5
del Mercato de lavoro (considerato troppo rigido!) in
termini di organizzazione dell’orario di lavoro, di
retribuzioni, di mobilità e di adeguamento dell’offerta di
lavoro alle esigenze della domanda.
La “Riforma Biagi” ha inteso, appunto, attuare in Italia quel
necessitato modello di modernità del Mercato del Lavoro
passando attraverso la sua “europeizzazione” e
“liberalizzazione”, prestando un occhio di riguardo alle
istanze di flessibilità più volte, in passato, sollevate dal
tessuto imprenditoriale nazionale.
Il riformatore ha preso di mira l’obiettivo di realizzare “un
sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire
trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a
migliorare le capacità di inserimento professionale dei
disoccupati e di quanti sono in cerca di un prima
occupazione, con particolare riferimento alle fasce deboli
del mercato del lavoro”
2
.
Più nello specifico, di tale riforma occorre sottolineare
l’attuata modifica di alcune importanti tipologie contrattuali
(in particolare le cc.dd. “Collaborazioni Coordinate e
Continuative”), l’introduzione di nuove formule contrattuali
2
Art. 3, comma 1, d.lgl. 276/2003, Finalità.
6
(lavoro intermittente e staff leasing), la differente disciplina
del rapporto di lavoro a part –time e di associazione in
partecipazione, la regolamentazione delle prestazioni
occasionali, la sostituzione del contratto di formazione e
lavoro
3
col contratto di inserimento, la ridisciplina
profondamente innovativa del contratto di apprendistato.
Occorre ancora sottolineare, in particolare, che la riforma
delle collaborazioni risponde ad una scelta politica molto
precisa: “impedire un utilizzo improprio ed abusivo delle
collaborazioni, e quindi, ridurre per quanto possibile le
forme di flessibilità impropria riequilibrando i rapporti di
lavoro autonomo e subordinato”
4
.
Non è un caso se nel “Libro Bianco sul mercato del lavoro
in Italia”, redatto nell’anno 2001 dal Prof. Marco Biagi,
espressamente si poteva leggere
5
: “occorre prevedere
nuove tipologie contrattuali che abbiano la funzione di
“ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di
alcuni strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o
frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro
3
Residualmente sopravvissuto, e quindi ancora operante, solo nel settore pubblico (Art. 86, comma 9, d.lgs. n.
276/2003) .
4
Circ. Min. Lav. 8 gennaio 2004, n. 1.
5
Pag. XIII.
7
subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle
mutate esigenze produttive ed organizzative.
In questa ottica si segnala […] la prospettazione del lavoro
a progetto, come forma di lavoro autonomo
parasubordinato in cui rileva fortemente il fattore della
realizzazione appunto di un progetto avente precisi requisiti
in termini di quantificazione temporale, ma anche di qualità
della prestazione”.
Sempre a tal riguardo va riportato quanto sostenuto dal
Tiraboschi
6
:”l’introduzione di nuove flessibilità si giustifica
con l’impegno ad eliminare quelle forme di flessibilità
impropria, che spesso si nascondono dietro lo strumento
delle collaborazioni coordinate e continuative”; è nota,
infatti, prima della riforma, la prassi a norma della quale, a
fronte di prestazioni non certo caratterizzate obiettivamente
dall’autonomia, venivano stipulati contratti di
collaborazione coordinata e continuativa col vantaggio del
minor costo per le imprese ma con la conseguenza della
minor tutela di detta categoria di lavoratori rispetto ai
“normali” lavoratori subordinati.
6
M. Tiraboschi, “Il lavoro a progetto e le collaborazioni occasionali”, in La Riforma Biagi, supplemento di Guida Lav.
n. 4/2003, nota 1, 107.
8
La nuova disciplina, come chiarito anche dalla Relazione di
accompagnamento alla legge delega 30
7
del 14 Febbraio
2003, non introdurrebbe una nuova fattispecie contrattuale,
ma restringerebbe la nozione di cui all’art. 409 C.p.c.,
espressamente richiamata, in funzione antifraudolenta, così
confermando, in ogni caso la riconducibilità delle
collaborazioni all’area del lavoro autonomo
8
.
Nella Relazione di accompagnamento del D.Legs.
n.276/2003 si legge, inoltre, che le collaborazioni coordinate
e continuative “hanno rappresentato un modo con cui la
realtà ha individuato nelle pieghe della legge le strade per
superare rigidità e insufficienze delle regole del lavoro”, e
si afferma, proprio a superamento della “farisaica
accettazione di questa pratica elusiva”, di voler ricondurre
siffatti rapporti alla diversa del lavoro a progetto.
Oggetto del presente lavoro sono proprio i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa “a progetto”.
7
V.D’Oronzo, “Primi chiarimenti ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto”, in Guida Lav., n.03/2004, 10 s. .
8
La Circolare del Ministero del Lavoro n.01 del 2004 chiarisce infatti che “l’art.61 non sostituisce e/o modifica
l’art.409, n. 3, C.p.c. bensì individua, per l’ambito di applicazione del decreto e – nello specifico –della medesima
disposizione, le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione
della fattispecie nel senso dell’autonomia o della subordinazione.
Sul piano generale, peraltro, il lavoro a progetto non tende, allo stato, ad assorbire tutti i modelli contrattuali
riconducibili in senso lato all’area della c.d. parasubordinazione”; E’ opportuno fin da subito sottolineare che chi
scrive, come verrà specificato ed argomentato in seguito, dissente da questa conclusione .
9
Nei capitoli che seguiranno verrà affrontata la
fenomenologia sociologica presente e passata afferente le
Co.Co.Co., verrà analizzato l’iter legislativo che ha portato
all’adozione del d.lgs. 276/2003, si analizzeranno e
commenteranno le norme disciplinari dell’introdotto
contratto a progetto, verranno svolte riflessioni sulla giusta
collocazione giuridica della nuova tipologia contrattuale nel
substrato normativo preesistente: si tenterà, nello specifico,
di fornire una risposta all’interrogativo circa la reale portata
innovativa del contratto a progetto [la nuova disciplina
restringe, semplicemente, la nozione di cui all’art.409 C.p.c.
(introducendo, come si evince dalla lettura della già citata
Circolare ministeriale n. 01/2004 un utile parametro per la
qualificazione della fattispecie “nel senso della
dell’autonomia o della subordinazione”) oppure introduce
una nuova fattispecie contrattuale? Se introducesse una
nuova fattispecie contrattuale, questa rappresenterebbe un
tertium genus rispetto al rapporto subordinato ed autonomo
o, come già qualcuno
9
prospetta, addirittura un quartum ? ].
9
Vedi R. De Luca Tamajo, “Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto”, in Itinerari d’impresa. Management,
Diritto, Formazione, n.03/2003, www.diritto.it .
10
CAPITOLO I
LA RIFORMA BIAGI
– DAL “LIBRO BIANCO” AL D.Lgs. 276/2003 –
1. I cambiamenti socio – economici degli ultimi decenni.
L’analisi del tessuto socio –economico del “Sistema Italia”
degli ultimi decenni costituisce il punto di avvio per una
rapida analisi delle ragioni che hanno portato al varo della
c.d. Legge Biagi
10
.
Circa a metà del secolo scorso la dimensione crescente della
produzione di massa, la segmentazione delle funzioni di
produzione, nonché la ripartizione del lavoro secondo il
modello tayloristico, determinarono nel nostro Paese un
primo, epocale, cambiamento sociale ed economico .
Il suddetto cambiamento corrispose al passaggio da un
modello sociale precipuamente agricolo ad uno di tipo
industriale.
Da una tale, radicale quanto relativamente celere,
trasformazione derivò il benessere dei primi anni Sessanta.
10
Cfr. Gian Paolo Sassi, “Riforma Biagi ed evoluzione dell’assetto regolatorio dei mercati del lavoro in Italia”, in La
Riforma Biagi del mercato del lavoro, a cura di Michele Tiraboschi, Giuffrè Editore, 2004.
11
In un tale contesto, il modello di riferimento per la
regolamentazione del mutante mercato del lavoro non poté
che essere ispirato alla tutela fisica ed economica del
lavoratore, quale contraente debole del rapporto di lavoro.
In particolare, l’unanime riconoscimento della “debolezza”
contrattuale del lavoratore rispetto al potere contrattuale del
datore di lavoro funse da substrato fertile per l’obiettiva
affermazione della contrattazione collettiva.
Le principali conquiste della contrattazione collettiva
riguardarono l’estensione delle forme assicurative
obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro e contro le
invalidità, la disoccupazione e la vecchiaia.
L’ottenimento di suddette garanzie per i lavoratori era
raggiunto in un momento di forte espansione, interna ed
esterna, dell’economia italiana; ne conseguì, come sempre
accade nei modelli sociali ed economici, il raggiungimento
di un equilibrio ottimale tra le diverse ed opposte esigenze
socio –economiche del tempo.
Si trattò tuttavia, come più tardi verrà evidenziato da diverse
parti, di un equilibrio, di una regolamentazione
caratterizzata da un’accentuata rigidità, da una scarsa
duttilità ai cambiamenti sociali ed economici.
12
Quella regolamentazione del mercato del lavoro, seppur
benevola per i lavoratori e non affatto sproporzionata in
termini economici e sociali rispetto al contesto in cui vide la
sua genesi, colorò la variabile lavoro di una crescente
rigidità.
Nacque così il giusto, seppur intangibile, sinallagma tra
prestazione e contribuzione, da un lato, e tra retribuzione e
contribuzione dall’altro.
Già allora, però, si cominciarono a delineare i tratti di una
paradossale distinzione nel mercato del lavoro, che giungerà
poi fino ai nostri giorni, tra categorie di lavoratori che
svolgevano, o avevano svolto, un’attività subordinata stabile
nel tempo e categorie di lavoratori che non avevano mai
lavorato o lo avevano fatto esclusivamente “in nero”.
Insomma, si notava già l’aire di un mercato del lavoro
parallelo ed illegale rispetto a quello ufficiale, rigido e
giustamente garantito.
Nonostante la registrazione del contemporaneo sviluppo
anche del lavoro autonomo, degli artigiani e dei
commercianti soprattutto, il rapporto giuridico di lavoro
subordinato assurse a modello tipo, polarizzante per l’intera
legislazione in tema di rapporti di lavoro.
13
I primi effetti negativi dell’avvenuta cristallizzazione del
fattore lavoro si cominciarono a registrare già verso il
tramonto degli anni Settanta.
In quell’epoca una profonda crisi petrolifera investi
l’economia italiana e mondiale.
Il clima congiunturale di quegli anni portò con sé la
necessità per il Sistema –Italia di maggiore competitività:
soprattutto attraverso la ricerca di una nuova combinazione
ottimale dei fattori della produzione, elemento lavoro
incluso.
Su questa via si puntò attraverso l’attuazione delle politiche
di labour saving.
La destrutturazione delle grandi imprese, la nascita delle
filiere, lo sviluppo delle medie e piccole imprese e la
frammentazione dei punti di servizio furono le conseguenze
di quelle politiche.
Ferma restando la dogmatica concezione normativa del
rapporto di lavoro, il Sistema –Italia seppe (meglio:
dovette!) trovare per quella via un’alternativa per
l’autonoma attuazione di una sorta di prima, seppur rozza,
“flessibilizzazione di fatto” del mercato del lavoro.
14
Insomma, non potendo contare su una disciplina giuridica
duttile riguardo al rapporto di lavoro subordinato, il sistema
economico –imprenditoriale del paese rispose, per naturale
spirito di sopravvivenza, con una modificazione strutturale
riguardante sé stesso.
Furono gli anni della crescita esponenziale dei c.d.
ammortizzatori sociali, dei prepensionamenti, degli esuberi
e della robotizzazione dei processi produttivi.
Il prezzo della poca flessibilità del mercato del lavoro lo
pagò e lo avrebbe pagato, dunque, soprattutto lo Stato, chi
non era stato capace di pensare con lungimiranza a “valvole
di sfogo” in grado di agevolare, nel sistema economico, il
celere raggiungimento di nuovi equilibri.
Il legislatore di quegli anni, tuttavia, continuò, a causa anche
della forte conflittualità sociale dell’epoca, a prendere a
riferimento il rapporto di lavoro subordinato.
Nel frattempo, andava sempre più assumendo dimensioni
significative il mercato del lavoro “parallelo”, quello
sommerso.
Un fragile nuovo equilibrato assetto del mercato del lavoro
fu faticosamente raggiunto in Italia solo alla fine degli anni
Ottanta.
15
Agli inizi degli anni Novanta il mercato del lavoro risultava
caratterizzato dalla polverizzazione del tessuto
imprenditoriale, dalla forte espansione delle forme di lavoro
autonomo (in particolare artigiani, commercianti e
professionisti), da una preoccupante dimensione del mondo
del lavoro sommerso, dalla crescita esponenziale dei c.d.
lavoratori para –subordinati (una sorta di seconda, più
raffinata, “flessibilizzazione di fatto” del mercato del
lavoro!): lavoratori, cioè, non dipendenti nel senso
tradizionale del termine e non, quindi, assoggettati alle
garanzie previste per il rapporto di lavoro subordinato.
Quel precario equilibrio era stato appena raggiunto quando
già nello scenario internazionale, verso la fine degli anni
Novanta, si addensavano le nubi di una nuova minaccia: la
c.d. globalizzazione.
Con l’analisi del fenomeno della globalizzazione siamo
giunti ai tempi recenti, al contesto entro il quale va calata la
elaborazione e l’approvazione di un intervento legislativo
molto innovativo per il mercato del lavoro italiano: la Legge
Biagi.
16
La globalizzazione, cioè il fenomeno della progressiva
fusione delle culture e soprattutto delle economie mondiali,
ha posto il Sistema –Italia innanzi a nuove problematiche.
In particolare, è venuta in rilievo l’esigenza di una nuova
competitività del mercato italiano e si è riproposto il
problema di una non adeguata flessibilità del mercato del
lavoro, non superabile, questa volta, attraverso un’ulteriore
polverizzazione del sistema imprenditoriale, con
conseguente nuovo accollo di costi per lo stato, visto che,
anzi, il “mondo globale” pone l’Italia davanti a delle
contrapposte esigenze: l’esigenza della sintesi del sistema
micro –imprenditoriale in grandi imprese, imprese capaci di
fronteggiare la concorrenza delle multinazionali estere, e
l’esigenza, anche europea, di ridurre l’indebitamento
pubblico.
Il progetto Biagi, sfociato, non senza difficoltà,
nell’emanazione del D.Lgs n. 276 del 10 Settembre 2003, si
colloca proprio in questa prospettiva, nell’ottica della
riforma del mercato del lavoro attraverso la sua
flessibilizzazione.
17
1.1 Il fenomeno della Para –Subordinazione.
Con molta probabilità quando nel 1957 l’allora ministro del
lavoro, Vigorelli , si accinse ad introdurre nella legge che
porta il suo nome una formula, secondaria e transitoria
nell’economia complessiva del progetto legislativo in
questione, atta a disciplinare i “rapporti di collaborazione
che si concretino in prestazione d’opera continuativa e
coordinata”
11
fu lontanissimo dall’immaginare il cammino
che questa avrebbe percorso.
Quella norma, ispirata dalla logica di fornire norme
transitorie per garantire minimi di trattamento economico e
normativo, fu pensata precipuamente avendo a riferimento i
rapporti di agenzia e di rappresentanza.
Neppure quando nel 1973
12
il legislatore, pur avendo questa
volta acquisito consapevolezza del fatto che l’area dei
rapporti di collaborazione suddetti andasse ben oltre i soli
rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, dettò
una norma processuale in tema di competenza e rito – l’art.
409 n.3 Cod. Proc. Civ. – ebbe verosimilmente reale
percezione del possibile futuro dibattito sui profili
11
Art. 2 l. n. 741 del 1959 (c.d. “legge Vigorelli”).
12
L. n. 533 del 1973 .
18
sostanziali della figura giuridica che poi, tempo più tardi, la
dottrina avrebbe battezzato col nome di
parasubordinazione.
La “dottrina della parasubordinazione” nacque quindi così ,
poggiando le sue basi ontologiche su queste “due”
13
risalenti
disposizioni normative e con l’obiettivo, poco celato,
dell’estensione ai predetti rapporti, in via interpretativa, di
alcune delle tutele riconosciute al lavoro dipendente
suscettibili di applicazione analogica e non penalmente
sanzionate
14
.
Figura contrattuale precipua fonte del rapporto di para –
subordinazione fu unanimemente riconosciuta nel c.d.
Contratto di Collaborazione Coordinata e Continuativa
(Co.Co.Co.) .
13
In verità di “collaborazioni coordinate e continuative” si parla anche in altre, varie e secondarie, disposizioni
legislative di natura fiscale, previdenziale ed assistenziale: Art.49 c.2, lett.a), d.p.r. n. 917/86; Art.2 c.26, l. n. 335/95;
Art.59, c.16, l. n. 449/97; l. n. 488/1999; Art.5 d.lgs. n.38/2000 .
14
Vedi F. Mazziotti, Diritto del Lavoro, Liguori, 2001.