natura, Dio, male, angeli, anima, natura umana, legge divina: capp. 6-18) e un ampio
panorama di storia universale (capp. 19-98); alla fisica pertiene la trattazione della
geografia (capp. 122-125), il trattatello sull’arte di edificare le case (capp. 126-130) e
un esteso bestiario (capp. 131-202) in cui l’autore non indulge affatto al gusto della
moralizzazione; la fisica e l’astronomia, quarta parte della matematica, sono esposte
nei capp. 99-125, che illustrano la teoria degli elementi e delle complessioni e
descrivono la struttura della terra e del cosmo e i movimenti degli astri; non ricevono
invece un’autonoma trattazione i vegetali e le pietre e soprattutto le materie incluse,
accanto all’astronomia, nella matematica: aritmetica, musica e geometria. Il secondo
libro è dedicato alla scienza pratica, che ha il compito di formare il politicus
philosophus; essa è inaugurata dal compendio dell’Etica Nicomachea di Aristotele ed
è perfezionata da un’accurata disamina degli insegnamenti di moralità e dell’economia
o governo della famiglia. A tal fine sono delineate le quattro virtù cardinali, prudence
(capp. 58-70), atemprance (capp. 71-80), force (capp. 81-90), justice (capp. 91-112),
alla cui comparazione è destinato il cap. 113; i capp. 114-121 illustrano i biens dou
cors (cap. 114), i biens de fortune (capp. 115-120) e la loro comparazione (cap. 121),
mentre il capitolo 122 è dedicato alla querelle entre honesté et proufitableté. Tale
esposizione della morale terrena è seguita, in forma di breve appendice, da una
trattazione della morale religiosa: vertu contemplative (cap. 123), santità (capp. 124-
5), virtù teologali (capp. 126-129), peccati (capp. 130-131). Il terzo libro presenta una
bipartizione in due trattazioni: la retorica, cui sono dedicati i capp. 1-72, e la politica
(capp. 73-105) illustrata in maniera storicamente determinata e in stretta correlazione
con la problematica suscitata dalla nascita e dall’organizzazione del Comune; in
quest’ottica la retorica, ossia l’educazione artistico-letteraria, è funzionale alla politica.
Una siffatta opera ad attestazione plurima
3
presenta una duplice serie di
problemi: una attinente al contenuto, ricostruibile nella sua veste originaria solo una
volta che si siano individuate con certezza tutte le apocrife dilatazioni testuali; l’altra
riguardante l’assetto linguistico, estremamente variegato ma con una prevalenza di
forme piccarde e valloni, sintomatiche, secondo alcuni studiosi, della maggiore
diffusione del trattato nel Nord della Francia, rivelatrici, secondo altri, delle
3
Sulla cospicua tradizione manoscritta del Tresor cfr. infra.
condizioni linguistiche dell’archetipo
4
. La carenza di studi sulla pur rigogliosa
tradizione del Tresor, le scarne e frammentarie descrizioni paleografiche e
codicologiche di un esiguo numero di testimoni, l’inadeguatezza di gran parte delle
lezioni, mai attinte a spogli sistematici
5
, hanno inciso particolarmente sulla
risoluzione dell’intricata questione della veste linguistica originaria, questione finora
elusa o fugacemente accennata in base a congetture necessariamente prive di
fondamento scientifico.
L’attenzione degli studiosi si è invece maggiormente appuntata sugli aspetti
contenutistici della ricezione del Tresor, nel tentativo di individuare nelle numerose
varianti dei singoli testimoni una lettura interpretativa dell’opera, non di rado
glossata o revisionata dai copisti con il tacito obiettivo di modificarne l’impostazione
dottrinale, ritenuta spesso, nel suo pur moderato laicismo, eccessivamente divergente
rispetto ai canoni teologici ufficiali.
b. Le edizioni e i codici del Tresor.
Sebbene la cospicua tradizione manoscritta del Tresor annoveri ben
ottantacinque testimoni, disponiamo a tutt’oggi di sole due edizioni integrali, due
4
Riconduce tali forme linguistiche ad un subarchetipo già corrotto e proveniente dal Nord della
Francia F. J. Carmody, Genealogy of the MSS. of the Trésor, in “Zeitschrift für romanische
Philologie”, LX, 1940, pp. 78-81, che nell’introduzione alla sua edizione del Tresor elenca i mss.
della prima (B C
7
R
3
) e della seconda redazione (A
6
B
4
B
5
E
2
L P P
2
Q Q
2
T D S) che presentano un
assetto linguistico settentrionale, e individua nel ms. P (Paris, Bibl. Nat. fr. 571) “le plus grand
nombre de formes picardes et wallonnes” (F. J. Carmody, Li livres dou Tresor de B. Latini, Berkeley-
Los Angeles, University of California Press, 1948, ora Genève, Slatkine Reprints, 1975 [da cui si
cita], p. XLI). Ritiene invece originario tale assetto linguistico J. Bolton Holloway, che rimanda ad un
documento conservato nell’Archivio Segreto Vaticano (Instr. Miscell. 99) per attestare che Brunetto
Latini è vissuto, e probabilmente ha composto la sua opera principale, ad Arras, e precisa che “many
of the manuscripts described in the edition by Chabaille [...] are in Picard French, in Italian hands or
with Italian additions but with French illuminations” (J. Bolton Holloway, Brunetto Latini and
England, in “Manuscripta”, XXXI, 1987, pp. 11-21, cit. p. 13, n. 6).
5
Si escludono qui gli unici testimoni francesi interamente editi, entrambi conservati nella
Bibliothèque Nationale di Parigi: il codice siglato F (fr. 12581, anc. suppl. 198) e utilizzato come
manoscritto base per la sua edizione da Polycarpe Chabaille (Li Livres dou Tresor, publié pour la
première fois par P. Chabaille, Paris, Imprimerie Impériale, 1863), e il manoscritto T (fr. 1110, anc.
7364) pubblicato con pochi emendamenti da F. J. Carmody, Li Livres, cit., sui quali cfr. infra.
parziali e tre riproduzioni fotomeccaniche
6
. La diffusione medievale del trattato in
Francia, testimoniata, oltre che dai numerosi codici pervenuti, dal modo in cui gli
scrittori più tardi, quali Aimery du Peyrat e Alain Chartier
7
, ne parlarono e ne
trassero profitto, si interruppe bruscamente durante e dopo il Rinascimento, quando il
contenuto dottrinale dell’enciclopedia pareva ormai anacronistico rispetto alla nuova
temperie culturale e perciò poco allettante per i possibili editori. Solo nell’Ottocento
si intuì l’importanza linguistica e storica del trattato e la necessità di approntarne
l’edizione, commissionata infine dallo stesso Napoleone I in una circolare del
Ministero dell’Istruzione datata 15 Maggio 1835, ma ultimata solo durante il regno di
Napoleone III da Polycarpe Chabaille.
Tale edizione, preceduta da quelle parziali di Lenormant e Manzoni
8
,
riproduce sostanzialmente il manoscritto F (Paris, Bibl. Nat. fr. 12581, anc. suppl.
198), emendato parcamente ma collazionato con un numero notevole di testimoni e
con il volgarizzamento italiano, costituendo quasi una editio variorum di enorme
interesse, anche per i capitoli presumibilmente o certamente spuri, per la storia
culturale. La meritoria, sebbene ormai datata, opera dello Chabaille rappresenta
inoltre il primo contributo allo studio sistematico della tradizione manoscritta del
Tresor, dal momento che l’autore ha elencato, accuratamente descritto e siglato 39
testimoni a lui noti, servendosi delle varianti di 25 di essi per emendare il codice F.
La successiva e ancora ultima edizione, pubblicata da Francis J. Carmody nel
1948, è condotta interamente sul manoscritto T (Paris, Bibl. Nat. fr. 1110, anc. 7364),
emendato raramente e non sempre a proposito, e reca, contrariamente all’edizione
6
Sono stati riprodotti i mss. U (Paris, Bibl. Nat. fr. 1111): Li Tresors [...] le livre maistre Bruneto
Latin de Flourence, New York, MLA Collection of Photographic Facsimiles, 297, 1934; V (Paris,
Bibl. Nat. fr. 1113): Li livre dou trezor maistra Brunet Latin de Flourence, New York, MLA CPF,
298, 1934; T: Li Livres dou trezor, New York, MLA CPF, 324, 1936.
7
Aimery du Peyrat, autore nella seconda metà del XIV sec. di una cronaca latina dei papi e di una
traduzione parziale dell’opera del Latini, lo definisce vir magnae prudentiae et venustae facundiae;
Alain Chartier, nella sua opera quattrocentesca L’Espérance, lo annovera tra gli storici più illustri
insieme a Omero, Virgilio, Livio, Orosio, Trogo, Pompeo: cfr. Th. Sundby, Della vita cit., pp. 73-74.
8
Ch. Lenormant, Traité de l’office du Podestà dans les républiques municipales de l’Italie,
Bibliothèque de l’École des Chartes, II, 1840-41, pp. 313-49 (edizione della parte politica del terzo
libro, condotta sul manoscritto F confrontato con T, Q e con il Tesoro); G. Manzoni, Saggio di una
edizione dell’originale francese inedito del Tesoro di B. L. ..., Rivista enciclopedica italiana, V, 1856,
pp. 501-14 (edizione del primo capitolo della politica condotta sui codici torinesi). L’edizione di
Chabaille è citata supra, n. 5.
chabaillana, un apparato avarissimo di varianti. Il vero pregio di tale edizione
consiste, oltre che nella puntuale individuazione delle fonti, che mette a frutto le
acquisizioni della pioneristica e benemerita opera del SundbyTP
9
PT, nell’arricchimento
del ventaglio di testimoni noti: il Carmody giunge infatti ad annoverare 73 codici
localizzati e 15 manoscritti inventariati ma irreperibiliTP
10
PT. Tuttavia le sue descrizioni,
talora prive di fondamento, sono parzialmente rettificate da Julia Bolton HollowayTP
11
PT,
che ha identificato il codice siglato dal Carmody ETP
12
PT con il ms. Vat. lat. 3203, già
presente nell’elenco dell’editore inglese con la sigla R
5
; la studiosa ha inoltre espunto
dalla lista i manoscritti P
4
(Paris, Arsenal 5258), che non contiene alcun preteso
estratto del Livre dou Tresor, e R
6
(Roma, Vaticano Barberiniano 3572), una copia
seicentesca di R
5
“extremely fragmentary and of no validity”TP
13
PT, che si arresta al terzo
capitolo dell’opera brunettiana, e ha infine aggiunto all’elenco quattro ulteriori codici
provenienti dalle biblioteche di Verona, Siviglia e New York TP
14
PT. Purtroppo anche la
monografia della Bolton Holloway non è immune da sviste e omissioni inerenti le
segnature dei manoscritti e la bibliografia recente sull’argomento, lacune colmate dai
più recenti studi di Françoise VielliardTP
15
PT, Pietro Beltrami TP
16
PT e Plinio TorriTP
17
PT.
TP
9
PT Th. Sundby, Della vita cit.
TP
10
PT F. J. Carmody, Li Livres, cit., pp. XLVI-LVII.
TP
11
PT J. Bolton Holloway, Brunetto Latini. An analytic bibliography, London, Grant & Cutler Ltd, 1986,
pp. 20-26.
TP
12
PT F. J. Carmody, Li Livres, cit., p. XLIX: “(D’après Chabaille, Bibl. Impériale fr. 7320 A-B, Lancelot
23. Ne fait pas partie du n° 1020 actuel, qui correspond à la cote indiquée. Les variantes de Chabaille
sont insuffisantes pour l’identifier)”.
TP
13
PT J. Bolton Holloway, Brunetto Latini. An analytic, cit., p. 25, dove però il codice è menzionato con
un’erronea segnatura (“Vatican Lat. 5908”), come avverte P. Torri, Sulla tradizione manoscritta del
Tresor: i codici Vat. Lat. 3203 e Vat. Reg. 1320, in “Rivista di Letteratura Italiana”, 10, 1-2, 1992, p.
256, n. 4. Il codice è comunque descritto piuttosto sommariamente dal Carmody: “Rome, Vatican
Barb. 3572 (olim XLIII, 118), F
os
1-4, 3 premiers chap. du Trésor, copiés du ms. Vatican 3203” (F. J.
Carmody, Li Livres, cit., p. LII).
TP
14
PT F. Vielliard (La tradition manuscrite du Livre dou Tresor de Brunet Latin. Mise au point, in
“Romania”, 109, 1990, pp. 141-52, cit. p. 142) segnala tuttavia che i quattro codici erano già stati
scoperti e descritti da Édith Brayer in un articolo, evidentemente sconosciuto alla Bolton Holloway,
dedicato al ms. 1109 del fondo francese della Biblioteca Nazionale di Parigi (É. Brayer, Notice du
manuscrit: Paris, Bibliothèque nationale, français 1109, in Mélanges dédiés à la mémoire de Félix
Grat, t. II, Paris 1949, citato in F. Vielliard, La tradition manuscrite cit., p. 142, n. 4).
TP
15
PT F. Vielliard, La tradition manuscrite cit., che tuttavia sembra non conoscere l’articolo di P.
Beltrami, Per il testo del Tresor, cit., che a pp. 963-4 sigla il ms. B
7
,
riportato dalla Vielliard con la
sola segnatura (Bergamo, Bibl. civica, Gabinetto ∆, fila VIII, 22), e modifica in V
2
la sigla “del tutto
antieconomica” EE attribuita da Bolton Holloway al codice DVIII della Biblioteca Capitolare di
Verona e conservata immutata dalla Vielliard.
c. Le due redazioni
Nella sua ricostruzione stemmatica della tradizione manoscritta del Tresor
18
,
Carmody raggruppa i codici esaminati in due grandi ramificazioni scaturite da un
archetipo molto simile al manoscritto T, collocato perciò al vertice dello stemma
codicum e posto a base della sua edizione critica. Prescindendo dai criteri adottati
dallo studioso per l’individuazione dei testimoni interpositi e quindi dei ‘piani bassi’
dello stemma, criteri piuttosto opinabili perché adducono come errori congiuntivi per
lo più lezioni adiafore, la bipartizione raffigurata dal Carmody presenta una reale
consistenza nella doppia redazione che qualifica l’opera brunettiana e che complica
ulteriormente la già intricata questione della tradizione manoscritta del Tresor.
La prima redazione fu compilata in Francia durante l’esilio di Brunetto Latini
a seguito della sconfitta guelfa di Montaperti del 4 Settembre 1260, di cui l’autore
venne a conoscenza sulla strada di ritorno dalla Spagna, reduce da un’ambasceria
condotta presso Alfonso X di Castiglia; la disfatta della sua fazione politica e il
timore della rappresaglia ghibellina, più che un’ingiunzione ufficiale, furono
probabilmente all’origine del suo allontanamento da Firenze e dall’Italia, che il
Sundby colloca tra il 4 e il 13 Settembre
19
. Stabilitosi a Parigi, come afferma il
Boccaccio
20
, o a Bar-sur-Aube, come sembrerebbe attestare una lettera autografa
21
, o
ancora ad Arras, come testimonia un’altra missiva olografa, e come indurrebbe a
credere il consistente numero di codici del Tresor caratterizzati da forme piccarde
22
,
Brunetto Latini fu accolto con tutti gli onori da un non meglio identificato “uomo
16
P. Beltrami, Per il testo del Tresor, cit., e Id., Tre schede sul Tresor. 1. Il sistema delle scienze e la
struttura del Tresor. 2. Tresor e Tesoretto. 3. Aspetti della ricezione del Tresor, in “Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa”, Classe di Lettere e Filosofia, s. III, 23, 1, 1993, pp. 115-90.
17
P. Torri, Sulla tradizione manoscritta cit.
18
Discussa nei contributi di Carmody citati in nn. 4 e 18 e riprodotta nella sua edizione critica a p.
XXXVII.
19
Th. Sundby, Della vita cit., p. 9.
20
Boccaccio, Opere, Firenze (Napoli) 1724, vol. VI, pag. 289, citato in Th. Sundby, Della vita cit., p.
10, che sembra propendere per questa ipotesi, ammettendo tuttavia che “è [...] notevole che Brunetto
in nessun luogo nomina Parigi, tranne in uno della Rettorica [...] dove sostituisce Parigi ad Atene”
(Ibid., n. 2).
21
Edward J. L. Scott, “Brunetto Latini’s Home in France, A. D. 1260-6”, The Atheneum, 3654
(Novembre, 1897), p. 635, pubblicato anche in La Nazione, 2-3 December, 1897, citato in J. Bolton
Holloway, Brunetto Latini and England, cit., p. 12, n. 5.
22
J. Bolton Holloway, Brunetto Latini and England, cit., pp. 12-3; cfr. inoltre supra, n. 4.
ricco, onesto e saggio”
23
e intraprese la stesura del suo capolavoro principalmente
come segno della sua riconoscenza. Tale stesura si protrasse per un periodo
indeterminato, ma fu certamente ultimata prima del rimpatrio a seguito della
battaglia di Benevento, che decretò, il 26 Febbraio 1266, la definitiva sconfitta e la
morte di Manfredi, e invertì le sorti delle due parti avverse. I ghibellini fiorentini,
allontanatisi dalla città il giorno di S. Martino del 1266 nel timore di prevedibili
ritorsioni, vi rientrarono nel Gennaio 1267 non appena fu sancita una tregua tra le
due fazioni, ma tornarono immediatamente sui loro passi poiché i Guelfi si erano
frattanto appellati a re Carlo d’Angiò e il 17 Aprile 1267 era giunto a Firenze
Guglielmo di Monfort. Essendo il momento più propizio, è improbabile che Brunetto
Latini avesse indugiato oltre questa data il suo rientro, avvenuto quindi tra il 1266 e
il 1267.
Dal soggiorno francese lo scrittore fiorentino recava con sé un esemplare del
Tresor tramandato attualmente da una quarantina di manoscritti, che riproducono la
prima redazione e concludono la sezione storica con la battaglia di Montaperti e il
conseguente esilio dei guelfi fiorentini e del loro illustre antesignano. Un numero
meno cospicuo di codici rappresentante la seconda redazione lancia uno sguardo
anche agli avvenimenti occorsi in Italia dal tempo di Berengario alla vittoria riportata
da Carlo d’Angiò su Corradino nella battaglia di Tagliacozzo, ampliando così la
sezione storica e aggiornandola fino a includere le vicende dell’Agosto 1268. Che si
tratti di un rimaneggiamento dell’opera dovuta allo stesso Brunetto o di una delle
frequenti dilatazioni testuali del Tresor, è certo che tali capitoli aggiuntivi sono opera
di un guelfo che non nasconde la sua partigianeria. Gli studiosi hanno per lo più
accolto la prima ipotesi
24
, adducendo l’estrema coerenza e la complessità con cui si
23
Th. Sundby, Della vita cit., p. 10. Tale personaggio è nominato con la medesima indeterminatezza
nel Tresor (cito dal manoscritto It. 440, 13v 10-11): “quillo mastro Brunectu fech(e) questo libro p(er)
amor(e) / de uno suo amico”.
24
Il Sundby (Della vita cit., p. 75) ad esempio ritiene verosimile che Brunetto, “reduce in Firenze,
assoggettasse l’opera sua ad una revisione e le aggiungesse i capitoli in discorso”, e concorda con il
metodo critico adottato dallo Chabaille per l’edizione dei suddetti capitoli, inseriti nel testo e non in
appendice come certamente avrebbe fatto se li avesse ritenuti spuri. Anche il Carmody propende
decisamente per questa ipotesi, ma la sua affermazione che l’esemplare rimaneggiato, “qu’on peut
appeler l’original”, fosse esente da errori, lacune o interpolazioni, è priva di ogni fondamento (F. J.
Carmody, Li Livres, cit., p. XXXVI), mentre “è ovvio [...] che gli errori di resa delle fonti che siano
intersecano le due redazioni, che escludono la congettura che possa trattarsi di una
pura integrazione meccanica. È stato tuttavia rilevato che lo stile narrativo
dell’aggiunta storica si discosta nettamente da quello tipicamente brunettiano, scarno
e sinteticamente informativo
25
. Infatti, l’effettivo ampliamento cronologico degli
eventi esposti in tali capitoli risulta pressoché irrilevante rispetto alla restante
porzione di testo interessata dall’interpolazione in esame: essa si presenta in realtà
come una consistente amplificazione delle stesse vicende illustrate nei codici che non
presentano l’aggiunta storica, come si evince da un confronto tra l’edizione
Carmody, basata su un codice della seconda redazione, e il manoscritto Ital. 440 che,
come gran parte dei volgarizzamenti italiani del Tresor, rientra tra i testimoni della
prima redazione:
It. 440 (13r 13-23) Ed. Carmody (1.90.4-1.91.1)
Ma po’ cressero gra(n)dissime guerre jn
Ytalia, et Ca(r)lo lassò al suo filiolo /
Loysi lo jnp(er)io, oy quello Loysi foy
filio allo re de Pulia. (Et) dicono alcu(n)i
ch(e) l’ang(e)lo ve(n)ne ad co/mandar(e)
allo dicto jnp(er)atore ch(e) no(n) si ’nde
devesse più jnpaczar(e), (et) ch(e) de-
vesse re(n)der(e) / lo jnp(er)io allo io-
vene re de Pulia, (et) q(ue)sto foy facto
p(er)ò ch(e) li francisci no(n) ajutava(n)o
più l’italia(n)j. / In quella manera ch(e)
vi dico ve(n)ne lo jnp(er)o all’italianj,
donde lu iobene si fo sing(no)re. / (Et)
app(re)sso a ·lluy foru ci(n)cu alt(ri) Lu-
ysi tucti sing(no)rj, p(er) finj allo tempo
de Beligero (et) Habero / suo filiolo, li
quali forono li dericti jnp(er)aturi ta-
lianj; et ch(e) uno alt(ro) Acapito si
(com)bactìo p(er) pu/tire piliar(e) p(er) la
Mais pour çou ke les guerres crurent
diversement en Ytalie, et ke li empe-
reour ki estoient françois n’aidoient mie
les romains contre les lombars et contre
les autres ki les damagoient sovent et
menu, avint il ke par sentence de ro-
mains la dignité de l’empire fu tolue as
françois et revint as ytaliiens ; dont li
premiers fu Loys le joene, ki estoit fiz
au roi de Puille et de sa feme, ki fu fille
Loys, de qui l’istore parole ce devant.
Et dient li plusor que uns angeles co-
manda au desrenier roi des françois ki
fu empereor k’il ne s’entremeist jamés
de l’empire as romains, et k’il le quitast
au joene roi de Puille ; et sor ce fu sen-
tence fermee por ce ke li françois
n’aidoient les romains ne ne deffen-
doient l’empire contre les ytaliiens ne
attribuibili a Brunetto [...] sono, dal punto di vista ecdotico, «buone lezioni»” (P. G. Beltrami, Per il
testo del Tresor, cit., p. 969, n. 20).
25
P. G. Beltrami, Per il testo del Tresor, cit., p. 967. Lo studioso non giunge ad escludere
aprioristicamente la paternità brunettiana dell’aggiunta storica, pur rilevando che “se è di Brunetto,
questo testo dimostra un radicale mutamento d’opinione sulla forma da dare alla sua opera” (Ibid.).
S(anc)ta Ecc(lesia); lo qual(e) Agapito
foy papa jn quello te(m)po, (et) (com)-
bactiu m(u)lte fiate (contra) / li mal(e)-
dicti roma(n)i chi semp(re) foro erroni-
chi, p(er) potir(e) ip(s)o ma(n)tenir(e) jn
pedi la S(anc)ta Ecc(lesia) de Dio. / Ma
da po’ foy papa Io(annes), filiolo ad
q(ue)llo Albe(r)to, lo directo jnp(er)ato-
r(e); (et) sappiati ch(e) da Ca(r)lo Ma(n)-
gh(n)ia / p(er) fini ad q(ue)llo papa
Io(annes) erano stati .xi. jnp(er)aturi, (et)
.xxxxi. papa da Lione p(er) fini ad
q(ue)llo Io(annes) papa
contre les maufetours. (1.91.1) En tel
maniere come je vous ai devisé revint
l’empire de Rome des françois as lom-
bars, en l’an de grace .ix
c
. et ii., dont li
joenes Loys fu li premiers. A son tens
comença une divisions en l’empire, car
un en estoit empereour en Ytaile et un
autre en Alemaigne. Et ce dura aprés lui
au tans Berengier et Aubert son fil, ki
furent li derrenier lombart ki l’empire
tenissent ; et que Agapite fu apostoiles,
ki maintesfois se combati contre les
romains, por maintenir les drois de
sainte eglise. Mais aprés lui fu apostoi-
les Jehans fiz a celui Berengier empe-
reour. Et sachés que devant lui avoient
esté .xi. empereour puis Karle et .xli.
apostoiles de Lyon jusques a cestui Jo-
han pape
Si riporta qui di seguito il testo dell’edizione Carmody che illustra le vicende
storiche non esposte nel manoscritto Ital. 440:
(1.91.2-3) : Et sachés que cestui Berengier fu coronés en l’an de grace .ix
c
. et xl., et
regne- || rent entre lui et Aubert son fil en Ytaile .xi. ans. Celui Aubert avoit .i. frere a
clerc ki avoit non Octevian. Il porcacha tant avec les grans mestres de Rome que,
aprés la mort Agapite, ki lors estoit pape, Octevian son frere fu fet apostoile et fu
apelés Jehans. Or dient li maistre ki la cronike firent et ki misent en escrit les istores
de cel tens, ke Berengier fu malvais tyrans et cruel a Dieu et au monde, et k’il prist
une grant dame ki avoit esté feme Lotier empereor devant lui, il le prist et le gardoit
en chartre et faisoit toutes les diaublies et les cruautés. Aubert son fiz faisoit d’autre
part tous les maus k’il onques pooit, et que Johans ses frere, qui fu apostoiles, ki
d’assés estoit pires ke son pere et ke son frere ; et il furent maistres et signors de par
sainte eglise et de par le siecle ; lors crut mal sor mal et cruauté sor cruauté. (1.92 :
De l’empereor Octe) : Or dist l’istore, et li registre de sainte eglise le tesmoignent, ke
por la malvaisté Berengier li preudome de sainte eglise et du comun de Rome et dou
païs environ manderent a Octe de Saissoigne, ki estoit rois d’Alemaigne, k’il les ve-
nist aidier contre cel diauble. Et dont il vint puissamment en Ytaile, et venki Beren-
gier, et le cacha hors de la terre, et osta de prison la veve dame de qui li contes a
parlé ci devant, et le prist a feme. Puis s’acorda il a Berengier, et li rendi Lombardie
trestoute, se ce ne fu la marche de Trevise et de Veronne et d’Aquilee, k’il ne li rendi
pas; et ensi s’en rala en Alemaigne, et regna longhement en grant pooir. Or avint ke
Berengier et Aubert faisoient mal et pis ke devant, et li apostoiles Jehans tenoit les
femes apertement, et faisoit çou k’il voloit, non mie çou k’il devoit ; pour la quel
chose aucun des cardenaus et des preudomes de Rome envoierent priveement a Octe
meismes, k’il venist aidier l’eglise et preist le governement de l’empire et de la terre,
ançois k’il le destruisist du tout. Et quant il ot oï ce, il se mist a la voie, et vint en
Lombardie et en Toscane, et entra en Rome, et fu receu par tout honorablement, et fu
coronés a roi et empereor de Rome en l’an Nostre Signor .ix
c
. et lv. ; et regna .xii.
ans, et fu li premiers empereour nés d’Alemaigne ; et maintes fois revint a Rome, por
le biens de l’une terre et de l’autre. Et por ce ke l’apostoiles Jehans ne voloit laissier
ses maus et torner a bone vie, fu il desposés par la volonté de la clergié et de tous
autres de sa dignité, et fu esleu uns autres ki ot a non Lyon. Cestui apostoile establi,
por le malice des romains, que pape ne peust estre fés ne esleu sans l’assentement
des empereors. Or avint une fois que Octes li empereres estoit alés en Alemaigne, li
romain par lor malice esleurent un autre pape ki avoit non Benoit, et Lion fu getés de
son office. Ensi estoient a celui tens .iii. apostoiles vivans, c’est a dire Jehan, Lion, et
Benoit. Mais Benoit ne tint mie la chaiere plus de .ii. mois, ke l’empereor revint et
assist Rome a tote son ost, tant ke l’en li rendi la terre et ke Lion refu mis en sa di-
gnité ; et apaisa le païs et les gens, et s’en rala ariere en Alemaigne, et en amena avec
lui Benoit pape en Sassoigne u il morut. Et l’autre pape Johan trespassa de cest siecle
sans repetance et sans confession. Et li empereres ot de sa feme .i. fiz ki autresi ot a
non Octes, et fu empereor aprés lui en l’an de grasce .ix
c
. et lxviii. Et fu preudome et
vaillant, et fist bones oevres et grans, et ot a feme la fille l’empereor de Costantino-
ble, en qui il engendra .i. fis ki autresi ot a non Octes li tiers. Et fu coronnés a empe-
reour par les mains du cinkime Grigore pape en l’an de Nostre Signeur .ix
c
. et iiii
xx
.
et ix. Et tint la terre et l’empire bien et vaillamment, ja soit ce k’il fist maintes perse-
cutions contre les romains. Puis trespassa du siecle, si comme il plot a Dieu glorieus
et beneoit. Aprés fu esleu Frederik. Cestui Frederik fu vaillant home, et tint les lom-
bars en molt grant destrece, et destruist la cité de Melan, et la fist arer et semer de sel,
et ot guerre a l’apostole Innocent le tierç, et le cacha de Rome. Et li apostoiles et si
frere s’enfuirent dusk’aVenise, et la les assega li empereour ; et afama la vile de Ve-
nisse, en tel maniere ke les citeins vindrent a l’apostoile et li disent k’il voloient
mieus k’il alast hors de la vile k’il i moruissent de faim ; et l’apostoile et si frere se
revestirent des armes de sainte eglise, et se misent en .i. bac, et alerent a l’ost
l’empereour. Et quant l’empereor les vit, il erranment s’en vint a l’apostoile a merci,
et se mist et rendi a ses piés, et l’apostoile li mist le pié desous la goule et dist, Super
aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem. Et le empe-
reour li respondi, Non tu set Xpc. Et je sui son vicaire, dist li apostoles. Et la li com-
manda li apostoles k’il alast en la Terre Sainte por son meffet, et la ala il par terre, et
chei de son cheval en une petite riviere, et la se neya.
Terminato il capitolo 92 dell’edizione Carmody, riprende la concordanza
nelle vicende storiche narrate, ma un parallelo tra i due testi mostra con evidenza la
maggiore sinteticità del volgarizzamento salentino:
Ital. 440 (13r 24-13v 12) Ed. Carmody (1.93-98.9)
Da po’ ch(e) la gra(n)de altecza (et)
sing(no)ria de Roma jncome(n)czò a
·ccresser(e) sup(ra) tucti li di/g(ni)tati de
(christi)anj, allora jncome(n)czò ent(ro)
li nobilj talianj cressere mo(r)tale jnimi-
stà, (et) / no(n) era jn Italia chi volesse
ma(n)tenir(e) lo stato de Roma, czioè la
cosa de la repp(ublica), altro / ch(e) li
tudisci, (et) fo facto comu p(er) necessità
ch(e) lo jnp(er)io foss’electo p(er) ip(s)i.
(Et) cussì ve(n)ne ad g(ra)n/decza de
eliger(e) lo jnp(er)ator(e) li tudisci,
czioè ad .vij. p(ri)ncipi de l’Amag(na),
donde lo p(rimo) jnp(er)atore / de l’A-
mag(na) fo Ys .iij. (et) fo jncoronato
nell’a(n)no d(e) la jnca(r)nacione de
N(ost)ro Sing(no)re .c
viiij
xxxvj. a(n)nj; /
de ch(e) forono poy .xiij. jnp(er)aturi
tudisci p(er) fini ad Foderico jnp(er)a-
tor(e), s(e)c(un)do Foderico; (et) fo po’ /
jncoronato p(er) la mano de papa Onorio
jn a(n)no jnca(r)nacionis d(omi)nj .M.
ccxx. (Et) sappiate ch(e) // da ava(n)ti
ad q(ue)sto Onorio papa da papa Io(an-
nes), donde la istoria à dicto, forano
.xxxxij. pape. Qe/sto Foderico reg(na)o
.xxx. a(n)nj jnp(er)ator(e) fieni alla sua
mo(r)te, e ·ffoy p(er)seq(ui)totor(e) de
la S(anc)ta Ecc(lesia); et foy esco/mu-
nicato p(er) s(e)n(tent)io del s(anc)to
patre, jllu qual(e) era allora. Et poy jn-
fine fo deposto de sua dig(ni)tà jn te(m)-
po / d(e) J(n)nocentio Qua(r)to, p(er) lu
1.93 : Comment li empires vint as ale-
mans. Mais puis ke la hautece et la si-
gnorie de l’empire de Rome crut et en-
haucha sor toutes les dignités des cres-
tiens, et ke l’envie croissoit et engen-
droit maintes haines entre les nobles
lombars, et nus n’estoit ki se mellast de
maintenir la chose commune se li
prince d’Alemaigne non, fu establi ausi
comme par necessité plaine de droit
que la naissance et la election de
l’empire fust faite par ciaus ki en es-
toient deffendeours et gardes: en tel
maniere que li empereor fussent esleu
por bonté et por proece, non mie par
iretage, si comme li .iii. Octe avoient
esté. Et ensi vint la hautece d’eslire en-
pereour as .vii. princes d’Alemaigne ki
sont officieus de l’empire, c’est a dire
l’archeveske de Magance, ki est cance-
lier an Alemaigne la u ele est Germo-
nie. Li secons est li archevesques de
Trieves, ki est cancelier en la terre de
ça vers France. Li tiers est est (sic) li
archeveske de Coloigne, ki est cance-
liers en Ytaile. Li quars est li marcis de
Brondebourk, ki est chambrelens de
l’empire. Li cinkimes est li quens pala-
tins ki siert du premier més. Li sisimes
est li dus de Saissoigne ki porte l’espee.
Li vii
mes
est li rois de Boen, ki est bou-
tilliers l’empereour.
1.94 : De l’empereor Henri. Aprés ce
fu esleus a roi et empereor Henris en
g(e)n(er)al (con)siliu; et, q(ua)n(do)
ip(s)o murìo comu piacce a Dio, lo jn-
p(er)io stecte assay / t(em)po ch(e) natao
sencza jnp(er)ator(e) (et) sì anch(e) re
de Pulia, arunga ch(e) Me(n)fredo suo
filiolo, lo / qual(e) era naturale, ti(n)ne
lo riame de Pulia (et) de Scicilia (contra)
Ydio (et) (contra) raione, comu è q(ue)l-
lo chi / foy semp(re) (contra)rio de la
S(anc)ta Ecc(lesia); (et) p(er)ò fech(e)
m(u)lte guerre (et) div(er)si p(er)scecu-
ciu(n)j (contra) quellj talianj ch(e) / ti-
neano cu(m) la S(anc)ta Ecc(lesia), (et)
(contra) li Guelfi p(er)ciatj jn Florencza,
li qualj al te(m)po suo forono caczati da
/ Fiurensa (et) foro abruiati li loro b(e)nj
et guastate le loru case; et cu(m) ip(s)i fo
caczato mastro / Bruno, lu q(ua)le andò
jn França jn exilio; quillo mastro
Brunectu fech(e) questo libro p(er) amo-
r(e) / de uno suo amico, comu à dicto
sop(ra) jnt(ro) allo p(ro)logo dava(n)ti.
Ma q(ue)sto si tach(e) ora lu mast(ro) /
et reto(r)na ad alt(ra) sua mat(er)ia
l’an de grace .mcc. et iii. Et puis k’il fu
deviés fu esleus Octes dus de Saissoi-
gne, et ot guerre a sainte eglise, et se
combati a Phelippe roi de France, et fu
desconfit, et puis fu desposés par sainte
eglise. Aprés fu li secons Frederis, ki fu
fiz a l’empereour Henri et l’emperreis
Constance, ki autresi estoit || roine de
Sezille et de Puille et de par son pere ki
rois en fu. Cestui Frederik fu coronés
par les mains Honouré pape en l’an de
grace .m. et .cc. et xx. Et sachiés ke de-
vant cestui Honoré pape avoient esté
.lii. apostoles, de Jehans de qui li contes
parole en la fin des lombars. Et dou
premier empereour de Rome, ce fu
Cesar, avoit jusc’a cestui Frederik iiii
xx
.
et xv. empereour sans plus. Et se Mer-
lins u la Sebille dient verité, l’en troeve
en lor livres que en cesti doit definer la
imperiale dignités. Més je ne sais se
c’est à dire de son linage solement, u
des alemans, u se ce dist de tous com-
munalment.
1.95 : De la hautece Frederik. Cestui
Frederik fu hom de grant cuer sor tous
homes, et si estoit mervilleusement sa-
ges et artilleus et trop bien letrés, et sa-
voit tous langages ; et ses cuers ne baoit
a autre chose fors k’a estre sires et si-
gnor de tout le monde. Et ja soit ce k’il
ot plusors femes et enfans de droit
mariage, toutefoies aloit il as gentiz
femes dou païs, si k’il en ot fiz et filles
a grant plenté, ki vindrent en grant ho-
nour et en grant pooir. Et il quidoit bien
par lui et par ses fius k’il sorprendroit
l’empire et la terre toute, en tel maniere
k’ele n’istroit jamés de lor subjection.
Mais hons pense une chose et Deus re-
pense tout autre ; car quant il voit tour-
billier un home, il li tolt tot avant la
veue, c’est a dire son sens et sa bone
porveance. Et ce veons nous aperte-
ment en cestui empereour ; car po aprés
ce k’il fu coronés et ke sainte eglise li
avoit fet toz les biens k’ele pooit, et de-
vant k’il fust en aage et puis longhe-
ment, il esdreça soi contre sainte eglise
et contre ses drois, et fist grant damage
et persecutions contre l’apostoile et
contre toz clers. Por laquel chose li
pape Honorés, celui meismes ki coro-
nés l’avoit, l’escomenia et dona sen-
tence contre lui et assoust tous les ba-
rons dou sairement k’il li avoient fet sor
la feauté de son empire et de la corone.
Et puis ke pape Honoré ot vescu en sa
dignité entor .xi. ans et ke sa ame en ala
au saint siecle, uns autres en fu esleus
en son leu, ce fu li novimes Grigoires,
en l’an Nostre Signeur .m. ii
c
. et xxvi.,
ki a son tans fist les noveles decretales
en .i. livre par les mains frere Raimont
son chapelain et son peneanchier, et
osta et rabati tous autres decre-taus. Et
a son tens recommença la guerre et la
rebellations de l’empereour, en tel
maniere k’il escomenia de rechief, et
dona sentence contre lui, et envoia .ii.
legas, ce furent .ii. cardinals de Rome,
outre les mons, por avoir secours et
aide contre Frederik. Endementiers
l’apostoiles establi a faire un concile a
Rome, et manda ses letres et ses legaz
as grans prelaz de sainte eglise, et as
princes ki a lui se tenoient, k’il ve-
nissent au concille au jour nomé. Et
comme li doi cardenal revenoient de
France o tot grant compaignie
d’archevesques et de evesques et
d’abbés et des uns et des autres grans
signors, il furent pris sor la mer de Pise
par les pisans et par la force
l’empereour. Cestui empereor ala a ost
entor Rome, et tint le siege longhement,
et se porchaça tant as nobles romains
par dons et par promesses k’il en avoit
la grignor partie a sa volenté. Et quant
li apostoiles connut apertement ke
Rome ne se pooit longuement def-
fendre, il prist le chief Saint Piere et St.
Pol en ses .ii. mains, et asambla tot le
comun de Rome, et ala a procession de
Lateran jusk’a St. Piere, et sermona de-
vant aus de maintes choses. Et tant fist
que por poi tout li romain se croisierent
contre l’emreor (sic). Et quant ce fu
chose seue en l’ost, li empereres de-
sloga et s’en ala avec tote sa gent
ariere, la u il plus forment pensoit en-
trer dedens Rome, et sosmetre
l’apostole et la terre a sa signorie. Et
quant l’apostoile Grigoires ot vescu en
sa chaiere .xiiii. ans il morut, et sa ame
ala au beneoit leu u est la perpetuel
glore, se Deu plaist. Aprés sa mort li
cardenal s’acorderent a un viel home
sage et de bone vie, ki estoit chardenal
et evesque de Savine, et fu apostoles, et
ot a non Celestin li quars. Mais il ne
veski ke .xvii. jours ; et porce ke li
mons estoit tous corrous et triboulés
por les oevres Frederik et de ses fiz, por
le grant pooir k’il avoient en toutes
pars, demoura sainte eglise sans pape et
sans pastor .xx. mois ; car entre les
prelas de sainte eglise avoit discort et
irour, tant k’il ne se pooient acorder.
D’autrepart li chardenal, ki estoient li
uns cha et li autres la, ne se pooient as-
sambler en .i. leu, por les voies ke Fre-