e contabile degli enti locali” e n. 286/1999: quest’ultimo in particolare, ha
finalmente eliminato le ambiguità teoriche ed operative derivanti dall’espressione
“controllo interno” introdotta dal d.lgs. n. 29/1993, differenziando gli strumenti a
disposizione della pubblica amministrazione in “controllo di regolarità
amministrativa e contabile”, “controllo di gestione”, “valutazione della dirigenza”
e “valutazione e controllo strategico”.
Tuttavia, nonostante l’azione di certezza e chiarificazione giuridica di
questo decreto, i problemi di interpretazione del ruolo del controllo di gestione
negli enti locali non sono stati affatto risolti.
Ciò è sicuramente causato dalle difficoltà di implementare un controllo
che vada oltre le analisi meramente contabili e finanziarie, cercando di
“ottimizzare, anche mediante interventi di correzione, il rapporto tra costi e
risultati”, ovvero introdurre un vero e proprio controllo direzionale, che sia in
grado di “guidare” l’azione politico-amministrativa verso gli obiettivi prefissati.
D’altra parte il processo di cambiamento che continua ad investire gli enti
locali insegna che le innovazioni richiedono a volte anche sacrifici, soprattutto
culturali: il sacrificio più grande per tutti gli operatori dell’amministrazione
pubblica consiste nel cambiare metodologia di lavoro, passando da una “cultura
della procedura” ad una “cultura del risultato”, e nell’imparare ad utilizzare nuovi
strumenti manageriali di razionalizzazione dell’azione politico-amministrativa.
Il controllo di gestione rientra soprattutto in questo contesto, ovvero aiuta
a concepire l’ente locale come un’istituzione che lavora per il cittadino-utente, che
ha il diritto di usufruire di servizi pubblici di sempre maggiore qualità e
complessità.
In sintesi, il governo locale ha ormai compreso, a livello politico e
burocratico, che per poter effettivamente erogare servizi pubblici di qualità, ed
agire in modo efficiente, efficace ed economico avendo a disposizione poche
risorse finanziarie e temporali, è assolutamente indispensabile incentrare il lavoro
complessivo sui “sistemi di programmazione e controllo interno”, anche in
funzione di un apprendimento organizzativo costante che coinvolga l’intera
struttura amministrativa dell’ente.
VII
INTRODUZIONE
Nell’ambito del generale dibattito sulla riforma dei sistemi di
programmazione e controllo interno, il presente elaborato ha lo scopo di
analizzare le principali innovazioni che hanno riguardato gli aspetti organizzativi,
funzionali e culturali della pubblica amministrazione locale.
In particolare, l’attenzione è rivolta al tema dell’implementazione del
controllo di gestione che rappresenta, a mio avviso, l’aspetto più rilevante di tutto
il processo di pianificazione, programmazione e controllo.
La tesi è suddivisa in due parti e si articola in cinque capitoli che
analizzano le principali innovazioni del controllo di gestione sotto un duplice
aspetto: da una parte quello normativo e teorico, e dall’altra quello pratico, ovvero
l’interpretazione delle norme riguardanti il controllo di gestione in concreta azione
amministrativa.
Il primo capitolo offre un’analisi dell’evoluzione storica e normativa degli
strumenti di valutazione gestionale, che parte dalla diffusione dei principi e delle
dottrine manageriali del New Public Management nelle pubbliche amministrazioni
di diversi Stati, ed illustra successivamente lo sviluppo normativo del sistema dei
controlli negli enti locali italiani, analizzando il processo di riforma avviato negli
anni Novanta con la legge n. 142/1990 ed i d.lgs. n. 29/1993 e n. 77/1995, fino ad
arrivare ai d.lgs. n. 286/1999, n. 267/2000 ed alla legge n. 131/2003.
Infine, il capitolo prende in considerazione gli aspetti più rilevanti del
grande processo di “aziendalizzazione” della pubblica amministrazione, ovvero di
traslazione dei principi e sistemi aziendali nel settore pubblico, in cui rientra
anche l’implementazione del controllo di gestione.
VIII
Nel secondo capitolo si analizzano i diversi aspetti teorico-metodologici
del controllo di gestione, considerando innanzitutto le finalità, l’architettura e le
fasi del processo di controllo direzionale ed illustrando, dal punto di vista della
teoria organizzativa, qual è il ruolo del controllo di gestione nell’insieme
dell’organizzazione dell’ente locale e nell’articolazione, formulazione ed analisi
dei processi decisionali, in particolare esaminando il rapporto tra controllo di
gestione, strategia politico-amministrativa dell’ente locale e controllo strategico.
Infine, vengono osservate le diverse possibilità organizzative che possono
realizzarsi all’interno della struttura amministrativa dell’ente in conseguenza
dell’implementazione di un sistema di programmazione e controllo, sempre dal
punto di vista della teoria dell’organizzazione.
Passando alla seconda parte della tesi, il terzo capitolo offre un resoconto
delle esperienze e pratiche di controllo di gestione sviluppate nei diversi contesti
istituzionali comunali e provinciali: in particolare, vengono esaminate le
differenze di implementazione tra il periodo precedente all’introduzione delle
norme relative ai controlli interni, ovvero dall'inizio degli anni Ottanta fino
all’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/1993, ed il periodo immediatamente
successivo all’emanazione dei d.lgs. n. 77/1995 e n. 286/1999, illustrando anche
le diverse configurazioni operative delle istituzioni coinvolte nel processo di
innovazione, e le differenze relative al territorio ed al periodo in cui gli enti locali
hanno avviato l’implementazione.
Nel quarto capitolo vengono considerate le diverse possibilità operative o
strategie di implementazione, equivalenti alle configurazioni che il controllo di
gestione può assumere a seconda della traduzione delle normative sui controlli in
concreta ed effettiva pratica amministrativa. A tal fine viene presentato il
contributo della sociologia della traslazione, la cui funzione primaria consiste
proprio nel capire come tradurre i principi e schemi teorici contenuti nelle norme
astratte per interpretarli in azione e prassi politico-amministrativa reale.
Successivamente vengono presi in esame elementi di particolare
rilevanza che subentrano all’interno degli enti locali ogniqualvolta vengono
diffusi strumenti di potenziale innovazione, come il processo di “gestione
IX
della conoscenza”, secondo cui la diffusione di informazione e conoscenza
innovativa permette alle organizzazioni non solo di cambiare e migliorare le
proprie capacità organizzative e di raggiungimento di risultato, ma contribuisce
altresì a percepire quali siano i problemi e gli errori riscontrati durante
l’azione politico-amministrativa, effettuando un’analisi degli scostamenti tra
quanto è stato programmato e quanto si è realizzato. In tal modo, mettendo in
discussione gli errori del proprio operato, è possibile contribuire
all’apprendimento organizzativo, favorendo lo sviluppo di innovazioni utili a
cambiamenti organizzativi e funzionali positivi.
Infine, vengono analizzati gli effetti concreti prodotti dall’implementazione
sull’assetto organizzativo, sulle routine, sui rapporti ed interrelazioni che si
sviluppano tra amministratori e dirigenti pubblici. Si illustrano quindi le
problematiche relative alle resistenze che gli strumenti manageriali
potenzialmente innovativi come il controllo di gestione possono incontrare
all’interno della struttura amministrativa dell’ente.
L’ultimo capitolo illustra una serie di esperienze e pratiche recenti di
controllo di gestione sviluppate in diversi comuni e province: in particolare,
nell’ultimo paragrafo vengono analizzate le implementazioni all’interno dell’Ente
Provincia di Torino e nei comuni di Settimo Torinese, Cuorgnè, Brandizzo,
Carmagnola, Rivoli, Moncalieri, Venaria Reale, Collegno, Chieri, Orbassano.
Questa ricerca è stata effettuata con l’ausilio di interviste, in modo da
ottenere la visuale più ampia ed approfondita possibile dell’argomento.
Per concludere, l’intento del lavoro complessivo sviluppato dalla tesi
consiste nel capire a che punto effettivamente si trovi l’implementazione del
controllo di gestione nell'ambito del grande processo di trasformazione che sta
attraversando la pubblica amministrazione locale. In particolare, si analizzano le
luci e le ombre di tutto il sistema di pianificazione, programmazione e controllo
negli enti locali, ovvero si cerca di svelare, per quanto sia possibile, le incognite e
i dubbi che assalgono sia gli addetti ai lavori, sia i cittadini-utenti di servizi
pubblici, ovvero: qual è effettivamente oggi il ruolo del controllo di gestione
nell’amministrazione di un governo locale? Qual è la sua reale funzione, anche in
X
prospettiva delle nuove sfide che gli enti locali dovranno affrontare con sempre
maggior tenacia e determinazione negli anni a venire?
Il controllo di gestione viene effettivamente utilizzato ai fini di
miglioramento dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione politico-
amministrativa e della qualità dei servizi pubblici? Gli enti locali riusciranno
davvero a realizzare la soddisfazione dei bisogni della comunità avvalendosi
anche degli strumenti di programmazione e controllo? Il controllo di gestione è
davvero uno strumento di controllo direzionale, in grado di correggere l’azione
politico-amministrativa verso il raggiungimento di indirizzi politici ed obiettivi
gestionali?
A queste e a tante altre domande, tutti gli enti locali dovranno ad ogni modo
rispondere, se vorranno davvero trovare la via dell’innovazione e del cambiamento
organizzativo.
XI
PARTE I
PRESUPPOSTI STORICI E TEORICI
CAPITOLO 1
LA VALUTAZIONE DELLA GESTIONE E IL SISTEMA
DEI CONTROLLI
1.1 La rilevanza della valutazione della gestione
Il concetto di valutazione della gestione si inserisce in un contesto di
analisi organizzativa, che prende in considerazione il ruolo svolto dalle
organizzazioni nel loro lavoro di conseguimento dei rispettivi compiti ed obiettivi
(Morisi e Lippi, 2001; Anthony e Young, 1992; Zan, 1988; Hatch, 1999).
Con il termine “gestione”
1
si intende generalmente il funzionamento
delle organizzazioni nello svolgimento delle loro attività: per quanto riguarda i
compiti di un comune questi possono essere l’amministrazione di una biblioteca,
la manutenzione di una strada o di un asilo nido; mentre nel caso delle imprese
private, la gestione può coincidere con la dotazione, all’interno di processi
produttivi flessibili, di strumenti informatici e tecnologici all’avanguardia per
mantenere elevata la competitività nei confronti delle imprese concorrenti
(Anthony e Young, 1992; Rebora e Meneguzzo, 1990; Azzone e Dente, 1999).
1
Il termine “gestione” è la traduzione letterale del termine anglosassone management, derivante
dal verbo “to manage”, che significa contemporaneamente “gestire, dirigere, amministrare” e dal
verbo latino “gerere”, che significa appunto dirigere, guidare e coordinare un’azione. Tuttavia,
questo significato di “gestione” è sempre meno adeguato rispetto alle condizioni in cui le
organizzazioni crescono e vivono quotidianamente, sempre sottoposte alle complesse dinamiche
della globalizzazione economica ed informativa. Di conseguenza, le organizzazioni tendono
sempre più ad assumere un concetto di gestione appropriato alle influenze ed interconnessioni
provenienti dall’ambiente esterno, in modo tale da considerare l’interazione e lo scambio costante
di informazioni e risorse tra diverse organizzazioni. La gestione viene quindi sempre più
considerata come un “servizio alla collettività”, ovvero come una prestazione offerta ad una
poliedrica realtà sociale, definita da un particolare ambiente storico, naturale, sociale ed
economico. Inoltre maggiore attenzione è rivolta alla funzione di gestione che tende a contribuire
“al miglioramento della qualità dei servizi offerti”, tenendo in considerazione i bisogni effettivi
della comunità e dell’ambiente esterno e assumendo “responsabilità di comportamento e risultato”
nei confronti della collettività. Infine, gestire significa anche “amministrare il cambiamento”,
ovvero dotare l’organizzazione di una flessibilità operativa adeguata alle innovazioni provenienti
dall’ambiente esterno (Zan, 1988; Rebora e Meneguzzo, 1990; Hatch, 1999; Gherardi, 1985).
2
Il termine “valutazione” invece ha un’accezione molto più ampia
2
, ma
riferendosi specificatamente alla gestione delle organizzazioni, essa assume il
significato di “monitoraggio dell’efficienza, efficacia, economicità e qualità delle
prestazioni e azioni organizzative orientate verso obiettivi specifici, in modo tale
da misurare gli scostamenti tra ciò che è stato programmato ed i risultati che
l’organizzazione ha effettivamente conseguito” (Righettini, 1997; Lippi, 2001;
Palumbo, 2001; Stame, 1998; Rebora, 1996, 1999a; Macrina, 2001).
Considerando il caso di un ente locale, il miglioramento della qualità della
vita dei cittadini, lo sviluppo economico e sociale del territorio e l’aumento della
trasparenza dell’attività politico-amministrativa dell’ente, rendendo il cittadino
consapevole ed informato delle scelte politiche e strategiche di lungo e breve
periodo, dovrebbero essere gli elementi principali della missione di
un’amministrazione pubblica locale, che consentirebbero con ogni probabilità di
affrontare le pesanti sfide e difficoltà cui la collettività è sottoposta con sempre
maggiore frequenza (Rebora e Meneguzzo, 1990; Anthony e Young, 1992;
Borgonovi, 1996; Camarda, 2003; Morigi, 2004).
Questa missione può essere perseguita essenzialmente in due modi.
Da una parte, considerando il caso di un ente locale ideale e perfetto, è
possibile erogare a dismisura la spesa dell’amministrazione locale per introdurre
nuovi servizi e migliorare la qualità di quelli esistenti, per poter distribuire ed
allocare maggiori risorse alla propria collettività migliorandone così il benessere, e
2
Con il termine generico di valutazione si abbraccia un percorso storico di ricerca che ha
progressivamente preso piede nelle scienze contemporanee. Da questo punto di vista, la
valutazione non costituisce un filo omogeneo di contributi o una letteratura specializzata, quanto
un approccio metodologico comune ai problemi del rendimento organizzativo. Di conseguenza, la
valutazione intesa in senso generale può essere definita come un’“attività cognitiva rivolta a
fornire un giudizio su un’azione o un complesso di azioni coordinate, intenzionalmente svolta o
che si intende svolgere, destinata a produrre effetti esterni, che si fonda su attività di ricerca delle
scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili”. Tuttavia, si sta diffondendo con
sempre maggiore insistenza il collegamento tra attività di valutazione e processo di formulazione
ed analisi dei processi decisionali. In tal modo, la policy analysis trova nella valutazione lo
strumento più adatto per misurare l’efficacia degli interventi delle politiche pubbliche: in tal senso,
la valutazione viene intesa come “un’attività di ricerca sociale che ha il compito di produrre
giudizi sui risultati di una politica e/o sui processi di elaborazione e di attuazione, attraverso
comparazioni con criteri espliciti o impliciti; il suo obiettivo è di contribuire al miglioramento
delle modalità di intervento pubblico” (Palumbo, 2001; Stame, 1998; Morisi e Lippi, 2001).
3
per informare e coinvolgere, attraverso iniziative di comunicazione e rilevazione
sul campo. Ovviamente si tratta di un modello ideale di amministrazione locale,
che dispone di tutte le risorse umane, finanziarie, e tecnologiche necessarie
per la realizzazione degli obiettivi prefissati e per soddisfare le esigenze della
collettività (Macrina, 2001; Bruzzo e Morigi, 1987; Anthony e Young, 1992;
Borgonovi, 1996; Anthony e Young, 1992; Merchant e Riccaboni, 2001).
Dall’altra parte come è facile prevedere, gli enti locali, così come la
maggioranza delle organizzazioni, hanno a disposizione poche risorse economiche
e temporali per il raggiungimento dei loro obiettivi istituzionali, e di conseguenza
è necessario ed indispensabile introdurre strumenti di razionalizzazione della
spesa pubblica, nonché metodologie di programmazione, valutazione e controllo
gestionale (Bruzzo e Morigi, 1987; Garlatti e Pezzani, 2000; Bondonio e Volpatto,
1981; Volpatto, 1987a, 1987b; Borgonovi, 1996; Camarda, 2003; Morigi, 2004).
Nel caso di un ente locale reale quindi, è possibile gestire con efficacia e
produttività le scarse risorse disponibili, che sono distribuite tra più
organizzazioni ed amministrazioni pubbliche diverse. A tal fine, per raggiungere
efficienze operative significative è necessario integrare queste risorse e renderle
sinergiche, intervenendo sul ruolo profondo dell’amministrazione locale in tutti i
suoi aspetti: sui rapporti e relazioni con i cittadini, con le attività produttive, con le
altre amministrazioni pubbliche, con la società civile, i gruppi di interesse e con
gli altri livelli istituzionali di governo regionale, centrale o europeo (Rebora e
Meneguzzo, 1990; Rebora, 1988; Volpatto, 1987a; Scognamiglio e AA.VV.,
2000; Zuliani, 1993; Mazzara, 2003; Vandelli, 1997, 2000; Persiani, 2002; Morisi
e Lippi, 2001; Morigi, 2004; Camarda, 2003; Freddi, 1989; Zan, 1988).
E’ quindi necessario coordinare l’insieme degli attori che agiscono sullo
stesso territorio, per focalizzare le risorse su obiettivi importanti e rendere le
diverse azioni intraprese dai vari attori più coerenti e razionali (Balducci, 1997,
2000; D’Amico, 1992, 2001; Hatch, 1999; Vandelli, 1997, 2000; Gherardi, 1985).
Coniugare obiettivi strategici ambiziosi e risorse scarse presuppone di
perseguire la propria missione istituzionale con un’attenzione estrema alla reale
efficacia degli investimenti ed efficienza dell’azione operativa. Ciò si traduce
4
nella necessità per l’ente locale di una profonda trasformazione culturale,
organizzativa, tecnologica, ma soprattutto nella capacità di gestire in senso
manageriale la propria organizzazione (Lippi, 2001; Compagno, 1999; Profili,
2004; Argyris e Schön, 1998; Battistelli, 1998, 2002; D’Albergo e Vaselli, 1997;
Fedele, 1998; Bifulco e De Leonardis, 1997; Rebora, 1988; Volpatto, 1987a).
Ciò significa anche sfruttare le opportunità fornite dalle norme di
“razionalizzazione” e miglioramento dell’attività politico-amministrativa
3
, che
definiscono strumenti per diffondere nuovi atteggiamenti e comportamenti nel
personale della pubblica amministrazione locale, disancorandolo
dall’immobilismo che ancora oggi è una caratteristica diffusa nella gestione delle
risorse pubbliche, e incentivando l’acquisizione e sviluppo di tecniche o
metodologie manageriali potenzialmente innovative. Da questi presupposti può
realizzarsi una situazione nella quale, a fronte di enti caratterizzati da una forte
complessità organizzativa e gestionale, legata al grande numero di servizi e
procedimenti, la pubblica amministrazione locale utilizzi un sistema manageriale
ipersemplificato o adempimentale, con una prevalenza dell’uso indiscriminato del
sistema burocratico
4
, efficiente per alcune funzioni dell’ente ma inefficace per la
gran parte delle attività (Macrina, 2001; Camarda, 2003; Persiani, 2002).
Inoltre, se davvero si vuole considerare un ente locale come una vera e
propria “azienda”
5
, è bene sottolineare che nessuna azienda privata potrebbe
sopravvivere utilizzando un sistema amministrativo così poco equilibrato
(Borgonovi, 1996; Anselmi, 2003; Farneti, 2002). E’ necessaria quindi una
profonda trasformazione culturale ed organizzativa che coinvolga la struttura
amministrativa dell’ente locale nel suo complesso, come conseguenza del
disequilibrio esistente tra l’organizzazione locale ed il suo ambiente (Rebora e
Meneguzzo, 1990; Rebora, 1988, 1999b; D’Albergo e Vaselli, 1997).
3
Rimando al paragrafo 1.3.
4
Per “sistema burocratico” si intende la definizione di norme e procedimenti ed il controllo
esclusivo sul rispetto e regolarità amministrativa e giuridica di queste (Persiani, 2002; Righettini,
1997; Cassese, 1993, 1994; Freddi, 1989; Melis, 1996, 1998).
5
Rimando al paragrafo 1.4.
5
Esiste oggi un disequilibrio lampante, anche se tende ad attenuarsi
progressivamente con il passare del tempo, tra l’Ente comunale o provinciale ed il
gruppo sociale degli amministrati (Macrina, 2001; Morigi, 2004; D’Albergo e
Vaselli, 1997; Vandelli, 1997, 2000). Il Comune o la Provincia hanno in definitiva
una relazione con il loro ambiente molto più forte e consolidata di qualsiasi
azienda privata con il proprio mercato di riferimento: di conseguenza essi sono
sottoposti a numerose spinte innovative di cambiamento che possono provenire
sia dall’interno, sia dall’esterno dell’organizzazione. In entrambi i casi si assiste al
riconoscimento di un insufficiente grado di efficienza, efficacia del sistema e
qualità dei servizi erogati, e di conseguenza si tenta di apportare delle modifiche
sostanziali e concrete alla procedura di combinazione dei fattori e risorse
produttive dell’ente locale (Zuliani, 1993; Lippi, 2001; Borgonovi, 1996).
Ogni ente sta attivando, più o meno consapevolmente, le strategie
organizzative che gli consentano di affrontare il cambiamento dell’ambiente, cioè
di adattarsi ad esso ma anche di influenzarlo a sua volta (Rebora e Meneguzzo,
1990). Tra queste strategie rientrano senza dubbio tutti gli strumenti di
innovazione manageriale, tra cui anche la valutazione della gestione (Morisi e
Lippi, 2001; Camarda, 2003; Volpatto, 1987a, 1987b).
La valutazione della gestione concorre alla diffusione dell’innovazione e
del cambiamento, nella misura in cui essa crea e sviluppa un ritorno informativo o
processo di feed-back
6
sui risultati delle attività e sull’impiego delle risorse
umane, finanziarie, tecnologiche utilizzate dalle strutture organizzative per
raggiungere gli obiettivi insiti nei compiti fissati di volta in volta dall’organo di
governo dell’organizzazione coinvolta. Grazie agli strumenti di valutazione
gestionale è possibile quindi capire in quale misura le prestazioni e il grado delle
performance raggiunte da una determinata organizzazione contribuiscano al
6
Rimando ai capitoli 2 e 4. Il processo di feed-back è strettamente connesso con il tema
dell’apprendimento organizzativo, nella misura in cui la valutazione della gestione produce un
ritorno informativo di dati e informazioni, e favorisce un processo di retroazione sull’attività
complessiva dell’organizzazione. Essa acquisisce indicazioni utili agli attori coinvolti per
rivalutare il proprio operato e capire effettivamente quali errori sono stati commessi durante una
data operazione organizzativa. In questo senso, il processo di feed-back può essere utile soprattutto
per imparare a conoscere meglio i limiti funzionali e strutturali dell’organizzazione ai fini di un
miglioramento dell’attività (Argyris e Schön, 1998; Righettini, 1997; Fedele, 1998).
6
raggiungimento dell’obiettivo dato (Anthony e Young, 1992; Righettini, 1997;
Borgonovi, 1996; Rebora, 1996, 1999a; Zan, 1988; Hatch, 1999; Tanese, 2002;
Argyris e Schön, 1998; Morisi e Lippi, 2001). Di conseguenza, l’attenzione di
attori coinvolti nel processo di valutazione della gestione è centrata sui vari tipi di
rendimento
7
che un’organizzazione dimostra nel perseguimento dei differenti
obiettivi che sono stati fissati antecedentemente (Lippi, 2001; Borgonovi, 1996;
Garlatti e Pezzani, 2000; Anselmi, 2003; Farneti, 2002; Tanese, 2002).
In sostanza, la valutazione della gestione svolge nei confronti
dell’organizzazione amministrativa una funzione di rendicontazione nei confronti
degli attori coinvolti nel processo politico-amministrativo, fornendo loro un
sistema di indicatori che informano sul funzionamento dell’amministrazione
utilizzando determinati input, e comunicando loro conoscenze su vari aspetti
decisionali, quali i tempi di svolgimento delle attività, la soddisfazione dei
destinatari ed il consumo delle risorse. Lo scopo di questi indicatori consiste
nell’indirizzare gli operatori al miglioramento della loro attività, e quindi
allo sviluppo quantitativo e qualitativo degli output della gestione, ovvero dei
risultati di un’attività amministrativa, tenendo in considerazione anche gli
outcome dell’azione di governo ovvero gli impatti di un generico intervento
pubblico successivi alla sua realizzazione
8
(Brunetti, 1992; Morigi, 2004; Farneti,
7
Per “rendimento di un’organizzazione” o performance si intende l’analisi dell’efficienza e
dell’efficacia dell’attività organizzativa, considerando la prestazione effettuata in termini di risorse
utilizzate, e differenze tra risultati raggiunti ed obiettivi che si voleva perseguire, misurando anche
gli impatti esterni dell’azione organizzativa. Il rendimento di un’istituzione viene calcolato
considerando il grado di “utilità” che l’azione organizzativa è in grado di sviluppare su una
collettività di riferimento, esaminando anche il rapporto tra costi sostenuti e benefici ottenuti
(Lippi, 2001; Rebora, 1999c; Borgonovi, 1996; Stame, 1998; Palumbo, 2001; Tanese, 2002;
Anthony e Young, 1992; Capano e Giuliani, 1996).
8
Più specificatamente, per “input” si intende l’insieme delle risorse a disposizione per
l’attivazione di un intervento pubblico di qualsiasi tipo, in termini di decisione, programma
operativo, norme, risorse finanziarie, regolamenti, personale, struttura organizzativa, tecnologie
informatiche, legittimazione politica e comunicazione. Con il termine “output” invece, si vuole
indicare il complesso dei “prodotti” o “risultati” che corrispondono all’esito della trasformazione
degli input attraverso i processi e le procedure organizzative. Gli output possono comprendere
beni, servizi pubblici, regole, concessioni, autorizzazioni, atti amministrativi, trasferimenti
finanziari, incentivi, comunicazioni ed informazioni, ecc... Infine gli “outcome” corrispondono agli
“effetti”, “impatti” o “esiti”, tangibili ed intangibili, di un determinato intervento di politica
pubblica sui loro destinatari. In particolare, la misurazione dell’impatto di una politica pubblica
può essere utile per rilevare l’effettiva efficacia del processo decisionale, ovvero la sua capacità di
7
2002; Mazzara, 2003; Merchant e Riccaboni, 2001; Camarda, 2003; Anthony e
Young, 1992; Bobbio, 1996; Borgonovi, 1996; Garlatti e Pezzani, 2000).
In ultima analisi, è possibile definire la valutazione della gestione come
l’insieme diversificato di strumenti, metodi e tecnologie di direzione e di governo
dell’amministrazione, mirati a fornire un ritorno informativo ai vertici decisionali
dell’organizzazione, in funzione di una verifica attraverso apposite e mirate
misurazioni degli output dell’azione amministrativa e della successiva
programmazione (Volpatto, 1987b; Bruzzo e Morigi, 1987; Farneti, 2002;
Dipartimento Funzione Pubblica, 2001; Macrina, 2001).
1.2 L’evoluzione storica della valutazione della gestione.
Le riforme “managerialiste” e il New Public Management
La nascita e lo sviluppo dei sistemi di valutazione gestionale si sono
verificati nel contesto delle imprese nel secondo dopoguerra, con l’affermazione e
il declino dei regimi di produzione industriale fordisti
9
, e conoscendo la massima
espansione a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta (Morisi e Lippi, 2001; Regini,
1988; Piore, 1987; Ancona, 1980). L’origine degli strumenti di valutazione della
gestione è senza dubbio da collocarsi all’interno del mondo industriale, in un
periodo storico durante il quale le imprese stavano progressivamente ampliandosi
e necessitavano di più sofisticati strumenti di verifica della gestione a causa
modificare la condizione indesiderata che ne costituisce la premessa. In sintesi, gli outcome si
rilevano necessari per la valutazione dei risultati conseguiti da un determinato intervento di policy
in relazione agli obiettivi prefissati (Morisi e Lippi, 2001; Capano e Giuliani, 1996; Palumbo,
2001; Stame, 1998; Bobbio, 1996).
9
Con il termine “fordismo” si vuole indicare un insieme di regole riguardanti l’organizzazione
della produzione e del lavoro industriale, gli obiettivi dell’attività produttiva e le modalità di
risoluzione dei conflitti che caratterizzarono uno stadio del capitalismo contemporaneo.
In particolare, l’accezione del termine deriva dall’industriale Henry Ford, che nel 1913, nelle sue
officine automobilistiche di Detroit, introdusse la sperimentazione della prima catena di
montaggio della storia del capitalismo: un’innovazione rivoluzionaria, che consentiva di ridurre
notevolmente i tempi di lavoro, aumentando il livello di produttività e mantenendo i salari
relativamente più elevati rispetto alle industrie concorrenti. Successivamente il fordismo sviluppò
diverse metodologie di meccanizzazione, standardizzazione e razionalizzazione della produzione
grazie alla diffusione dei “principi tayloristici”, introdotti dall’ingegnere statunitense Frederick W.
Taylor (Gramsci, 1978; Taylor, 1967; Chandler, 1987).
8