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mediante il reddito. Si iniziò a parlare di sviluppo come concetto differente dalla crescita e le
due discipline in un certo senso si divisero.
Nonostante ciò, l’attenzione prevalente è rimasta sulla crescita o comunque, anche
volendo parlare di sviluppo, il punto di partenza delle analisi è rimasto sempre l’aumento del
reddito. E’opinione diffusa, infatti, che nonostante non si possa sovrastimare l’importanza
della crescita del reddito per considerare lo sviluppo economico, sociale e politico, d’altra
parte spesso si constata che, i paesi che crescono fortemente e per periodi prolungati di tempo
sono in grado di ridurre significativamente i loro livelli di povertà. La crescita certo non è una
panacea; ma anche nei casi dove questa non ha un impatto diretto benefico sulla popolazione,
comunque crea le condizioni per agevolare la realizzazione di programmi che si indirizzino
verso le persone, i luoghi ed i problemi che per lungo tempo sono stati dimenticati. E’ per
questo che si spiega il motivo per cui è stata investita una quantità enorme di sforzi e di
talenti, per comprendere sempre più a fondo il processo di crescita economica. Il recente
dibattito, all’interno della ricerca accademica, sulla preoccupazione riguardo le possibilità
della crescita di alleviare la povertà, è pertanto, solo una delle molte dimostrazioni che la
crescita economica è al centro d’ attenzione negli studi di ricerca politici ed economici.
A stimolare tale dibattito nell’ultimo decennio ha contribuito, notevolmente
l’incrementarsi del fenomeno della globalizzazione che, mentre ha dato ad alcuni paesi in via
di sviluppo la possibilità di crescere ed avvicinarsi alle economie più avanzate, dall’altro lato
ha accresciuto il divario e ha peggiorato le condizioni dei paesi che ne sono rimasti fuori.
Proprio per indagare sul mancato sviluppo di questi paesi è sorta la riflessione a livello
mondiale, sia all’interno delle maggiori organizzazioni internazionali, sia all’interno dei centri
di ricerca dei singoli paesi, della possibilità della crescita per ridurre la povertà.
Le Nazioni Unite, proprio per sottolineare i problemi dello sviluppo e per promuovere
degli obbiettivi da raggiungere nei prossimi anni dichiaravano nel Settembre del 2000 otto
Millenium Development Goals, ossia gli otto obbiettivi, di primaria importanza, che il Mondo
intero si doveva impegnare a raggiungere come sfida per questo nuovo millennio. Il primo di
tali traguardi era ed è:
Eliminare la povertà estrema e la fame: entro il 2015 è possibile e doveroso dimezzare
la percentuale di persone che vivono con meno di 1 dollaro al giorno e quella di chi soffre la
fame.
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Proprio perché il primo obiettivo dei Millenium development goals era la riduzione
della povertà, intesa come persone che vivono sotto la soglia di un dollaro al giorno, il
dibattito accademico si è rivolto allo studio dei fenomeni che favoriscono la riduzione della
povertà.
Dato poi che, per arrivare allo sviluppo e per ridurre la povertà, la chiave prevalente
era la crescita come si affermava precedentemente, la ricerca si è volta ad analizzare gli effetti
della crescita sulla povertà ed in particolare, come e quanto, il numero di persone che vivono
sotto la soglia di un dollaro al giorno, dipendesse dall’aumento dei redditi e quali potevano
essere le variabili che incrementavano la negatività di questa relazione.
Risulta interessante, pertanto, analizzare tutto il dibattito nella sua eterogeneità, per poi
osservare secondo un modello empirico se i diversi risultati e le spiegazione date sono valide
per spiegare i diversi effetti che si sono avuti sulla povertà per due aree che, nonostante negli
anni ’60, partissero da condizioni di reddito molto simili hanno sperimentato tassi di sviluppo
assai diversi. In dettaglio i paesi sono Italia, Spagna, Portogallo e Grecia in comparazione ad
Argentina, Brasile, Uruguay, Colombia, Costa Rica e Venezuela.
La tesi è suddivisa nella maniera seguente:
Nel primo capitolo si analizzano quelli che sono i concetti di crescita e povertà. Benché, in un
primo momento queste due nozioni possano apparire semplici e scontate, quando si vanno ad
analizzare nella loro, profondità ed interezza, le sicurezze iniziali si iniziano a perdere. In
effetti, basta esprimere i due concetti sotto forma di domanda che ci si accorge subito che le
risposte non sono poi tanto immediate. Che vuol dire crescere? Come si fa a sperimentare la
crescita economica? Come si definisce la povertà? C’è solo un tipo di povertà? La povertà
riguarda solo un fenomeno monetario o si può essere poveri a prescindere dai mezzi a nostra
disposizione?
Rispondere, correttamente e in modo univoco a queste domande, non è compito facile, per
questo lo scopo del primo capitolo è cercare di districarsi e fare chiarezza, all’interno di questi
due concetti, mettendo a confronto le diverse definizioni ed elaborazione fatte da studiosi ed
analisti riguardo il tema della crescita e della povertà.
Nel secondo capitolo, si vuole invece, analizzare come si misurano crescita e povertà. Una
volta stabilito, cosa siano, si vuole capire se e come tali fenomeni possano essere misurati. Si
cercano, pertanto, di individuare prima di tutto gli indici e le metodologie proposte in
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letteratura per calcolare crescita e povertà evidenziandone pregi e limiti. In secondo luogo di
valutare quali tra gli indici proposti sarebbe più idoneo adottare per valutare gli effetti della
crescita sulla povertà.
Nel terzo capitolo, si studiano le relazioni ed i legami tra crescita e povertà. La crescita
economica riduce la povertà? Sempre? Della stessa misura e ovunque? Si vogliono prendere
in considerazione i maggiori studi svolti sui rapporti tra crescita e povertà, cercando di
ordinare, elaborare e verificare le diverse conclusioni col fine di raggiungere dei punti in
comune. Si studiano quindi quali sono i fattori che permettono alla crescita di avere effetti
diversi sulla povertà, da paese a paese.
Nel quarto capitolo, si parte con l’analisi dei principali modelli econometrici sul
dibattito crescita e riduzione della povertà. Una volta analizzate le loro conclusioni si propone
un altro modello per verificare come si è comportata la povertà e l’andamento che ha avuto,
per dei paesi latinoamericani, che negli anni sessanta godevano degli stessi livelli di reddito
pro capite dei paesi Europei. I modelli del dibattito crescita riduzione della povertà, sono,
infatti, modelli generali che prendono in considerazione campioni di paesi molto ampli. Essi
verificano il se e il quanto la crescita di tutti o quasi i paesi in via di sviluppo, abbia ridotto il
numero di persone che vivono sotto la soglia di un dollaro al giorno. Si è voluto pertanto
procedere con un’analisi più semplice e dettagliata esclusivamente per alcuni paesi
latinoamericani per osservare come in questi specificatamente la crescita aveva agito sulla
povertà e che differenze vi erano tra essi e alcuni paesi europei che a partire dagli anni ’60 si
trovavano in condizioni di reddito simili, individuando quali possibili fattori evidenziati nel
dibattito avevano contribuito a dei risultati tanto differenti.
I paesi per cui si è voluto analizzare l’effetto della crescita sulla povertà sono stati
Uruguay, Venezuela, Argentina, Colombia, Costa Rica, e Brasile perché secondo una
classificazione del geografo Yves Lacoste questi partivano nel 1964 da condizioni di reddito
molto simili ad alcuni paesi Europei.
Oltre alle differenze, attraverso il nuovo modello si cerca di verificare se ci sono
fattori comuni tra l’area europea e latinoamericana e se, nonostante le dovute differenze, sia
possibile individuare delle tematiche comuni per quanto riguarda la crescita e la lotta alla
povertà.
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Volendo sintetizzare le principali conclusioni si può dire che si è risposto alla
domanda su cosa fosse la crescita economica, si è spiegato come la dottrina economica la
definisce e quali sono le varie teorie sui fattori che permettono di incrementare i redditi di un
paese. Malgrado la varietà delle diverse teorie proposte si sono potuti trovare gli elementi
comuni che facevano parte di ogni studio su di essa. Per instaurare processi di crescita è
necessario innanzi tutto accumulare un capitale per poi risparmiare ed investire. L’humus
affinché tale processo sia produttivo è un regime “aperto”, in cui le persone siano libere di
“dividersi” il lavoro ampliando e scambiandosi conoscenze. Un ambiente in cui sia possibile
ricercare, imparare ed assumersi rischi in maniera da poter intraprendere percorsi innovativi,
grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e del capitale umano.
Per quanto, invece, concerne la povertà, la definizione di questa varia a seconda del
grado di deprivazione che si vuole associare a questo termine. La povertà, può essere vista
solo come fenomeno monetario o la si può analizzare come un concetto molto più amplio, che
non attiene più solo il campo economico, ma anche quello filosofico, sociale e morale. La
povertà può quindi essere espressa in termini assoluti o relativi ed anche, forse la cosa più
importante, in termini di sviluppo come dimostrano gli indici di povertà umana(IPU-1 IPU-2).
E’ questo forse il primo ed importante risultato dello studio, non è la crescita a comportare
sviluppo, ma si lo è la riduzione della povertà. La crescita economica è sì il maggior
indicatore dello sviluppo ma non sempre basta a ridurre la diminuire allora sì che si ha
sviluppo, soprattutto quando la povertà viene presa in considerazione nel suo senso più
amplio e relativo. E’ per queste ragioni che è stato necessario, indagare a fondo sulle
differenti tipologie di classificazione e di misurazione della povertà, per mostrare come a
seconda di come questa venga intesa le relazioni tra crescita e povertà possano cambiare. Da
una parte è vero che l’aumento del reddito medio, con un’intensità più o meno elevata,
comunque comporta una riduzione delle persone che vivono sotto la soglia di un dollaro al
giorno, la relazione però si può invertire se invece di considerare la povertà assoluta si
considera quella relativa è il caso dell’Italia. Nell’analizzare se la crescita economica
comporta sviluppo attraverso la riduzione della povertà, bisogna quindi valutare il grado di
deprivazione che si vuole assegnare a quest’ultima.
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Tale considerazione rappresenta una novità, rispetto al dibattito crescita-riduzione
della povertà che analizzando solo gli effetti della crescita sulla percentuale di persone che
vivevano con meno di un dollaro al giorno stabiliva una relazione inversa tra crescita e
povertà.
Il dibattito in ogni modo è stato utile perché ha permesso di avere sempre maggiori
informazioni, dati e di avvicinarsi maggiormente a delle considerazioni comuni che potessero
sempre più essere utili a coloro che si dovevano occupare delle politiche necessarie per lottare
contro la povertà. Avendo, inoltre approfondito con questo studio l’analisi dei diversi indici e
le varie metodologie per misurare la povertà intendendola sempre più in un senso ampliato e
relativo piuttosto che assolutistico, ha posto l’accento su di una nuova prospettiva con cui
guardare alla crescita del reddito. Se si vuole ridurre la povertà, ossia migliorare le condizioni
di vita delle persone non si deve più considerare la crescita come qualcosa che arreca
benessere ma si deve guardare al benessere e allo stato di vita delle persone per poter riuscire
ad ottenere crescita. Solo guardandola e misurandola in questa ottica si può parlare di una
crescita “buona” capace di eliminare la povertà sia in senso assoluto che relativo, è per questo
che gli indicatori più avanzati di crescita e povertà sono molto simili tra loro HDI e IPU.
Altro risultato che si è ottenuto in questo lavoro è stato quello di individuare, tra le
diverse opinioni del dibattito crescita riduzione della povertà, delle conclusioni comuni. Si è
compiuto, pertanto, un lavoro di elaborazione, confronto e sintesi delle diverse opinioni, atto a
mostrare come, nonostante le difficoltà, l’eterogeneità di dati e misurazione, le polemiche e le
discussioni accademiche degli ultimi anni, il dibattito è stato tutt’altro che sterile e si sia
riusciti ad individuare dei punti comuni sui quali agire ed operare.
Partendo poi dalle conclusioni, evinte dal dibattito crescita e riduzione della povertà,
se ne è voluta verificare la veridicità, alla luce di un nuovo modello empirico, esclusivamente
rivolto ai paesi latinoamericani che fino agli anni ‘70 avevano goduto di condizioni di reddito
simili ad alcuni paesi Europei. Si è creato così, un nuovo dataset specifico per l’analisi di
crescita e povertà di sei paesi latinoamericani, ottenendo un campione di dati molto più
amplio di quanto non fossero le osservazioni degli studi precedenti. Grazie ad esso, si è
potuta effettuare un’originale analisi su crescita e povertà di questi paesi e in fine si è potuto
valutare quali, tra le conclusioni dei modelli precedenti, potevano essere avvalorate per lo
studio specifico.
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Il modello proposto è stato il seguente:
ititiitiit
DCPov Η Ε ∆
attraverso di esso si è voluto verificare come specificatamente la povertà assoluta nei sei
paesi latinoamericani fosse dipesa da crescita e disuguaglianze e si è anche eseguito, un
originale confronto tra povertà relativa italiana e assoluta brasiliana dato che, nei due paesi, la
percentuale d’incremento del reddito medio negli ultimi quarant’anni è stata quasi la stessa.
Dal nuovo modello è risultato che per eliminare la povertà, bisogna ridurre le disuguaglianze
e che la crescita è essenziale ma se non è accompagnata da un miglioramento della
distribuzione del reddito, non porta i miglioramenti sperati. Tesi confermata da tutti i paesi
latinoamericani considerati, in testa il Brasile.
Ripartendo dalla domande iniziali dell’ analisi e cioè, quali erano state le ragioni per
cui il gap tra paesi con redditi tanto simili si era così accresciuto e perché gli effetti sulla
povertà erano stati tanto dissimili, si è trovata una risposta nell’analisi delle disuguaglianze.
Mentre tutti i paesi dell’Area Europea considerati, hanno ridotto il valore dei loro
indici di Gini negli ultimi quarant’anni, i paesi dell’America Latina non l’hanno fatto, ciò ha
influito sia sulla loro crescita sia sulla riduzione della povertà.
Argentina, Colombia, Costa Rica, Uruguay e Venezuela, mantenendo distribuzioni del
reddito inique al loro interno, hanno incrementato poco i loro prodotti nazionali rispetto a
quelli europei di conseguenza gli effetti sulla povertà sono stati esigui.
Il Brasile, che è l’unico paese ad aver sperimentato un innalzamento notabile del
proprio prodotto nazionale (oltre il 200%), avendo perdurato nella più grave situazione di
disuguaglianze (Gini 60%), non è riuscito ad ottenere i risultati auspicati sulla povertà. Se,
infatti, le disuguaglianze sono ad un livello così estremo come nel caso del Brasile e non
mutano, si potrà crescere quanto si vuole, ma se dell’incremento dei redditi godrà sempre la
stessa parte della popolazione, gli indici di povertà di fatto non muteranno.
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Aver, poi eseguito il raffronto tra paesi europei e latinoamericani e ancor più in
particolare quello tra il Brasile e l’Italia ha fatto nascere spunti interessanti per quanto
concerne lo studio della povertà.
L’analisi sull’ Italia risulta di estremo interesse, infatti, se pur non è stato possibile
effettuare un’analisi globale sugli effetti della crescita sulla povertà relativa risulta che,
almeno per quanto riguarda l’Italia, il legame negativo tra le due variabili, crescita povertà, si
rovescia e diventa positivo. Ciò deriva dal fatto che all’aumento dei redditi non corrisponde
un miglioramento della distribuzione, il reddito medio quindi si accresce ma il numero di
persone che hanno un reddito inferiore a quello medio si incrementa. Rimane ferma
comunque la relazione tra povertà e disuguaglianze, più queste aumentano più la povertà in
genere, che sia assoluta o relativa, aumenta.
Il caso dei Paesi dell’America Latina considerati, sottolinea come la crescita
economica, influisca, ma molto poco, sulla riduzione della povertà, soprattutto perché se le
disuguaglianze sono forti la crescita difficilmente risulta elevata. Se l’aumento dei redditi non
è accompagnato da una riduzione delle disuguaglianze la povertà si incrementerà, qualsiasi
forma di essa si prenda in considerazione.
Combattere le disuguaglianze ha un duplice effetto, in primo luogo dà maggior vigore
alla crescita, in secondo luogo riduce la povertà assoluta e relativa. Il caso dei paesi
latinoamericani considerati, mostra come se la crescita economica, non è equa, non influisce
molto sulle condizioni di chi vive nella povertà più estrema. Ciò non significa che la crescita
sia inutile, perché è comunque l’elemento fondamentale per migliorare le condizioni di vita di
tutti i membri della società, incluso di chi è molto povero. Però, osservando i risultati
dell’analisi, non si può non constatare che, la distribuzione è più efficace che la crescita,
riduzioni dell’indice di Gini di pochi punti percentuali hanno gli stessi effetti sulla povertà che
aumenti del reddito medio cumulati del 60- 70%. Il che non significa che crescita economica
e diminuzione delle disuguaglianze siano due elementi economicamente sostituibili, ma
denota come, per lottare contro la povertà, sia necessario procedere su entrambe le strade, in
questo modo, aumenteranno, in maniera maggiore e più omogenea, i redditi dell’intera
società.
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Il caso dell’Italia, come anche quello del Brasile mostrano, come se ad un aumento del
reddito, anche notevole, non corrisponde una significativo miglioramento della distribuzione,
i risultati non saranno apprezzabili neanche in termini di povertà sia essa intesa in senso
assoluto che relativo.
Anche se il fine principale della tesi non era quello di studiare le relazioni tra crescita e
distribuzione, tutto porta a ritenere che, come statisticamente siano due elementi speculari per
sconfiggere la povertà, così dovrebbero essere complementari in ambito di politica
economica.