4
Il principio della responsabilità penale individuale si è progressivamente
affermato nel corso del XX secolo, nell’ambito dell’ordinamento giuridico
internazionale. Era regola generale dell’ordinamento internazionale che la
responsabilità derivante dalla violazione di norme di condotta degli Stati non
ricadesse sull’individuo organo che aveva posto in essere l’atto illecito, bensì
sullo Stato nel quale egli operava. Tuttavia, all’inizio del XX secolo, comincia
ad emergere il concetto di crimine internazionale dell’individuo, in particolare
del crimine di guerra e l’esigenza di reagire non più a livello statale, ma a livello
internazionale, colpendo gli individui organi responsabili di tali crimini.
Con la fine della prima guerra mondiale, le potenze vincitrici accusarono
la Germania di essere responsabile moralmente dei danni subiti dai governi
alleati e incolparono il Kaiser Guglielmo II per le violazioni tedesche alle leggi
di guerra. Nel Trattato di Versailles del 1919 furono incluse delle norme per
l’incriminazione del Kaiser (non, però, per i crimini di guerra, ma per “supremo
oltraggio all’etica internazionale e alla santità dei trattati”, art. 227) e dei
responsabili dei crimini di guerra commessi dalla Germania. Tuttavia, tali
previsioni rimasero senza seguito, essendosi il Kaiser rifugiato in Olanda ed
avendo la Corte di Lipsia giudicato pochi ufficiali superiori. La vicenda
dell’incriminazione del Kaiser, malgrado abbia sollevato notevoli perplessità,
rappresenta l’inizio di una lunga evoluzione storica che ha portato all’adozione
dello Statuto di Roma nel 1998.
In seguito alle stragi avvenute contro la popolazione armena nel 1915 sul
territorio dell’Impero Ottomano, il Trattato di Sèvres del 1920, mai entrato in
vigore, dispose il perseguimento degli ufficiali turchi responsabili delle stragi. Il
successivo Trattato di Losanna del 1923 riconobbe l’amnistia generale concessa
dalle autorità turche, pur riaffermando il principio di responsabilità individuale
di coloro che avevano compiuto le stragi. Pertanto, i crimini contro l’umanità
iniziavano a rappresentare, nell’ambito dell’ordinamento internazionale,
fattispecie incriminatrici autonome.
5
La creazione di una giurisdizione penale internazionale fu seriamente
discussa nel periodo tra le due guerre, al tempo della Società delle Nazioni. Nel
1937, la seconda parte della Convenzione per la prevenzione e la repressione del
terrorismo prevedeva l’istituzione di un organo internazionale avente
giurisdizione sugli individui. Tuttavia, tale Convenzione non entrò mai in vigore
perché ratificata esclusivamente dall’India.
Fu solamente dopo la seconda guerra mondiale, con l’istituzione dei
Tribunali di Norimberga e di Tokyo, rispettivamente nel 1945 e nel 1946, che
venne sancito il principio per cui certi crimini efferati non dovevano più restare
impuniti. L’aspetto rivoluzionario che i due Tribunali presentavano risiedeva,
innanzitutto, nella determinazione della responsabilità penale individuale e
successivamente, nell’ampliamento della categoria dei delicta juris gentium,
che comprendeva non solo i crimini di guerra, ma anche i crimini contro
l’umanità e i crimini contro la pace. Si è trattato dei due Tribunali più famosi e
più contestati della storia del secolo scorso. Difatti, la categoria dei crimini
contro l’umanità risultava totalmente nuova e si parlò per questo di un crimen
sine lege. L’organo giudicante fu istituito post factum e costituito soltanto dalle
Potenze vincitrici. Inoltre, la circostanza che si trattava di una giustizia dei
vincitori comportava che ci si occupasse esclusivamente delle violazioni
perpetrate dai cittadini degli Stati sconfitti.
Il 9 dicembre 1948, movendo dall’esperienza di quei processi,
l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava una Convenzione per la
prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, imponendo agli Stati di
perseguire questo grave crimine, suggeriva la creazione di una giurisdizione
internazionale per esso competente.
La persistente guerra fredda tra le due superpotenze paralizzò, di fatto,
questi tentativi, rendendo vane le solenni dichiarazioni e l’impegno profuso. Fu
soltanto nel 1989, su sollecitazione di un gruppo di Stati caraibici (in particolare,
Trinidad e Tobago), che l’Assemblea generale chiedeva alla Commissione di
6
diritto internazionale di esaminare la questione dell’istituzione di una Corte
criminale internazionale.
Poco dopo, l’esasperarsi della guerra nella ex-Jugoslavia, con le terribili
atrocità che la stavano segnando, portava il Consiglio di sicurezza ad istituire,
mediante la risoluzione 827 del 25 maggio 1993, adottata ai sensi del Capitolo
VII della Carta delle Nazioni Unite, un apposito Tribunale internazionale ad
hoc, per i crimini commessi su quei territori, dopo il 1 gennaio 1991. Di
particolare interesse è la competenza ratione materiae del Tribunale. Vi
rientrano, innanzitutto, le violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949, le
violazioni alle leggi e alle consuetudini di guerra, il genocidio e i crimini contro
l’umanità. Ad un anno e mezzo di distanza, il Consiglio di sicurezza approvava
la risoluzione 1168 dell’8 novembre 1994 con la quale istituiva un analogo
Tribunale sul Ruanda per giudicare sulle efferatezze commesse su quel
territorio, caratterizzate da atti sistematici di genocidio.
Contemporaneamente, l’Assemblea generale istituiva un Comitato
preparatorio con il compito di esaminare le principali questioni sollevate dal
progetto di Statuto per una Corte penale internazionale, predisposto dalla
Commissione di diritto internazionale nel 1994. Il Comitato preparatorio si è
riunito sei volte, dal marzo 1996 all’aprile 1998.
La Conferenza per l’istituzione di una Corte penale internazionale si è
svolta a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio del 1998. Vi hanno partecipato i
rappresentanti di 161 Stati e, in qualità di osservatori, 30 organizzazioni
intergovernative e 137 organizzazioni non governative. Le cinque settimane di
lavoro sono state difficili ed intense, ma si sono svolte in un clima di
cooperazione e con l’obiettivo di concludere positivamente la Conferenza. Il
merito va attribuito ad un gruppo di Stati, i cosiddetti like minded, che hanno
fortemente sostenuto l’adozione dello Statuto riuscendo ad orientare alcuni
blocchi regionali sulle proprie posizioni. Inoltre, il ruolo non trascurabile avuto
dalle organizzazioni non governative e la direzione determinata ed efficace dei
7
lavori della Conferenza hanno ugualmente contribuito a determinare l’esito
positivo della Conferenza. Lo Statuto di Roma è stato adottato con 120 voti
favorevoli, 7 contrari e 21 astenuti.
La Commissione preparatoria si è riunita, per la prima volta, pochi mesi
dopo la conclusione della Conferenza di Roma. Grazie alle esperienze maturate
nel corso del XX secolo ed in particolare, alla prassi dei Tribunali ad hoc, la
Commissione preparatoria ha potuto svolgere i suoi lavori mantenendo
l’obiettivo della costituzione di una Corte indipendente, imparziale ed efficiente.
Dunque, essa rappresenta l’ultima tappa di quel lungo processo iniziato molti
decenni prima.
I 128 articoli dello Statuto hanno rappresentato una base sufficientemente
solida ed articolata per permettere alla Commissione preparatoria di espletare i
compiti che le erano stati affidati dalla Risoluzione F . Inoltre, si è dovuta porre
una particolare attenzione a non alterare il contenuto dello Statuto che, in molte
parti, è stato il risultato di delicati compromessi. D’altronde, lo Statuto può
essere oggetto di emendamenti o di revisione esclusivamente in base all’art. 121
e all’art. 123 dello Statuto. Quest’ultimo articolo prevede, solo dopo sette anni
dall’entrata in vigore del Trattato istitutivo della Corte, la convocazione di una
Conferenza di revisione.
In base alla Risoluzione F, la Commissione ha avuto il compito di
approvare otto progetti di testi di particolare importanza, tra i quali figurano le
Regole di procedura e di prova, gli Elementi dei crimini, l’accordo che
disciplina i rapporti tra la Corte e le Nazioni Unite e i regolamenti finanziari.
Inoltre, è stata invitata a formulare delle proposte per una disposizione relativa
al crimine d’aggressione.
In alcuni casi, si tratta di testi approvati in seguito a lunghi negoziati che
hanno visto confrontarsi paesi distanti sia nelle concezioni giuridiche che negli
interessi politici. Le problematiche affrontate dalla Commissione preparatoria
sono state numerose e, talvolta, generate dal tentativo di alcune delegazioni di
8
cogliere l’occasione per portare qualche ritocco alle disposizioni statutarie. I
risultati ottenuti sono, dunque, il frutto di numerosi compromessi.
Inoltre, è stata avvertita, nel corso dei lavori della Commissione, la
necessità di agevolare l’iniziale funzionamento della Corte attraverso l’adozione
di una serie di risoluzioni su questioni essenzialmente pratiche, da inviare
all’Assemblea degli Stati parte per una definitiva adozione.
Compito della Commissione è stato non soltanto di completare gli spazi
residuali, ma anche di mettere a punto una serie di meccanismi indispensabili ad
assicurare alla Corte l’efficienza necessaria per essere all’altezza delle funzioni
ad essa assegnate. L’esigenza di rendere l’atto istitutivo della Corte operante il
più presto possibile, ha comportato, per gli Stati che hanno partecipato ai lavori
della Commissione preparatoria, una responsabilità politica che si è aggiunta a
quella morale.
L’ampiezza degli argomenti affrontati dalla Commissione preparatoria
non ha reso possibile, in questo lavoro, uno studio dettagliato di tutti i
documenti e di tutte le risoluzioni approvate da quest’organo. Ci si è concentrati,
pertanto, sulle problematiche emerse nel corso dei negoziati e sui compromessi
raggiunti tra gli Stati per superarle. Ciò nonostante, in tale analisi si è cercato di
includere tutti i testi di maggiore rilevanza approvati dalla Commissione,
descrivendo, inoltre, il contesto generale che ha caratterizzato le dieci sessioni
di lavoro della Commissione stessa.
9
CAPITOLO I
LE REGOLE DI PROCEDURA E DI PROVA
1. Lo svolgimento dei lavori nel corso delle prime cinque sessioni
Pochi mesi dopo l’adozione dello Statuto della Corte penale
internazionale, l’8 dicembre 1998, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite
adottava la risoluzione n. 53/105, che prevedeva la convocazione di tre sessioni
di lavoro della Commissione preparatoria nel corso del 1999. Analogamente,
l’Assemblea generale adottava, il 9 dicembre 1999, la risoluzione n. 54/105 per
la convocazione di tre ulteriori sessioni per l’anno 2000. Le prime cinque
sessioni della Commissione preparatoria si sono svolte, rispettivamente, nel
1999, dal 16 al 26 febbraio, dal 26 luglio al 13 agosto e dal 29 novembre al 17
dicembre e, nel 2000, dal 13 al 31 marzo e dal 12 al 30 giugno.
Nel corso della prima sessione, la Commissione si è occupata della
propria organizzazione interna, eleggendo come Presidente Philippe Kirsch
(Canada) e, come vice-Presidenti, Muhamed Sacribey (Bosnia-Herzegovina),
Medard R. Rwelamira (Sud Africa) e George Winston McKenzie (Trinidad e
Tobago). Inoltre, è stato eletto come Relatore Salah Suheimat (Giordania).
Successivamente, con lo scopo di facilitare il proprio lavoro, la Commissione ha
istituito due Gruppi di lavoro: uno sulle “Regole di procedura e di prova”
coordinato da Silvia Fernandez de Gurmendi (Argentina) e uno sugli “Elementi
dei crimini” coordinato da Herman von Hebel (Paesi Bassi). L’istituzione di un
Gruppo di lavoro sul crimine d’aggressione non è avvenuta che a partire dalla
terza sessione ed è stato scelto come coordinatore Tuvaku Manongi (Tanzania).
Malgrado per alcuni frangenti i negoziati in seno alla Commissione siano
stati particolarmente difficili, le prime cinque sessioni si sono svolte in un clima
10
meno teso rispetto alla Conferenza di Roma. Difatti, essa ha dovuto affrontare
numerose questioni in un lasso di tempo relativamente breve perché la
Risoluzione F prevedeva che l’approvazione definitiva dei progetti di testi sulle
Regole di procedura e di prova e sugli Elementi dei crimini, dovesse avvenire
prima del 30 giugno 2000
1
.
Ciò ha comportato che i lavori si siano concentrati su questi due testi,
rinviando alle ultime sessioni i negoziati sulle altre questioni da affrontare.
Una caratteristica che ha contraddistinto gli sforzi per istituire una Corte
penale internazionale permanente è stata il grande contributo fornito dalle
organizzazioni non governative e dalle organizzazioni intergovernative. Tale
contributo non è mancato ai lavori della Commissione preparatoria, che ha
ricevuto numerosi documenti e progetti di testi da queste organizzazioni. Per gli
Elementi dei crimini, si è trattato di una serie di documenti sui crimini di guerra
preparati dal Comitato internazionale della Croce Rossa e un rapporto
sull’incontro intersessionale di Siracusa svolto dal 31 gennaio al 6 febbraio 2000
presso l’Istituto superiore internazionale di scienze criminali.
1
LEANZA U., The Rome Statute and its Annexes: Update on the Work of the Preparatory Commission, in
European Conference on the Rome Statute of the International Criminal Court, Roma, 2001, p. 68.
11
Per le Regole di procedura e di prova, il gruppo di lavoro ha usufruito di
un progetto di testo relativo alle disposizioni sul processo elaborato all’Istituto
di Siracusa, in un incontro intersessionale svolto dal 21 al 27 giugno 2000 e di
un altro progetto di testo elaborato in un seminario svolto a Parigi nel maggio
1999, sul ruolo delle vittime nell’ambito della Corte
2
.
Dopo cinque sessioni di lavoro, il 30 giugno 2000, la Commissione
preparatoria ha approvato, tramite consensus, i progetti di testi sugli Elementi
dei crimini e sulle Regole di procedura e di prova.
2
HALL C. K., The First Five Sessions of the UN Preparatory Commission for the International Criminal Court,
in The American Journal of International Law, 2000, p. 774.
12
2. Introduzione generale sul testo delle Regole di procedura e di
prova
Il testo sulle Regole di procedura e di prova è composto da 225 articoli
suddivisi in 12 capitoli. Tali Regole hanno lo scopo di rendere operative le
norme contenute dal capitolo 2 al capitolo 10 dello Statuto della Corte, con
l’eccezione delle norme sulla definizione dei crimini, in quanto oggetto del testo
sugli Elementi dei crimini. Benché le Regole non seguano esattamente la
medesima struttura dello Statuto, esse sono ordinate in maniera logica, per
facilitarne l’uso e la comprensione. Riguardano un insieme di questioni molto
ampie, come l’amministrazione e la composizione della Corte, la competenza e
l’ammissibilità, le disposizioni applicabili alle diverse fasi del procedimento e,
ancora, il processo, le pene, l’appello e la revisione. Di particolare interesse è la
struttura del capitolo 4, sulle disposizioni applicabili alle diverse fasi del
procedimento, perché raggruppa le regole relative al procedimento penale. Si
compone di quattro sezioni e riunisce nelle sezioni 1 e 2 le regole di natura
probatoria e nella sezione 3 le regole relative alle vittime e ai testimoni.
Tuttavia, sia le Regole di procedura che le Regole probatorie erano già
state oggetto di disposizioni nell’ambito dello Statuto di Roma, non solo sotto
forma di principi generali, ma anche di articoli dettagliati che specificavano tali
principi con più esattezza. La Commissione si è dovuta occupare delle questioni
la cui disciplina era stata espressamente rinviata dallo Statuto alle Regole, tra
cui: le condizioni per l’intervento delle vittime nel procedimento (art. 15, par. 3),
motivi di esclusione della responsabilità penale non esplicitamente contemplati
nello Statuto (art. 31, par. 3), disposizioni relative alle prove (art. 69),
disposizioni relative alla procedura per l’appello contro la sentenza di condanna
o la determinazione della pena (art. 81, par. 1). Inoltre, nessuna disposizione
statutaria escludeva che le Regole si occupassero anche di altre questioni
3
.
3
SCHABAS W. A., Follow up to Rome: Preparing for Entry Into Force of the International Criminal Court
Statute, in Human Rights Law Journal, 1999, p. 162.
13
Dunque, le Regole di procedura e di prova hanno avuto l’obiettivo principale di
“puntellare”
le norme dello Statuto e, solo ove necessario, di integrarle con
disposizioni più dettagliate
4
.
La tutela dell’integrità dello Statuto, che è il risultato di delicati
compromessi raggiunti a Roma dopo anni di negoziati, è stato uno degli aspetti
più importanti che ha influito sull’elaborazione delle Regole. Il compito non è
stato semplice, perché alcune delegazioni hanno tentato di alterare
l’interpretazione dello Statuto attraverso i lavori della Commissione. Se la tutela
dell’integrità dello Statuto ha, da un lato, rappresentato una necessità politica,
dall’altro lato ha corrisposto all’adempimento di un obbligo giuridico. Difatti, lo
Statuto stabilisce chiaramente la subordinazione delle Regole nei confronti delle
norme statutarie: “ In caso di conflitto fra lo Statuto e le Regole di procedura e
di prova, prevale lo Statuto”, (art. 51, par. 5).
L’art. 51, par. 5, dello Statuto riflette un principio generale del diritto
delle organizzazioni internazionali, in base al quale le norme dei regolamenti,
adottati dagli organi delle organizzazioni, si pongono in posizione gerarchica
subordinata rispetto a quelle del trattato istitutivo. I regolamenti, che hanno la
funzione di integrare le norme del trattato istitutivo, costituiscono una fonte
secondaria, o derivata, dell’ordinamento interno delle organizzazioni
internazionali, la cui fonte primaria è rappresentata dallo Statuto
5
.
La decisione di affidare agli Stati l’elaborazione delle Regole di procedura
e di prova attraverso i lavori della Commissione preparatoria, ha rappresentato
una novità rispetto al metodo prescelto per i Tribunali internazionali
precedentemente istituiti. Di solito, il potere di adottare le Regole di procedura e
di prova veniva affidato direttamente ai Giudici dell’organismo giurisdizionale
6
.
La decisione di optare per un metodo diverso è il risultato di un compromesso
4
FERNANDEZ DE GURMENDI S., The Rome Statute and its Annexes: Update on the Work of the Preparatory
Commission, in European Conference on the Rome Statute of the International Criminal Court, Roma, 2001, p.
71.
5
DRAETTA U., Principi di diritto delle Organizzazioni internazionali, Milano, 1997, pp. 139 ss.
6
Vedi Art. 15 Statuto del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia e Art. 14 Statuto del Tribunale
penale internazionale per il Ruanda.
14
raggiunto alla Conferenza di Roma tra due posizioni differenti. Mentre la
Francia era favorevole ad inserire nello Statuto Regole di procedura e di prova
dettagliate, l’Australia e i Paesi Bassi auspicavano l’adozione di due atti
ulteriori: le Regole di procedura e di prova, per rendere operative le norme dello
Statuto, e il Regolamento della Corte, per disciplinare i dettagli minori necessari
per un suo corretto funzionamento. Il compromesso raggiunto si è concretizzato
negli articoli 51 e 52 dello Statuto. L’art. 51 affida alla Commissione
preparatoria, dunque agli Stati, la stesura delle Regole di procedura e di prova,
mentre l’art. 52 attribuisce ai giudici il compito di elaborare il Regolamento
della Corte. Queste due disposizioni statutarie sono il frutto di una tendenza
generale, manifestata da numerose delegazioni di Stati presenti sia alla
Conferenza di Roma sia alle sessioni della Commissione, avente come obiettivo
quello di elaborare Regole molto precise e dettagliate, con lo scopo di lasciare
poco spazio alla discrezionalità dei giudici della Corte
7
.
La Corte è composta da 18 giudici che devono essere selezionati “fra
persone che godono di un’elevata considerazione morale… e che presentano
tutti i requisiti richiesti nei loro rispettivi Stati per l’esercizio delle massime
cariche giudiziarie” (art. 36, par. 3). I candidati devono avere una competenza
riconosciuta in diritto e procedura penale, oppure un’esperienza riconosciuta del
diritto internazionale. Essi restano in carica per nove anni
8
. La Commissione
preparatoria si è occupata del sistema dell’elezione dei giudici solo durante le
ultime sessioni, in quanto si riteneva necessario integrare l’art. 36 con nuove
disposizioni volte a migliorarne l’esecuzione.
Il Gruppo di lavoro sulle Regole di procedura e di prova ha dovuto
affrontare problemi di ordine diverso. Prima di tutto, le contrapposizioni che
avevano caratterizzato la Conferenza di Roma si sono riproposte nell’ambito dei
lavori della Commissione preparatoria.
7
FERNANDEZ DE GURMENDI S., The Rome Statute and its Annexes, cit., pp. 75 ss.
8
TISCI G., La Corte penale internazionale, Napoli, 1999, pp. 77 ss.
15
Inoltre, per quel che riguarda le regole di procedura, la decisione di
affidare determinate materie alla Commissione è stata presa, talvolta,
indipendentemente dal loro nesso logico o tecnico alle Regole stesse. Altre
volte, la difficoltà di raggiungere un consenso unanime su questioni che
consentivano soluzioni molteplici, ha spinto gli Stati a rinviare le discussioni
alla Commissione preparatoria
9
. Tuttavia, è nel campo probatorio che i lavori
sulle Regole di procedura e di prova hanno riscontrato le maggiori difficoltà per
raggiungere delle soluzioni.
9
FANCHIOTTI V., Completata la stesura delle Rules of Procedure and Evidence: I) Le Regole di procedura, in
Diritto penale e processo, 2000, p. 1270.
16
La causa di fondo di tali difficoltà è da individuare nelle contrapposizioni
tra i sostenitori del sistema giuridico di common law e quelli del sistema
giuridico di civil law
10
.
10
FANCHIOTTI V., Completata la stesura della Rules of Procedure and Evidence: II) Le Regole probatorie, in
Diritto penale e processo, 2000, p. 1402.
17
3. Le Regole di procedura
3.1. Gli interventi più incisivi realizzati dalla Commissione
preparatoria nel campo della procedura
La stesura delle regole di procedura ha richiesto, da parte dei membri
delle delegazioni presenti ai lavori della Commissione preparatoria, un lavoro
complesso. Gli interventi più incisivi realizzati nel campo della procedura sono
il risultato di negoziati caratterizzati da problematiche di non facile soluzione.
La questione delle lingue ufficiali e delle lingue di lavoro costituisce
spesso una fonte di tensione nel corso di conferenze intergovernative, in quanto
funge da catalizzatore dell’insofferenza diffusa nei confronti di forti egemonie
culturali che riflettono, a loro volta, egemonie politiche. Le delegazioni degli
Stati, le cui lingue non erano state incluse tra le lingue ufficiali o di lavoro nello
Statuto di Roma, non hanno mancato di avanzare le loro rivendicazioni durante i
lavori della Commissione preparatoria
11
.
L’art. 50 dello Statuto della Corte prevede che una lingua ufficiale (ossia
l’inglese, l’arabo, il cinese, lo spagnolo, il francese ed il russo) diversa dal
francese e dall’inglese, le due lingue di lavoro della Corte, possa essere usata
come lingua di lavoro. Il compito della Commissione preparatoria è stato
stabilire in quali occasioni ciò potesse avvenire. Le forti pressioni delle
delegazioni di lingua spagnola hanno portato alla regola 41, in base alla quale
una lingua ufficiale, diversa dal francese e dall’inglese, può essere usata, se è
compresa dalla maggioranza di coloro che sono coinvolti nel caso specifico,
oppure se il Procuratore e la difesa ne fanno apposita richiesta. La normativa
sulle vittime ha rappresentato una delle questioni più significative affrontate in
merito alle regole di procedura.
11
FANCHIOTTI V., Completata la stesura delle Rules of Procedure and Evidence: I), cit., p. 1270.