Premessa
IV
La seconda finalità cui il presente lavoro è preordinato concerne, per
contro, i rapporti tra la Convenzione stessa ed i Principi Unidroit, ed in
questa direzione si tenterà di evidenziare i progressi realizzati, rispetto alla
prima, dai secondi, che pure si ispirano molto ai sistemi angloamericani ed,
in particolare, a mio avviso, al Restatement Second of contracts statunitense
(che, del resto, al pari dei Principi, è espressione di un processo di
unificazione dottrinale del diritto): progressi che si concretizzano nell’offerta
di soluzioni a quei problemi, particolarmente sentiti dagli operatori del
commercio internazionale e assai ricorrenti nella prassi, che non sono
affrontati espressamente dalla Convenzione o che, se pure affrontati, non
sono dalla stessa risolti in maniera del tutto soddisfacente.
1. La volontà delle parti, la Convenzione di Vienna del 1980 ed i Principi
Unidroit dei contratti commerciali internazionali.
Per un’impresa nazionale che non disponga di un’organizzazione
all’estero, il contratto di compravendita costituisce il modo più semplice di
esportare i propri prodotti.
Gli scopi che le parti di un tale contratto si prefiggono non differiscono
da quelli che caratterizzano un contratto di vendita tra due imprese
appartenenti allo stesso Stato: il venditore vuole assicurarsi il pagamento del
prezzo, mentre il compratore vuole ricevere, entro i termini pattuiti, dei
prodotti corrispondenti a quelli effettivamente ordinati.
Ciò che rende il contratto internazionale di compravendita più
complesso è il fatto che le parti possono essere ragionevolmente certe di
conseguire tali scopi solo tenendo conto delle peculiarità derivanti dalla loro
appartenenza a due nazioni diverse
1
.
Basti porre attenzione ai problemi che si pongono con riferimento alle
obbligazioni del venditore ed, in particolare, all’oggetto, al tempo, al luogo
ed alle modalità della consegna, che sono risolti diversamente a seconda che
1
BIANCHI, I contratti internazionali, Milano, 1997, p.1 ss.
Capitolo I
2
ci si trovi di fronte ad un contratto internazionale di vendita o ad un contratto
“nazionale”.
Questi ed altri problemi, generati dalla “internazionalità” del
contratto di compravendita, sono affrontati dalla Convenzione di Vienna
dell’11 aprile 1980, ratificata dallo Stato italiano con legge 11 dicembre
1985 n.765 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988, la quale, secondo quanto
disposto dall’art.1, si applica ai contratti di compravendita internazionale di
beni mobili tra parti che abbiano la propria sede d’affari in Stati diversi,
purché si tratti di Stati contraenti o le norme di conflitto portino
all’applicazione della legge di uno Stato contraente.
Per la disciplina di un rapporto di compravendita internazionale
occorre, però, far riferimento alla volontà delle parti espressa nel contratto,
prima ancora che alle norme della Convenzione.
Queste, infatti, possono essere derogate, come emerge dal principio
generale espresso dall’art.6
2
della Convenzione e dalla formulazione di
singole disposizioni, come, ad esempio, l’art.30 (“alle condizioni previste dal
2
La norma dispone che le parti di un contratto possono escludere l’applicazione della
Convenzione o derogare pattiziamente a singole sue disposizioni.
Capitolo I
3
contratto”), l’art.32 (“in conformità al contratto”), l’art.35 (“richiesti dal
contratto”)
3
.
Pertanto, la Convenzione ha la funzione principale, ma non esclusiva,
di gap-filler rispetto alla volontà delle parti; non esclusiva perché si ritiene
che essa possa, in determinate circostanze, servire da parametro per valutare
la validità di clausole contrattuali standardizzate.
Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso in cui una di tali clausole
disponga che il compratore debba notificare al venditore ogni mancanza di
conformità dei beni nel giorno stesso in cui li ha ricevuti: una tale
disposizione si discosterebbe in modo così palese dalla ratio degli artt.39 e 44
della Convenzione che un giudice nazionale, presumibilmente, la
dichiarerebbe invalida
4
.
Accanto agli utili strumenti forniti dalla disciplina convenzionale,
nell’elaborazione ed interpretazione del loro rapporto contrattuale, le parti
possono oggi utilizzare come ulteriore e valido riferimento i “Principi dei
3
Cfr.SCHLECHTRIEM, The seller’s obbligations under the United Nations
Convention on contracts for the international sale of goods, in International sales: the
United Nations Convention on contracts for the international sale of goods, a cura di
Galston e Smit, New York, 1984, 6-1, 6-6, che sottolinea come la autonomia delle parti si
esplichi non solo attraverso la predisposizione di contratti individuali, ma anche attraverso
l’uso di forme contrattuali standardizzate ed il riferimento agli usi e che adduce come
esempio l’incorporazione nel contratto degli Incoterms.
4
Così SCHLECHTRIEM, The seller’s obbligations under the United Nations
Convention on contracts for the international sale of goods, op. cit., 6-5,6-6.
Capitolo I
4
contratti commerciali internazionali”
5
di recente elaborati ed adottati
dall’Unidroit
6
.
Una caratteristica fondamentale dei Principi è che essi, a differenza
della Convenzione di Vienna, non costituiscono uno strumento vincolante; da
ciò derivano due importanti conseguenze: la loro flessibilità e, quindi,
adattabilità alle mutevoli condizioni della prassi commerciale internazionale
ed il fatto che essi non subiscono il condizionamento derivante dalle
differenze esistenti tra i vari ordinamenti giuridici
7
.
Si aggiunga che i Principi sono stati redatti e discussi da studiosi di
Paesi diversi che non rappresentavano ufficialmente alcuna nazione: questo
ha consentito di raggiungere soluzioni di compromesso in aree in cui non si
sarebbe mai raggiunto un accordo in sede di redazione di una convenzione
8
.
Ulteriore differenza rispetto alla Convenzione è data dal fatto che il
loro ambito di applicazione non è limitato alla sola compravendita, ma si
estende anche ad altri tipi di contratto, come quelli aventi ad oggetto la
5
Unidroit, Principles of international commercial contracts, Roma, 1994.
6
Cfr.CARBONE, Principi dei contratti internazionali e norme di origine
internazionale, in Contratti commerciali internazionali e principi Unidroit, a cura di
Bonell e Bonelli, Milano, 1997, p.26, il quale ritiene che tali Principi servano anche come
modello e/o strumento interpretativo di normative nazionali concernenti operazioni del
commercio internazionale e di normative internazionali di diritto materiale uniforme.
7
Così BONELL, Un “codice” internazionale del diritto dei contratti, Milano, 1995,
p.54.
8
GARRO, The gap-filling role of the Unidroit Principles in international sales law:
some comments on the interplay between the Principles and the CISG, in Tulane Law
Review, 69, 1995, p.1159.
Capitolo I
5
prestazione di servizi. E’ in funzione di tali contratti che i Principi
contengono disposizioni particolari, come quella sull’obbligo di
cooperazione tra le parti, sulla determinazione della qualità della
prestazione, sull’ordine delle prestazioni, etc.
9
.
Ciò che, comunque, in questa sede ci interessa è la valutazione dei
rapporti intercorrenti tra i Principi dell’Unidroit e la Convenzione di Vienna
del 1980.
Rispetto a quest’ultima, i primi rivestono il duplice ruolo di strumento
di interpretazione e di integrazione con riferimento a materie che rientrano
nell’ambito di operatività della Convenzione ed, a loro volta, di gap-filler
rispetto a questioni che sono espressamente escluse dalla stessa.
Il ruolo di integrazione di materie che rientrano nello scopo della
Convenzione deve essere esaminato alla luce dell’art.7, comma secondo,
della stessa, il quale dispone che le questioni riguardanti materie
disciplinate, ma non espressamente trattate dalla Convenzione, devono essere
risolte in base ai principi generali su cui essa si fonda e, solo in mancanza di
essi, in base alla legge applicabile in forza delle norme di diritto
internazionale privato.
Si ritiene che i Principi Unidroit costituiscano una parte di quei
“principi generali” su cui la Convenzione si basa e che, quindi, qualora essi
9
BONELL, Un “codice” internazionale del diritto dei contratti, Milano, 1995, p.57.
Capitolo I
6
offrano una soluzione a questioni che rientrano nel campo di applicazione
della Convenzione, come la formazione, l’interpretazione, il contenuto,
l’adempimento e la risoluzione del contratto, possano essere utilizzati per
integrarne le disposizioni
10
.
Questa soluzione è sicuramente ammissibile ove le parti abbiano
predisposto una clausola contrattuale che espressamente preveda tale
integrazione; ma è ammissibile anche in assenza di una tale manifestazione di
volontà delle parti, purché la norma dei Principi che si vuole utilizzare sia
espressione di uno dei principi generali su cui si basa la Convenzione.
Ad esempio, l’art.6.1.7 dei Principi, stabilendo che il pagamento può
essere effettuato con ogni mezzo in uso nella prassi commerciale del luogo di
pagamento, ma che il creditore può accettare assegni ed altri titoli cambiari
solo alla condizione che essi saranno effettivamente onorati, si ispira
indubbiamente al criterio di ragionevolezza, che costituisce uno dei principi
generali su cui si fonda la Convenzione
11
.
10
Così GARRO, The gap-filling role of the Unidroit principles in international sales
law: some comments on the interplay between the principles and the CISG, op.cit., p.1155
ss., il quale riscontra analogie tra il ruolo svolto da Principi Unidroit rispetto alla
Convenzione di Vienna ed il ruolo svolto tanto dalle norme sui contratti in generale
rispetto alle norme applicabili ai singoli contratti negli ordinamenti di civil law, quanto dai
principi di common law e di equity rispetto alle norme dello U.C.C. sulle transazioni
commerciali.
11
BONELL, op.cit., p.142 ss.
Capitolo I
7
Per quanto riguarda il ruolo di strumento interpretativo, bisogna,
invece, tenere presente l’art.7, comma primo, della Convenzione, norma che,
nel disporre che la stessa debba essere interpretata avendo riguardo al suo
carattere internazionale ed alla necessità di promuovere l’uniformità della
sua applicazione, accoglie la tendenza dei giudici e degli arbitri ad
interpretare i trattati internazionali secondo criteri e principi autonomi ed
internazionalmente uniformi, e non secondo i criteri di diritto interno, come
vuole l’opinione tradizionale. I Principi Unidroit potrebbero aiutare e
guidare giudici ed arbitri in questo compito di interpretazione
12
.
Un esempio significativo di come i Principi Unidroit svolgano altresì
un ruolo di gap-filler rispetto alla Convenzione di Vienna può rinvenirsi in
materia di validità dei contratti, argomento espressamente escluso dalla
Convenzione ed a cui, invece, i Principi Unidroit dedicano un intero capitolo.
In mancanza di una diversa indicazione delle parti, il giudice o l’arbitro può
ricorrere ai Principi Unidroit per risolvere questioni circa la validità di un
contratto, che ricada nella sfera di applicazione della Convenzione di Vienna.
12
Cfr. BONELL, op.cit., p.138, che riporta come esempio il ruolo interpretativo che
può svolgere l’art.7.1.4 sulla correzione ad opera della parte inadempiente rispetto
all'art.48 della Convenzione di Vienna: mentre quest’ultimo, infatti, non specifica quale sia
il rapporto tra correzione e risoluzione, i Principi dispongono che il diritto della parte
inadempiente di correggere il proprio inadempimento può essere esercitato anche ove il
creditore abbia già dato avviso di risoluzione del contratto.
Capitolo I
8
Questa soluzione si basa innanzi tutto sull’assunto che, per le parti di
un contratto internazionale, è preferibile l’applicazione di standards
internazionali di validità, quali quelli disposti dai Principi Unidroit, rispetto
all’assoggettamento ad una legge nazionale.
Inoltre, l’applicazione dei Principi Unidroit è coerente con lo scopo
della Convenzione di Vienna di unificare le norme che disciplinano i rapporti
tra le parti di un contratto internazionale
13
.
13
GARRO, The gap- filling role of the Unidroit principles in international sales law:
some comments on the interplay between the principles and the CISG, op.cit., p.1159.
Occorre qui sottolineare come la Convenzione di Vienna sia espressione di quel processo
di unificazione internazionale del diritto, che ha avuto inizio sul finire del secolo scorso.
Con l’espressione “unificazione internazionale del diritto” si intende, lato sensu, ogni
iniziativa volta al superamento delle divergenze sussistenti tra due o più diritti nazionali
attraverso l’elaborazione di una disciplina uniforme che sostituisca, totalmente o
parzialmente, i primi nella regolamentazione di una determinata materia. Talora, detto
termine è usato in un’accezione più stretta, con riferimento al caso in cui determinati Stati
si impegnino ad adottare, nei rispettivi ordinamenti interni, un testo legislativo di contenuto
identico per tutti. In tal senso, l’unificazione si contrappone all’uniformazione o
armonizzazione del diritto, termini, questi, comprendenti le ipotesi in cui, a livello
internazionale, vengano elaborati principi e criteri di base, cui i legislatori nazionali
dovranno ispirarsi. In realtà, tale distinzione perde di rilevanza se si pensa alla possibilità
che una convenzione preveda ampie facoltà di riserva a favore degli Stati contraenti e che,
pertanto, sia introdotta negli ordinamenti nazionali con contenuti diversi. Inoltre,
l’unificazione non si realizza soltanto attraverso lo strumento legislativo, ma anche in
forme diverse, rispetto alle quali la suddetta distinzione avrebbe poco senso. Infatti,
accanto all’unificazione legislativa, è ravvisabile, in primo luogo, un’unificazione
giurisprudenziale: una volta approvata una convenzione, occorre che la disciplina uniforme
da essa dettata riceva nella pratica un’interpretazione ed un’applicazione uniformi ad opera
dei giudici e degli arbitri. Anche la dottrina può avere un ruolo importante nel processo di
unificazione, che si traduce, ad esempio, nella scelta delle materie da proporre come
oggetto di un’eventuale unificazione, nell’effettuazione di studi comparatistici
indispensabili in sede di elaborazione della normativa uniforme, ed, ancora, nella
realizzazione di progetti specifici, come, ad esempio, il progetto dell’Unidroit di
elaborazione dei Principi per i contratti commerciali internazionali. Infine vi è
un’unificazione contrattuale, la quale fa capo ad alcuni organismi internazionali che si
sono proposti di elaborare strumenti contrattuali “internazionali” o “transnazionali”, ossia
senza alcun legame con gli ordinamenti nazionali. Per la distinzione tra unificazione
Capitolo I
9
2. La disciplina delle obbligazioni del venditore nella Convenzione di Vienna.
La Convenzione di Vienna si occupa delle obbligazioni del venditore
agli artt.30 ss., adottando soluzioni mutuate dall’esperienza angloamericana
più che da quella degli ordinamenti di civil law.
La prima norma, l’art.30, contiene l’elencazione di tali obbligazioni: il
venditore ha l’obbligo di consegnare i beni, trasferirne la proprietà e
rilasciare tutti i documenti relativi ad essi.
Le norme successive (artt.31- 34) dettano la disciplina della consegna
dei beni e del rilascio dei documenti, mentre le questioni relative alla
proprietà dei beni, secondo quanto disposto dall’art.4, sono escluse
dall’ambito della Convenzione.
Quest’ultima, seguendo l’esempio dello Uniform Commercial Code
statunitense, fa della consegna la prestazione più importante cui è tenuto il
venditore e fa dipendere dal suo compimento il passaggio dei rischi. Questa
scelta è stata accolta come un progresso rispetto a quelle leggi nazionali che
ancora vedono nel passaggio di proprietà il momento decisivo del contratto
di vendita e ad esso ricollegano il passaggio dei rischi
14
.
legislativa, giurisprudenziale, dottrinale e contrattuale v. BONELL, Unificazione
internazionale del diritto, in Enciclopedia del diritto, XLV, Milano, 1992, pp.720 ss.
14
BONELL, Il diritto uniforme sulla vendita e lo Uniform Commercial Code
nordamericano: due modelli a confronto, in Studi in memoria di Gino Gorla, Milano,
Capitolo I
10
I problemi che sorgono relativamente alla consegna sono quelli del
luogo e del tempo della stessa. Con riferimento al luogo, la Convenzione
distingue tre ipotesi diverse:
1. L’ipotesi in cui il contratto implichi il trasporto dei beni: in tal caso il
venditore deve trasmettere i beni al primo vettore affinché questi li
trasmetta al compratore;
2. L’ipotesi in cui il contratto implichi il trasporto dei beni e faccia
riferimento a beni specifici o a beni generici che devono essere prelevati
da una massa individuata o che devono essere fabbricati o prodotti ed, al
momento della conclusione del contratto, le parti conoscevano il luogo in
cui i beni si trovavano o dovevano essere fabbricati o prodotti: in tal caso
il venditore deve mettere i beni a disposizione del compratore in quel
luogo;
3. In tutti gli altri casi il venditore deve mettere i beni a disposizione del
compratore nel luogo in cui il primo aveva la sede d’affari al momento
della conclusione del contratto.
1994, p.1197. Per un’analisi della disciplina del passaggio dei rischi nel sistema della
Convenzione e negli ordinamenti nazionali v. infra § 9 Cap. III.
Capitolo I
11
Anche con riferimento al tempo della consegna si distinguono tre
ipotesi:
1. L’ipotesi in cui una data precisa è stata fissata o è determinabile in base
al contratto: il venditore deve consegnare i beni in tale data;
2. L’ipotesi in cui un periodo di tempo è fissato o determinabile in base al
contratto: in tal caso il venditore deve effettuare la consegna in qualsiasi
momento entro tale periodo, salvo che dalle circostanze non risulti che
spetta all’acquirente scegliere una data;
3. Negli altri casi i beni vanno consegnati entro un termine ragionevole dalla
conclusione del contratto.
Per quanto riguarda il rilascio dei documenti, la Convenzione dispone
che esso vada effettuato nel momento, nel luogo e nella forma previsti dal
contratto.
Per concludere, occorre precisare che, nell’ambito di un contratto
internazionale di vendita, non è sufficiente che il venditore semplicemente
consegni i beni, ma è necessario che tali beni siano conformi alle previsioni
contrattuali e liberi da ogni diritto e pretesa dei terzi.
Tale problematica, affrontata dalla Convenzione negli artt.35-44,
costituirà l’oggetto esclusivo di questa trattazione a partire dal paragrafo
successivo.
Capitolo I
12
3. La giustificazione dell’esistenza di norme sulla conformità.
In materia contrattuale al termine “non conformità” può essere
attribuito un duplice significato. In senso ampio, esso costituisce un sinonimo
del termine “violazione”: ogni contratto deve essere eseguito e l’esecuzione
deve essere conforme a quanto pattuito dalle parti
15
.
Nella Convenzione di Vienna, detto termine è, invece, utilizzato in
un’accezione più stretta, riferendosi esso ad un’obbligazione specifica
imposta al venditore, accanto a quella di consegna, di trasferimento della
proprietà e di rilascio dei documenti
16
.
Ciò che, però, distingue queste ultime dall'obbligazione di conformità è
la circostanza che la seconda costituisce un aspetto dell’esecuzione delle
altre obbligazioni e, pertanto, non può essere vista come un’obbligazione
autonoma rispetto ad esse
17
.
E’ interessante valutare le ragioni che spingono un legislatore,
nazionale o internazionale che sia, ad introdurre norme sulla conformità,
dato che, una volta che le parti di una compravendita abbiano pattuito le
15
Ad esempio, se una delle parti è tenuta a comportarsi con diligenza ed, al contrario, si
comporta negligentemente, la sua condotta non è conforme all’accordo. L’esempio è tratto
da ZAMIR, Toward a general concept of conformity in the performance of contracts, in
Louisiana Law Review,52, 1991, p.39.
16
ZAMIR, Toward a general concept…, op.cit., p.39.
17
Ancora ZAMIR, Toward a general concept…, op.cit., p.40
Capitolo I
13
qualità che l’oggetto del contratto deve avere, anche il solo principio pacta
sunt servanda sarebbe di per sé sufficiente a spiegare perché il venditore
debba consegnare un bene conforme all’accordo.
Diverse teorie sono state proposte per risolvere detta questione, una
delle quali ravvisa il fondamento delle norme sulla conformità nella volontà
delle parti
18
.
L’ostacolo in cui detta teoria incorre è di tutta evidenza: l’esigenza che
sia la legge ad imporre un’obbligazione in ordine alla conformità sorge solo
qualora non si possa far derivare quest’ultima dalla volontà, espressa o
implicita, delle parti. In altre parole, ricondurre detta obbligazione alla
volontà delle parti rende inutile la previsione legislativa.
Si è cercato di superare tale difficoltà percorrendo strade diverse.
Qualcuno ha tentato di giustificare le norme sulla conformità
dell’oggetto contrattuale attraverso un’analogia rispetto alle norme
sull’errore, affermando che la loro ratio risieda nella mancata conoscenza da
parte del compratore del difetto del bene: la mera esistenza di un vizio non
costituisce di per sé violazione del contratto; per contro, la responsabilità del
18
Questa tesi, sostenuta da diversi autori, è delineata da ZAMIR, Toward a general
concept…, op.cit., pp.59 s.
Capitolo I
14
venditore nascerebbe dal divario tra la conoscenza del compratore in ordine
al bene e lo stato effettivo di quest’ultimo
19
.
Un’altra dottrina, muovendo dalla constatazione che lo scopo
principale della disciplina sui contratti consiste nel realizzare le ragionevoli
aspettative delle parti, ritiene che le norme sulla conformità siano giustificate
ogni qual volta le circostanze facciano sorgere in capo al creditore la
ragionevole aspettativa che l’oggetto sia idoneo all’uso ordinario, sia di
media qualità, etc.
20
.
Non è mancato chi ha tentato di spiegare la disciplina sulla mancanza
di conformità alla luce di considerazioni economiche, in particolare
attraverso l’uso del criterio di efficienza, in base al quale una norma può
19
La tesi in esame, supportata da Haymann, è esposta in ZAMIR, Toward a general
concept…, op.cit., pp.60 s. La presunta analogia tra le norme sulla conformità e quelle
sull’errore troverebbe il suo fondamento nel principio, generalmente riconosciuto, secondo
cui il creditore che sia a conoscenza di un difetto del bene al momento della conclusione
del contratto, non può farlo valere attraverso le norme sulla conformità; nella circostanza
che queste ultime di solito si applicano a quelle transazioni aventi ad oggetto un bene
determinato, le sole rispetto alle quali può parlarsi di errore; infine nell’esistenza, in vari
ordinamenti, di una norma in base alla quale il ricorso alle norme sulla conformità esclude
l’applicazione della disciplina dell’errore, il che dimostrerebbe che le prime sono una
specie della seconda.
20
Per questa tesi, che è sostenuta, inter alios, da Corbin e Williston, cfr. ZAMIR,
Toward a general concept…, op.cit., pp.66 s.: l’A. sostiene che la maggiore difficoltà della
tesi in esame risieda nell’individuazione di quali aspettative possano definirsi ragionevoli;
il riferimento alle pratiche commerciali non è di grande aiuto, potendo esso condurre solo
ad individuare quelle che sono le aspettative prevalenti, senza nulla dirci circa la loro
ragionevolezza. Pertanto, occorre accettare l’indeterminatezza di tale teoria e risolvere la
questione caso per caso, avvalendosi di criteri come l’efficienza, la buona fede, etc.