5
CAPITOLO 1 - Antropologia Urbana e delle società complesse:
nuove direzioni negli studi antropologici contemporanei.
1.1 Questioni di etichetta
Negli studi antropologici l'emergere di un interesse specifico rivolto agli ambienti urbani è un
fenomeno recente che risale alla fine degli anni '60. Uno dei primi libri a trattare dell'argomento è una
raccolta di saggi a cura di Elizhabeth Eddy:Urban Anthropology. Research, Strategies, Perspectives, del
1968; è questo anche il primo volume nel cui titolo appare l'etichetta di Antropologia Urbana, ad indicare
la nascita di una nuova specializzazione. Ricordiamo anche gli altri libri epigrafati da questa stessa
coppia di termini: Aidan Southall (1973), Uzzell and Provencher (1976), Fox (1977), Basham (1978).
Titoli simili troviamo anche nei libri di Weaver and White (1972), di Foster and Kemper (1974), e di
Eames e Goode (1980). Nel 1972 viene poi creata la rivista Urban Anthropology, fondata da Jack
Rollwagen e Robert Van Kemper e nel 1979 sempre per iniziativa dei due antropologi americani, venne
fondata la Society of Urban Anthropology (SUA) nell'ambito dell’American Anthropological Association.
L'etichetta di antropologia urbana con cui si è soliti indicare questo nuovo settore degli studi
antropologici, in realtà non esaurisce ne specifica esattamente, la gran varietà di ricerche, prospettive
teoriche e metodologiche che si raggruppano sotto questo nome. Non è certo un caso che intorno a
quella d’antropologia urbana sia sorta una piccola costellazione di altre denominazioni più o meno
equivalenti che vengono impiegate fino ad ora senza eccessivo rigore. Quando si parla di antropologia
urbana, si intende e spesso si sottintende il riferimento anche ad un'antropologia delle società
complesse , ad un' antropologia delle società postindustriali e postmoderne o semplicemente ad un
antropologia della città; sono queste le etichette che si associano più di frequente o vengono impiegate
come sinonimi di quella di antropologia urbana. Il nostro interesse per le etichette non è puramente
nominalistico e concordiamo con Balandier quando afferma che:
"I documenti di riconoscimento scientifico sono sempre ingannevoli, e questi lo sono nella
misura in cui separano aspetti che l'intenzione iniziale legava necessariamente."
(Balandier 1973:1).
L'uso sinonimico e associativo delle etichette è certamente indice di una certa aria di famiglia, che
le lega tra loro .
6
Un aria di famiglia che consiste in generale nella scelta o meglio nella necessità dell'antropologia
di orientarsi verso lo studio delle società complesse e/o urbane. Una necessità che scaturisce dalla
consapevolezza di operare in un presente profondamente mutato rispetto allo scenario in cui si
muoveva l' "antropologo classico" prima della fine della seconda guerra mondiale. Una situazione
nuova generata fondamentalmente dall'espansione del sistema economico e culturale dell'occidente
,prima attraverso le armi degli eserciti coloniali dopo sui fili del "villaggio globale " , questa diffusione ha
reso "complesso" ciò che una volta si riteneva semplice :le società tradizionali .
In questa nuova situazione l'elemento urbano viene percepito sia come "immagine della società
complessa", concettualizzando quindi la città come una "totalità" e come potenziale oggetto di studio in
se stesso "(Pitto 1980), sia come risultato di questa complessificazione progressiva che è il mondo
contemporaneo (Leeds 1972) .
La pluralità delle etichette che abbiamo visto riflette uno sforzo di definizione di questi nuovi e
strategici settori della ricerca antropologica . La difficoltà dell' operazione discende essenzialmente dal
grande numero degli indirizzi di ricerca e dalla mancanza di forti coordinate teoriche che riescano a
guidare questi nuovi percorsi. Questa pluralità di approcci è particolarmente avvertita in un campo
"complesso" e "labirintico" per definizione come quello urbano; Judith Goode in un recente intervento
su la rivista La Ricerca Folklorica afferma che :
"i libri di testo più usati per l'insegnamento consistono in una serie di letture che
sottolineano la diversità degli studi svolti sotto l'etichetta di antropologia urbana (Gmelch e Zener
1988 e Press e Smith 1980 )"(Goode 1990:75).
Alla diversità delle ricerche corrisponde un analoga variabilità delle prospettive teoriche e quindi
anche nelle etichette di identificazione di queste diverse prospettive ; ad esempio proprio nel libro della
Eddy, ricordato all'inizio del paragrafo, troviamo tra i diversi saggi, quelli di Conrad Arensberg e
Anthony Leeds che contengono "in nuce" due concezioni dell'antropologia urbana per certi versi opposta
. Mentre Arensberg si sforzava di considerare le città come delle totalità, oggetti di studio in se stesse
(Arensberg 1968), per una prospettiva di ricerca interculturale, Leeds invece andava alla ricerca di
modelli teorici e metodologici per riuscire ad inserire la "totalità città" in una totalità ancora più vasta :la
società nazionale di cui la singola città faceva parte; e sottolineava l'impossibilità di capire una città
studiandola in se stessa, senza conoscere la situazione nazionale e sovranazionale in cui questa era
7
inserita ; è il famoso argomento di Leeds ,che "nessuna città è un isola" (Kemper 1990). La posizione di
Leeds si radicalizzerà negli anni seguenti e lo porterà a criticare fortemente il progetto di un'antropologia
urbana come specializzazione autonoma dal resto dell' antropologia generale .
La sua posizione è stata "democraticamente" riportata sul primo numero della rivista Urban
Anthropology ,la cui pubblicazione rappresenta certamente una tappa importante sulla via di fondare
un antropologia urbana come specializzazione autonoma :
"There is a serious question involved in creating a new journal and a newsletter called
'Urban Anthropology'. I consider such a field a spurious and a retrograde one in that it tends to
make an excuse for maintaining a subject matter within a discipline which cannot and should not
handle it. Just because the work is done in cities is no excuse for creating another journal, which
likely will be devoted to too much emphasis on microstusies of limited import for understanding
cities....The point is that 'urban anthropology' has been done as if (a) the city were an isolated unit
and(b) as if the thing studied in the city has some intrinsic relation to the city. Neither of these
assumptions is true, hence most of the work has ended up being very limited. For example, most
of the African network literature seems to me to be completely bogged down in methodology
because it has failed to attack important question of broader substantive theory. Cities are simply
one form of population nucleation, all of which are precipitates in localities of an extraordinarily
complex system of interactions which constitute a society" (Leeds 1972:4-5).
La prospettiva di Leeds sembra così adeguarsi meglio alla dizione di "antropologia delle società
complesse" che non a quella di "antropologia urbana", in quanto l'elemento urbano non è concepito né
come un oggetto di studio in se stesso né come un microcosmo, ma come parte relativamente
importante di un "macrocosmo complesso" . La prospettiva di Leeds, come vedremo, avrà degli effetti
importanti sugli svolgimenti futuri di quella che per ora possiamo continuare ancora a chiamare
antropologia urbana .
A questo punto, prima di procedere oltre data la diversità, quasi disiorientante, delle prospettive
antropologiche sull'urbano , si rende necessario un primo orientamento tipologico che tenti di mettere un
po' d'ordine.
8
1.2 – I percorsi urbani nella ricerca antropologica
Introduzione
Nell'esporre i diversi percorsi della ricerca urbana in antropologia , occorre saper collocare questa
tendenza sullo sfondo dei dibattiti contemporanei che animano la disciplina e le scienze sociali in
generale, tenendo presente la nuova situazione storica in cui il ricercatore sociale si è trovato ad operare
.
Ghaus Ansari e Peter J.M.Nas nell'introduzione ad uno dei primi simposi sul tema dell'
Antropologia Urbana affermavano che :
"The end of World War II posed new problems for mankind ; it was therefore inevitable for
the science of man - anthropology- to free itself from its narrow scope and to respond to the
challenge of time." (Ansari e Nas 1983).
Il fine ristretto (narrow scope) era lo studio delle società tradizionali e la sfida era rappresentata
dall'emergere di città di tipo industriale in Africa e in Asia, "luoghi ideali" fino ad allora per ricerche
antropologiche di tipo convenzionale .
Considerazioni analoghe le ritroviamo in alcuni esponenti dell'antropologia interpretativa
statunitense . In questo caso la nuova situazione storica ha generato una profonda revisione critica
dell'antropologia, dei suoi fini e dei suoi metodi , oltre che dei suoi oggetti di studio .Una crisi questa che
non investe solo l'antropologia, ma le scienze sociali in genere :
"In anthropology and all other human sciences at the moment 'high ' theoretical discourse -
the body of ideas that authoritatively unify a field -is in disarray" (G.E.Marcus 1986).
Un certo disorientamento sembra dunque dominare la ricerca sociale al momento presente,
come sottolineano Marcus e Fisher nella prefazione ad un importante libro di questa impostazione critica
e sperimentale : Anthropology as Cultural Critique :An Experimental Moment in the Human Sciences :
9
"Thus, in every contemporary field whose subject is society , there are either attempts at
reorienting the field in distinctly new directions or efforts at synthesizing new challenges to theory
with established programs for research. "(Marcus e Fisher 1986 :viii).
Un punto nodale di questa crisi risiede nella crisi dei modelli della rappresentazione sociale, da cui
è derivato il dibattito sulla scrittura etnografica (Clifford, 1986).
"At the broadest level, the contemporary debate is about how an emergent postmodern
world is to be represented as an object for social thought in its various contemporary disciplinary
manifestations "(Marcus and Fisher 1986 :viii ).
Anche l'antropologia urbana è figlia di questa situazione, e sconta le conseguenze di questo
"momento sperimentale", generato dalla mancanza e dalla crisi di forti quadri di riferimento teorico.
Malgrado infatti siano trascorsi quasi due decenni dalla sua apparizione nell' antropologia urbana non
esiste ancora un accordo comune circa i fini, le prospettive e i metodi e, come abbiamo visto,
nemmeno sul suo nome .
L'antropologia urbana al momento attuale non offre un corpus di idee stabile e definito ; da
alcune compilazioni di carattere storico che tentano di tracciare il percorso del pensiero antropologico
rivolto alla città (Hannerz 1980, Basham 1978, Press and Smith 1980), in ultima analisi quello che esce
fuori è l'estrema variabilità del tipo di ricerche . L'antropologia urbana e/o delle società complesse si
trova ancora in una fase sperimentale. Al momento attuale sembra più produttivo analizzare l'esperienza
dei singoli ricercatori che tentano strade nuove, piuttosto che guardare ai massimi sistemi.
Ci dedicheremo in seguito in maniera particolareggiata ad uno dei percorsi della ricerca
antropologica urbana: quello di Sandra Wallman, antropologa sociale inglese della scuola di Raymond
Firth, che ha condotto ricerche in alcune zone di Londra.
Per ora occorre offrire un primo orientamento di massima nel vasto panorama della ricerca
antropologica urbana, delineando le varie tendenze e le cause che hanno portato all'emergenza di
questo settore .
Goode nell'articolo già citato, a proposito della diversità delle ricerche etichettate antropologia
urbana, discutendo di un recente volume pubblicato negli stati Uniti sull'argomento ,afferma :
10
"Il modo stesso in cui sono sistemati i contenuti di una raccolta intitolata The Nature of
Urban Anthropology in the Eighties (Stack ed Ellovich) rivela la divisione del campo in più
compartimenti. Le categorie usate sono :la natura delle società urbane complesse, l'antropologia
delle città,l'urbanizzazione del Terzo Mondo e i metodi....La subarea istituzionalizzata è una libera
confederazione di interessi di ricerca che tollera la diversità anziché cercare un unico paradigma
egemonico. Tale diversità emerge dalle categorie di Stack ed Ellovich (1985) in cui tra coloro che
insegnano antropologia urbana ci sono quelli che si interessano genericamente alla natura della
società post-industriale, quelli che considerano le città come istituzioni e quelli che si limitano ad
occuparsi dell'urbanizzazione del Terzo Mondo "(Goode 1989:81).
In questa "confederazione di interessi di ricerca" le categorie individuate da Stack ed Ellovich
possono essere a loro volta derivate da due tendenze generali degli studi antropologici contemporanei:
1)Studi sulle trasformazioni sociali dei paesi del Terzo Mondo e in via di sviluppo; 2)Studi rivolti alla
società d'appartenenza dell'antropologo.
Un discorso a parte è possibile fare per quegli indirizzi di ricerca che considerano le città come
entità definite studiabili in se stesse che potremmo definire come :
3)Studi comparati trans-culturali di città e metropoli concepite come "istituzioni".
Dietro l'etichetta di antropologia urbana dunque coesistono prospettive diverse , intrecciate e
interrelate tra loro .
1.2.1 - Studi sulle trasformazioni nei paesi del terzo mondo e in via di
sviluppo.
Come abbiamo visto (Ansari e Nas 1983), l'emergere dell'antropologia urbana è strettamente
legato alla situazione storica verificatasi dopo la seconda guerra mondiale. La crisi del colonialismo
europeo e il raggiungimento dell'indipendenza politica da parte di molti paesi del Terzo Mondo, sono
elementi fondamentali di questo nuovo quadro internazionale .
Quello che si proponeva come nuova sfida per l'antropologia era la comprensione degli effetti
della colonizzazione europea in quei paesi ancora basati, in larga misura , su sistemi di governo di tipo
tradizionale . Tra questi effetti quello dell'urbanizzazione dell' Africa è uno dei più vistosi .
11
Proprio sotto la spinta di tali considerazioni si sviluppa a partire degli anni '30 un filone
dell'antropologia sociale britannica che Colajanni (1991) chiama "modernista" e " dinamista". Gli studi di
Godfrey e Monica Wilson (1941,1942) sui fenomeni di "detribalizzazione" delle popolazioni dell'Africa
Centrale , inaugurano un processo di "devillagizzazione" dell'antroplogia britannica che iniziava ad
occuparsi delle "situazioni contemporanee delle società africane".
Tale processo prosegue nell'attività di ricerca della cosiddetta Scuola di Manchester ,un gruppo di
ricercatori , guidati da Max Gluckman , che tra gli anni '40 e '60, compie studi importanti sulle
trasformazioni sociali in atto nell' Africa Centrale, concentrandosi in particolare nella zona mineraria della
Copperbelt (la fascia del rame).
Il gruppo era organizzato intorno al Rhodes-Livingstone Institute,un istituto di ricerca sociale
fondato a Lusaka nel 1937; il primo direttore del centro fu, fino al 1945, proprio Godfrey Wilson, seguì
Max Gluckman. L'influenza di quest'ultimo sulle attività dell'Institute fu mantenuta attraverso il rapporto
che i due direttori che gli successero, Elizhabeth Colson e Clyde Mitchell mantennero con il maestro ,
promosso ad incarichi accademici, prima ad Oxford nel 1948 ,un paio di anni dopo a dirigere il nuovo
dipartimento di antropologia a Manchester, di qui il nome di Manchester School.
Le ricerche di Epstein , Mitchell,Turner, Van Velsen, Marwick, Barnes , Cunnison, Watson , per
citare solo i più conosciuti, seguivano la traccia che Gluckman aveva dato , nel Seven Year Plan
(1945):
"Nel 1945, quando il mondo usciva dalla guerra e sperava di ritornare a uno stato di
normalità, Gluckman elabora un progetto di ricerca per l'Instituto della durata di sette anni . Si
tratta , a suo avviso, 'primo progetto del genere intrapreso dall'impero britannico '. Gluckman cita il
commento di un collega, secondo il quale il progetto proposto era il più grande avvenimento nella
storia dell'antropologia sociale dopo la spedizione di Porto Torres alla quale aveva partecipato
Rivers. L'obiettivo era di prendere in considerazione i principali sviluppi sociali della regione, di
presentare un ventaglio più ampio possibile di dati e di materiale comparativo sull'organizzazione
sociale indigena e moderna , e di trattare i problemi sociali più importanti incontrati
dall'amministrazione del territorio. Il progetto doveva quindi occuparsi sia della società urbana che
di quella rurale, delle differenti culture africane tradizionali, delle zone rurali interessate dalle
migrazioni della forza lavoro, dell'espansione dei vari tipi di economie monetarie locali , e infine
delle città con differenti strutture economiche. "(Hannerz 1980. Trad. ital.1992:249).
12
Ecco nelle parole dello stesso Gluckman la prospettiva generale di tutta l'operazione :
"I must emphasize that I do not view the social processes at work as entirely disintegrative
...My whole formulation of the problem depends on the recognizing that there is a Central African
Society of heterogeneous culture-groups of Europeans and Africans, with a defined social
structure and norms of behaviour , though it has many conflicts and maladjustaments." (Gluckman
1945, Seven Year Research Plan ,cit.in Kuper 1983:149).
L'importanza del progetto di Gluckman è riconosciuta anche da due "interpretativisti" come
Marcus e Fisher, che tuttavia risparmiano critiche su risultato finale che il Plan avrebbe dovuto
raggiungere: la comprensione di un "sistema complesso" rappresentato dalla società Centro-Africana
degli anni '40:
"For instance ,the Seven Year Plan, composed by Max Gluckman for the Rhodes
Livingstone Institute in 1940, proposed a series of studies of different tribal economies and the
effects of the colonial system on them. The composite result was to have been a detailed
comprehnsion of the regional integration and variation of the Northern Rhodesia. The achievment
of this composite view proved to be weak part of the project; making systematic connections was
left to individual readers of the separate studies"(Marcus e Fisher 1986:91).
Il lavoro della Scuola di Manchester rappresenta comunque il corpus etnografico più consistente
prodotto in un ambiente urbano da antropologi, se escludiamo il lavoro della prima scuola di Chicago
(Hannerz 1980). Lo studio delle dinamiche di trasformazione delle società africane contemporanee,
comportava necessariamente un' attenta considerazione delle città e in particolare del tipo di relazioni
sociali che si producevano all'interno di essa. Le città studiate dalla scuola di Manchester erano le città
minerarie della Copperbelt ,nate dall'espansione e dallo sviluppo del sistema coloniale britannico.
Queste città composte in prevalenza di immigrati delle zone rurali circostanti che venivano impiegati
come manodopera , erano un ottimo laboratorio , in cui osservare i processi di trasformazione e di
passaggio da un economia di tipo tribale a quella di mercato e industriale basata su forme di
insediamento di tipo urbano. Nella classificazione delle città africane di Aidan Southall, esse ricadono
nella categoria B, distinte da quelle di tipo A (Southall 1961). Le città di tipo A sono di solito di antica
13
formazione ,la cui fondazione è in quasi tuti i casi precedente all'avvento della dominazione coloniale.
Inoltre sono caratterizzate da uno sviluppo abbastanza lento e conservano forti legami con l'agricoltura e
l'economia di sussistenza delle aree rurali .Le città di tipo B invece si definiscono per delle
caratteristiche quasi opposte :di recente formazione , a sviluppo veloce, con una popolazione composta
quasi esclusivamente da immigrati impiegati come forza lavoro nelle miniere e nelle industrie impiantate
dai coloni europei.
In una frase, divenuta proverbiale nell'antropologia sociale, Gluckman sintetizza la necessità di
considerare la funzione particolare che la città o meglio un certo tipo di città, quella industriale, assume
nei processi di trasformazione sociale :
"An african townsman is a townsman, an african miner is a miner "(Gluckman 1961).
Un africano immigrato in città non va considerato solo a partire dalle proprie relazioni tradizionali
e dalla cultura da cui proviene e di cui è portatore, ma anche e soprattutto come un' attore sociale che è
entrato a far parte di un nuovo sistema di relazioni, quello urbano, basato sull'industria, il mercato ed il
lavoro salariato, a stretto contatto insomma con una nuova cultura e con nuovi valori .
Importanti in questa prospettiva il saggio di Arnold L. Epstein: Politics in an Urban African
Community del 1958 e quello di John Clyde Mitchell: The Kalela Dance . Aspects of Social
Relationships among Urban Africans in Northern Rhodesia del 1956. Entrambi questi lavori analizzano
situazioni di trasformazione indotte dal nuovo assetto della vita urbana sui sistemi tradizionali di
organizzazione e identificazione tribale
L'esperienza della Scuola di Manchester ha contribuito notevolmente sul piano teorico e
metodologico ad un mutamento delle prospettive dell'antropologia sociale britannica . La svolta
"dinamica" ha portato con se un bagaglio di nuove metodologie per trattare le "situazioni complesse",
come quella urbana appunto . La case analysis e e dei networks sono l'eredità metodologica più
duratura della scuola di Manchester, e forniscono tuttora dei validi strumenti di indagine .
Il lavoro della Scuola di Manchester , inaugura una riflessione sul tema della complessità in
antropologia che condurrà a un mutamento sostanziale delle prospettive della ricerca antropologica ed
alla revisione dei paradigmi teorici dello struttural-funzionalismo su cui la ricerca si era mossa fino ad
allora (Banton 1966, Van Velsen 1967) .
14
L'urbanizzazione del Terzo Mondo è comunque un' argomento che continuerà ad essere al
centro degli interessi contemporanei dell'antropologia. Qualche dato può fornirci un' idea più concreta
del fenomeno. In termini generali circa 1/4 della popolazione dei paesi in via di sviluppo sono urbanizzati
rispetto ai 3/4 dei paesi occidentali , ma il tasso di crescita delle città è di 3 a 1 rispetto all'occidente. Per
fare qualche fugace comparazione storica:
"The urban growth in Europe (including Russia) throughout the whole of ninetheenth
century amounted to some 45 million people, a total exceeded by Brasil alone in just the third
quarter of the present century . Indeed between 1950 and 1975 the total urban population of the
Third World grew by 400 million and by AD 2000 will have increased by a further 1000 million"
(Drakakis-Smith 1987).
1.2.2 Studi rivolti alla società d'appartenenza dell' antropologo .
Tra le conseguenze sulla ricerca antropologica della situazione postcoloniale c'è da annoverare
l'accresciuta difficoltà di compiere ricerche all'estero, sia per il sospetto dei governi locali (Asad 1973)
che per la diminuita disponibilità di fondi e di interesse per tale tipo di ricerche .
Questa situazione mina fortemente l'immagine che l'antropologo ha costruito di se come esperto
di "esotismo" e "alterità" in genere. Un' immagine di questo tipo è quella che ci presenta Anthony
Jackson in un numero monografico Asa, dal significativo titolo Anthropology at Home :
"After all, anthropologists were not contemporary historians but 'simply' antiquarians
interested in 'primitive' life before the Western intrusion. There was no question then of 'concern'
about the people themselves -only their culture was of interest, and they did not want it changed .
One reason why early anthropologists sought island communities and other remotes areas was to
find societies unaffected by Western culture - a somewhat vain hope. "(Jackson 1985:8).
Il tema della fine dell'antropologia "esoticamente" intesa è uno dei temi giustificatori più ricorrenti
nei primi testi di antropologia urbana (Eddy 1968) , il timore della scomparsa o dell'ineluttabile
modernizzazione delle poche società primitive e tradizionali rimaste ha generato sia una tendenza
verso la cosidetta "urgent anthropology" sia un percorso verso nuovi orizzonti di ricerca .
15
L'antropologia urbana fa certamente parte di questi nuovi orizzonti della ricerca, una risposta
possibile ad una situazione di "crisi dell'oggetto" che può decretare la fine di una disciplina o di un certo
modo "romantico" di concepirla .Questi ostacoli e questi timori costringono così l'antropologo a ripiegare
sulla propria società,dietro l'angolo di casa, ma lo spingono anche verso una riflessione su cosa è stata
la sua disciplina fino ad oggi.
Dinamiche di "pura sopravvivenza" costringono necessariamente a rivedere il proprio ruolo:
"La rapida espansione del mercato occupazionale accademico si arrestò improvvisamente
facendo sentire impellente il bisogno di formare gli studenti per l'ingresso nel campo
amministrativo e in altre posizioni non accademiche in cui veniva richiesto un maggiore
avvicinamento con altri scienziati sociali e professionisti . In altri termini bisognava preparare gli
scienziati sociali generici in grado di collaborare con altri scienziati "(Goode 1990:75).
L'antropologo inizia così ad occuparsi dei problemi della sua società d'appartenenza. La
percezione di quest'ultimi come "problemi urbani", legati alle situazioni di vita delle grandi metropoli
occidentali europee ed americane, lo legano agli ambienti della città elo spingono a chiamarsi
antropologo urbano.
Tra i mille e uno problemi delle città moderne quello dell'immigrazione sembra fornire agli
antropologi un ulteriore risorsa di "alterità" .
L'antropologia urbana così, nelle parole di Fox poteva apparire come :
"una zuffa non dignitosa per trovare sostituti dei selvaggi negli slum"(Fox 1973. cit in
Hannerz 1980).
Questo tipo di studi si sviluppa dapprima negli Stati Uniti, data la differenziata composizione che il
popolo americano ha avuto fin dalle sue origini (melting pot) e la centralità che le grandi metropoli hanno
nella società. Lo studio dei ghetti e dei problemi legati all'etnicità sono così ai primi posti tra gli interessi
degli antropologi urbani. Come vedremo in seguito, la ricerca di Sandra Wallman a Londra parte
proprio come studio sull'etnicità ,dal bisogno di capire in che modo essa funziona nel contesto articolato
della metropoli.