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shopping as a means of self-expression, at times raising it to
the level of an art form. To enter a store was to engage in an
alchemical process that imbued the cash register with
magical, transformative properties. Inexpressible desires,
intangible needs, and unarticulated longings all passed
through the money box and came out as real things, palpable
objects you could hold in your hand. My mother never tired
of reenacting this miracle, and the bills that resulted became
a bone of contention between her and my father. She felt we
could afford them; he didn’t.
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Si trattava di due stili di vita e due visioni del mondo inconciliabili,
che a lungo andare sgretolarono l’unione. Il piccolo Paul non si schierò mai
da nessuna delle due parti, perché ammirava tanto la cocciutaggine e
l’avvedutezza dell’uno quanto il fascino e la simpatia dell’altra. Era
contento di essere risucchiato dall’entusiasmo e dalla generosità materni
durante le numerose spedizioni al supermercato o nelle boutique, ma ogni
volta era afflitto da un senso di angoscia al pensiero di quello che avrebbe
detto il padre quando avrebbe visto il conto.
Dal genitore l’artista ereditò l’onestà e la passione per il lavoro. Da
bambino era infatti un vero e proprio tuttofare: suonava i campanelli dei
vicini chiedendo se avessero bisogno di qualcuno che spalasse la neve,
ripulisse il prato dalle foglie, potasse le siepi o riordinasse garage e cantine.
Durante l’estate vendeva bicchieri di limonata sul marciapiede davanti a
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casa oppure caricava i vuoti su un carrettino rosso per trainarli fino al
negozio e ricevere in cambio qualche spicciolo. Spendeva poi gran parte di
tali guadagni in figurine, fumetti e giornali sportivi, riponendo quanto
avanzava in un salvadanaio a forma di registratore di cassa. All’età di sei o
sette anni il denaro gli procurò una cocente delusione: chissà come, era
venuto in possesso di una moneta da cinquanta cent, una cifra cospicua per
quel periodo. Dirigendosi verso il negozio, infilò la mano in tasca per
controllare che il mezzo dollaro fosse ancora lì, ma si rese conto che era
scomparso e si convinse che Dio glielo avesse portato via per castigarlo.
Ecco come l’autore ricorda l’episodio:
Once, I remember, I was in possession of a fifty-cent piece.
I can’t recall how I came to have that coin - which was just
as rare then as it is now - but whether it had been given to
me or whether I had earned it myself, I have a keen sense of
how much it meant to me and what a large sum it
represented. For fifty cents in those days you could buy ten
packs of baseball cards, five comic books, ten candy bars,
fifty jawbreakers - or, if you preferred, various
combinations of all of them. I put the half-dollar in my back
pocket and marched off to the store, feverishly calculating
how I was going to spend my little fortune. Somewhere
along the way, however, for reasons that still confound me,
the coin disappeared. I reached into my back pocket to
check on it - knowing it was there, just wanting to make
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sure - and the money was gone. Was there a hole in my
pocket? Had I accidentally slid the coin out of my pants the
last time I touched it? I had no idea. I was six or seven years
old, and I still remember how wretched I felt. I had tried to
be so careful, and yet for all my precautions, I had wound
up losing the money. How could I have allowed such a thing
to happen? For want of any logical explanation, I decided
that God had punished me. I didn’t know why, but I was
certain that the All-Powerful One had reached into my
pocket and plucked out the coin Himself.
3
Dai dieci anni in su Paul Auster sentì maturare dentro di sé una nuova
consapevolezza che lo indusse ad allontanarsi dalle posizioni dei genitori.
Forse a causa del divorzio, forse per via della vita opprimente condotta in
un sobborgo di provincia e dell’atmosfera che si respirava in America alla
fine degli anni Cinquanta, esplose in lui una vera e propria ribellione contro
il denaro e il materialismo. L’adolescente si rese conto che il famoso
principio americano «libertà e giustizia per tutti» celava spesso egoismo e
ipocrisia e che i soldi tracciavano la linea di confine tra vincenti e perdenti,
questi ultimi destinati sempre all’oblio e all’emarginazione. Comprese così
che non sarebbe mai entrato a far parte del mondo degli affari e cominciò a
vergognarsi dei vantaggi di cui godeva domandandosi perché quella fortuna
fosse toccata a lui e non ad altri:
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...and suddenly you had a powerful case against materialism,
an indictment of the orthodox view that money was a good
to be valued above all others. My parents valued money,
and where had it gotten them? They had struggled so hard
for it, had invested so much belief in it, and yet for every
problem it had solved, another one had taken its place.
American capitalism had created one of the most prosperous
moments in human history. It had produced untold numbers
of cars, frozen vegetables, and miracle shampoos, and yet
Eisenhower was President, and the entire country had been
turned into a gigantic television commercial, an incessant
harangue to buy more, make more, spend more, to dance
around the dollar-tree until you dropped dead from the sheer
frenzy of trying to keep up with everyone else.
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Negli anni del liceo l’aspirante letterato ebbe modo di confrontarsi con
un mondo diverso dal suo poiché incontrò molti tipi pittoreschi che
appartenevano alla categoria dei meno agiati. Fra i tanti figurano Frank, il
lavapiatti-barbone del campeggio, Carmen, la contabile che sparava battute
a raffica, Joe Mansfield, l’assistente aggiustatore con due ernie e due lavori,
e Mike, il ragazzo che aiutava Paul a installare i condizionatori venduti
dallo zio Moe.
L’ultimo anno di liceo fu anche l’ultimo anno del matrimonio fra i
genitori dell’artista. La fine era stata preannunciata qualche tempo prima,
quando, dopo una delle consuete liti per il denaro, il padre aveva esonerato
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la moglie dalla gestione della casa cominciando a incaricarsi della spesa e
delle compere domestiche. La madre si trasferì portando con sé Paul e la
sua sorellina, mentre il padre rimase nella grande casa di famiglia, dove
abitò fino al giorno della morte.
Senza nemmeno assistere alla cerimonia di consegna dei diplomi, il
futuro scrittore partì per l’Europa e viaggiò in Francia, Italia, Spagna e
Irlanda dedicandosi alla stesura del suo primo romanzo e trasformandosi in
«a weightless, wild-eye sort of creature, slightly touched, perhaps, prone to
desperate inner surges, sudden about-faces, swoons, soaring thoughts»,
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un
individuo che trascorreva il suo tempo fra «solitude, silence, walking».
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Visse le esperienze più significative a Dublino, dove si era recato per il
legame che univa la città a James Joyce. Qui si innamorò di un’infermiera
senza esserne ricambiato, lesse innumerevoli libri e ripartì con
l’impressione di aver conosciuto per la prima volta se stesso.
Di ritorno dal Vecchio Continente, Paul si iscrisse al college della
Columbia, e per i quattro anni successivi i soldi non lo preoccuparono. Non
aveva infatti progetti per il proprio futuro economico e, se pensava a come
si sarebbe guadagnato da vivere, lo faceva solo di tanto in tanto e in modo
superficiale:
...for the next four years the last thing on my mind was
money. I worked intermittently at various jobs, but those
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years were not about making plans, not about preparing for
my financial future. They were about books, the war in
Vietnam, the struggle to figure out how to do the thing I was
proposing to do. If I thought about earning a living at all, it
was only in a fitful, haphazard sort of way. At most I
imagined some kind of marginal existence for myself -
scrounging for crumbs at the far edges of the workaday
world, the life of a starving poet.
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Svolse tuttavia i mestieri più svariati, quali scrittore di materiale
didattico e giardiniere per un piccolo albergo. Nel 1967 si iscrisse a un
programma organizzato dall’università, un’iniziativa che prevedeva la
possibilità di trascorrere dodici mesi all’estero. Auster scelse come meta
Parigi, città che aveva esercitato su di lui un fascino indimenticabile
durante il viaggio in Europa intrapreso dopo il liceo. Il soggiorno si rivelò
però un’amara delusione: anziché offrirgli l’opportunità di frequentare i
corsi dell’università parigina, l’iniziativa gli imponeva di studiare lingua e
grammatica francese e di totalizzare un certo numero di ore di lezione.
Poiché pareva impossibile giungere a un compromesso con il direttore del
programma, lo studente prese una decisione drastica: abbandonò il college
e trascorse alcuni mesi nella capitale, leggendo, passeggiando, andando al
cinema e accarezzando addirittura l’idea di diventare regista. Fece poi
ritorno a New York, dove un preside comprensivo lo riaccolse alla
Columbia allontanando così la minaccia del servizio di leva.
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Nel 1968-69 le agitazioni studentesche coinvolsero anche l’università
frequentata da Paul Auster. A differenza di molti dei suoi compagni, che vi
presero attivamente parte venendo arrestati o addirittura uccisi, l’aspirante
autore si mantenne tuttavia in una posizione isolata e aderì solo a rare
iniziative marginali. In Hand to mouth Auster dichiara infatti: «My loner
instincts were far too ingrained, and I could never quite bring myself to
climb aboard the great ship Solidarity».
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Nel frattempo il ventenne non smise di dedicarsi alla scrittura
producendo un discreto numero di opere:
In spite of the distractions and constant turmoil, I managed
to do a fair amount of writing, but none of my efforts ever
added up to much. I started two novels and abandoned them,
wrote several plays I didn’t like, worked on poem after
poem with largely disappointing results. My ambitions were
much greater than my abilities at that point, and I often felt
frustrated, dogged by a sense of failure. The only
accomplishment I felt proud of was the French poetry I had
translated, but that was a secondary pursuit and not even
close to what I had in mind. Still, I must not have been
totally discouraged. I kept on writing, after all, and when I
began publishing articles on books and films in the
Columbia Daily Spectator, I actually got to see my work in
print fairly often.
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9
Per celebrare la propria sconfitta professionale lanciò persino il Primo
Premio Annuale Christopher Smart, in onore del letterato inglese che nel
Settecento disdegnò la gloria per «a life of drunkenness, insanity, religious
fanaticism, and prophetic writings».
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L’obiettivo della competizione era
celebrare il fallimento, premiare «the person who had done the least with
the most, who had begun with every advantage, every talent, every
expectation of worldly success, and had come out to nothing».
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Benché
non abbia ricevuto alcuna richiesta di partecipazione, ben presto Paul
Auster ebbe modo di incontrare un Christopher Smart in carne e ossa. Si
trattava di H.L. Humes, detto Doc, un romanziere che aveva esordito con
due libri di successo per poi scomparire dal panorama della letteratura,
travolto da una serie di disgrazie e rovesci: un matrimonio fallito, la
degenza in varie cliniche psichiatriche, gli elettroshock. Dopo aver
ereditato una somma ingente dal padre, aveva deciso di donarla al mondo
intero, convinto che in tal modo il sistema economico sarebbe crollato.
Trascorreva così le giornate regalando banconote da cinquanta dollari a
chiunque incontrasse e raccomandandogli di spenderle il più in fretta
possibile. Per qualche tempo Doc e Auster abitarono insieme
nell’appartamento di quest’ultimo, ma la convivenza si rivelò impossibile
perché i seguaci che facevano continuamente visita a Humes impedivano al
laureando di concentrarsi sullo studio.
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Durante gli ultimi due anni di università Paul Auster andò alla ricerca
di ogni tipo di collaborazione saltuaria purché il lavoro prevedesse il
contatto con la letteratura. Si guadagnò da vivere grazie alle traduzioni e
soprattutto alle recensioni che preparò, celandosi dietro lo pseudonimo di
Paul Quinn, per una rivista di bassa lega rivolta agli studenti. Poi, grazie a
Norman Schiff, il secondo marito della madre, ottenne un posto su una
petroliera della Esso che faceva la spola tra la costa atlantica e il Golfo del
Messico caricando e scaricando carburante per aerei. Pur non essendo
entusiasmanti, le mansioni di «operatore tuttofare» gli lasciavano tempo a
sufficienza per dedicarsi alla lettura e alla scrittura. Provenendo da una
famiglia ebrea newyorkese, l’autore era una sorta di marziano sulla nave, il
cui equipaggio era formato in gran parte da bianchi sudisti e proletari. Non
entrò tuttavia in diretto contrasto con nessuno e strinse amicizia con
numerosi colleghi, soprattutto con quelli di colore. Il periodo trascorso a
bordo della petroliera, su cui veniva trasportata la fonte primaria della
ricchezza, insegnò al giovane che il denaro conferiva potere, un potere che
permetteva persino di deturpare il paesaggio e stravolgere il mondo
naturale. Aveva modo di vederlo con i suoi stessi occhi ogni volta in cui
arrivava in un porto e veniva accolto dai pesci morti che galleggiavano
nell’acqua satura di petrolio:
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The ugliness was so universal, so deeply connected to the
business of making money and the power that money
bestowed on the ones who made it - even to the point of
disfiguring the landscape, of turning the natural world inside
out - that I began to develop a grudging respect for it. Get to
the bottom of things, I told myself, and this was how the
world looked. Whatever you might think of it, this ugliness
was the truth.
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I mesi passati sulla nave segnarono per il ragazzo una parentesi
vissuta in un mondo diverso dal suo e una decisione presa, forse, per vedere
se sarebbe riuscito a cavarsela. Al momento dello sbarco il futuro scrittore
si rese conto con soddisfazione che quell’esperienza non era stata affatto un
fallimento.
Sentendo l’esigenza di immergersi ancora nella libertà e
nell’introspezione che avevano caratterizzato il suo soggiorno parigino di
tre anni prima, Auster decise di lasciare di nuovo l’America per la capitale
francese. Prima di partire fece però la conoscenza di Joe Reilly, «that
mightiest of fallen characters»,
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un colto omosessuale che aveva
imboccato la carriera di facoltoso direttore di una galleria d’arte, ma poi
aveva toccato il fondo quando aveva perso il suo amante e si era
trasformato in un ubriacone vagabondo. La sua figura, le sue frasi
arzigogolate e il suo disperato bisogno di soldi si impressero in modo
indelebile nella mente di Paul.
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Ben presto il gruzzolo racimolato grazie al lavoro sulla petroliera si
esaurì, e ancora una volta il giovane dovette guadagnarsi da vivere con
collaborazioni di ogni tipo: recensioni, traduzioni e lezioni private. Fu
anche contattato dalla comunità nordvietnamita di Parigi, che gli propose la
traduzione di un’antologia di poesie, ma purtroppo il progetto sfumò.
Poiché questi lavoretti sarebbero bastati per sopravvivere solo qualche
settimana, l’aspirante scrittore dovette cercare una nuova fonte di reddito e
fu tanto fortunato da trovarla. Si trattava di Madame X, una signora che si
dilettava di pittura e scrittura e amava aiutare gli artisti in erba. Era sposata
con un produttore cinematografico e il primo lavoro che offrì a Auster fu la
preparazione del riassunto di un lungo copione. Essendone rimasto
soddisfatto, Monsieur X propose al ragazzo altri incarichi, tra cui la
traduzione di un’intera sceneggiatura e la stesura in prosa narrativa di un
dramma teatrale scritto dalla moglie. I contatti con il potente uomo d’affari
si incrinarono quando Madame X decise di trasformare la propria opera in
un libro che avrebbe dovuto essere redatto in Messico. Malgrado le
esitazioni iniziali, Paul Auster, spinto dalla necessità di guadagnare, accettò
di seguire la donna in quel paese straniero. Il mese trascorso laggiù fu
disastroso: la signora era appena stata lasciata dall’amante e la delusione le
impedì di scrivere alcunché, così l’iniziativa non approdò a nulla. Il
rapporto d’affari tra il giovane e Monsieur X terminò allorché quest’ultimo
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pretese la restituzione del compenso versato in anticipo e Auster si rifiutò
di rendergli la somma o di rimborsarla mediante altri lavori.
Il ragazzo e la sua fidanzata vissero in Francia per altri diciotto mesi,
spostandosi fra Parigi e la Provenza. Al rientro in America, Paul aveva
ventisette anni e non aveva in mente alcun progetto per il futuro. Era
dunque ancor più lontano dalla soluzione del problema economico di
quanto lo fosse stato al momento della partenza: «...with nothing to show
for myself but a book of poems and a handful of obscure literary essays, I
was no closer to having solved the problem of money than I had been
before I left America».
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La decisione di sposarsi non fece altro che peggiorare la situazione.
Malgrado il costante bisogno di denaro, l’aspirante scrittore rifiutò un posto
full-time come redattore per un posto part-time alla Ex Libris, una piccola
casa editrice specializzata in pubblicazioni artistiche e diretta dal colto e
raffinato intellettuale Arthur Cohen. Oltre a essere semplice e interessante,
l’incarico gli lasciava tempo a sufficienza per scrivere per se stesso. Ecco
come l’autore descrive quell’esperienza:
Arthur worked in one room and I worked in the other, each
of us planted at a desk as we combed through the items for
sale and prepared our meticulous catalogue entries on five-
by-seven index cards. Anything having to do with French
and English was given to me; Arthur handled the German
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and Russian materials. Typography, design, and architecture
were his domain; I was in charge of all things literary. There
was a certain fusty precision to the work (measuring the
books, examining them for imperfections, detailing
provenances when necessary), but many of the items were
quite thrilling to hold, and Arthur gave me free rein to
express my opinions about them, even to inject an
occasional dose of humour if I felt like it.
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Nel giro di sette mesi Auster cominciò tuttavia ad annoiarsi e, dopo
aver trovato un sostituto che prendesse il suo posto, decise di andarsene.
I due anni compresi fra il 1975 e il 1977 furono un periodo di intensa
attività. Paul pubblicò alcuni articoli, qualche recensione, due raccolte di
poesie e numerose traduzioni dal francese. Queste ultime costituivano la
sua principale fonte di reddito, e lui le eseguiva insieme alla moglie, Lydia
Davis, in cambio di un compenso così scarso da consentire alla coppia di
rimanere a galla solo a fatica:
There are surely more inspiring ways to make a living, but
Lydia and I tackled these jobs with great discipline. A
publisher would hand us a book, we would split the work in
two (literally tearing the book in half if we had only one
copy), and set a daily quota for ourselves. Nothing was
allowed to interfere with that number. So many pages had to
be done every day, and every day, whether we felt in the
mood or not, we sat down and did them. Flipping
hamburgers would have been just as lucrative, but at least
we were free, or at least we thought we were free, and I
never felt any regrets about having left my job. For better or
worse, this was how I had chosen to live. Between
translating for money and writing for myself, there was
rarely a moment during those years when I wasn’t sitting at
my desk, putting words on a piece of paper.
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