dell’art.1723 cc alla l. f., si è passati ad affermare che il fallimento possa essere causa
di giusta revoca ex art.1723 cod. civ., quando la sua sopravvivenza contrasti con i fini
propri della procedura fallimentare con una valutazione da notarsi caso per caso.
Recentemente si è affermato, limitatamente alla specie del mandato in rem
propriam all’incasso di somme, che esso non sopravvive al successivo fallimento del
mandante, poiché l’esecuzione dello stesso non può sovrapporsi alle regole
inderogabili del concorso e pertanto, il mandatario in rem propriam pur rimanendo
legittimato all’incasso dei crediti, sarebbe in ogni caso tenuto a restituire al curatore
le somme riscosse dopo la dichiarazione di fallimento non potendo operare la
compensazione fallimentare ex art.56 l.f tra crediti anteriori vantati nei confronti del
fallito e debiti verso il medesimo sorti nel corso della procedura fallimentare.
Quest’ultima pronuncia, ora isolata e limitata al caso in specie, se dovesse
confermarsi come nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità, porta con
sé l’effetto pratico di attenuare di molto la portata della sopravvivenza del mandato in
rem propriam in caso di fallimento del mandante poiché il mandatario difficilmente
troverà economicamente conveniente compiere un’attività di esazione del credito che
non andrebbe a suo beneficio bensì a vantaggio del fallimento.
Di qui ad arrivare ad ammettere lo scioglimento tout court anche di questo
tipo di mandato, tra l’altro più volte affermato dalla giurisprudenza di merito anche
in epoca risalente, il passo è breve e auspicabile.
Infine si indagherà sugli effetti del fallimento sul mandato alle liti, con
particolare riferimento alla convenzione di arbitrato cercando di individuare, per
quest’ultimo, il momento di rilevanza della fattispecie dell’art.78 l.f. che si ritiene
vada ricercato non nel momento della stipulazione della convenzione arbitrale,
mediante la clausola compromissoria o il compromesso, bensì nel momento in cui si
procede alla nomina degli arbitri.
CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO DI MANDATO NELLA LEGGE
FALLIMENTARE
§ 1. L’art. 78 della l.f. e la sua ratio juris
a) Premessa.
Com’è noto ai sensi dell’art.78 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n.267, d’ora
in poi indicata brevemente con l.f., il contratto di mandato si scioglie in caso di
fallimento di una delle parti.
Per completezza è doveroso aggiungere che nonostante quest’articolo menzioni,
espressamente, anche il conto corrente e la commissione che costituisce un sottotipo
di mandato, non può dubitarsi che nella sua previsione sia da ricomprendere anche la
spedizione
1
.
Condicio sine qua non per l’operatività della norma è che il mandato, sia in
corso d’esecuzione, sia stato stipulato prima della sentenza dichiarativa di fallimento
e che, prima di questa data, non si sia estinto per una delle ipotesi indicate
nell’art.1722 cod.civ. e nell’art.1723 2° comma per l’ipotesi del mandato conferito
anche nell’interesse del mandatario o di terzi.
Nell’intento di individuare la ratio della norma, obbedendo al testo letterale della
legge, preliminarmente, è stato, originalmente, osservato
2
che questa previsione
1
G. Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di diritto civile italiano, vol.
VIII, tomo 1°, Torino, 1957, p.219; L. Pazzaglia, La sorte del mandato (e di contratti simili) nel caso
di fallimento di una delle parti, in Riv. dir. comm, 1964, I, p.36; A. Luminoso, in Mandato,
commissione, spedizione, Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 1988, p.481.
2
A. Candian, Il fallimento del mandante e la sorte del mandato, in Temi, 1961, p. 427.
comporta un triplice risultato: a) lo scioglimento del rapporto di pieno diritto per il
fatto stesso dell’apertura del concorso; b) l’effetto estintivo indiscriminato del
mandato tanto nell’ipotesi di fallimento del mandante quanto in quello del
mandatario; c) l’irrilevanza, ai fini dello scioglimento, del contenuto del mandato.
Qualcuno
3
, ha aggiunto che nulla impedisce al curatore di confermare o
rinnovare il mandato preesistente.
Quest’ultima opinione è stata criticata
4
da chi ritiene che, per il caso del
fallimento del mandante, piuttosto, il curatore può stipulare ex novo identico mandato
con lo stesso mandatario quando la rinnovazione può rispondere agli interessi del
fallimento (p.es. nel caso in cui ex art.90 l.f. è disposta la continuazione temporanea
dell’impresa o, nel caso in cui il curatore intende assicurare, mediante attività del
mandatario, l’esecuzione di un contratto in corso).
In dottrina
5
è stato affermato, più in generale, che il fallimento può creare una
situazione d’incompatibilità in ordine all’esecuzione di certi contratti fra i quali il
mandato.
Il fondamento dello scioglimento ex lege di qualsiasi tipo di previsione
contrattuale preesistente e pendente alla dichiarazione di fallimento, è stato
individuato
6
non solo nel carattere decisivo della persona del fallito, cui consegue
l’inammissibilità della sostituzione del curatore per un’esigenza di tutela del
contraente in bonis ma, soprattutto, per le esigenze di tutela della massa fallimentare,
in vista della quale è preordinato tutto il procedimento fallimentare. Procedimento
3
G. Bonelli, Del Fallimento, in Commentario al codice del commercio,3^ Ed., Milano, 1938-1939,
tomo I°, n.271.
4
V. Calusi, Osservazioni in tema di fallimento del mandante e di estinzione del mandato conferito
anche nell’interesse del mandatario o di terzi, in Foro Padano, 1958, I,C, p.758.
5
F. Ferrara jr., Il fallimento, Milano, 1964, p.341 ss.
caratterizzato dalla perdita del potere di amministrazione e di disposizione dei beni
da parte del fallito, dalla tutela rigorosa del principio della par condicio creditorum e
dal vincolo di destinazione dei beni che entrano a far parte del fallimento in ragione
del soddisfacimento delle pretese dei creditori concorsuali.
b) Lo scioglimento del mandato semplice in caso di fallimento del mandante
La ratio dello scioglimento del mandato semplice, per effetto del fallimento del
mandante, è stata dapprima ricercata nella considerazione che l’eventuale esecuzione
del mandato trova un ostacolo nell’indisponibilità del patrimonio che si determina
con il fallimento e, successivamente in modo più organico
7
, oltre a ciò, sulle
restrizioni e limitazioni che derivano al fallito per effetto della dichiarazione di
fallimento per cui questi sarebbe incapace di agire relativamente ai beni e diritti che
entrano a far parte del fallimento. La conseguenza di tale ragionamento è che al
fallito, non è, logicamente, consentito porre in essere attraverso l’opera di mandatari,
sia con lo strumento della rappresentanza diretta che attraverso il meccanismo
dell’interposizione, ciò che non può più compiere personalmente.
6
G. Ragusa Maggiore-Costa, Le procedure concorsuali. Il Fallimento, Torino, 1985, p.272.
7
V. Andrioli, voce Fallimento – (Diritto Privato), in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1967, p.412; U.
Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, II, Torino, 1961 p.1258; G. De Semo, Diritto
fallimentare, 4^ ed, Padova, 1964, p.161; A. Candian, Il fallimento del mandante e la sorte del
mandato cit., p. 427; R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, p.1268.
Quest’ultimo autore, in particolare, rileva che la norma contenuta nella l.f. e nel codice civile si
riferisce a quella ristretta categoria di mandati in cui il contenuto può avere rilevanza per il
procedimento fallimentare e per gli effetti del medesimo (tra i quali la perdita della disponibilità ed
amministrazione del patrimonio acquisito all’esecuzione collettiva e di danno per la massa) e che
pertanto, l’art.78 l.f., conseguendo esclusivamente la tutela di interessi pubblici di natura economica,
male si concilierebbe con la tutela di interessi privati e degli stessi diritti personali del fallito; così
anche in motivazione, Cass.Civ, 13.3.69, n.1052, in Dir fall, 1969, II, laddove si motiva che lo
scioglimento del mandato per fallimento del mandante “è dato perché questo presuppone la
permanenza nel mandante di un potere di disposizione e di amministrazione che, in caso di
fallimento, viene automaticamente a cessare.”
In definitiva, il mandante versa in una condizione giuridica tale da
determinare un’impossibilità sopravvenuta della prestazione tanto da giustificare
l’effetto estintivo del mandato.
Quest’argomentazione è stata definita da altra autorevole dottrina
8
, “ellittica”
giacché si afferma che “ciò che non è dimostrato è che si tratti di un’impossibilità
permanente e definitiva che legittima l’estinzione del rapporto poiché l’inefficacia
dell’attività gestoria nei confronti della massa dura per definizione quanto dura la
procedura fallimentare e non oltre essa”.
Criticamente questa ha osservato che caratteristica del mandato, con o senza
rappresentanza, è la deviazione diretta o indiretta dei risultati nella sfera giuridica del
mandante e che in più, l'esecuzione del mandato si presenta come strumento di
attuazione di questa volontà o in ogni modo come attuazione dell’interesse del
mandante stesso. Ora se questa volontà, dopo la dichiarazione di fallimento, non può
più esplicarsi se non ai danni della massa, è logico ritenere che l’impedimento alla
prosecuzione del mandato operi automaticamente, qualunque sia lo strumento
adottato (attività personale del titolare o intermediazione di attività aliena).
Questa dottrina ritiene che siffatte considerazioni servano invece, solamente,
a spiegare l’inefficacia degli atti compiuti dal mandatario in violazione dell’art. 42
l.f., che prevede l’indisponibilità dei beni del fallito dalla data della sentenza
dichiarativa di fallimento e, si aggiunge, dell’art.44 l.f. che dichiara inopponibili al
fallimento tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti eseguiti dopo la
dichiarazione di fallimento, così convenendo con l’affermazione di chi ha ritenuto la
8
G. Zanarone, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Commentario Scialoja-
Branca, Legge Fallimentare, Bologna-Roma, 1979, art.78, p.274.
previsione dell’art.78 l.f. “pleonastica”
9
poiché non avrebbe aggiunto alcunché al
combinato disposto degli artt.42-44 l.f..
A quest’ultima affermazione si obiettato
10
che l’art.44 della l.f. ha una portata
ben diversa dall’art.78, giacché la prima, regola tutti gli atti compiuti dal fallito, i
pagamenti da questi ricevuti ed eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento,
dichiarandone l’inefficacia; la seconda invece regola non solo l’inefficacia di un atto
giuridico quale il mandato, ma la vera e propria estinzione del rapporto, con effetti
definitivi, attraverso la forma dello scioglimento.
In tale ottica, quindi, l’art.78 della l.f. non sarebbe un’inutile duplicazione
dell’art.44 l.f., ma semmai una sua specifica applicazione, imposta dalla necessità di
integrare il principio della prosecuzione dei contratti in corso della legge fallimentare
- salvo che questa comporti un danno per la massa - con le norme proprie dei singoli
contratti.
Alla dottrina che non si è limitata a denunciare, semplicemente, la palese
incongruenza del legislatore, individuando nella predetta inopponibilià, un’ipotesi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione da parte del mandatario, tale da
legittimare, secondo i principi generali, l’estinzione dell’intero rapporto
11
secondo
quanto già riportato, non è stato difficile obiettare che l’attività del mandatario, non è
giuridicamente impossibile in seguito al fallimento del mandante, poiché il
fallimento importa non la nullità dell’atto compiuto, ma semplicemente l’inefficacia
9
A. Candian, Il fallimento del mandante e la sorte del mandato cit., p.428.
10
N. Domenichini, Il Diritto Fallimentare, in AA.VV.Il fallimento collana diretta da Ivo Greco,
Milano, 1994, p. 628.
11
G. Oppo Mandato irrevocabile e vincolo di gestione nell’amministrazione controllata, in Riv. dir.
civ., 1961, I, p.32.
(relativa) di tale atto
12
, che secondo quanto già osservato dura, per definizione, solo
in costanza del fallimento e non oltre esso
13
; perciò, sarebbe più corretto parlare
dell’impossibilità di realizzare il presupposto fondamentale del mandato che si è
osservato risiedere nella deviazione degli effetti dell’attività gestoria nella sfera
giuridica del mandante.
14
Un’altra spiegazione fornita è stata quella di chi si richiama all’elemento
fiduciario che caratterizzerebbe il mandato come un contratto fondato sul cd. intuitus
personae che si configura, non solo con il conferimento dell’incarico da parte del
mandante ma, anche attraverso l’accettazione del medesimo da parte del
mandatario
15
: infatti, è evidente che il mandatario, con l’accettazione dell’incarico,
pone affidamento sulla persona del mandante e non si può ragionevolmente
pretendere che questo si estenda automaticamente al curatore, la cui funzione nel
fallimento, per opinione consolidata
16
è pubblica, a fianco degli altri organi del
fallimento, (giudice delegato e il tribunale fallimentare) come tale vincolato al
raggiungimento di un fine predeterminato, che consiste nel soddisfacimento degli
interessi dei creditori con il minor sacrificio possibile dei beni del debitore, tutelando
anche l’interesse generale dell’economia: in definitiva, terzo disinteressato ad un
rapporto di natura strettamente privatistico che non bisogna dimenticare ha efficacia
inter partes.
12
Tra gli altri, P. Pajardi, Diritto Fallimentare, Milano, 1993, p.293; S. Satta, Diritto Fallimentare,
Padova, 1996, p.148; G. De Semo, op. cit., p.242; G. Ragusa Maggiore, op. cit., p.158. In
giurisprudenza, in senso conforme Cass. 5.8.1949, n.2207 in Giur. Cass. Civ., 1950, III, p.1105; Cass.
13.7.1957, n.2847 in Giust. Civ., Mass., 1957, p.1086.
13
G. Minervini, op. cit., p, 219; G. Zanarone, op. cit., p.277.
14
A. Luminoso, op.cit. p.31.
15
G. Minervini, op. cit., p.217.
16
Tra gli altri, G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto Fallimentare, Padova, 1994, p.127; in
Giurisprudenza,. Cass. Civ 6.11.1987 n.8224, in Dir. fall. 1988, II,p. 217; Cass. 8.9.86 in Il fall.,
1987, p.155.
Quest’argomentazione che, a prima vista, sembrerebbe cogliere nel segno se
non si tenesse in considerazione quanto appena detto, tuttavia è debole perché nel
nostro ordinamento, a differenza di quello romano, ai sensi dell’art.1709 cod. civ., il
mandato si presume oneroso, quindi tranne i rari casi di mandato gratuito, l’intuitus
più che personale è di natura economica; quindi non più perseguibile in costanza del
fallimento per i principi che caratterizzano tale procedura.
Un altro contributo è giunto da autori
17
che hanno impostato l’indagine sul
fondamento logico dello scioglimento del mandato in caso di fallimento del
mandante, contrapponendo la norma dell’art.78 l.f. con la norma dell’art.72 della
stessa legge che prevede per la vendita la facoltà di subingresso del curatore,
interrogandosi sui probabili motivi che avrebbero indotto il legislatore fallimentare a
preferire l’ipotesi dello scioglimento ipso iure del mandato in luogo del subingresso.
Questi argomentano che “l’opzione legislativa per il subingresso della massa,
comporta una soluzione aberrante, perché l’esercizio dell’attività gestoria, è
intimamente connesso non solo la contemplatio domini del mandante, ma, quel che
più conta, alla visione che quest’ultimo ha dell’assetto, scopi e prospettive della
propria gestione patrimoniale nel momento in cui conferisce l’incarico. In caso di
fallimento, però, questa gestione patrimoniale è incompatibile con i fini propri della
procedura che ha una funzione essenzialmente liquidatrice del patrimonio del
fallito”, così convenendo anche con chi
18
ha asserito che la ragione tipica dello
scioglimento sta nell’incompatibilità fra il mandato, definito contratto avente natura
dinamica e la finalità tipicamente liquidatrice della procedura fallimentare.
17
G. C. M. Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano, 1969, p.373 e ss.; A. Jorio, I
rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Padova, 1973, p.162 ss.