I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
IMPRESE
II
per la definizione e l’inquadramento di un peculiare percorso logico (e
conseguentemente di una metodologia specifica) di attribuzione del rischio di credito.
Singolarità dei Gruppi di imprese, è difatti l’assenza, nell’ordinamento positivo
italiano, di un corpus legislativo in grado di definire e delimitare il fenomeno: come si
vedrà in seguito, impossibile è ad esempio fornire una definizione “giuridica” di Gruppo,
se non ricorrendo a specifiche normative settoriali od interpretando pareri
giurisprudenziali.
Anche da un punto di vista concettuale, il tema dei Gruppi si presenta caratterizzato
da una sostanziale mancanza di elementi definitori chiaramente enunciati e condivisi a
livello di sistema: sebbene l’interesse verso tale forma di aggregazione sia oggi in
aumento, la maggior parte della letteratura in materia si concentra nel periodo a cavallo
fra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima parte degli anni Novanta,
incrementando quindi la difficoltà di ricerca per la frequente inutilizzabilità di tali
contributi, a causa dei mutamenti ambientali e legislativi intercorsi sino ad oggi.
L’esigenza di un approfondimento verso queste tematiche nasce tuttavia dalla
osservazione della forte diffusione che il fenomeno dei gruppi incontra nelle economie
dei principali paesi industrializzati: sebbene i contesti normativi e sociali appaiano
differenti da paese a paese, così come allo stesso modo diversi sono le ragioni e le
motivazioni che ne hanno contribuito alla nascita ed allo sviluppo, lo strumento del
gruppo è oggi spesso una delle principali forme di governo strategico di realtà aziendali
complesse (Raggiungendo nello specifico contesto italiano una diffusione in percentuale
superiore al 50% del totale delle società industriali).
Tenendo a riferimento le teorie e le pubblicazioni più recenti, questa tesi si propone
quindi di evidenziare le problematiche peculiari generate dall’analisi di un gruppo
industriale, puntando specialmente alla definizione di un univoco concetto di Default
valido per le differenti tipologie di gruppo esistenti. Il lavoro aspira a definire in un
primo tempo quali siano le caratteristiche più significative dell’essere gruppo,
limitandone e precisandone i confini, per poi soffermarsi sul tema dell’assegnazione del
Rating a tali forme di governo, approfondendo lo specifico tema del “Default di gruppo”,
e concludere con una quantificazione del fenomeno sul territorio Nazionale.
INTRODUZIONE
III
Nella parte conclusiva viene inoltre illustrata la prassi operativa seguita da SanPaolo
IMI per l’affidamento di credito a Gruppi di imprese, frutto di una esperienza lavorativa
personale ed ovviamente della collaborazione della Banca stessa.
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
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IV
2. Lo stato dell’Arte in materia di Rating di Gruppi
Come detto, la letteratura presente sul tema dei Gruppi risulta essere poco aggiornata
ed attuale, anche se deve essere evidenziata una tendenza attuale di sviluppo. Il tema dei
gruppi è in ogni caso argomento “inter-disciplinare”: la struttura stessa di Gruppo può
infatti essere esaminata sotto differenti punti di vista, ognuno in grado di approfondire
una differente peculiarità.
I principali studi possono essere suddivisi in tre aree tematiche principali:
− gli studi strategico-organizzativi;
− gli studi dell’economia industriale;
− gli studi della finanza.
L’essenza stessa dell’“essere gruppo” è di fatto l’appartenere, l’aggregarsi in
un’unica entità: risulta quindi logico come tale aggregazione possa essere motivata da
differenti argomentazioni, a seconda che l’ottica sia più tecnico-economica o più
sociale-organizzativa. Nell’ottica strategico-organizzativa, la chiave di lettura è
ovviamente la comprensione delle motivazioni sottostanti all’aggregazione delle
imprese nella forma di gruppo, e soprattutto alle motivazioni che hanno spinto ad
adottare il gruppo come forma organizzativa e istituzionale più idonea. L’economia
industriale vede, al contrario, nel gruppo un particolare modello di governance:
interesse principale è quindi approfondire quale sia l’evoluzione storica e prospettica di
tale modello, al fine di interpretare la realtà del sistema industriale italiano con
maggiore accuratezza. La finanza, infine, ha incontrato nell’analisi delle dinamiche
finanziarie di gruppo un triplice ordine di problemi:
a. da un lato, l’esistenza di un gruppo presuppone la redazione di un bilancio
consolidato quale strumento informativo sintetico complessivo; è quindi
necessario enunciare un insieme di principi di consolidamento idonei alla
“cattura” della sostanza del gruppo nella sua totalità;
b. dall’altro, i gruppi rappresentano una sfida per quanto riguarda l’apprezzamento
del valore complessivo aggregato: le logiche e le metodologie “tradizionali”
difficilmente possono essere utilizzate su un’azienda composta da molteplici
INTRODUZIONE
V
società; la valutazione di un gruppo costringe perciò ad una revisione delle
tecniche tradizionali in grado di cogliere anche i rapporti esistenti fra le diverse
società appartenenti (Si pensi allo specifico tema della valutazione delle
sinergie).
c. Infine, attenzione deve essere posta al controllo delle dinamiche finanziarie
interne: come si vedrà in seguito, i gruppi sono spesso strumento di
occultamento verso l’esterno di politiche di trasferimento di risorse interne. Tali
trasferimenti, prescindendo anche dal caso patologico della distrazione di risorse
con finalità illecite od illegali, devono essere computate con estrema importanza
durante il processo di Rating: la possibilità di influenzare o condizionare il
risultato economico di una società partecipata è un elemento fondamentale per
l’apprezzamento della effettiva rischiosità sopportata dalla banca affidante.
L’analisi del fenomeno dei gruppi deve quindi necessariamente integrare le tre
differenti visuali: se il fine è l’elaborazione di un giudizio sintetico di rischiosità globale,
globale dovrà anche essere la stima delle condizioni in grado di correggerlo. L’esame
delle tre aree tematiche in modo congiunto è quindi il primo passo per l’assegnazione di
un giudizio di rating di gruppo.
Il tema della valutazione della rischiosità dei gruppi interessa direttamente anche
l’attività delle Autorità preposte alla vigilanza del sistema finanziario e delle Agenzie di
Rating. Per le prime, forse meno interessate al giudizio di Rating in quanto tale,
l’aspetto più importante dell’essere gruppo risulta nella definizione di specifici criteri di
concentrazione dei fidi e di segnalazione delle posizioni in Centrale dei Rischi.
L’affidamento ad un gruppo può infatti generare nella banca una anomalia di
concentrazione del rischio, ad esempio nel caso di affidamento di due società
apparentemente separate ma in realtà facenti parte del medesimo aggregato; ugualmente,
la verifica di posizioni anomale nei flussi di ritorno della Centrale dei Rischi può
risultare inutile se condotta non su base complessiva di gruppo. Poiché il fine delle
Autorità di Vigilanza è l’emanazione di regole necessarie agli intermediari finanziari
vigilati per una corretta percezione e valutazione del rischio, Banca d’Italia ha spinto le
Banche a censire non solamente i gruppi “consolidati” (cioè rappresentati dal bilancio
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
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VI
consolidato) ma anche i gruppi “economici” (legati cioè da eventuali connessioni
economico-operative), nell’ottica di allargare il campo di rilevazione sino ad un
concetto di rischiosità “cumulata”. Tale soluzione, come si vedrà, è il primo passo del
processo di rating assignment applicato ai gruppi di imprese.
Con riferimento invece all’approccio seguito dalle Agenzie di Rating internazionali,
la finalità di intervento è radicalmente differente rispetto a quella delle Autorità di
Vigilanza, in quanto l’azione delle agenzie è finalizzata all’apprezzamento della
probabilità di Default del singolo emittente di securities a prescindere da valutazioni di
ordine andamentale di rapporto con il sistema bancario. L’appartenenza dell’emittente
ad un gruppo deve essere perciò stimata in quanto in grado di condizionare
(positivamente o negativamente) la capacità di rimborso della singola emissione e la
possibilità di rivalsa dei sottoscrittori verso l’emittente in caso di Default. Tale ottica è
però difficilmente utilizzabile nell’ambito bancario: considerando comunque la capacità
di rimborso della controparte, la banca amplia tuttavia la propria prospettiva ad una
stima di rischiosità complessiva dell’affidamento. Come suggerito dalle Agenzie, però,
anche per le banche il Rating di gruppo si presenterà come una correzione da apporre al
rating della singola azienda partecipata per far emergere i benefici o gli svantaggi
derivanti dall’appartenenza stessa.
INTRODUZIONE
VII
3. La struttura proposta e l’articolazione dei contenuti
Il lavoro è idealmente diviso in due parti: un primo approfondimento sulla teoria
sottostante il problema dell’assegnazione del rating in presenza di gruppi di imprese, ed
una seconda parte incentrata sulla metodologia pratica generale e specifica SanPaolo
IMI. In questo senso, la teoria espressa nei primi due capitoli è necessaria ed
indispensabile alla comprensione delle argomentazioni espresse nei rimanenti tre.
La tesi risulta quindi articolata in cinque capitoli, dei quali i primi due introduttivi al
problema, ed i rimanenti tre caratterizzanti specificatamente l’elaborato.
Nel primo capitolo viene presentato per sommi capi il Nuovo Accordo di Basilea,
più comunemente noto come Basilea 2: tale approfondimento si rende necessario per
una migliore comprensione del contesto regolamentare del Rating. Il Nuovo Accordo
prevede infatti, per le banche, la possibilità di adottare un sistema di Rating interni a cui
“legare” l’ampiezza del capitale regolamentare obbligatorio da detenere.
L’approfondimento giustifica e sottolinea quindi l’importanza di una corretta
valutazione del rischio anche per gli aggregati di imprese, in quanto attività nel futuro a
forte valenza strategica. Il capitolo, nello specifico, introduce il Primo Pilastro del
Nuovo Accordo, che disciplina appunto la regolamentazione sull’adeguatezza del
capitale: vengono altresì mostrate le modifiche al coefficiente di solvibilità del requisito
patrimoniale minimo e la nuova condotta in tema trattamento dei rischi. Il corretto
trattamento dei rischi è un punto essenziale del Nuovo Accordo, come testimoniato per
l’introduzione, nel requisito patrimoniale, di una misura di stima del rischio operativo
sopportato dalle banche: il secondo paragrafo evidenzia, a tal proposito, l’evoluzione,
nell’ottica aziendale, del concetto di rischio e dell’attività di risk management. Il
passaggio da una visione specifica ad una olistica del concetto di “rischio”, e la
stabilizzazione degli economics, vengono proposte come soluzione al problema del
soddisfacimento delle aspettative degli azionisti: nell’ottica di Basilea 2 l’attenzione
deve per la prima volta essere rivolta anche ai cosiddetti rischi puri.
Nell’attività bancaria, il rischio di credito, tra tutti i rischi, assume rilevanza
dominante: il terzo paragrafo approfondisce quale sia la migliore definizione di rischio
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
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VIII
di credito e con quali manifestazioni si presenti nella valutazione del merito creditizio di
una controparte. Il rischio di credito, ulteriormente, deve essere scisso fra la sua
componente attesa e quella inattesa: come si vedrà, la separazione assumerà consistenza
nel computo del requisito patrimoniale. Tale approfondimento si rende necessario per
esplorare più a fondo l’approccio Internal Rating Based (IRB) di Basilea 2: i rating
interni, strumento di quantificazione del rischio di credito, devono necessariamente
fondarsi su definizioni consistenti. L’approccio viene evidenziato nelle sue parti più
qualificanti, ed indagato con particolare attenzione per la casistica oggetto della tesi: la
clientela Corporate. Nel paragrafo successivo sono inoltre presentate le principali
tecniche di mitigazione del rischio di credito consentite dal Nuovo Accordo: il tema
delle garanzie assume infatti specifico rilievo nelle dinamiche interne ai gruppi di
imprese.
Il capitolo si conclude aprendo una breve finestra sul dibattito nato intorno a Basilea
2: è un opportunità o una minaccia? Per chi? A questo proposito vengono esposti i
maggiori commenti sui tre principali “problemi” della cui generazione è accusato il
Nuovo Accordo:
1. un razionamento del credito per piccoli prenditori e PMI;
2. un inasprimento dei requisiti patrimoniali per le banche;
3. una tendenza sistemica alla pro-ciclicità.
Supportato anche da un analisi del Quantitative Impact Study N°3 (pubblicato dallo
stesso Comitato di Basilea), il lavoro mostra come le prime due paure possano essere
considerate infondate, ma anche come Basilea 2 rivoluzioni in realtà globalmente il
rapporto tra Banca ed Impresa.
Il secondo capitolo punta a definire univocamente l’oggetto di studio: i gruppi di
imprese. Partendo da un’analisi delle primarie definizioni di gruppo fornite dalla
letteratura, l’attenzione è rivolta alla mancanza di una stessa nell’ambito giuridico: il
concetto di gruppo, nel nostro Ordinamento, è intrinsecamente incentrato sul concetto di
controllo.
Il fenomeno dei gruppi di imprese può assumere numerose tipologie: esplicitata la
nozione di gruppo, è quindi necessario un esame delle differenti caratteristiche. Il
INTRODUZIONE
IX
secondo ed il terzo paragrafo enumerano perciò una tassonomia di gruppo distinguendo
in relazione agli elementi del gruppo stesso considerati (natura della holding per le
prime due definizioni, natura delle controllate per i rimanenti):
− gruppo “in senso proprio”;
− gruppo “formale” o “a controllo personale”;
− gruppi “integrati” (verticali/orizzontali);
− gruppi “conglomerati”.
Accanto a questa suddivisone è necessario precisare ulteriormente cause e modalità
di aggregazione: la comprensione di tali dinamiche si renderà necessaria in sede di
determinazione del giudizio di rating per la previsione e la valutazione della volontà del
Vertice del gruppo. Le motivazioni all’aggregazione possono infatti risultare influenti,
positivamente o negativamente, nella risoluzione di una situazione di crisi all’interno
del gruppo.
Il lavoro si sofferma in seguito sul ruolo del bilancio consolidato quale documento
informativo precipuo sulla gestione del gruppo nel suo complesso: l’attenzione viene
tuttavia rivolta non agli aspetti più generali, bensì all’influenza che la scelta della teoria
di consolidamento e la definizione dell’area di consolidamento stessa esercitano in sede
di valutazione quantitativa del gruppo.
Il quinto paragrafo si prefigge l’obiettivo di rendere “attuale” il lavoro: i gruppi di
imprese vengono quindi osservati alla luce della recente Riforma del Diritto Societario e
ai cambiamenti di quello Tributario, evidenziando quali elementi siano rimasti invariati
e quali siano al contrario innovativi. Particolare enfasi viene riservata alla “disciplina
della direzione e coordinamento di società” ex art. 2497 e ss., al fine di presentare i
mutamenti in tema di responsabilità: tale tema verrà ripreso per la definizione di cosa
sia il Default di gruppo.
Il capitolo si chiude analizzando la definizione di “gruppo” fornita dal Comitato di
Basilea: come si vedrà, ciò si risolverà in realtà nell’esame della posizione dell’Autorità
di Supervisione nazionale. Con le parole dello stesso Comitato: “A bank must have
policies acceptable to its Supervisor regarding the treatment of invidual entities in a
connected group”.
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
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X
Il terzo capitolo conclude la parte teorica del problema ed introduce l’elemento
caratterizzante l’elaborato: il rating di gruppo. Dopo aver approfondito cosa si intenda
per “rating” in sé, il primo paragrafo risponde alla domanda di cosa sia il rating “di
gruppo” e cosa rappresenti la sua valutazione. In seguito viene fatta luce sulla
confusione esistente tra i termini rating, grading, scoring: l’utilizzo di una corretta
terminologia di risk management è necessaria per gli approfondimenti dei tre successivi
paragrafi.
Tali approfondimenti riguardano essenzialmente ognuna delle tre fasi indicate da
Caselli (2004) per il processo di assegnazione del rating ad aziende appartenenti a
gruppi:
1. la determinazione dei confini del gruppo;
2. il puro processo di rating assignment;
3. il ribaltamento di tale giudizio sulle singole controparti.
Il sesto paragrafo, ulteriormente, pone in relazione il comportamento proposto alle
banche con il comportamento effettivamente seguito dalle Agenzie di Rating: viene
mostrata la differente ottica sottostante all’elaborazione dei giudizi ed evidenziata la
maggiore profondità di analisi necessaria alle banche per l’apprezzamento del rischio
effettivo complessivamente sopportato.
Il quarto capitolo si pone come ambizioso obiettivo la risposta alla domanda di cosa
sia il Default di gruppo: esaminando nel primo paragrafo le differenti definizioni fornite
dal mondo dell’intermediazione finanziaria, la prima lampante osservazione è
l’inesistenza di una specifica per i gruppi. Così come d’altronde è inesistente una
definizione giuridica di “gruppo”, a maggior ragione deve risultarne inesistente una di
Default. La conclusione è quindi utilizzare le condizioni tecniche “tradizionali” per il
riconoscimento di tale stato nelle singole società del gruppo, per poi estendere il
giudizio a tutta l’entità nel complesso mediante gli stessi driver di ribaltamento del
rating identificati nel terzo capitolo, eventualmente rettificati da considerazioni di tipo
judgemental.
Il secondo paragrafo mostra come la determinazione dei confini risulti fondamentale
non solamente in sede di elaborazione del giudizio di rating: la velocità e l’intensità di
INTRODUZIONE
XI
propagazione del Default, così come anche l’accuratezza stessa delle stime di previsione,
dipendono infatti dalla completezza del quadro di gruppo che la banca è riuscita a
costruirsi. Limitare la visuale alla sola parte di gruppo affidato sarebbe quindi , in ottica
Basilea 2, del tutto insensato.
Il capitolo si chiude evidenziando le peculiarità, le problematiche, e gli interrogativi
ancora aperti che il fenomeno dei gruppi causa all’applicazione dell’approccio IRB e
sulle politiche gestionali e relazionali della banca con questa specifica tipologia di
clientela Corporate.
Al quinto capitolo viene “riservato” il supporto empirico alle teorie espresse: nel
primo paragrafo vengono presentati i principali studi sulla diffusione del fenomeno
“gruppi” nel tessuto imprenditoriale italiano. Partendo dal consistente lavoro della
Centrale dei Bilanci del 1992, attraverso l’indagine INVIND di Banca d’Italia ed il
lavoro di Barca (1994), l’approfondito studio MedioCredito Centrale (1996), la ricerca
Nomisma (1998), i risultati del Centro Studi dell’Unione Camere di Commercio
(2002/2003) ed una personale ricerca su database AIDA (2004), si evince che il
fenomeno dei gruppi interessa attualmente più del 50% delle aziende italiane (con
almeno 50 addetti) ufficialmente censite. A questa percentuale deve perciò aggiungersi
la quota percentuale di gruppi “sommersi” o non consolidati. Viene inoltre evidenziata
l’elevata diffusione nelle regioni settentrionali, la forte presenza nei settori finanziari
(caratterizzati da una più elevata possibilità di diversificazione delle attività) e l’attuale
tendenza all’aggregazione da parte delle PMI.
Il secondo e ultimo paragrafo presenta infine il risultato della personale esperienza
lavorativa in SanPaolo IMI: nella prima parte viene presentata la “storia” del rating
all’interno dell’Istituto, mentre nella seconda è esaminato lo specifico trattamento
riservato ai gruppi di imprese.
L’utilizzo di un sistema di rating ha genesi in SanPaolo IMI nel 1994: per la prima
volta, per determinati “grandi clienti”, viene espresso un giudizio di merito creditizio
annuale. A seguito della privatizzazione e della riorganizzazione societaria necessaria
dopo le numerose fusioni, è però solo nel 1998 che in SanPaolo parte un primo vero e
proprio sistema di credit risk management.
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
IMPRESE
XII
Il paragrafo prosegue poi specificando le caratteristiche di tale modello, ed
evidenziandone le evoluzioni sino ai giorni attuali: da un sistema “primitivo”, si passa
ad una fase di backtesting e di continuo progresso.
L’attenzione si rivolge infine al comportamento della Banca in presenza di gruppi di
imprese: dal punto di vista operativo, il problema è affrontato con l’ottica dei
procedimenti adottati dal singolo analista; dal punto di vista gestionale-strategico, la
visuale si sposta alle decisioni centrali del Risk Management. Vengono quindi
approfonditi sia i temi operativi della localizzazione del cash flow at risk, dell’analisi
del perimetro di consolidamento e della facoltà di notching, che i temi strategici della
limitazione alla facoltà di delibera per Unità, della scelta di una filiale come unica
“responsabile” per il gruppo e della preferenza dell’Istituto ad instaurare un rapporto di
tipo relazionale con la controparte.
Complessivamente, l’elaborato mostra quindi, su un duplice livello, quali ordini di
problemi generi in SanPaolo IMI l’assegnazione di rating in presenza di gruppi di
imprese.
CAPITOLO 1
BASEL 2: THE FIRST PILLAR
1.1. Il Primo Pilastro: la regolamentazione sull’adeguatezza del capitale
Nel 1988 presso la sede della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) venne
siglato l’Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali, noto comunemente con il nome di
Basilea 1. L’Accordo fu elaborato dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria
sotto gli auspici dei Governatori delle banche centrali dei paesi del Gruppo dei Dieci
1
,
che avevano creato questo organismo nel 1974. Tale convenzione venne formalizzata
con l’obiettivo di migliorare la stabilità del sistema finanziario internazionale mediante
disposizioni di validità globale principalmente incentrate sull’adeguatezza patrimoniale
(ovvero la dotazione di fondi propri da parte delle banche).
Il documento prodotto (“International convergence of capital measurement and
capital standards”, luglio 1988) rappresentava inoltre la massima espressione della
volontà del Comitato di passare da una logica di vigilanza strutturale “che definisce
analiticamente gli spazi di libertà delle scelte aziendali su numerosi aspetti che
influenzano la struttura competitiva del sistema di intermediazione finanziaria
2
”, a
politiche di vigilanza prudenziale “che, al contrario, lascia liberi gli intermediari di
articolare le proprie scelte strategiche e operative nel rispetto di alcuni vincoli di
fondo
3
”.
L’ottica del Comitato era di raggiungere nell’intero sistema bancario un grado di
patrimonializzazione tale da poter ridimensionare in misura decisiva il rischio di
insolvenza e ridurre a un livello sostenibile i costi per investitori e contribuenti,
nell’eventualità di un’insolvenza “nonostante tutto”.
1
Il cosiddetto “Gruppo dei Dieci” include Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone,
Lussemburgo, Olanda, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.
2
DE LAURENTIS G. (2001), “Rating Interni e Credit Risk Management”, pag. 54.
3
Idem.
I MODELLI DI ASSEGNAZIONE DEL RATING IN PRESENZA DI GRUPPI DI
IMPRESE
2
L’Accordo, in questo senso, ridefiniva il vincolo (su base consolidata) del requisito
patrimoniale minimo obbligatorio dell’8% rispetto alle operazioni attive “on” e “off
balance sheet” ponderate per fattori di rischio standard per ogni singola classe di
esposizioni.
Il coefficiente di solvibilità era perciò così espresso:
%8≥
∑
i
ii
PA
PV
dove:
PV = patrimonio vigilanza;
A = attività;
P = ponderazioni;
i = indice delle differenti attività;
Il patrimonio di vigilanza veniva altresì diviso in “Tier 1” patrimonio di base
(capitale versato, riserve palesi, riserva sovrapprezzo azioni, riserva legale, utili
accantonati, fondo rischi bancari generale, al netto delle azioni proprie, delle attività
immateriali e delle perdite pregresse) e “Tier 2” patrimonio supplementare (riserve da
rivalutazione, riserve occulte, fondi rischi, strumenti ibridi di capitale di debito, debito
subordinato a scadenza determinata al netto dei dubbi esiti su crediti e delle
minusvalenze sui titoli.).
Basilea 1 prevedeva inoltre, come affermato, un sistema di ponderazione standard
estremamente semplificato: a titolo esemplificativo, tutti i prestiti a privati erano
“pesati” al 100% (con l’eccezione dei mutui ipotecari su immobili residenziali, pesati al
50%), i prestiti interbancari area OCSE al 20%, il debito sovrano area OCSE valutato
zero rischio.
CAPITOLO I – “BASILEA 2: THE FIRST PILLAR” -
3
Il sistema di adeguatezza patrimoniale avviato dall’Accordo venne presto adottato a
livello internazionale ben al di fuori dei previsti membri del G-10, e resse con
sufficiente solidità le sorti della maggior parte dei sistemi di intermediazione finanziaria
dei paesi sviluppati.
Tuttavia, alle soglie del nuovo millennio apparvero sempre più evidenti i limiti del
sistema nei suoi differenti aspetti
4
:
I coefficienti di ponderazione non tengono conto dell’effettiva qualità di un
attivo di un bilancio / di un credito;
Attenzione concentrata sul rischio di credito;
Limitata considerazione di strumenti di garanzia o coperture;
Insufficiente riconoscimento di nuovi strumenti di mitigazione dei rischi (ad es.
derivati su crediti / cartolarizzazione);
Nessuna sensibilità alle durate (Maturity);
Nessuna considerazione di effetti di portafoglio;
Nessuna valutazione dei rischi operativi;
Il dibattito sulle carenze del primo Accordo divenne successivamente ancora più
intenso quando lo stesso Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria pubblicò il
documento “A New Capital Adequacy Framework”, meglio noto come “Basilea 2”,
rendendo pubbliche le proprie riflessioni affinché fossero oggetto di valutazioni e
contro-deduzioni da parte di tutti gli attori del mercato.
Nel gennaio del 2001 il Comitato diede alle stampe una seconda proposta di
revisione dell’accordo sui requisiti di capitale intitolata “The New Basel Capital
Accord”, e confermò in definitiva l’impostazione del documento consultivo del 1999,
introducendo tuttavia ex novo la regolamentazione dei rischi operativi e dettagliando in
termini applicativi la revisione stessa.
4
Cfr. DE LAURENTIS G. (2001), “Rating Interni e Credit Risk Management”, pag. 57; CREDIT
SUISSE (2004), “Economic Briefing n.36”, pag.5;