2
L’avvenimento decisivo, dopo la fase longobarda, per la scansione della storia
dell’antica città sannita, Benevento, risale ad una data ben precisa, al lontano 1059,
quando il trattato di pace (accordo di Melfi)
1
tra papa Niccolò II e Roberto il
Guiscardo, conferiva al principe normanno il possesso del Principato di Capua e del
Ducato di Puglia, Calabria e Sicilia. In cambio, Benevento si preparava a divenire un
principato ecclesiastico, un’enclave della chiesa nell’Italia meridionale.
Sin dal principio, quindi , andava rivolta un’attenzione diversa alla città sannita,
rispetto alle altre terre che contribuivano a formare il vasto stato della Chiesa.
Ciò che permetteva di distinguerla dagli altri domini ecclesiastici era proprio la sua
condizione di enclave, cioè di quel territorio, non molto esteso, circondato da uno
Stato diverso da quello cui appartiene politicamente. Benevento, dunque, aveva
caratteristiche culturali, politiche ed economiche differenti da quelle dei territori
circostanti. Così, nel ricostruire la storia della città pontificia, non poteva essere
trascurato questo aspetto, che per altro rappresentava anche una chiave di lettura utile
alla comprensione della sua complessa struttura politico-amministrativa nel
diciassettesimo secolo.
Infatti, nell’affrontare l’argomento era necessario considerare i due aspetti:
1) la dipendenza politica della città dallo Stato Pontificio;
2) la situazione amministrativa del Regno di Napoli dal quale la città era
geograficamente circondata e pertanto indirettamente influenzata.
1
G.INTORCIA, Civitas Beneventana. Genesi ed evoluzione delle Istituzioni cittadine nei secoli XIII e XVI, Benevento
1981, p.12.
3
CAPITOLO I
Lo Stato Pontificio in età moderna:
organi centrali ed organi periferici.
4
1.1. L’AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE PONTIFICIA IN BENEVENTO
Il principale organo di governo della periferia pontificia era il Governatore o Rettore
provinciale, carica che fu ripristinata all’inizio del Cinquecento
2
, alla quale, in epoca
tardo-medievale si dedicò l’edificazione della Rocca dei Rettori, appunto un antico
castello sorto sulle rovine di una fortificazione longobarda, nato per ospitare i
Governatori della città.
In principio potevano aspirare ad essere eletti Governatori solo i cittadini più illustri e
ragguardevoli. Successivamente, quando l’autorità pontificia s’impegnò più
strenuamente nella difesa della propria sovranità, erano eletti Governatori solo prelati
direttamente dipendenti dalla Sede Apostolica.
A riguardo, Weber nel selezionare i territori sottoposti al dominio della Chiesa,
includeva Benevento nella sezione dei “Governi di prelati” e scriveva che “sotto
questo termine sono compresi tutti i governi che avevano come capo un prelato
curiale”
3
.
Ora, ai diversi criteri adottati di volta in volta affinché si potesse essere eletti
governatori, corrispondevano anche diverse funzioni da loro esercitate nel corso del
tempo. Fondamentalmente la carica di governatore era esclusivamente politica: egli
aveva competenze giurisdizionali, era titolare di poteri giudiziari sugli ecclesiastici e
di poteri di ordine pubblico in quanto era tenuto al controllo della vita cittadina.
2
A.MUSI, Benevento e Pontecorvo, in Storia del Mezzogiorno , VI, Roma, 1987, p. 294.
3
C.WEBER (a cura di), Legati e Governatori dello Stato pontificio, p. 34.
5
Solo dopo, quando i governatori da cittadini illustri furono sostituiti con prelati
curiali, che operavano in stretta dipendenza dalla Sede Apostolica, la figura del
rettore perse il suo iniziale prestigio.
Certo non si poteva parlare di una sua decadenza, ma senza dubbio c’era stato un
ridimensionamento del suo ruolo iniziale, poiché “nella forma la sovranità del rettore
è suprema e incontra limiti solo nel potere pontificio; nella sostanza deve fare i conti
comunque con un apparato in espansione come in tutti gli stati della penisola”.
4
Il limite più grande ai suoi poteri, oltre il sommo pontefice, era la volontà cittadina,
che in età moderna trovava la sua incarnazione nel Consiglio Cittadino.
4
A.MUSI, Benevento e Pontecorvo… cit., p. 294.
6
1.2. IL CONSIGLIO CITTADINO E I FUNZIONARI LOCALI.
Antico istituto disciplinato già dagli Statuti del 1440, fu oggetto di riforma con
l’emanazione degli Statuti Sistini del 1588.
Composto da 48 membri, cioè 12 funzionari per ogni ceto, quello dei nobili, dei
mercanti, degli artigiani ed agricoltori, eletto ogni due anni, il Consiglio trovava la
sua massima espressione nella figura dei Consoli. Essi,collegialmente organizzati,
rappresentavano il nucleo esecutivo del Consiglio stesso, poiché non solo erano
chiamati ad eseguirne le delibere, ma anche ad affiancare il governatore
nell’amministrazione della città. Ma rispetto a quest’ultimo rivestivano soprattutto
una carica etica e morale visto che dovevano curare l’interesse dei cittadini.
Per quanto riguarda la loro elezione, essa doveva avvenire alla presenza di tre
ministeriali, inoltre non potevano essere rieletti tali almeno per un periodo di cinque
anni.
La loro carica veniva esercitata solo per quattro mesi in modo da consentire anche
agli altri membri del consiglio di esercitare l’ufficio consolare.
In principio, quindi, la successione nella carica consolare avveniva in modo pacifico
tra i membri che contribuivano alla formazione del consiglio stesso, solo più tardi
invece, quando ci fu una maggiore prevalenza dei rappresentanti del popolo, la
nobiltà rispose alla sua pressione per riguadagnare il terreno che aveva perso nella
gestione del potere.
7
Il Consiglio quindi rimaneva tra gli organi più importanti relativi alla gestione della
vita cittadina, visto che si occupava delle nomine e dell’elezioni di una vasta gamma
di funzionari.
“Si espone alle SS.rie vv. come per dispositione de statuti >… ≅ se deve ogni anno alli
otto di Settembre eligere il sindico secretario Sen. Cancelliero et tesoriero si come
apare in detti statuti al foglio 5”
5
.
Al Consiglio infatti spettava l’elezione del Sindaco, il capo del comune, che rivestiva
il ruolo di assessore ai lavori pubblici. Curava in oltre la nomina del Segretario
comunale, e la nomina del Tesoriere o anche Depositario e Camerlengo.
Il Tesoriere svolgeva funzioni esclusivamente finanziarie, riguardanti cioè la
riscossione del denaro della Comunità e inoltre provvedeva al pagamento dei debiti.
Al termine della carica era tenuto a presentare il rendiconto di quello che aveva
gestito. Inoltre era alla sua diretta dipendenza il Maresciallo che curava il rispetto
delle sentenze emanate dal rettore e si occupava della cattura dei rei.
Le funzioni del Consiglio comprendevano anche l’elezione dell’Agente della
Comunità, chiamato spesso ambasciatore o oratore.
Ogni comunità, infatti, aveva un proprio Agente in Roma con il compito di “Accudire
à negozi, et interessi delle Comunità, ch’hanno nella Curia di Roma, e
particolarmente alla spedizione delle Tabelle, con’ invigilare, che le medesime
restino puntualmente eseguite,
6
>… ≅”.
5
Archivio Storico Comunale di Benevento (d’ora in poi A.S.C.B.), Fondo Civico, Serie 2. VIII. 1, Tomo VII,
Deliberazioni Consiliari dal 1600 al 1604, f.149, r.
6
E. LODOLINI, l’Archivio di Stato della Sacra congregazione del Buon Governo (1592-1847), Roma, 1950,
p.XXXII.
8
Tuttavia la figura dell’Agente legò a sè non pochi problemi, visto che la sua
elezione, regolata da una norma Aldobrandina del 1590,
7
escludeva da questa carica il
ceto popolare. Così non mancarono i ricorsi presentati da quest’ultimo alla Sacra
Consulta, la quale se da una parte concedeva al ceto popolare la possibilità di
presentare una lista contenente i nominativi di coloro che dovevano essere eletti,
d’altra parte non riusciva a garantire equilibrio e stabilità perché essa stessa
interveniva sempre con molta influenza proponendo coloro che dovevano essere
aggregati alla comunità Beneventana. Certo questo aspetto era presente anche per
l’elezione di altre cariche e non solo per quella di Agente.
La copiosa corrispondenza tra la Sacra Consulta e la comunità stessa era
testimonianza di quanto detto. In una lettera del 5 Settembre 1693 la Sacra Consulta
scriveva: “ Delli soggetti nominati per cotesta carica di fiscale la Sacra Consulta
vuole che tre di essi si propongono in conseglio; e sono il Dottore Giacinto Cardone,
Luca di Luca e Domenico Coscia, affinché uno di questi, venga eletto alla carica
suddetta. Così vi faccia >… ≅ e Dio la prosperi”.
8
Tra i funzionari di minor rilievo, ma comunque necessari alla gestione della cosa
pubblica, il Consiglio era chiamato ad eleggere il Castellano e il Bargello.
Il Castellano provvedeva alla salvaguardia del castello e alla sicurezza del carcere,
mentre il Bargello era il capo della polizia governativa e aveva alle sue dipendenze12
soldati.
7
G. INTORCIA, Governo e ceti sociali a Benevento in età Moderna, Benevento, 1993, p.63.
8
A.S.C.B., Fondo Civico, Serie 2.IX.1, Deliberazioni Conisiliari, f.70, r.
9
A terminare il complesso amministrativo, economico e giurisdizionale della città era
la presenza di un avvocato di sua eminenza: il Commendatario, un Mastrodatti e un
deputato alla difesa dei confini.
Per la cura dei prodotti granai vi era il Conservatore e Cernitore dei grani, mentre il
Vicario si occupava delle cause penali.
Dunque, nel loro insieme questi funzionari contribuivano alla formazione della
struttura amministrativa provinciale della città pontificia.
Struttura che trovava la sua codificazione nei già citati Statuti Sistini del 1588, la
quale significò l’avvio alla modernizzazione e nello stesso tempo alla complessità del
sistema.
In esso, infatti, convivevano personalità ed organismi tanto diversi tra loro da
renderne difficile la stessa coesistenza. Da un lato il Governatore, che pur con ampi
poteri rimaneva solo il semplice esecutore della volontà del Pontefice, dall’altra i
Consoli ed il Consiglio preposti alla tutela degli statuti e degli interessi dei più deboli,
ed infine l’Agente o Ambasciatore il cui ruolo, anche se rappresentava la
partecipazione più viva dei cittadini alla gestione della vita pubblica, tuttavia si
esauriva nell’esporre le esigenze della comunità al Sommo Pontefice.
Dunque, nonostante in età moderna la gestione dell’Amministrazione vedeva come
protagonisti funzionari che appartenevano anche a diversi ceti sociali, questo però
non era sufficiente a fare dello Stato Pontificio uno stato forte ed omogeneamente
strutturato.
10
Comunque anche lo Stato della Chiesa si avviava per tutto il Seicento sulla strada
dell’assolutismo ed accentramento dei poteri, anche esso fu interessato ad una
modernizzazione delle strutture amministrative per gestire un più stretto rapporto tra
centro e periferia. Ma ora nonostante la nuova organizzazione si presentasse più
articolata ed ogni funzionario o organo amministrativo era preposto all’esercizio di
una specifica autorità, si trattava però di una struttura comunque accentrata in quanto
unico obiettivo dell’autorità pontificia continuava ad essere la difesa della propria
Sovranità.
Tuttavia, una rigorosa ed attenta analisi dell’ordine politico-amministrativo
dell’enclave beneventana non può esaurirsi solo nelle precedenti descrizioni.
Nell’affrontare l’argomento, bisogna considerare non solo i centri di potere che
operavano a livello periferico ma anche tutti quegli organismi e funzionari che
facevano capo al potere centrale della Chiesa di Roma.
11
1.3. IL PAPA E L’ASSOLUTISMO.
Ai fini di una precisa e rigorosa trattazione della figura del pontefice in età moderna,
è opportuno richiamare l’attenzione allo sviluppo dell’assolutismo monarchico, nel
secolo XVII.
Con il termine assolutismo si è soliti indicare quel particolare sistema di governo, in
cui il sovrano non aveva limiti costituzionali.
L’assolutismo quindi riconosceva al Re un potere ereditario per diritto divino, quale
diretta manifestazione della volontà di Dio.
Il sovrano, infatti, era titolare dei pieni poteri, che si concretizzavano attraverso
l’emanazione delle leggi, l’amministrazione della giustizia, la nomina dei funzionari.
L’assolutismo è un elemento fondamentale nella fase di passaggio verso lo stato
moderno: il Re rimaneva l’unico titolare del potere, ma affidava la gestione dello
stato a corpi altamente qualificati e specializzati ognuno per singola materia.
A partire da questo momento i sovrani assoluti non esitarono a circondarsi di un
valido numero di ministri che formavano l’organo politico più importante
nell’assunzione di decisioni in merito agli affari dello Stato. I monarchi si
preoccuparono, inoltre, d’istituire eserciti professionali capaci di garantire una
maggiore difesa del proprio stato e rivolsero molta attenzione anche alle periferie,
assegnando a nuovi organi diplomatici il compito di garantire un più stretto rapporto
tra il centro e la periferia.
Queste trasformazioni investirono anche lo Stato Ecclesiastico, che già nei primi anni
del XVII secolo si avviava verso la formazione di uno Stato Assoluto.
12
Tuttavia, sebbene possedesse caratteristiche simili a quelle degli altri stati europei,
nello stesso tempo, lo stato di Roma e il medesimo assolutismo pontificio era dotato
di una propria originalità.
Anzitutto l’assolutismo pontificio scaturì dalla necessità di restaurazione della Chiesa
stessa.
Il filo conduttore che legava i diversi pontefici, nell’utilizzare la medesima politica
accentratrice era da ricercare nel desiderio per lo Stato Ecclesiastico di salvare la
propria sovranità e il proprio prestigio, questo per non essere sottomesso al
predominio delle potenze europee.
L’Europa del secolo XVII, infatti, non vedeva solo il consolidamento e
potenziamento dell’assolutismo francese, ma anche lo sviluppo, nella seconda metà
del secolo, della potenza Inglese ed Olandese. Per questi motivi la Chiesa avvertiva la
necessità di garantirsi l’ingresso nel sistema degli Stati Europei.
Ulteriore incentivo all’assolutismo papale era di natura spirituale.
La Chiesa infatti non esitò a difendere strenuamente gli obbiettivi che si era proposta
di realizzare con il Concilio di Trento.
Anche ora il più grande interesse per i pontefici rimaneva la diffusione del
cristianesimo e l’affermazione del primato del Papa come capo della Chiesa cattolica.
Infine tra le cause che erano all’origine dell’assolutismo papale acquistò un posto
fondamentale il grande problema finanziario che attraversò la vita della Chiesa per
tutto il XVII secolo.
13
Ora, di fronte ad una crescente riduzione delle entrate ecclesiastiche, il papa rispose
al problema adottando una politica più accentratrice che si tradusse nell’istituzione di
quelle congregazioni aventi il compito di amministrare le finanze pontificie.
Tuttavia, non solo le cause che generarono l’assolutismo papale, ma anche la natura
stessa della monarchia pontificia rappresentavano motivi di distinzione tra lo Stato
della Chiesa e i restanti Stati Europei.
Si trattava, infatti, di una monarchia elettiva e non ereditaria che trovava la sua forza
non solo nella celebrazione ed esaltazione del papa, ma anche nel fatto che il
pontefice rappresentava l’incarnazione di un potere esclusivo, quale quello spirituale.
In quanto elettiva la monarchia necessitava, in seguito alla morte del pontefice, di
nuove elezioni, attraverso le quali si designava il futuro papa-sovrano.
Da quel momento, quindi, acquistò sempre più prestigio l’adozione di quel nepotismo
papale come nuovo strumento di governo.
“Il nepotismo papale va studiato nel quadro di una monarchia elettiva che si trova a
dover affrontare in termini nuovi il problema del potere e che non aveva a
disposizione altri strumenti per garantire continuità e stabilità del potere.”
9
Fu quindi, in virtù di quel nepotismo diretto che si spiegarono le grosse innovazioni
introdotte nell’ordinamento della Chiesa .
In particolare il nepotismo fu una chiave di lettura per capire e spiegare l’esclusione
dei Cardinali dall’esercizio di governo.
9
P.PRODI, Il Sovrano Pontefice un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, 1982,
p. 191.
14
Essi, infatti, furono sostituiti, con esponenti delle grandi famiglie e quindi con
personalità fidate legate al pontefice non solo da un rapporto di fiducia ma anche da
un vincolo di consanguineità.
Tra le varie personalità che contribuivano alla formazione dell’apparato governativo
emergeva, soprattutto in questo momento, la figura del Cardinal Nipote come
personale segretario del Papa.
Dunque, dalla descrizione finora tracciata il pontefice si configurava in modo nuovo
rispetto al Medioevo.
Egli non era più celebrato solo per il suo significato spirituale ma anche temporale.
Roma quindi diventava il centro non solo religioso ma anche politico dei territori che
contribuivano alla formazione del suo vasto Stato.
Attraverso la riorganizzazione amministrativa, finanziaria e culturale, lo stato della
Chiesa rivestiva sicuramente un ruolo più rilevante rispetto al passato, ma l’eccessivo
discostarsi dalla propria natura di stato spirituale e il suo voler esser al di sopra delle
parti, significò la sua progressiva decadenza.
A partire dagli inizi del XVII secolo non solo la figura del Papa, ma anche gli
organismi propri della Chiesa furono interessati dalle progressive innovazioni.
Una chiave di lettura, utile per interpretare il rinnovamento degli istituti della Chiesa
di Roma, può essere data dall’elencazione dei maggiori provvedimenti adottati alla
fine del Cinquecento, orientati verso il consolidamento dell’assolutismo pontificio.
15
1.4. SISTO V E LA RIFORMA DEL 1588
Eletto nel conclave del 1585, Felice Peretti, che assunse il nome di Sisto V, durante
il suo pontificato non esitò ad adottare quell’autorità che diede al suo vasto Stato tutti
i caratteri di una vera monarchia assoluta. Quanto detto trova riscontro sia nella
diretta presenza del Pontefice nel governare la sua comunità ma anche nel
“intervento legislativo in svariate materie, di centralizzazione amministrativa,
insomma di rafforzamento delle strutture stabili ed estese che caratterizzano uno stato
moderno”
10
.
A Sisto V, infatti, andava attribuita soprattutto la riforma di cui si fece portatore,
attuata nel 1588, riguardante appunto la riorganizzazione dell’intero ordinamento
ecclesiastico.
Tuttavia la riforma del 1588 non mancò di produrre un doppio effetto,
poiché se da un lato doveva essere finalizzata a restituire alla Chiesa di Roma un
certo ordine perso negli anni successivi alla Riforma Protestante, d’altra parte generò
anche una grande confusione visto che non mancarono problemi di coordinamento tra
i nuovi istituti creati e quelli già esistenti.
Nell’analizzare, infatti, la nuova organizzazione ecclesiastica, assunse un ruolo
determinante la Riforma Protestante.
Fu da essa che la Chiesa partì per concretizzare gli obiettivi, di riorganizzazione del
sistema che si poneva di realizzare.
10
M.CARAVALE - A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, in Storia d’Italia, diretta da
G.GALASSO, XIV, p.348.