2
tradizionale isolazionismo - gli Stati Uniti hanno condotto una
personale power politics affiancandovi, e spesso usandolo da
“copertura”, l’elevato principio dell’educazione alla democrazia
delle razze considerate sbrigativamente “inferiori”.
L’idea di exporting democracy assume così una veste diversa,
se collegata ad una cultura politica che ha fatto della
proiezione del proprio modello istituzionale un obiettivo
doveroso e permanente.
Le vicende storiche dell’America Centrale offrono uno dei
migliori esempi di come l’interesse nazionale americano abbia
vestito insoliti “abiti morali”, comodi e leggeri da indossare e
altrettanto adattabili alle circostanze.
La fascia mesoamericana ha vissuto all’ombra del potente
“Fratello del Nord” dalla sua indipendenza - poco più che
nominale - fino ad oggi. Guatemala, Honduras, El Salvador e
Nicaragua (il Costa Rica, ultima delle 5 Repubbliche
centroamericane, costituisce un’eccezione, non già per non
aver subito la forte influenza statunitense, quanto per aver
sperimentato prima, e con un certo grado di successo, forme
democratiche di governo) sono stati beneficiari di una serie di
politiche che, con nomi diversi, hanno inteso salvaguardare la
preminenza statunitense nell’area - proiettandola in tutto il
3
subcontinente - e mantenere un saldo controllo, economico e
politico, su un bacino di risorse storicamente proprio.
Dal canto loro, questi paesi hanno fornito il giusto teatro per
la cristallizzazione del dominio nordamericano e di un sistema
escludente, sopravvissuto proprio grazie alla assenza di
democrazia. Le oligarchie hanno costruito la loro fortuna
subordinandola al sistema economico statunitense. Le classi
politiche hanno sfruttato a proprio vantaggio la “tutela” di
Washington. I regimi dittatoriali sono stati facilitati nella loro
instaurazione da una cultura popolare che ha sempre esaltato
la figura militare, favorito le avventure personali, nonché
affidato ogni controversia alla forza delle armi.
Ma, anche quando il clima interno ha mostrato la
predisposizione a intraprendere un vero cammino
democratico, numerosi ostacoli ne hanno decretato
l’insuccesso. L’asservimento economico ha impedito uno
sviluppo indipendente, le oligarchie non hanno ceduto a
richieste che avrebbero minato i loro privilegi, i corpi militari
non hanno accettato una riduzione delle loro prerogative e
continuano ancora oggi a rappresentare attori importanti sulla
scena politica.
4
Tutti i tentativi di “imposizione della democrazia” - espressione
più adatta a definire l’azione statunitense nella fascia
centroamericana - si sono risolti in fallimenti.
L’era della Guerra Fredda è stata l’apice e il fondo della
politica di intervento americana. Dalla fine di quell’era - resa
pubblica giustizia alla illegalità delle covert actions - gli Stati
Uniti hanno dovuto iniziare a limitare la loro ingerenza e, non
a caso, i processi di pacificazione interna hanno finalmente
trovato un varco.
L’ondata di democratizzazione che, travolgendo il mondo
intero, ha toccato l ‘America Centrale, è stata salutata a
Washington come vittoria finale dell’azione statunitense, ma
appare legittimo sostenere che la democrazia sia germogliata
nonostante quest’ultima.
Resta da vedere quale sia l’eredità di un secolo di dominio e
se, davvero, gli Stati Uniti intendano far intraprendere ai paesi
centroamericani una via indipendente o se questi siano
destinati a rimanere clienti e tributari di un patrono che li ha
trasformati nel proprio “cortile di casa”.
5
CAPITOLO 1
GLI STATI UNITI E IL SUBCONTINENTE
1.1. USA : UNA STORIA UNICA. MANIFEST DESTINY,
DOTTRINA MONROE, COROLLARIO ROOSEVELT.
Per tutto l’Ottocento gli Stati Uniti si erano dedicati
all’espansione verso Occidente.
“Frontiera mobile”
1
aveva significato continua disponibilità di
terre libere, ampliamento del potere economico e politico e
consolidamento di quelle forme di mentalità collettiva e
istituzioni proprie della frontiera stessa, le cui radici
riposavano in individualismo ed egualitarismo con la loro
naturale appendice di strutture democratiche.
Diversi elementi contribuirono a rendere necessaria la
costituzione di una politica estera, fino ad allora non
necessaria ad un governo lontano dai conflitti di potere e
disinteressato a tutto quanto accadeva fuori dei confini
nazionali. La scomparsa della frontiera, una volta raggiunte le
1
Cfr. Aquarone A. (1973), cit. pag.17.
6
coste dell’Oceano Pacifico ; l’ascesa delle prime grandi
compagnie, alla ricerca di nuovi mercati e proficui
investimenti ; soprattutto, la diffusione di una cultura
caratterizzata, in un senso strettamente utilitaristico, dalla
volontà di allargare i propri spazi di manovra e, ad un livello
ideale, votata alla diffusione dei principi democratici di cui
l’America si sentiva culla.
L’opera del Commodoro Mahan
2
, inno al prestigio di una forte
marina mercantile e da guerra, diede forte contributo alla
politica che il futuro Presidente Theodore Roosevelt, suo amico
ed ammiratore, avrebbe inaugurato pochi anni dopo.
Il Destino Manifesto
3
, principio guida della colonizzazione dei
territori nordamericani, superò l’ambito del semicontinente.
Gli Stati Uniti erano separati dal resto del mondo, non da un
mero ostacolo geografico, l’Oceano Atlantico, ma da una
esperienza storica unica nel suo genere, che aveva reso la
nazione superiore : territorio privilegiato di libertà e
democrazia, patria di prosperità economica alla portata di
tutti e delle occasioni di innalzamento sociale aperte, senza
2
Cfr. Beyhaut G. (1965), Alfred Thayer Mahan scrisse nel 1890 The
influence of seapower upon history (1660/1793), saggio sull’importanza del
controllo delle vie di comunicazione, la superiorità delle potenze marinare
su quelle continentali e il legame tra potenza politica ed economica,
quest’ultima legata alla penetrazione commerciale (v. pag.166).
3
Ivi, “Manifest Destiny” è il titolo di un saggio - orgoglioso elogio
all’americanismo - scritto dallo storico John Fiske ed apparso sull’”Harpers
Magazine”, LXX (1885).
7
discriminazioni. In queste radici culturali trovarono
ispirazione la spinta imperialistica e la vocazione civilizzatrice,
le quali rendevano imprescindibili la conquista di nuovi
traguardi territoriali e la divulgazione del proprio modello
istituzionale. Alla piena coscienza di rappresentare la nazione
in cui, più che altrove, si erano raggiunti fondamentali
traguardi sociali, economici e politici, gli americani
associarono le necessità di una nascente superpotenza che,
affacciandosi sulla scena internazionale, assumeva una
responsabilità mondiale.
Elementi chiave quali progresso economico e forte sviluppo
industriale resero indispensabile la creazione di zone di
influenza e, soprattutto, determinarono nella sicurezza
nazionale e nella stabilità i principali obiettivi di politica
estera. In questa ottica, la presenza delle potenze
colonizzatrici europee nel subcontinente non era più
accettabile. Il sistema politico del Vecchio Continente differiva
in forma e contenuto da quello del Nuovo Mondo, e questa
estraneità, affiancata alla power politics esercitata nei
confronti dell’America Latina, offendeva i principi consolidati
8
della vecchia Dottrina Monroe
4
, madre naturale del Destino
Manifesto.
Gli Stati Uniti avrebbero “considerato ogni tentativo da parte
loro (le potenze europee) di estendere il loro sistema a
qualsiasi porzione di questo Emisfero, come pericoloso per la
nostra pace e sicurezza” e che “rispetto ai governi che hanno
dichiarato la loro indipendenza, e che l’hanno salvaguardata, e
la cui indipendenza noi abbiamo, con grande ponderazione e
sulla base di giusti principi, riconosciuta, non potremmo
vedere alcuna intromissione allo scopo di opprimerli, o di
controllare in qualsiasi altra maniera il loro destino, da parte
di nessuna potenza europea, sotto altra luce che quella della
manifestazione di un atteggiamento ostile nei confronti degli
Stati Uniti”
5
.
Il cuore del messaggio del Presidente James Monroe al
Congresso, del 1823, è la direttrice di una politica mai
abbandonata che ha potuto e saputo evolversi nel tempo,
trasformandosi, a cavallo tra i due secoli, da una concezione
difensiva ed esclusivista - difesa delle Repubbliche del Sud
dagli attacchi delle potenze europee - in una teoria
4
Sia questa Dottrina che il suo Corollario, pur essendo base della politica
di intervento americano, non hanno alcun fondamento legale né appaiono
in alcun trattato.
5
J. Monroe fu eletto Presidente degli Stati Uniti nel 1817 e riconfermato
nel 1920, cit. in Parsi V. E. (1998), pag.256/257.
9
dinamicamente interventista, di protezione attiva e preventiva
nei confronti dell’America Latina, e Centrale in particolare,
laddove si concentravano basilari interessi di natura
strategica ed economica. Contributo a questa evoluzione, il
famoso Corollario Roosevelt, datato 1904.
“L’adesione alla Dottrina Monroe può costringere gli Stati Uniti
(...) in casi flagranti di trasgressioni o impotenza, all’esercizio
di un potere di polizia internazionale”
6
.
Gli USA si autoproclamavano padroni dell’intero continente,
sul quale esercitavano il loro dominio completo ed esclusivo.
Abbandonato l’isolazionismo, la quasi totale inazione fuori dai
confini nazionali lasciò il passo, in quegli anni, ad un
attivismo ed un impegno dei quali non si ritroverà traccia,
almeno fino al secondo dopoguerra. La lotta per la conquista
acquisì un aspetto ben diverso dalla rapace avidità delle altre
potenze colonizzatrici. L’origine democratica del paese, l’indole
tollerante della popolazione e la sua avversione per le
avventure al di là della patria, contribuirono ad intridere
l’imperialismo americano di passione messianica, con continui
richiami al dovere di essere guida e maestro.
6
T. Roosevelt fu Presidente dal 1901 a 1908, cit. in Parsi V. E. (1998),
pag.225.
10
L’esordio fu la guerra ispano-americana del 1898
7
, la prima
combattuta contro una potenza europea e pietra miliare della
fine dell’isolamento continentale. Il conflitto, prima
applicazione dei principi di Mahan, scaturì sostanzialmente
da questioni economiche, ma l’atteggiamento adottato
dall’Amministrazione di Washington divenne copione per la
successiva linea di condotta in politica estera.
La responsabilità assunta - liberare Cuba dalla crudeltà e dal
dispotismo spagnoli - nascondeva ben altro. Il patriottismo
che aveva guidato la liberazione permise, attraverso
l’Emendamento Platt
8
, la creazione di un protettorato velato.
La facile vittoria dimostrò che la via del Destino Manifesto era
tracciata e che avrebbe potuto essere percorsa felicemente.
Cuba non sarebbe stata lasciata in mano ai rivoluzionari
locali, di cui gli Stati Uniti avevano una pessima opinione, ma
sarebbe stata “gestita” da un tutore che si assumeva l’impegno
7
Il Presidente William McKinley (eletto nel 1896, riconfermato nel 1900,
ma assassinato l’anno successivo) affermò di fronte al Congresso : “(...) E’
nostro specifico dovere (intervenire), perché tutto ciò accade proprio sulla
nostra porta (...) L’attuale situazione di Cuba rappresenta una costante
minaccia alla nostra pace”, cit. in Parsi V.E. (1998), pag. 224.
8
Cfr. Aquarone A. (1973), L’Emendamento riguardava il disegno di legge
sugli stanziamenti militari che autorizzava il Presidente McKinley a porre
fine all’occupazione militare una volta instaurato un governo legittimo.
Esso prevedeva la rinuncia a trattati con stati terzi che potessero
pregiudicare l'indipendenza dell'isola, la rinuncia ad autorizzare stati terzi
al possesso di beni e al controllo di porzioni del territorio, il riconoscimento
dell’intervento americano per la protezione e la salvaguardia interna,
nonché altre misure che riducevano Cuba ad una completa dipendenza
dagli Stati Uniti. Tra l’altro prevedeva l’installazione di una base americana
nell’isola, tuttora presente (Guantanamo Bay).
11
di educare una razza inferiore ad un governo responsabile.
Tale compito si armonizzava perfettamente con la cultura
politica dell’epoca : paternalista ed etnocentrica per vocazione,
anticolonialista per scelta ponderata.
L’imperialismo formale permetteva lo sfruttamento economico
senza sopportare le responsabilità di un classico dominio
coloniale. Il cammino era aperto per futuri interventi riparatori
in un paese preda del caos e impreparato all’indipendenza.
“Parlate con dolcezza e tenete pronto un randello : andrete
lontano”
9
.
Le parole del Presidente T. Roosevelt, che personalmente
aveva preso parte alla guerra per la liberazione di Cuba sotto
l’Amministrazione McKinley, dal quale aveva ereditato la
carica, furono prese alla lettera dai suoi successori. La politica
estera successiva cambiò nome, ma non cornice ideologica e
criteri operativi.
La “Big Stick Policy”, la “Diplomazia del Dollaro”
10
e
l’”Internazionalismo Wilsoniano” sono le diverse versioni di
9
E’ l’esplicita dichiarazione di quanto prevedeva il Corollario Roosevelt : la
Big Stick Policy, ovvero “Politica del Grosso Bastone”, cit. in Bayhaut G.
(1965), pag.167.
10
Cfr. Aquarone A. (1973), Le banconote dovevano servire alla
stabilizzazione economica dell’America Latina, questo il valore degli ingenti
investimenti di capitale statunitense. Il Presidente William Howard Taft - a
capo della Confederazione dal 1909 al 1912 - intendeva la diplomazia della
sua Amministrazione “caratterizzata dalla sostituzione dei dollari alle
pallottole”, cit. in Parsi V. E. (1998), pag. 222.
12
uno stesso disegno politico, mirante al mantenimento del
ruolo egemonico nell’Emisfero Occidentale alla cui logica non
si è sottratta nemmeno la “politica del Buon Vicinato” (che
d’altra parte ha usufruito della discrezione delle covert
actions
11
).
Gli Stati Uniti avevano definitivamente varcato la soglia della
“anarchica arena internazionale”
12
e iniziato una personale
politica di potenza, ben distinta da quella di matrice europea,
con un sapore democratico e panamericano - a coprire la
volontà di restare l’unica potenza al di qua dell’Atlantico - e
precedenti precisi, figli della Dottrina Monroe e dunque a
lungo negati nella loro evidenza, a spese del Messico e dei
nativi americani
13
.
11
Cfr. Ransom H. H., in Schraeder (1992), la definizione ufficiale di covert
action, data dalla CIA, è “una attività speciale condotta all’estero in
supporto degli obbiettivi di politica estera degli USA ed eseguita in maniera
tale da non risultare palese o pubblicamente conosciuto il ruolo del
governo americano (...) spesso offre agli Stati Uniti una opzione intermedia
tra l’azione diplomatica e quella militare” (cit. pag.113).
12
Cfr. Parsi V.E. (1998), Cit. pag. 253.
13
Ibidem, Sono le argomentazioni di Hans Joachim Morgenthau circa il
ruolo e l’azione - interna ed esterna - degli Stati Uniti i quali, con la loro
nascita, hanno decretato un cambiamento delle regole strutturali generali
del fare politica.
13
1.2. GLI STATI MESOAMERICANI E LA DEPENDENCIA.
Il Centro America fu un angolo quasi dimenticato del dominio
coloniale spagnolo, un’appendice che non ebbe una vera
guerra di liberazione, ma ne riprodusse le drammatiche
conseguenze : la ricerca dell’unità, un progetto adatto a
convertire una circoscrizione amministrativa coloniale in una
nazione, la controrivoluzione caudillista, la distruzione di una
nuova nazione e la nascita delle piccole tirannie.
Questi paesi, affrancati dalla dominazione spagnola, decisero
di non seguire il destino messicano
1
e tentarono di unirsi in
uno stato federale. Le Province Unite del Centro America
2
ebbero vita brevissima, le rivalità provinciali impedirono il
successo del progetto unitario.
Il vero ostacolo fu, però, il sistema istituzionale.
“Un governo generale con limitatissime attribuzioni e un
potere insignificante ... e cinque paesi poveri, popolati in
maggioranza da addensamenti limitati e distanti di masse
1
Cfr. Incisa Di Camerana L. (1994), Le province centroamericane, unite al
Messico sotto la dominazione coloniale spagnola, si distaccano dalla nuova
Repubblica al momento dell’emancipazione.
2
Ibidem, E’ il 1823, i paesi centroamericani si uniscono in un unico stato,
ma con un regime federale. La nuova Repubblica comincia con un
imbroglio : l’elezione alla Presidenza dell’intellettuale conservatore Josè
Cecilio del Valle viene annullata, a prendere il suo posto è il Generale
Manuel Josè Arce.
14
senza educazione intellettuale e politica ... un simile assetto
era il più adatto a creare bande chiamate partiti e ribellioni di
temerari caudillos”
3
.
Morazàn
4
, il libertador promotore del piano unificatore, venne
chiamato a combattere contro il caudillo Rafael Carrera.
Quest’ultimo si assicurò la vittoria, proclamando la
separazione del Guatemala. Le altre province presero strade
separate. Nel 1848 gli stati centroamericani sciolsero
ufficialmente l’Unione, così naufragò la naturale integrazione,
un progetto nazionale coerente.
Per una volta il “male” non era arrivato dagli intrighi
nordamericani : gli Stati Uniti avevano parteggiato per le
Province Unite contro lo schieramento secessionista filoinglese
di Carrera (la rivalità angloamericana per assicurarsi il
controllo nella zona era già realtà).
L’imperfetta struttura coloniale mostrò, con l’emancipazione,
le sue implicazioni : territori divisi, non comunicanti e, in ogni
caso, incompatibili. L’unica via per garantirsi una vita
3
La ricostruzione è dello storico Ramon Rosa, cit. in Incisa di Camerana L.
(1994), pag. 114.
4
Incisa di Camerana L. (1994), All’inizio, il “fratello minore dei libertadores”
(cit. pag.112) aveva combattuto per Salvador, Nicaragua ed Honduras
contro il Guatemala, unico paese della fascia mesoamericana favorevole a
seguire il Messico ; fu proprio l’élite guatemalteca, nel 1837, a chiamarlo
per combattere la ribellione indigena.
15
economica era quella oltremare, la stessa che condannò
all’asservimento economico alle potenze straniere.
All’esterno un regime semicoloniale : Stati Uniti e Inghilterra
già consideravano la possibilità di attraversare l’istmo nel suo
punto più stretto ; l’interesse strategico sul passaggio fece del
Centro America un premio ambito, mentre le prime grandi
compagnie puntavano allo sfruttamento diretto di quote di
territorio ricadenti sotto la sovranità delle cinque Repubbliche.
All’interno un regime feudale : pochi ricchi tendenti a
costruire democrazie limitate, censitarie ed elitiste, il cui
fondamento era l’esclusione sociale della massa. I grandi
proprietari terrieri, protagonisti della lotta di liberazione,
avevano combattuto per assicurarsi, al fianco del potere
economico, quello politico, detenuto dalla burocrazia coloniale.
Il vuoto di potere creato dalla scomparsa dell’ordine coloniale
provocò un’aspra lotta tra coloro che avevano partecipato alla
guerra e intendevano raccogliere i frutti della vittoria. Sul
campo erano schierati i conservatori guatemaltechi, forti
dell’appoggio delle alte gerarchie ecclesiastiche, e la coalizione
liberale guidata dal Salvador (tra i due paesi era da sempre
esistita un aspra contesa). La compagine antiliberale prevalse
nei frequenti e sanguinosi conflitti, almeno fino a quando