione umanitaria.
Già nel 1912 gli stessi Stati Uniti d’America, tradizionalmente forti
oppositori di una qualsiasi forma di legittimazione dell’istituto, dichiaravano, per
bocca del ministro degli affari esteri Knox, che andava fatta una distinzione tra
diritto d’asilo in senso stretto e l’accordare rifugio temporaneo nell’abitazione di
un diplomatico onde conservare la vita ad un innocente
23
.
Si assiste ad ulteriori sviluppi in questo senso nel periodo tra le due guerre:
riferimenti all’asilo per motivi umanitari si ritrovano, infatti, in circolari e
dichiarazioni governative, specialmente di paesi latino-americani e specialmente in
seguito alla guerra civile spagnola.
Nella risposta, nel 1939, ad un memorandum del Cile di richiesta d’appoggio
alla sua iniziativa a favore dei rifugiati che avevano trovato protezione nelle
legazioni, il governo Venezuelano dichiarò chiaramente che “l’asilo non è un
diritto ma una pratica umanitaria”
24
. È evidente da questa da questa affermazione il
desiderio dello stato di mantenere l’ultima decisione in materia, poiché escludendo
l’asilo come diritto dell’individuo, esso ribadisce il diritto dello stato di
concederlo o meno
25
.
21
Ibidem, 399-419, François Crépeau, (1995), op. cit., 46-51.
22
Questo tipo di accordi esiste solamente fra gli stati Latino americani, come la Convenzione di Montevideo del 1933 o
la Convenzione di Caracas del 1954; Mario Giuliano, Tullio Scorazzi, Tullio Treves, (1983), op. cit., 399-419; François
Crépeau, (1995), op. cit., 46-51.
23
Citato in Giorgio Balladori Pallieri, Diritto Internazionale Pubblico, (1941), 492. A questo proposito significativa è
inoltre la disposizione della marina militare che precisa (vedi Mario Giuliano, Tullio Scorazzi, Tullio Treves, (1983),
op. cit., 411): “Tuttavia in paesi dove si verificano frequenti insurrezioni di governo, l’uso ammette la concessione
dell’asilo; ma persino nelle acque di tali paesi gli ufficiali (…) dovrebbero respingere le domande d’asilo, a meno che il
loro accoglimento non sia richiesto da ragioni di umanità in situazioni del tutto eccezionali…”
24
Mario Giuliano, Tullio Scorazzi, Tullio Treves, (1983), op. cit., 407.
25
Dello stesso avviso è, nel dopoguerra, la posizione dell’Italia, come emerge dalla dichiarazione del delegato italiano
Cassese, nella riunione del 28 Ottobre 1975 della VI Commissione dell’Assemblea generale: “…asilo
diplomatico…possa essere accordato in circostanze urgenti e eccezionali per fini umanitari…Tuttavia il governo ritiene
che gli stati dovrebbero avere la più ampia discrezionalità…” (cit. in Mario Giuliano, Tullio Scorazzi, Tullio Treves,
(1983), op. cit., 409).
19
L’asilo diplomatico, tuttavia, non interessa questa trattazione: esso non è
ancora parte del diritto internazionale e la Convenzione su i rifugiati del 1951 non
ne fa menzione, inoltre i problemi posti da esso non si avvicinano neanche
lontanamente a quelli posti dall’asilo territoriale, né per quanto riguarda il numero
dei richiedenti, né in riferimento all’impatto sulle politiche statali odierne.
A seguito dei due conflitti mondiali, con le conseguenti migrazioni di massa
delle popolazioni colpite dalla guerra e dallo sterminio nazista, ed altresì a seguito
del diffondersi dei paradigmi dei diritti umani, l’attenzione degli stati si focalizza
decisamente verso il concetto di diritto d’asilo territoriale, con cui si vanno a
confondere e su cui vanno ad innestarsi i diritti dei rifugiati.
1.3.2 Il diritto d’asilo territoriale
A livello internazionale non esiste alcun obbligo per gli stati da garantire
l’asilo nel proprio territorio, inteso come ammissione alla residenza e garanzia di
una durevole protezione dalla giurisdizione di un altro stato, inoltre la non volontà
di istituirne uno in merito è ampiamente evidente se si esamina la storia delle
convenzioni e degli altri strumenti internazionali in materia
26
.
Tra le due guerre mondiali, quando apparve sempre più evidente la necessità
di far fronte ai movimenti delle masse in fuga dalla guerra, vennero mossi, come si
vedrà in seguito, i primi passi in materia di diritti dei rifugiati, ad esempio sulla
questione dei documenti di viaggio.
Nessuna menzione verrà tuttavia dedicata al diritto d’asilo, né venne sancito
alcun obbligo di reinserimento.
L’unico documento internazionale che ne faccia menzione è la dichiarazione
Universale dei Diritti Umani, del 1948, il cui articolo 14(1) sancisce che “ognuno
ha il diritto di cercare e godere in altri paesi asilo dalla persecuzione”
27
.
Tuttavia come si vede, esso non dice in cosa esso consista, né stabilisce
obbligo alcuno per gli stati: è noto, infatti, che la proposta di sostituire
all’espressione “godere” (to enjoy), l’espressione “vedersi garantito” (to be
26
Guy S. Goodwin-Gill, (1996), op. cit., 174.
27
La Dichiarazione è stata firmata da 142 stati, inclusi tutti i membri sia dell’unione europea, sia del Consiglio
d’Europa, vedere UNHCR, “States Parties to the 1951 Convention relating to the Status of Refugees and the 1967
Protocol”, aggiornato all’ 1 Febbraio 2004, reperibile in formato .pdf sul sito ufficiale dell’Alto Commissariato:
www.unhcr.ch.
20
granted) fu fortemente opposta, così come quella di dare il potere di
garantire l’asilo alle stesse Nazioni Unite
28
.
Da ricordare è anche che la dichiarazione non è un documento con effetto
vincolante sugli stati, il che riduce ulteriormente la sua efficacia.
Nessuna novità di rilievo venne aggiunta dalla creazione dell’UNHCR, in
occasione della quale l’Assemblea Generale dell’ONU si limitò, nella risoluzione
relativa, a sollecitare gli stati alla cooperazione con l’Alto commissariato
nell’ammissione dei rifugiati
29
.
La Convenzione di Ginevra del 1951 non fa menzione del diritto d’asilo,
tuttavia sancisce il principio di non-refoulement, ovvero l’obbligo dello stato di
non espellere uno straniero verso un paese ove questi possa correre il rischio
persecuzione; tale principio è diventato, al giorno d’oggi, una norma
consuetudinaria del diritto internazionale
30
.
Le deboli iniziative degli anni seguenti, come la proposta francese di una
dichiarazione sul diritto d’asilo (1957) ed il conseguente appello dell’Assemblea
Generale alla Commissione Diritto Internazionale affinché essa venisse codificata,
non ebbero gli effetti sperati ed il risultato fu la Dichiarazione sull’asilo
territoriale
31
.
In essa non vi sono reali innovazione dal momento che si limita seguendo
l’approccio tradizionale a ribadire, come leggiamo all’art.1, che “l’asilo garantito
da uno Stato, nell’esercizio della sua sovranità, a persone aventi diritto ad
invocare l’art.14 della Dichiarazione Universale sui Diritti dell’Uomo (…) deve
essere rispettato da tutti gli altri Stati” e che comunque rimane “allo Stato che
garantisce l’asilo valutare i criteri per la garanzia dell’asilo”
32
.
Neppure a livello regionale si evidenziano progressi riguardo questo diritto.
La Convenzione Europea sui Diritti Umani, pur apportando un rafforzamento
28
Guy S. Goodwin-Gill, (1996), op. cit., 175
29
Risoluzione n.428 del 20 dicembre 1950. dell’Assemblea Generale dell’ONU.
30
Vedi oltre.
31
Essa fu redatta dalla Commissione sui diritti umani e dal VI e III Comitato dopo che gli appelli dell’Assemblea
Generale all’International Law commission non diedero gli effetti sperati, Guy S. Goodwin-Gill, (1996), op. cit., 176.
32
Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, (1995), op. cit., 13; articolo 1 della Dichiarazione sull’asilo
territoriale: “1. Asylum granted by a State, in the exercise of its sovereignty, to persons entitled to invoke article 14 of
the Universal Declaration of Human Rights, including persons struggling against colonialism, shall be respected by all
other States.
2. The right to seek and to enjoy asylum may not be invoked by any person with respect to whom there are serious
reasons for considering that he has committed a crime against peace, a war crime or a crime against humanity, as
defined in the international instruments drawn up to make provision in respect of such crimes.
3. It shall rest with the State granting asylum to evaluate the grounds for the grant of asylum.”