Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 2
piogge acide, il clima, le emissioni di CFC e di CO
2
, gli inquinamenti del Mediterraneo
ecc. (Bresso M., 1993).
Figura 1.1: Schema per lo sviluppo sostenibile, tratto da: “Programma politico e
d’azione a favore dell’ambiente e a favore di uno sviluppo durevole e
sostenibile”, (Fonte: CEE, Bruxelles, 1992).
Ma come è possibile armonizzare la crescita economica con uno sviluppo che al
tempo stesso rispetti le esigenze dell’ambiente e delle future generazioni? Secondo
(Brundtland G.H., 1988) esiste una sola strada ed è quella di delineare strategie di
progresso che portino ad una maggiore prosperità nel senso più ampio del termine
arricchendo l’ambiente e la vita di miliardi di persone. Obiettivi di queste strategie di
Ubicazione
Licenze di esercizio
Controlli dell’inquinamento
Audit ambientale
Sviluppo tecnologico
Politica dei prodotti
Gestione dei rifiuti industriali
Pianificazione del territorio
Pianificazione delle
infrastrutture
Gestione del traffico
Controllo inquinamento da
autoveicoli
INFORMAZIONE
ISTRUZIONE
FORMAZIONE
VALUTAZIONE
E
TARIFFAZIONE
RICERCA
GESTIONE DELLA
MOBILITÀ
PRODUZIONE E
SERVIZI
SVILUPPO SOSTENIBILE
GESTIONE DELLE
RISORSE
Controllo della qualità dell’aria
Gestione delle risorse idriche
Conservazione della qualità del terreno
Conservazione della natura e del
paesaggio
Sicurezza ed efficienza energetica
Gestione demografica
Gestione dei rifiuti
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 3
progresso sono la suddivisione delle risorse in modo che tutti i popoli possano godere di
livelli di vita accettabili, il passaggio dall’approccio “usa e getta” a quello “dalla culla
alla tomba” che presuppone l’incremento di prodotti durevoli e riciclabili, il passaggio
dalle fonti energetiche non rinnovabili a quelle rinnovabili e l’accelerazione dello
sviluppo di tecnologie che consentano un utilizzo efficiente dell’energia, il
trasferimento di risorse tecnologiche e finanziarie ai Paesi in via di sviluppo (Brera A.,
1994).
Una società può compromettere in vari modi la propria capacità di soddisfare in
futuro i bisogni essenziali dei suoi membri, per esempio sfruttando eccessivamente le
risorse.
Lo sviluppo tecnologico può dare soluzione ad alcuni problemi immediati, ma
aprirne di ancora maggiori. Ampi settori della popolazione possono essere emarginati
da uno sviluppo male inteso. Numerosi interventi umani sui sistemi naturali (deviazioni
di corsi d’acqua, estrazione di minerali, immissione di gas nocivi nell’atmosfera ecc.)
oggi sono assai più incisivi quanto a scala e impatto, e rappresentano una grave
minaccia per i cicli ecologici alla base della vita sul piano sia locale sia planetario.
Occorre che questo non si verifichi più. Uno sviluppo sostenibile deve perlomeno non
apportare danni ai sistemi naturali, che costituiscono la base della vita sulla Terra, vale a
dire l’atmosfera, le acque, il suolo e gli esseri viventi. Non esistono precisi limiti alla
crescita in termini di popolazione o uso di risorse, superati i quali si ha il disastro
ecologico. Per il consumo di energia, materie prime, acqua e terra valgono limiti
differenti; molti di essi si manifestano in forma di costi crescenti e profitti calanti,
anziché in forma di un’improvvisa scomparsa di una base di risorse. Per quanto riguarda
le risorse non rinnovabili, come combustibili fossili e minerali, il loro uso riduce le
riserve di cui le future generazioni potranno disporre. Ciò però non significa che tali
risorse non vadano usate. Nel caso di minerali e combustibili fossili, il ritmo di
diminuzione e l’importanza da attribuire al riciclaggio e all’economia d’uso andrebbero
calibrati in modo da assicurare che la risorsa non si esaurisca prima che siano
disponibili sostituti accettabili. In sostanza, lo sviluppo sostenibile è un processo di
cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, l’andamento degli investimenti,
l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in reciproca
armonia e incrementano il potenziale attuale e futuro di soddisfazione dei bisogni e
delle aspirazione umane.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 4
Ritornando alle tematiche energetiche è essenziale trovare al più presto un accordo su
un sistema di prezzi dell’energia che tenga conto dei costi ambientali.
Un altro aspetto fondamentale è il rispetto del principio “chi inquina paga”. Uno dei
modi per tradurlo in pratica, afferma Brundtland, consiste nel rendere più costosi i
consumi non sostenibili (Brundtland G.H., 1988).
1.2 LA SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE E FUTURA
L’energia elettrica è il vettore energetico che, grazie alla sua versatilità nell’uso,
alla sua facilità di trasporto e alle sue caratteristiche d’impatto ambientale, già da tempo
risulta essere fondamentale per la vita e lo sviluppo della società industriale.
Non è infatti immaginabile che le necessità energetiche odierne e soprattutto
quelle future del settore industriale, di quello terziario e di quello civile possano essere
soddisfatte svincolandosi da tale forma energetica.
Considerando un rendimento di conversione che oggi non supera il 40%, se si
passa alla domanda globale di energia primaria, si prevede un passaggio dagli 8,5
GTep/anno (= 3,56 10
17
kJ/anno) del 1990 ai 13,5 GTep/anno nel 2020 fino a
raggiungere i circa 20 GTep/anno nel 2050; tuttavia tale crescita potrebbe anche essere
più forte, visto che gli esperti affermano che tale previsione del WEC è molto
ottimistica [1].
Tale ipotesi di incremento dei consumi in un arco di tempo relativamente ristretto
unita alla forte dipendenza energetica dall’area del Medio Oriente, la cui situazione
politicamente e militarmente instabile porta ad una continua oscillazione dei prezzi
(figura 1.2), e agli standard ristretti per quello che riguarda le emissioni, porta a dedurre
la necessità, nel campo della produzione di energia elettrica, di un maggiore ricorso alle
risorse rinnovabili, ma soprattutto ad uno sfruttamento delle fonti fossili tradizionali più
efficiente e con una più alta compatibilità ambientale.
Le riserve disponibili
1
di combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone)
sono gradualmente aumentate negli ultimi vent’anni, raggiungendo i valori attuali di
600 GTep
2
per il carbone e di circa 140 GTep per il petrolio e il gas.
1
Le riserve sono le quantità di combustibile che si è determinato essere presenti in giacimenti noti e che
sono estraibili a costi che le rendono economicamente interessanti.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 5
La produzione e il consumo mondiale di combustibili sono anch’essi cresciuti: tra
il 1980 e il 2000 la produzione di carbone è aumentata del 20,6%, quella del petrolio del
5,7% e quella del gas naturale del 41,7%.
Il rapporto tra riserve e produzione annuale, espresso in anni, indica la durata delle
riserve note a una certa data, senza ritrovamenti e rivalutazioni, se la domanda
rimanesse invariata.
Figura 1.2: Costruito sulla base del Department of Energy’s, Office of the Strategic
Petroleum Riserve. Fino al 1973 i prezzi si riferiscono al Saudi Light,
successivamente si fa riferimento alle medie mensili relative a “Refiner’s
Acquisition Cost of imported Crude Oil”, Fonte EIA settembre ’01.
Anche se non si notano diminuzioni di questo rapporto negli ultimi decenni (220
anni per il carbone, 60 per il petrolio e 40 per il gas naturale), questo tipo di risorse non
si rinnova in tempi storici ed è quindi finito. E’ previsto un esaurimento fisico delle
risorse, comunque in tempi tali da permettere lo sviluppo di fonti di energia alternative.
I combustibili fossili sono tuttora la fonte energetica dominante a livello mondiale.
Il petrolio contribuisce per il 38% al totale del fabbisogno energetico (in lieve
2
1 Mtep = milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Una tonnellata equivalente di petrolio (tep)
corrisponde a 107 Kcal o 41,86 GJ. 1Gtep è 1000 Mtep, cioè un miliardo di tonnellate.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 6
diminuzione). I combustibili solidi, essenzialmente il carbone, forniscono il 25% del
totale (mantenendosi costanti), mentre il gas naturale, al 20% circa, è la fonte primaria il
cui contributo è cresciuto più rapidamente.
Anche nel caso dell’intensità energetica, definita come il rapporto tra l’energia
consumata in un Paese e il suo prodotto interno lordo (dà una misura dell’efficienza con
cui l’energia viene utilizzata), per un confronto significativo si deve tenere conto del
grado di sviluppo e delle condizioni contingenti di ogni Paese. A livello mondiale, il
PIL è cresciuto assai più del consumo energetico, riducendo il valore dell’intensità
energetica.
Inoltre, in base ai programmi nazionali della Comunità Europea circa la
riduzione delle emissioni dei gas serra, come l’anidride carbonica, il metano ed il
protossido di azoto, programmi stilati successivamente agli accordi internazionali di
Kyoto, si prevedono interventi di modernizzazione e protezione dell’ambiente che
comprendono incrementi nello sfruttamento energetico delle biomasse e dei residui con
contenuto energetico rilevante.
1.2.1 IL PANORAMA ENERGETICO EUROPEO
La produzione di energia primaria nei Paesi dell’Unione Europea è cresciuta da
606,3 MTep nel 1980 a 791,4 MTep nel 2000. Questo aumento è dovuto principalmente
all’energia nucleare, al petrolio e, in minor misura, al gas naturale; mentre è fortemente
diminuita la produzione di carbone.
Nel 2000 le fonti rinnovabili hanno contribuito per 82 MTep: un terzo derivante
dall’energia idroelettrica ed eolica; mentre il maggior contributo è fornito dalla
biomassa, i valori più elevati sono quelli della Francia e della Svezia.
A livello europeo i consumi energetici totali sono passati da 1241 MTep nel 1980-85 a
1409 MTep nel 2000, con un incremento del 14% circa.
Il consumo energetico pro capite è leggermente salito ad un valore di 3,68 Tep/abitante
anno nel 2000. In Italia il consumo per abitante dal 1980 al 2000 è cresciuto del 20,3%,
rimanendo però assai inferiore alla media europea.
Complessivamente i valori dell’intensità energetica nei vari Paesi europei stanno
lentamente diminuendo.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 7
Il grado di autosufficienza dell’Europa è diminuito leggermente dal 58,5% nel 1985 al
53,5% nel 2000. I Paesi del Nord Europa presentano i valori più alti di autosufficienza e
di esportazioni, mentre l’Italia è tra le posizioni di coda con il 18,4%.
Lo scenario energetico europeo deve essere analizzato tenendo conto dell’aspetto
economico dell’energia, ma anche del ‘fattore umano’, cioè delle priorità sociali quali
l’occupazione, l’educazione, l’emigrazione e il terrorismo: queste problematiche sono
particolarmente emergenti nell’Europa dell’Est e nel bacino del Mediterraneo.
L’equilibrio dell’Europa dipende dalla capacità di apertura verso i Paesi dell’Est e di
risposta alle esigenze di sviluppo dei Paesi a Sud del Mediterraneo.
In quest’ultime aree, il fabbisogno energetico è in notevole aumento a causa di un
accelerato sviluppo industriale e di un’esplosione demografica; la soddisfazione di
questa domanda richiederebbe investimenti energetici elevati per il periodo 2002-2010.
Per ridurre sensibilmente la spesa energetica stimata per questi Paesi è
fondamentale una politica di implementazione di misure di risparmio energetico e di
uso di tecnologie più razionali, combinate con uno sviluppo delle energie rinnovabili
(soprattutto biomassa, ma anche biotermica, eolica e solare). Questi interventi realizzati
attraverso delle iniziative di cooperazione permetterebbero un utilizzo ordinato del
potenziale delle fonti rinnovabili con effetti positivi per l’ambiente e la creazione di
nuove opportunità di lavoro.
1.2.2 IL BILANCIO ENERGETICO ITALIANO
Il bilancio sintetico dell’energia in MTep in Italia nel 2000 è rappresentato in
tabella 1.1 [2].
La produzione nazionale è assai limitata, in un panorama di bassa autosufficienza
interessanti sono i contributi del gas naturale e dell’energia elettrica.
La dipendenza energetica italiana, in termini di saldo netto tra le importazioni e le
esportazioni di energia, risulta pari a circa 140 MTep, corrispondenti all’80% del
fabbisogno interno lordo. In particolare, l’Italia importa oltre il 90% dei combustibili
solidi, il 94% di petrolio e il 68% di gas naturale, oltre a circa 34,3 TWh di energia
elettrica (equivalenti a 8,5 MTep) corrispondenti a quasi il 5% della richiesta lorda di
energia e al 13% sulla rete elettrica. La struttura delle provenienze è fortemente
sbilanciata verso il Medio Oriente per il 40% e il Nord Africa per il 44%.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 8
Tab.1.1 – Bilancio dell’energia in Italia nel 2000 (valori in Mtep)
L’energia elettrica merita un’analisi più attenta per la sua influenza nel settore
energetico e per il fatto che la penetrazione elettrica (cioè la frazione della domanda di
energia coperta da elettricità) presenta una forte correlazione con il grado di sviluppo di
un Paese.
L’andamento del contributo delle varie fonti alla produzione di elettricità a livello
mondiale, per i Paesi OCSE e dell’Unione Europea confrontata alla situazione italiana
nel 2000 è indicato in tabella 1.2 [2].
Italia
Mondo
%
OCSE
%
U.E
%.
MTep %
Combustibili solidi
39 40 36 6,1 11
Petrolio
11 8 10 23,9 45
Gas
13 11 8 11,8 22
Rinnovabili
19 17 10 11,2 22
Nucleare
18 24 36 - -
TOTALE
100 100 100 53 100
Tabella 1.2: Produzione di energia elettrica per fonte nel 2000 in percentuali
L’Italia ha una posizione anomala rispetto agli altri Paesi industrializzati, per
l’elevata percentuale di utilizzo del petrolio nella produzione di elettricità, per una
percentuale molto bassa di combustibili solidi e per l’assenza del nucleare.
Combustibili
solidi
Petrolio
Combustibili
gassosi
Energia
elettrica
TOTALE
Produzione 1,5 5,9 15,8 11,2 34,4
Importazioni 11,5 109,8 31,9 8,7 161,9
Esportazioni 0,1 21,3 - 0,2 21,6
Consumo interno
lordo
12,9 94,4 47,7 19,7 74,7
7,4% 54% 27,3% 11,3% 100%
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 9
La domanda di energia elettrica in Italia è stata nel 2000 di 271,4 TWh con un
incremento del 3,2% rispetto al 1999. L’aumento della domanda elettrica è stato
soddisfatto con una maggiore produzione netta di energia elettrica (239,3 TWh) e con
l’aumento dell’import dall’estero (pari a 38,8 TWh, cioè 8,5 MTep).
La produzione ENEL si è ridotta a fronte di un notevole incremento dell’energia
acquistata da produttori terzi nazionali, ricavata da fonti rinnovabili o assimilate
(incentivata dalla delibera CIP n. 6/92).
Il fabbisogno complessivo di energia in Italia, espresso in fonti primarie, è stato
nel 2000 pari a 174,7 MTep, con un incremento dell’1,1% rispetto all’anno precedente.
Il contributo delle varie fonti alla copertura dei domanda totale del 2000 è riportato in
termini di consumo interno lordo in tabella 1.1.
Il mix delle fonti energetiche rispecchia la situazione europea (confronto con
tabella 1.2): il ruolo dei combustibili solidi e del petrolio, per motivi ambientali e di
opinione pubblica a livello locale, si è leggermente ridimensionato nell’ultimo
decennio, anche a causa di una forte penetrazione del gas naturale nella struttura
energetica italiana.
La forte dipendenza dal petrolio è dovuta soprattutto alla presenza dell’olio
combustibile nel settore termoelettrico.
L’intensità energetica in Italia è tra le più basse nel mondo. Questo valore
corrisponde però più ad una concentrazione della produzione industriale a settori a
bassa intensità energetica e ad alto valore aggiunto (come la moda), piuttosto che ad
un’efficienza elevata e ad un utilizzo delle migliori tecnologie. Sarebbe più significativo
confrontare i consumi per unità di prodotto: quanti Tep o kWh sono necessari per
produrre una certa quantità di prodotto.
1.2.3 EFFETTI AMBIENTALI DEI CICLI ENERGETICI
Affinché il sistema energetico mondiale evolva in modo sostenibile è necessario
che le scelte delle modalità con cui i vari Paesi soddisferanno i loro bisogni energetici
tengano conto delle conseguenze di tipo ambientale e socio-economico.
Gli elementi critici del processo energetico coinvolgono i livelli locale, regionale
(centinaia o migliaia di chilometri) e globale, e riguardano:
ξ l’esauribilità delle fonti energetiche fossili;
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 10
ξ le modifiche del clima globale e il riscaldamento terrestre per effetto serra;
ξ l’inquinamento atmosferico generato dai cicli energetici;
ξ la mancanza di equità nella distribuzione e nell’uso delle risorse
La conferenza di Kyoto ha espresso questa consapevolezza collettiva della non
sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, in linea con i principi di equità, di qualità
globale della vita, di accesso durevole alle risorse naturali e di evitare danni irreversibili
all’ambiente, proposti da H. Daly nel 1991
3
.
1.2.3.1 Emissioni di gas serra
La superficie terrestre perde meno calore a causa dei gas serra, in quanto
assorbono parte della radiazione infrarossa dispersa nello spazio re-irraggiandola in
tutte le direzioni, e per portarsi in equilibrio con la radiazione ricevuta, si stabilizza ad
una temperatura più alta.
Vari gas prodotti dall’uomo contribuiscono all’effetto serra (anidride carbonica,
metano, ossidi d’azoto, ozono, vari composti clorurati e fluorurati), ma il più importante
(per oltre il 55%) è la CO
2
, generata in massima parte dalla combustione dei
combustibili fossili.
Le emissioni di anidride carbonica, il principale gas serra, legate al ciclo
energetico, sono al centro dell’attenzione della comunità scientifica internazionale per i
rischi che sembra comportino per la stabilità del clima globale.
La concentrazione naturale di anidride carbonica nell’atmosfera è passata negli
ultimi 150 anni da 280 ppm a 370 ppm (figura 1.3) e sembra ormai acquisito che questo
aumento derivi da attività umane e, in particolare, dal consumo di combustibili fossili,
che restano la fonte energetica dominante a livello mondiale.
Le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC),
organismo internazionale preposto all’analisi e valutazioni degli aspetti ambientali e
socio-economici legati ai cambiamenti climatici e a suggerire possibili misure per
3
Le condizioni di Daly per uno sviluppo sostenibile con particolare riferimento al settore energetico:
ξ i consumi di risorse rinnovabili non devono superare i relativi tassi di rigenerazione
ξ i consumi di risorse non rinnovabili non devono superare la velocità di sviluppo dei sostituti
rinnovabili
ξ le emissioni di inquinanti non devono superare le capacità di assorbimento (carrying capacity)
dell’ambiente
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 11
prevenirli, indicano che, senza interventi mirati alla riduzione dell’effetto serra, le
emissioni di CO
2
in atmosfera aumenteranno in questo secolo di circa tre volte,
passando dalle 7,1 GtC del 1990 ad oltre 20 GtC al 2100.
Figura 1.3: Concentrazione di CO
2
in atmosfera: trend di crescita [3].
La concentrazione di anidride carbonica a fine secolo potrebbe arrivare a superare
le 700 ppm. Molti analisti, sulla base delle conoscenze oggi disponibili, stimano che il
valore massimo accettabile di concentrazione di CO
2
nell’atmosfera debba posizionarsi
attorno a 550 ppm, un valore più che doppio rispetto al livello di CO
2
dell’era
preindustriale.
In base agli scenari dell’IPCC, per minimizzare gli effetti attesi dei cambiamenti
climatici occorrerà ridurre le emissioni globali di gas serra almeno del 50% entro il
2050. Tale risultato può essere ottenuto solo modificando in maniera sostanziale le
modalità di conversione e utilizzo delle varie forme di energia.
Una semplice relazione evidenzia le principali dipendenze tra energia e
cambiamenti climatici [3]:
PPILEPECCO2
dove
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 12
CO
2
: la quantità di anidride carbonica liberata ogni anno per la produzione di
energia nel mondo (kg/anno);
EC : emissioni per unità di consumo energetico, cioè l’intensità di carbonio
presente nel tipo di combustibile (kg di CO
2
/J);
EP : efficienza energetica, rappresenta l’energia per unità di prodotto (J/$);
PIL : prodotto interno lordo pro capite ($/abitante/anno);
P : popolazione mondiale.
La minimizzazione degli effetti globali dei cicli energetici richiede la riduzione
simultanea dei quattro termini attraverso le seguenti azioni:
ξ privilegiare i combustibili poveri di carbonio e le fonti rinnovabili, tendenza di
difficile attuazione a causa dell’imponente processo di industrializzazione dei
Paesi non OCSE, grandi consumatori di combustibili ad alto tenore di carbonio
ξ incrementare il rendimento dei cicli energetici;
ξ aumentare l’efficienza energetica di tutti i cicli produttivi e migliorare il
risparmio energetico;
ξ controllare i tassi di crescita senza compromettere la disponibilità delle risorse
per lo sviluppo tecnologico;
ξ controllare il fattore demografico che tende a crescere esponenzialmente.
1.3 VERSO UNA NUOVA POLITICA ENERGETICA
La maggiore consapevolezza degli effetti ambientali di lungo termine e, in
particolare, delle minacce alla stabilità del clima globale derivanti dall’uso dell’energia
ha portato i governi di molti Paesi industrializzati e anche in via di sviluppo a
riformulare le loro politiche energetiche in considerazione della sostenibilità dei
processi coinvolti.
Questi cambiamenti sono agevolati da un crescente condizionamento
internazionale, dalla partecipazione all’Unione Europea per i Paesi membri, ma anche
da un processo di decentramento in corso (non solo in Italia) che ha coinvolto i governi
regionali e locali.
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 13
1.3.1 GLI INDIRIZZI DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE DELLE NAZIONI UNITE
La concezione attuale dei rapporti tra energia, ambiente e sviluppo a livello
globale si è evoluta e concretizzata in quest’ultimo decennio:
ξ 1992 Rio de Janeiro – United Nations Conference on Environment and
Development (UNCED): si redige l’Agenda 21, Piano d’Azione per la
realizzazione dello sviluppo sostenibile, che però non contiene un capitolo
dedicato all’energia; ai Paesi dell’UE è richiesto di interpretare coerentemente, ma
liberamente, i principi sottoscritti attraverso l’articolazione delle politiche
settoriali. Esempi di attuazione sono i programmi di azione ambientale comunitari
e il piano italiano per lo sviluppo sostenibile. Sono firmate le Convenzioni sul
cambiamento climatico, sulla desertificazione e sulla biodiversità;
ξ 1994 entra in vigore la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che
implica un’attenta revisione del modello energetico per la questione dei gas serra
e prevede periodiche conferenze delle parti (COP) per il coordinamento delle
azioni;
ξ 1995 Berlino – I Conferenza delle Parti: stabilisce la necessità di fissare degli
obiettivi precisi per gli anni futuri per la riduzione delle emissioni, in prevalenza
generate dai cicli energetici;
ξ 1996 Ginevra – II Conferenza delle Parti: accettazione dei risultati previsionali in
fatto di cambiamenti climatici e scioglimento parziale dell’opposizione
nordamericana in materia di emissioni;
ξ 1997 Kyoto – III Conferenza delle Parti: definitiva accettazione dei principi del
mandato di Berlino, impegno di conseguire tali obiettivi con i Paesi delle
economie in transizione;
ξ 1997 New York – United Nations General Assembly Special Session (UNGASS):
verifica delle politiche di implementazione dell’Agenda 21; si notano inerzie e
ritardi circa gli impegni di cooperazione allo sviluppo da parte dei Paesi
industrializzati;
ξ 1998 Buenos Aires – IV Conferenza delle Parti: elaborazione del Piano di Azione
di Buenos Aires; decisioni sui meccanismi di flessibilità internazionale per attuare
il protocollo di Kyoto, sono fissati i temi e i tempi del negoziato per la
determinazione delle regole di un nuovo mercato globale, proposte sui modi per
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 14
verificare l’attuazione della convenzione e per sanzionare le parti in caso di
mancato adempimento. Nonostante tutte le parti riconoscano che gli impegni
stabiliti a Kyoto non sono sufficienti per evitare i cambiamenti climatici, non sono
state individuate nuove politiche e misure di azione coordinata a livello globale.
1.3.1.1 Il Protocollo di Kyoto
Il protocollo è un atto esecutivo della III Conferenza delle Parti (1997) contenente
le decisioni sull’attuazione operativa di alcuni impegni definiti dalla Convenzione
UNCED di Rio, nella direzione delle problematiche dei cambiamenti climatici e dello
sviluppo sostenibile. Il protocollo entrerà in vigore quando sarà ratificato dai 55 Paesi
che contribuivano nel 1990 ad almeno il 55% delle emissioni di CO
2
dei Paesi
industrializzati.
I Paesi industrializzati e ad economia in transizione sono impegnati nella
riduzione complessiva del 5,2% delle emissioni antropogeniche di gas che alterano
l’effetto serra naturale del pianeta entro il 2010, oppure nel periodo 2008-12 (budget
period: media di cinque anni successivi).
Per la riduzione delle emissioni dei gas serra, quali l’anidride carbonica (CO
2
), il
metano (CH
4
) e il protossido di azoto (N
2
O), si considera, come anno di riferimento, il
1990. Per gli altri gas, quali i perfluorocarburi (PFC), gli idrofluorocarburi (HFC) e
l’esafluoruro di zolfo (SF
6
), utilizzati in sostituzione dei clorofluorocarburi e messi al
bando dal protocollo di Montreal per la difesa della fascia di ozono, si fa riferimento
alle emissioni del 1995.
Si procede ad una riduzione delle emissioni in modo differenziato per ogni Paese:
8% per l’UE, il 7% per gli USA e il 6% per il Giappone. Non è prevista alcuna
riduzione, ma solo stabilizzazione per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e
l’Ucraina. Possono, invece, aumentare le loro emissioni fino all’1% la Norvegia, fino
all’8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda. Nessun tipo di limitazione è prevista per i
Paesi in via di sviluppo, perché un tale vincolo condizionerebbe il processo di sviluppo
socio-economico.
L’attuale andamento delle emissioni provenienti dai Paesi industrializzati e ad
economia in transizione avrebbe portato ad una tendenziale crescita complessiva delle
Capitolo 1
Tesi di laurea di Marco Mori 15
emissioni di circa il 20%; quindi in realtà la riduzione effettiva delle potenziali
emissioni future dovrà essere circa del 25%.
Per determinare la riduzione delle ‘emissioni nette’ (in termini di bilancio) si deve
tenere conto non solo dei rilasci dei gas provenienti dalle attività umane, ma anche degli
assorbimenti effettuati dall’atmosfera ad opera di piante, di alberi e, in generale,
dell’accumulo di biomassa attraverso la crescita della copertura vegetale.
Le opzioni di mitigazione delle emissioni mediante azioni di cambiamento d’uso
dei suoli, di riforestazione e di coltivazione di nuove foreste hanno un potenziale molto
più alto e costi di investimento molto più bassi di quelli necessari per migliorare
l’efficienza dei sistemi energetici e per sviluppare le fonti rinnovabili.
Ai fini dell’attuazione degli impegni previsti dal protocollo, si richiede ai Paesi
firmatari di elaborare politiche ed azioni operative del tipo:
ξ a carattere generale, per incrementare l’efficienza energetica e la capacità di
assorbimento dei gas serra rilasciati in atmosfera (riforestazione e
afforestazione);
ξ a carattere politico-economico, per eliminare i fattori di distorsione dei mercati
(incentivi fiscali, sussidi, tassazioni) che favoriscono le emissioni e
incoraggiare riforme politico-economiche;
ξ a carattere settoriale, nel campo dell’agricoltura (uso dei terreni agricoli,
combustione dei residui) e dell’energia, per promuovere sia forme di gestione
sostenibile di produzione agricola sia la ricerca, lo sviluppo e l’uso delle nuove
fonti rinnovabili di energia;
ξ a carattere particolare, con specifica attenzione alle emissioni di gas serra e
metano nel settore dei trasporti e dei rifiuti (discariche, impianti di trattamento
e incenerimento).
Per favorire la cooperazione internazionale, il protocollo introduce nuovi
strumenti attuativi di maggiore flessibilità: la ‘joint implementation’, attuazione
congiunta degli obblighi attraverso iniziative multilaterali finalizzate a specifici
progetti, la ‘emission trading’, commercializzazione dei diritti di emissione tra i Paesi e
il ‘clean development mechanism’, collaborazione tra i Paesi industrializzati e in via di
sviluppo su programmi di crescita socio-economica e industriale contenendo l’aumento
delle emissioni (triplo rispetto a quello dei Paesi industrializzati nel periodo 1990-95).